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* * * Sezioni giurisdizionali regionali. Abruzzo

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Sezioni giurisdizionali regionali Abruzzo

54 – Sezione giurisdizionale Regione Abruzzo; sen- tenza 4 agosto 2016; Pres. Miele, Est. de Marco, P.M. Stanco; Proc. reg. c. Calderolo e altro.

Giurisdizione e competenza – Società privata e amministratore della società – Progetto di valorizzazione di prodotti agricoli – Contri- buti regionali – Falsa attestazione di attività inerenti alla realizzazione del progetto – Re- sponsabilità della società e dell’amministrato- re – Giurisdizione contabile.

L. 14 gennaio 1994 n. 20, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 1.

Responsabilità amministrativa e contabile – So- cietà privata e amministratore della so- cietà – Progetto di valorizzazione di prodotti agricoli – Contributi regionali – Falsa attesta- zione di attività inerenti alla realizzazione del progetto – Danno erariale – Danno da disser- vizio.

L. 14 gennaio 1994 n. 20, art. 1.

Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nella controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno cagionato all’amministrazione regionale da una società privata e dal suo amministratore per aver falsamente attestato l’esecuzione di attività ine- renti alla realizzazione di un progetto di valorizza- zione di prodotti agricoli, finanziato con contributi regionali. (1)(1)

(1-2) Sulla responsabilità amministrativa di soggetti privati destinatari di finanziamenti pubblici v., di recente, Corte conti,

Rispondono di danno erariale il consorzio di tutela di un olio extravergine di oliva e, in via sus- sidiaria, l’amministratore della stessa società, in relazione a comportamenti gravemente colposi nell’attestare l’esecuzione, mai realmente avvenuta, di attività inerenti alla realizzazione di un progetto di valorizzazione di prodotti agricoli finanziato con contributi regionali; da tali comportamenti discende, altresì, l’obbligo di risarcire il danno da disservizio cagionato dal dispendio di attività amministrativa per lo svolgimento, prima, delle operazioni connesse all’erogazione del contributo regionale e, poi, alla sua revoca. (2)

Fatto – 1. Con atto di citazione depositato presso la segreteria di questa sezione il 3 dicembre 2015 la procura regionale ha convenuto in giudizio il consor- zio di tutela olio extravergine d’oliva Dop “Colline Teatine” e il sig. Candeloro personalmente, nella sua qualità di rappresentante legale (ora e all’epoca dei fatti) del consorzio stesso, chiedendone la condanna, tra loro in solido, al risarcimento, in favore della Re- gione Abruzzo, della somma di euro 325.376 oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese di giusti- zia. Ciò in ragione della contestata illecita fruizio- ne di un contributo pubblico (per un ammontare di euro 315.376) e del connesso danno da disservizio (stimato dal pubblico ministero in euro 10.000), da imputarsi alla condotta fraudolenta del consorzio be- neficiario, in persona del suo legale rappresentante Candeloro.

1.1. Come esposto nell’atto di citazione, l’attivi- tà istruttoria della procura contabile ha tratto avvio dall’informativa della Guardia di finanza (Nucleo di polizia tributaria di Chieti, Sezione tutela finanza pubblica) 19 aprile 2012, prot. n. 66969, concernente la trasmissione alla Corte dei conti, previo nullaosta del magistrato inquirente, della notizia di reato già comunicata alla Procura della Repubblica di Chieti con nota prot. 13 marzo 2012, n. 44646. L’indagine penale aveva tratto origine, a sua volta, da un esposto del luglio 2010.

Per quanto riguarda i profili penali, secondo quanto riferito, per gli stessi fatti il sig. Candeloro è stato coinvolto, in concorso con altri, nel procedi- mento iscritto al n. 1579/2012 Rgnr del Tribunale di Chieti (concernente l’imputazione di truffa), archi- viato con decreto del Gip in data 18 settembre 2012 per prescrizione del reato, trattandosi di contributi

Sez. III centr. app., 26 ottobre 2015, n. 542, in questa Rivista, 2015, fasc. 5-6, 253, con nota di richiami (sub III).

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pubblici erogati nell’agosto 2005. Il sig. Candelo- ro è stato altresì sottoposto a procedimento penale iscritto al n. 918/2012 Rgnr del Tribunale di Chieti (concernente l’imputazione per il reato tributario di occultamento o distruzione delle scritture contabili ex art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74) concluso con sent. n. 383/2014 recante l’assoluzione per non aver commesso il fatto.

1.2. Nella presente sede amministrativo-contabi- le il sig. Candeloro è accusato, nella sua qualità di le- gale rappresentante del consorzio di tutela olio extra- vergine d’oliva Dop “Colline Teatine”, dell’illecita percezione e dello sviamento, da parte del consorzio stesso, di un contributo pubblico di complessivi euro 315.376 relativamente al progetto “commercializ- zazione prodotti di qualità” – misura M – annualità 2004 – Psr 2000-2006 Abruzzo.

Il contributo in parola, peraltro, è già stato re- vocato dalla Regione Abruzzo con provvedimento impugnato dal consorzio dinanzi al Tar di L’Aqui- la; il relativo giudizio, per quanto riferito, è tuttora pendente.

Secondo le risultanze delle indagini penali e con- tabili, il contributo sarebbe stato infatti ottenuto me- diante l’artificiosa presentazione di documentazione falsamente attestante la sussistenza di requisiti in verità mai posseduti dal consorzio nonché l’esecu- zione di attività mai svolte (tra cui, ad esempio: la realizzazione di un sito web; l’implementazione di un sistema di “tracciabilità” tra le aziende consor- ziate; la composizione della base sociale; la durata minima dell’attività; il riconoscimento ministeriale;

ecc.). (Omissis)

Diritto – (Omissis) 2. Sussiste la giurisdizione di questa Corte, tanto nei confronti del consorzio, quan- to nei confronti del sig. Candeloro personalmente, nella sua qualità di presidente e rappresentante lega- le dell’ente il quale, materialmente, ha disposto delle somme in contestazione.

2.1. Con riferimento alla posizione del consor- zio non possono nutrirsi dubbi, tenuto conto che si tratta di ente beneficiario di fondi pubblici vincolati, nell’impiego, ad un programma imposto dalla pub- blica amministrazione.

Tanto basta, per giurisprudenza ormai consolida- ta, a radicare la giurisdizione contabile.

Invero, il rapporto di servizio è da considerare implicitamente sussistente ogni qualvolta un sogget- to, pubblico o privato, sia vincolato alla “gestione di pubblico denaro” secondo un “programma imposto dalla pubblica amministrazione” (v. già Cass., S.U.,

20 ottobre 2006, n. 22513; ord. 1 marzo 2006, n.

4511, e successiva giurisprudenza conforme).

2.2. Con riferimento alla posizione del sig.

Candeloro, occorre anzi tutto ricordare che la giu- risdizione va determinata in considerazione della prospettazione di parte attrice, attenendo invece al merito della pretesa (insindacabile in sede di giuri- sdizione) la valutazione circa l’esistenza e la misura della contestata mala gestio dei fondi erogati.

Ciò posto, la giurisprudenza della Cassazione (nota alle parti) ha chiarito, da ultimo, che “l’instau- razione del rapporto di servizio è correlata non solo alla riferibilità alla società beneficiarla del contri- buto degli effetti degli atti dei suoi organi, ma anche all’attività stessa di chi, disponendo della somma erogata in modo diverso da quello preventivato o ponendo in essere i presupposti per la sua illegit- tima percezione, abbia provocato la frustrazione dello scopo direttamente perseguito dall’ammini- strazione”; “posto, infatti, che il dato fondante della responsabilità è la distrazione dei fondi pubblici, è consequenziale che ne rispondano sia il soggetto cui il finanziamento sia stato erogato (nella specie, la società beneficiarla) sia i soggetti che li hanno distratti per averne avuto la disponibilità” (Cass., S.U., ord. 3 marzo 2010, n. 5019, e 9 maggio 2011, n. 10062).

Infine, le Sezioni unite della Cassazione hanno confermato, ritenendolo ormai consolidato, il princi- pio per cui la responsabilità erariale (qualora il sogget- to fruitore dei fondi pubblici sia una società-persona giuridica) attinge anche coloro che con la società ab- biano intrattenuto un rapporto organico, se dai com- portamenti da loro tenuti sia derivata la distrazione dei fondi in questione dal fine pubblico cui erano destinati (Cass., S.U., 9 gennaio 2013, n. 295).

Da ultimo, con pronuncia di particolare rilievo, le stesse Sezioni unite hanno statuito che dall’afferma- zione della giurisdizione nei confronti della società beneficiaria dei fondi discende anche quella verso i suoi dipendenti “che hanno preso parte attiva” – se- condo l’accertamento del giudice contabile, insinda- cabile in punto di legittimità – “alla condotta causa- tiva del danno erariale”; nella fattispecie, sono stati considerati assoggettati alla giurisdizione contabile sia il dirigente della società che aveva sottoscritto atti di collaudo e omesso di tenere una contabilità separata, in violazione di quanto previsto in conven- zione, sia il dirigente della società (e inoltre direttore dei lavori) che aveva firmato i verbali di collaudo parziali e finali dell’opera finanziata (Cass., S.U., 13 giugno 2016, n. 12086). (Omissis)

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4. Venendo al merito della causa, nel prudente apprezzamento di tutti gli atti e documenti di causa, questa Corte ha maturato il convincimento della fon- datezza dell’azione proposta dal pubblico ministero.

Si tratta, tuttavia, di una fondatezza parziale, nei ter- mini che di seguito si espongono.

4.1. Giova premettere che i fatti in contestazione risalgono al biennio 2004-2005, cioè a più di dieci anni fa; le attività d’indagine sono state svolte e le sommarie informazioni testimoniali sono state rac- colte dalla Guardia di finanza tra il 2011 e il 2012, cioè a distanza di oltre un lustro dai fatti.

La documentazione contabile del consorzio, per la gran parte, non è stata rinvenuta. Su questo spe- cifico punto, il Candeloro è stato prosciolto in sede penale (con la formula “per non aver commesso il fatto”) dall’imputazione per il reato tributario di oc- cultamento o distruzione delle scritture contabili.

Il procedimento per truffa è stato invece archivia- to già nel settembre 2012, per prescrizione del reato, trattandosi di contributi pubblici erogati nell’agosto 2005.

In mancanza di dibattimento penale e non es- sendo state proposte istanze istruttorie dalle parti, la decisione della causa non può che basarsi sull’insie- me della documentazione riveniente dall’indagine o prodotta dalla difesa, disponibile nel fascicolo pro- cessuale. (Omissis)

4.2. Ciò posto, va rilevato che la ricostruzione fatta propria dalla procura regionale (con conseguen- te richiesta di condanna) si fonda su una accurata e sufficientemente estesa attività investigativa svolta dalla Guardia di finanza.

In relazione alle puntuali incongruenze, anomalie e irregolarità messe a fuoco nel corso dell’indagine, il convenuto ha fornito solo parziali giustificazioni, concentrandosi su alcuni specifici (e in verità margi- nali) profili, senza invece svolgere alcuna contesta- zione specifica (anche agli effetti dell’art. 115 c.p.c.) sul resto dei gravi fatti emersi, in relazione a cui si è sostanzialmente limitato ad eccepire la mancanza di prova, l’accertamento condotto dalla regione e la propria estraneità alla ipotizzata vicenda (o, meglio, la responsabilità dell’organo collegiale amministrati- vo del consorzio). (Omissis)

4.3. Sono state prodotte, inoltre, alcune stampe di pagine del sito web del consorzio, nonché alcuni documenti inerenti il progetto “tracciabilità”.

4.3.1. Per quanto riguarda la questione del sito web realizzato dal consorzio, il Candeloro ha depo- sitato in giudizio la stampa delle relative pagine. Al riguardo, può lasciarsi in disparte, sul piano del va-

lore probatorio, la considerazione che le stesse stam- pe sono facilmente realizzabili ad usum delphini nel giro di poche ore da chiunque possegga un personal computer e un minimo di dimestichezza con i princi- pali applicativi. Nel merito, resta il fatto che in sede di inchiesta non si è rinvenuta nessuna traccia non solo del codice sorgente inerente la realizzazione del sito web in parola o di una copia digitale dello stesso (esistendo solo la fattura di euro 24.000 più Iva) ma neppure della manutenzione in linea e conservazione (necessaria, a termini di bando) del sito stesso nel corso degli anni seguenti. Del resto, è notorio che la registrazione di un dominio è censita dal Ripe Ncc (Réseaux ip européens - Network coordination cen- tre), per cui sarebbe stato agevole, per parte conve- nuta, fornire la prova (positiva) dell’effettiva messa in linea del sito in parola.

4.3.2. Per quanto riguarda la “tracciabilità” e il

“disciplinare”, di fronte ai circostanziati rilievi del pubblico ministero le argomentazioni difensive ap- paiono estremamente labili e non adeguatamente di- mostrate.

Restano completamente privi di ogni giustifica- zione alcuni elementi che, per la loro oggettiva ri- levanza e gravità, non possono essere trascurati in questa sede. Tra di essi, in particolare:

- i titolari di entrambi i “frantoi pilota”, all’ac- cesso della Guardia di finanza, hanno smentito to- talmente quanto riportato nella relazione conclusiva presentata alla regione dal consorzio, negando in radice l’effettuazione, presso di loro, delle attività descritte nella relazione;

- le imprese consorziate, sentite dalla Guardia di finanza, non avevano alcuna conoscenza delle atti- vità del consorzio, pur essendo state indicate come direttamente coinvolte nelle attività stesse;

- presso un frantoio pilota sono state rinvenu- te fascette identificative ministeriali rilasciate alla camera di commercio, ma abusivamente utilizzate dal consorzio, come chiarito dal ministero compe- tente in relazione alla richiesta di spiegazioni degli inquirenti;

- la società di certificazione indicata dal consor- zio ha negato formalmente, su richiesta degli inqui- renti, di aver mai rilasciato la certificazione esibita dal consorzio stesso, certificazione che è quindi ri- sultata falsa.

Si tratta di evidenze non superate dalle difese di parte convenuta.

4.4. L’effettiva realizzazione del progetto am- messo a finanziamento non può ritenersi provata dal

“verbale di avvenuta esecuzione lavori” redatto in

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nome della giunta regionale dai funzionari incaricati dell’accertamento in data 14 settembre 2005.

Per quanto l’accertamento in parola sia stato con- dotto in loco, come riportato sul verbale, dalla lettura del verbale stesso emerge che il controllo effettuato si è basato precipuamente sulla documentazione pre- sentata dal consorzio (rappresentato, in quella sede, dal Candeloro insieme al “progettista” Tavano) e sul- la corrispondenza di detta documentazione rispetto al progetto presentato alla regione.

La riscontrata falsità di alcuni dei documenti esaminati inficia in radice l’attendibilità dell’accer- tamento in parola, nell’ambito del quale i funzionari incaricati sono stati verosimilmente tratti in inganno.

In ogni caso, pur ove si volesse per assurdo pro- spettare una loro ipotetica negligenza (o, peggio, una ipotetica collusione) nel condurre l’accertamen- to in parola, ciò potrebbe ingenerare una eventuale responsabilità amministrativa (anche) in capo agli stessi, ma non varrebbe a dimostrare l’effettivo svol- gimento di attività che, ad un successivo controllo della Guardia di finanza, si sono rivelate in parte si- curamente inesistenti.

4.3. [recte: 4.5.] Tirando le fila del discorso, que- sta Corte ritiene che, come rilevato dalla Guardia di finanza e come sostenuto dal pubblico ministero, il progetto ammesso a contributo pubblico sia stato solo in parte realizzato dal consorzio e, comunque, non sia stato mantenuto per il tempo previsto.

L’insieme di tutti gli elementi passati in rassegna, meglio indicati in atti e compendiati nella precedente parte in fatto, depongono in tal senso.

4.3.1. [recte: 4.5.1.] Quanto alla preordinazione dolosa del “disegno criminoso”, tuttavia, pur dando atto che l’ipotesi accusatoria è del tutto plausibile e compatibile con le risultanze processuali, questa Corte non può ignorare le contrapposte difese del Candeloro il quale, sullo specifico punto, ha fornito una tesi contraria, parimenti plausibile e compatibile con la documentazione versata in atti.

Motivi di prudenza inducono, quindi, a conclu- dere che la richiesta di contributo non fosse neces- sariamente preordinata, fin dall’origine, all’illecita acquisizione e distrazione dei fondi, ma che sia stata sopravvalutata la capacità del consorzio di tener fede a tutti gli obblighi assunti.

In questa prospettiva, volendo accedere alla tesi difensiva della mancanza di un intento fraudolento presente ab origine, l’intera operazione appare piut- tosto connotata da una estrema incuria e superficiali- tà da parte del consorzio, nell’ambito di un intreccio di ruoli e competenze tra il consorzio stesso, le asso-

ciazioni di categoria (Coldiretti, ecc.), l’Apoc (As- sociazione provinciale olivicoltori chietini), l’Arssa (Agenzia regionale per i servizi di sviluppo agricolo in Abruzzo), la camera di commercio, la provincia e le società incaricate dell’esecuzione di alcune parti del progetto finanziato.

È corretta e significativa la constatazione degli inquirenti secondo cui la stessa relazione finale del progetto, presentata dal consorzio, è dettagliata e analitica in alcune parti (e, segnatamente, in quelle relative alle campagne informative), mentre è sfug- gente e carente in altre (e, segnatamente, in quelle relative al sistema di tracciabilità e al disciplinare).

In definitiva, questa Corte ha maturato il con- vincimento che il consorzio abbia voluto cogliere l’opportunità di fruire di un cospicuo contributo pubblico, spendendolo poi principalmente per “pub- blicizzare” la produzione dei propri consorziati, per

“autopromuoversi”, ma senza curarsi di onorare, pa- rallelamente, gli impegni assunti in termini di disci- plinare di produzione e di tracciabilità della stessa.

In altri termini, l’attività posta in essere, solo par- zialmente rispondente al progetto finanziato, si è di fatto conclusa in una mera operazione commerciale e pubblicitaria a favore dei consorziati, mentre l’aspet- to della qualità del prodotto e della tracciabilità dello stesso è stato completamente pretermesso.

Pur volendo prestar fede al Candeloro e negare la preordinazione, certa e inoppugnabile è la parziale falsità della relazione redatta a conclusione del pro- getto, in punto di disciplinare e tracciabilità, secondo quanto dinanzi appurato.

In quest’ottica, tutto induce a ritenere che il con- sorzio, resosi conto, da un lato, della sua incapacità di realizzare per intero il progetto e ben consapevole, dall’altro lato, sia della inscindibilità delle operazioni di commercializzazione del prodotto rispetto a quel- le inerenti il miglioramento dell’aspetto produttivo e della tracciabilità, sia della necessità di riformare lo statuto e di ottenere il riconoscimento ministeriale (pena la revoca e la restituzione dell’intero contribu- to), abbia fittiziamente rendicontato come realizzato l’intero programma, contrariamente al vero, proprio al fine di non dover restituire le somme. (Omissis)

4.3.2. [recte: 4.5.2.] In ogni caso, per quanto fin qui esposto sussiste la responsabilità principale del consorzio, quale ente beneficiario del contributo, per aver falsamente attestato l’esecuzione di una parte delle azioni finanziate.

A tal fine, giova peraltro ribadire che nella pre- sente sede ci si occupa del solo profilo risarcitorio, senza pregiudizio per la revoca e il recupero dell’in-

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tero contributo conseguenti alla violazione di speci- fiche clausole del bando, questione che resta rimessa all’amministrazione competente e al vaglio di altra giurisdizione.

Ciò posto, ai fini della liquidazione del danno, va considerato che, secondo quanto rilevabile in atti, il contributo di euro 314.005,65 concesso dalla regione era ripartito nei seguenti importi, ciascuno commisu- rato al finanziamento di una specifica “azione”: euro 239.094,23 per l’azione “strumenti di informazione e azioni promozionali”; euro 29.376 per l’azione

“introduzione metodologie e di tracciabilità”; euro 28.800 per l’azione “realizzazione sito web”; euro 16.735,42 per l’azione “spese generali”.

Ciò posto, considerati anche, in via presuntiva ed equitativa, i vantaggi comunque verosimilmente con- seguiti dalla collettività, in funzione della parte di in- terventi effettivamente realizzati, appare equo stimare il danno in euro 195.000, ritenendo che gli interventi promozionali e informativi abbiano comunque pro- dotto una qualche “utilità”, stimabile in misura pari alla metà del loro costo, pur in difetto della parallela doverosa azione sulla qualità del prodotto.

Ritiene, infatti, questa Corte che l’azione promo- zionale effettivamente svolta sia stata, in via di fatto, parzialmente vanificata dall’assenza della necessaria corrispondente azione di miglioramento e garanzia di qualità del prodotto; la commercializzazione e promozione di un prodotto oleario privo dei richiesti requisiti qualitativi deve ritenersi compromessa, in misura grosso modo pari alla metà della spesa.

4.6. Alla suddetta somma deve aggiungersi, in ac- coglimento della domanda del pubblico ministero e in coerenza con la ormai consolidata giurisprudenza della Corte dei conti (ex multis, cfr. Sez. I centr. app., 26 luglio 2012, n. 421; Sez. II centr. app., 11 maggio 2012, n. 295; Sez. III centr. app., 14 settembre 2010, n. 545), cui ha aderito da ultimo anche questa sezio- ne (n. 370 e n. 377/2012), una maggiorazione a titolo di danno “da disservizio”.

Al riguardo, si è da ultimo precisato che questa particolare figura di danno, ormai ampiamente ela- borata dalla giurisprudenza contabile, “si risolve nel pregiudizio – ulteriore rispetto al ‘danno patri- moniale diretto’ – recato dalla condotta illecita del dipendente al corretto funzionamento dell’apparato pubblico, concretandosi, ad esempio, in una o più delle seguenti fattispecie: mancato conseguimento della legalità, della efficienza, della efficacia, della economicità e della produttività dell’azione e dell’at- tività di una pubblica amministrazione (Sez. giur.

reg. Umbria, 28 settembre 2005, n. 346); dispendio

di energie per la ricostruzione di contabilità mancan- ti o contraffatte (Sez. giur. reg. Marche, 11 gennaio 2005, n. 18); costo sostenuto dall’amministrazione per accertare e contrastare gli effetti negativi sull’or- ganizzazione delle strutture e degli uffici in conse- guenza di comportamenti dolosi di un dipendente (Sez. giur. reg. Marche, 10 marzo 2003, n. 195); costi sostenuti per il ripristino della funzionalità dell’uffi- cio (Sez. giur. reg. Sicilia, 20 maggio 2002, n. 881);

mancato conseguimento del buon andamento dell’a- zione pubblica (Sez. giur. reg. Umbria, 29 novem- bre 2001, n. 511); dispendio di risorse umane e di mezzi strumentali pubblici (Sez. II centr. app., 10 aprile 2000, n. 125)” (così, da ultimo, Sez. giur. reg.

Emilia-Romagna, 6 settembre 2012, n. 210; v. anche Sez. giur. reg. Piemonte, 13 gennaio 2011, n. 11; 1 maggio 2011, n. 77).

Nella fattispecie, non può dubitarsi del fatto che la mancata realizzazione del programma cui era vin- colata l’erogazione del finanziamento abbia compor- tato non soltanto l’illecito sviamento dei contributi pubblici stessi dalla finalità loro propria, ma anche la vanificazione di tutte le risorse pubbliche comun- que dedicate alla gestione del finanziamento stesso.

È intuitivo che, in caso di condotte illecite inerenti la percezione o l’utilizzo di contributi pubblici, il dan- no per l’amministrazione non si esaurisca nel solo importo del contributo fraudolentemente ottenuto o malamente impiegato, ma ricomprenda i costi sop- portati e le risorse vanamente impiegate nell’ambito complessivo dell’istruzione, dell’erogazione, della gestione, della revoca e del recupero del contributo stesso.

Ciò posto, essendo ragionevolmente certo il danno (se non altro, per i costi dell’istruttoria della pratica, ivi incluso l’accesso dei funzionari regiona- li presso il consorzio, la stesura dei provvedimen- ti, la gestione del carteggio, la cura degli interessi dell’amministrazione nei procedimenti giurisdizio- nali, ecc.) ma essendo assai complessa la relativa quantificazione analitica, il danno “da disservizio”

può essere liquidato equitativamente, ex art. 1226 c.c., nella misura forfettaria pari, grosso modo, al 2 per cento dell’importo della quota di contributo inu- tilmente erogata: alla stregua, cioè, di un costo on- nicomprensivo di “istruttoria” del contributo stesso.

Nella fattispecie, appare quindi congrua la misu- ra di euro 5.000.

4.7. Venendo ora alla posizione personale del Candeloro, si osserva quanto segue.

4.7.1. Quanto all’asserita insussistenza di poteri in capo al Candeloro medesimo, per decadenza de-

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gli organi sociali e impossibilità di prorogatio dopo i due mandati quadriennali, sia sufficiente richiamare i molteplici atti sottoscritti dal medesimo nella sua qualità di legale rappresentante del consorzio, de- positati in giudizio dalla stessa difesa (da ultimo, la procura alle liti per il ricorso dinanzi al Tar in data 2 marzo 2012).

Egli, quindi, in via di fatto, ha sempre continuato a esercitare la rappresentanza legale dell’ente e ad agire in nome e per conto di esso.

Per completezza, va rilevato che anche la notifica della citazione nei confronti del consorzio, relativa al presente giudizio, è stata effettuata nelle mani del Candeloro, nella sua qualità di rappresentante legale, senza che egli rifiutasse la ricezione dell’atto.

4.7.2. Non condivisibile appare, inoltre, la rico- struzione difensiva che tende alla completa dere- sponsabilizzazione del Candeloro, nella sua qualità di presidente, in ragione dell’attribuzione al consi- glio d’amministrazione delle competenze di gestione dell’ente.

Al riguardo, è sufficiente constatare non solo che lo statuto intesta al presidente del consorzio il potere di rappresentanza legale dell’ente e il compimento di ogni atto nell’interesse dell’ente stesso, ma anche che, in via di fatto, il Candeloro ha gestito in prima persona la vicenda e ha sottoscritto pressoché tutti gli atti ad essa relativi.

4.7.3. Quanto all’elemento psicologico, in consi- derazione delle difese svolte dal medesimo, nonché per ragioni di prudenza, questa Corte ha maturato il convincimento che il suo coinvolgimento doloso nella fattispecie non sia stato sufficientemente dimo- strato mediante le presunzioni, pur plausibili e vero- simili, propugnate dalla procura.

Ciò non toglie che l’illecito debba essere a lui im- putato a titolo di colpa grave, con le più favorevoli implicazioni che ne conseguono in punto di sussidia- rietà e parziarietà dell’addebito, secondo la consoli- data giurisprudenza contabile.

Infatti, ove si voglia dubitare, come si dubita, del- la piena coscienza e volontà del Candeloro nell’atte- stare falsamente, insieme ai tecnici incaricati della conduzione del progetto (e perciò retribuiti), l’ese- cuzione di alcuni interventi mai realizzati, non può invece dubitarsi della sua gravissima imprudenza e negligenza, consistente nel far proprie passivamente le suddette false attestazioni, senza alcun riscontro.

Egli, nella sua qualità di presidente del consor- zio di tutela olio extra-vergine d’oliva Dop “Colli- ne Teatine” e, come tale, di richiedente il contributo pubblico per cui è causa, non poteva disinteressarsi

delle vicende attinenti la qualità e la tracciabilità del prodotto, cioè strettamente attinenti la vita consortile stessa, al punto di non avvedersi che le correlate atti- vità, asseritamente eseguite e rendicontate dai tecnici da lui stesso incaricati, erano solo fittizie.

In particolare, pur volendo dubitare dell’accordo delittuoso con i propri “tecnici”, deve pur sempre concludersi che egli con inescusabile colpa demandò in toto a questi ultimi la gestione del progetto, igno- rando supinamente che le correlate attività non erano state affatto svolte.

In particolare, tra le altre, non erano mai state compiute:

- la verifica di tutte le aziende di trasformazione produttrici di olio Dop associate al consorzio per il controllo dei requisiti inderogabili igienico-sanitari e di sicurezza (Haccp) con sviluppo e integrazione ad hoc dei manuali di autocontrollo;

- la verifica tecnica delle aziende agricole coin- volte dal consorzio Dop in merito al rispetto delle norme (produzione-conferimento) e al loro eventua- le adeguamento;

- lo sviluppo di un disciplinare di produzione se- condo le norme Uni 10939, coerentemente con la re- altà produttiva della Dop “Colline Teatine”, e la mes- sa in esercizio di esso presso due aziende consorziate ben individuate;

- il censimento di tutte le aziende agricole, socie del consorzio Dop, conferenti ai frantoi pilota e per ognuna di esse la redazione di una scheda aziendale (nella quale vengono riportati i dati generali e ag- giornati l’ubicazione delle singole particelle oliveta- te, la stampa orto-foto, ecc., con dotazione a tutte le suddette aziende dei “quaderni di campagna” dove annotare tutte le attività svolte in merito alla produ- zione di olive da olio);

- la codifica di tutte le unità produttive (soci con- ferenti) e delle singole strutture di trasformazione, identificandone le varie fasi di lavorazione, le cister- ne per lo stoccaggio dell’olio, ecc., attraverso la pre- disposizione di moduli standard;

- la vidimazione della documentazione da parte di un ente di certificazione accreditato Sincert dopo la verifica dell’efficacia con “bilanci di massa” e

“prove di rintracciabilità” (vidimazione, quest’ulti- ma, falsificata).

Il disciplinare di produzione e la tracciabilità rappresentavano, per contro, il nucleo centrale del progetto finanziato con denaro pubblico in quanto, come già osservato, l’attività promozionale era fi- nanziata in abbinamento inscindibile con l’innal-

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zamento dei presidi qualitativi e di tracciabilità del prodotto da promuovere. Ma il presidente del consorzio beneficiario ignorava addirittura che gli interventi a ciò finalizzati non erano stati mai ef- fettuati: le aziende consorziate non erano state né censite, né verificate, né sensibilizzate, né tracciate;

non sapevano nulla di questa azione, a partire ad- dirittura dai due frantoi pilota. Né il Candeloro si è premurato di fornire la prova contraria, ad esempio mediante dichiarazioni di soci che attestassero il contrario.

Secondo la tesi difensiva, sembrerebbe quasi che le aziende interessate avrebbero dovuto esse stesse farsi parte diligente per recepire il disciplinare di produzione e per soddisfare gli altri requisiti previ- sti dal progetto (azione, quest’ultima, per la quale il consorzio stava, peraltro, lautamente retribuendo alcuni tecnici di propria fiducia, con contributo pub- blico). Neppure consta che il Candeloro medesimo, una volta emersi gli inquietanti scenari di falsifica- zione, disvelati dagli inquirenti, pur premurandosi di ricorrere sollecitamente al Tar contro la revoca del contributo, abbia adottato alcuna iniziativa volta a individuare i responsabili materiali delle falsificazio- ni in parola e a interrompere i termini prescrizionali per il risarcimento dei conseguenti danni.

Il che depone decisamente per una incuria e una trascuratezza di gravità tale da sfiorare il dolo. È in- tollerabile, infatti, che un contributo pubblico finaliz- zato all’esecuzione di specifiche azioni risulti speso senza che le azioni previste siano state svolte, e che il presidente dell’ente beneficiario non sia in grado di fornire alcun ragguaglio e non abbia intrapreso alcuna iniziativa al riguardo, dichiarandosi sempli- cemente estraneo alla fattispecie, come se la spendita del contributo non fosse affare riguardante il consor- zio da lui stesso presieduto e gestito nel periodo in esame.

La stessa incuria e lo stesso disprezzo per il de- naro pubblico erogato al consorzio emerge, peraltro, dalla sostanziale inoperatività del consorzio stesso, inoperatività più volte affermata anche negli atti di- fensivi e iniziata subito dopo aver interamente spe- so il contributo in parola; ciò a conferma del fatto che l’unico interesse concreto del consorzio era stato quello di promuovere semplicemente la propria at- tività spendendo, del tutto inopinatamente, i fondi messi a sua disposizione.

Insomma, se non di una gestione criminosa (di cui non v’è piena prova a carico del Candeloro, pur residuando numerose ombre sul suo operato), si trattò sicuramente una gestione sconsiderata e

dilettantistica, sprezzante del valore del contributo pubblico ricevuto, considerato come una somma da spendere “alla buona”, giustificandola come meglio si poteva.

4.7.4. Tutto ciò posto, tenuto comunque conto dell’indubbio coinvolgimento doloso di soggetti ter- zi nella produzione del danno in parola e dei vani e documentati tentativi del Candeloro di ottenere il riconoscimento ministeriale, si ritiene di dover limi- tare la responsabilità del medesimo, in via parziaria e con il beneficio della sussidiarietà, ad un quinto del danno complessivamente addebitato al consorzio.

(Omissis)

P.q.m., la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo, con pronuncia definitiva:

a) condanna, in via principale, il consorzio di tu- tela olio extra-vergine d’oliva Dop “Colline Teatine”

al risarcimento, in favore della Regione Abruzzo, della somma di euro 200.000, oltre interessi legali fino al saldo;

b) condanna, in via sussidiaria, il signor Mauro Candeloro al risarcimento della medesima somma, fino a concorrenza dell’importo di euro 40.000 oltre interessi legali.

* * *

Basilicata

29 – Sezione giurisdizionale Regione Basilicata;

sentenza 27 giugno 2016; Pres. (f.f.) e Est. Per- gola, P.M. Gargano; Proc. reg. c. Cristalli e altri.

Responsabilità amministrativa e contabile – Ente locale – Stipendi del personale – Dipendente dell’ente – Alterazione dolosa dei dati relativi allo stipendio – Ingerenza nelle competenze di altri uffici – Percezione di stipendi di ammon- tare superiore al dovuto – Danno erariale.

L. 14 gennaio 1994 n. 20, disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, art. 1.

Responsabilità amministrativa e contabile – Ente locale – Procedure di competenza esclusiva dei dipendenti dell’“area finanziaria” – Utiliz- zo da parte di un dipendente di altro ufficio delle procedure – Alterazione dolosa dei dati relativi allo stipendio del dipendente – Danno erariale – Responsabilità dei dirigenti e dipen- denti dell’“area finanziaria”.

D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull’or- dinamento degli enti locali, art. 184.

(8)

Responsabilità amministrativa e contabile – Ente locale – Stipendi del personale – Istituto teso- riere – Omessa verifica circa la provenienza dall’ente degli ordini di pagamento – Paga- mento di stipendi di ammontare superiore al dovuto – Danno erariale – Responsabilità dell’istituto tesoriere.

D.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, art. 184.

Risponde di danno erariale il pubblico dipenden- te che, ingerendosi nei rapporti fra l’ente locale e l’istituto tesoriere mediante l’utilizzo di procedure informatiche e cartacee rientranti nella competenza di altri uffici dell’ente, abbia dolosamente alterato i dati relativi all’ammontare della propria retribuzio- ne mensile, ottenendo dal tesoriere stipendi di am- montare superiore a quello dovutogli. (1)(1)

Rispondono di danno erariale i dirigenti e i di- pendenti dell’“area finanziaria” di un ente locale, i

(1-3) I. - Non constano precedenti nei termini di cui alle massime.

Circa la responsabilità amministrativa dei tesorieri degli enti pubblici per violazione degli obblighi inerenti alla corret- ta esecuzione degli ordini (o mandati) di pagamento ricevuti dagli enti, v.:

Corte conti, Sez. I centr. app., 20 aprile 2010, n. 266, in questa Rivista, 2010, fasc. 2, 111 (m), per cui il tesoriere dell’ente locale ha l’obbligo di verificare che il pagamento secondo le modalità indicate nel mandato sia effettivamente destinato al soggetto le- gittimato; pertanto, esso risponde del danno erariale cagionato per aver dato esecuzione al mandato che prevedeva l’accredito su un conto corrente intestato a soggetto diverso dal creditore;

Corte conti, Sez. I centr. app., 21 luglio 2009, n. 492, ivi, 2009, fasc. 4, 134 (m), per cui il tesoriere di un ente pubblico ha l’obbligo di verificare rigorosamente la legittimazione della persona verso la quale è eseguito il mandato di pagamento; di conseguenza, nell’ipotesi che il creditore sia una società fallita, egli risponde, per colpa grave, del danno cagionato dall’aver eseguito il pagamento al legale rappresentante della società anziché al curatore fallimentare;

Corte conti, Sez. giur. reg. Umbria, 17 gennaio 2002, n.

23, ivi, 2002, fasc. 1, 201 (m), secondo cui risponde di danno erariale l’istituto tesoriere che abbia ammesso a pagamento mandati senza avere preventivamente verificato i requisiti di loro regolarità formale, con particolare riferimento alla com- pletezza della sottoscrizione.

V. pure Corte conti, Sez. giur. reg. Calabria, 21 maggio 2014, n. 139, ivi, 2014, fasc. 3-4, 298, la quale ha ritenuto che, siccome il tesoriere di un ente locale deve rispettare il limite di legge posto al ricorso alle anticipazioni di cassa, pari ai tre dodicesimi delle entrate, accertate nell’anno precedente, di cui ai primi tre titoli dell’entrata del bilancio dell’ente, il tesoriere che abbia concesso anticipazioni su singole richieste, tutte inferiori ai tre dodicesimi ma nel complesso superiori al suddetto limite, va condannato al pagamento di una somma pari agli interessi passivi e alle commissioni che l’ente abbia

quali, consentendo a un dipendente dell’area “per- sonale” di utilizzare le procedure informatiche e cartacee di loro esclusiva competenza per comuni- care all’istituto tesoriere l’ammontare degli stipen- di dovuti al personale dell’ente, hanno favorito la trasmissione al tesoriere, da parte del dipendente, di dati in base ai quali lo stesso dipendente abbia ot- tenuto dall’istituto tesoriere stipendi di ammontare superiore a quello dovutogli. (2)

Risponde di danno erariale l’istituto tesoriere di un ente locale che, avendo omesso di verificare la provenienza dall’ente degli ordini di pagamento re- lativi agli stipendi da pagare al personale dell’ente stesso, abbia corrisposto a un dipendente, sulla base di dati informatici e cartacei da questo trasmessi al tesoriere, stipendi di ammontare superiore a quello dovutogli. (3)

dovuto corrispondere sugli importi anticipati oltre il limite consentito dalla legge.

Corte conti, Sez. III centr. app., 11 agosto 2014, n. 467, ibidem, 282, ha ritenuto che la titolarità, in capo al pubblico ministero contabile, dell’azione di responsabilità nei confronti del tesoriere di ente pubblico non esclude la legittimazione dell’ente stesso ad agire nei confronti del tesoriere, nelle forme del giudizio a istanza di parte, per la restituzione delle somme illecitamente addebitate o non accreditate all’ente, in violazione delle clausole del contratto di tesoreria.

Secondo Corte conti, Sez. giur. reg. Trentino-Alto Adige, Trento, 23 luglio 2011, n. 20, ivi, 2011, fasc. 3-4, 343, le respon- sabilità degli amministratori locali che emergano dall’esame dei conti dei tesorieri possono essere azionate soltanto su autonoma iniziativa del pubblico ministero presso la Corte dei conti e non possono, quindi, essere accertate nell’ambito del giudizio contabile pendente per l’esame del conto (nella specie, gli atti del giudizio di conto sono stati rimessi al pubblico ministero, per le valutazioni di sua competenza in ordine all’eventuale attivazione di un giudizio di responsabilità).

II. - Nel senso che il giudizio di conto cui è soggetto il tesoriere di un ente pubblico non può essere esteso d’ufficio dal giudice ad eventuali connesse responsabilità amministra- tive di funzionari dello stesso ente, v. Corte conti, Sez. giur.

reg. Basilicata, 28 novembre 2008, n. 302, ivi, 2008, fasc. 6, 134 (m); e, nel senso che, nel giudizio davanti alla Corte dei conti sull’azione esercitata dall’ente pubblico verso il proprio tesoriere per violazioni contrattuali o inadempimenti di obbliga- zioni del contratto di tesoreria, non sussistono i presupposti per l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei dipendenti mediante i quali il tesoriere stesso ha concretamente operato, v. Corte conti, Sez. III centr. app., n. 467/2014, cit.

III. - Nel senso che non sussistono la colpa grave e la conse- guente responsabilità amministrativa del sindaco e dell’assessore alle finanze di un comune in ordine al danno causato da un com- portamento penalmente rilevante del tesoriere, v. Corte conti, Sez.

riun. giur., 12 gennaio 1999, n. 1, ivi, 1999, fasc. 2, 48.

Corte conti, Sez. giur. reg. Sicilia, 14 aprile 1997, n. 80, ivi, 1997, fasc. 4, 130 (m), ha affermato la responsabilità ammini-

(9)

Fatto – Riferisce l’atto introduttivo del giudi- zio che in data 16 giugno 2014 la dott.ssa Carmela Gerardi, segretario generale e dirigente responsabi- le servizio personale della Provincia di Matera, e il dott. Franco Stella, presidente della provincia, veni- vano a conoscenza di taluni accreditamenti sul conto corrente bancario personale del dipendente Cristalli Damiano presso la Banca Apulia di Matera, di gran lunga superiori allo stipendio spettante a tale dipen- dente.

Conseguentemente, la dott.ssa Gerardi procede- va a effettuare talune verifiche e controlli interni in merito agli stipendi di tutto il personale relativamen- te agli anni 2012, 2013 e 2014.

Da una prima e sommaria verifica dello stipen- dio del mese di maggio 2014, la dott.ssa Gerardi ri- levava che la retribuzione ordinaria del sig. Cristalli ammontava a euro 852, ma l’accredito sul relativo conto corrente bancario risultava pari a euro 6.352, mentre dalle predette verifiche non risultavano ano- malie di accredito degli stipendi degli altri dipenden- ti dell’amministrazione provinciale di Matera.

Il dirigente responsabile del servizio personale procedeva a verificare, presso l’ufficio area finan- ziaria della Provincia di Matera, che il totale delle retribuzioni elencate nella documentazione allegata ai mandati di pagamento degli stipendi del mese di maggio corrispondesse al totale riportato sul docu- mento “netti in busta”. Da tale controllo apparente- mente non emergeva alcuna anomalia, in quanto i predetti importi corrispondevano.

Invece, dalla somma aritmetica di tutti gli stipen- di del mese di maggio risultava che il relativo totale lordo e il relativo totale netto erano rispettivamen- te gonfiati di euro 5.500, cioè della stessa maggiore

strativa del sindaco, del segretario comunale e del ragioniere nell’ipotesi di appropriazione continuata di fondi commessa dal tesoriere dell’ente locale tardivamente scoperta a causa dell’o- messa effettuazione nei confronti del predetto delle prescritte verifiche bimestrali di cassa in violazione dei doveri di vigilan- za gravanti sui convenuti la cui condotta omissiva ha favorito l’irregolare gestione e il conseguente verificarsi di danno per le finanze comunali.

Secondo Corte conti, Sez. giur. reg. Campania, 28 gennaio 1998, n. 6, ivi, 1998, fasc. 2, 101 (m), sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti del sindaco convenuto in giu- dizio di responsabilità contabile per avere omesso le verifiche periodiche dei valori esistenti in cassa nonché dello stato delle riscossioni dei tributi comunali, con ciò agevolando illeciti da parte del tesoriere costituenti danno erariale emersi in sede di approvazione del conto consuntivo, rientrando l’ipotesi nella fattispecie prevista dall’art. 58, c. 1, l. n. 142/1990.

somma trasferita dalla tesoreria provinciale sul conto bancario del Cristalli.

La dott.ssa Gerardi procedeva a verificare, al- tresì, gli importi netti degli stipendi del mese di giu- gno 2014, rilevando che lo stipendio che quest’ulti- mo intendeva farsi accreditare era pari a euro 9.395.

A seguito dell’emersione del suddetto indebito esborso economico da parte della Provincia di Mate- ra, la dott.ssa Gerardi, in primo luogo, formalizzava un esposto-denunzia presso il Comando provinciale dei Carabinieri di Matera, e, in secondo luogo, veri- ficava la regolarità delle retribuzioni erogate nell’in- tero decennio 2004-2014.

Dai controlli interni espletati emergeva un pre- sunto danno erariale per indebite erogazioni di de- naro a favore del Cristalli pari a euro 282.670, come risulta dalla relazione prot. ris. segr. gen. n. 33/2014 trasmessa al capo dell’amministrazione provinciale di Matera in data 25 luglio 2014.

Anche i controlli svolti dai revisori dei conti, riassunti nel verbale di verifica n. 40/2014, confer- mavano l’esistenza di differenze tra gli stipendi ef- fettivamente percepiti dal Cristalli e quelli spettanti, negli anni tra il 2005 e il 2014, per un ammontare complessivo di euro 282.670. (Omissis)

Diritto – (Omissis) Passando all’esame del meri- to, ritiene il collegio che dagli atti di causa sia emersa in termini inequivocabili la responsabilità del con- venuto Cristalli Damiano, in conseguenza del suo comportamento doloso.

Infatti, come emerge dal “verbale di interroga- torio di persona sottoposta a indagini”, redatto dai Carabinieri e versato agli atti, il Cristalli ha reso dichiarazioni pienamente confessorie dei compor- tamenti illeciti contestati anche in questa sede, ed è stato poi condannato, con sentenza del Tribunale di Potenza n. 280/2015, resa ai sensi dell’art. 444 c.p.p.,

“per il reato previsto e punito dagli artt. 81 cpv., 640- ter, cc. 1 e 2, e 61, n. 7 e n. 9, c.p., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in qualità di dipendente dell’amministrazione della Provincia di Matera con la qualifica di istruttore am- ministrativo, abusando della sua qualità di operatore del sistema informatico per la gestione della busta paga e della gestione dei flussi telematici per l’in- vio dei mandati di pagamento all’agenzia del Monte dei Paschi di Siena di Matera – che svolge attività di tesoreria per conto dell’amministrazione della Pro- vincia di Matera – al fine di procurare a se stesso un ingiusto profitto, interveniva illecitamente senza diritto sui dati informatici relativi alle buste paga dei dipendenti e ai relativi mandati di pagamento,

(10)

attribuendosi e incassando importi stipendiali netti mensili maggiori rispetto a quelli che gli sarebbero spettati (pur riportando sui supporti cartacei, che venivano vistati e approvati dai dirigenti dell’ente, gli ammontanti stipendiali che avrebbe regolarmente dovuto percepire) procurando a se stesso un ingiusto vantaggio patrimoniale pari a euro 282.670 e cagio- nando un corrispondente danno economico in capo all’amministrazione della Provincia di Matera. Con l’aggravante di aver cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità e di aver commesso il fatto con abuso di poteri”.

Giova riportare le dichiarazioni rese dal Cristalli in sede di interrogatorio da parte dei Carabinieri, in quanto utili a ricostruire le modalità con il quale il predetto consumava la frode, che, sul punto, appaio- no sostanzialmente confermative della ricostruzione operata dal collegio dei revisori nel già richiamato verbale n. 40/2014, e di quelle svolte in sede di veri- fiche amministrative (note del prot. ris. segr. gen. n. 7 e n. 33/2014); appare quasi pleonastico precisare che la ricostruzione delle modalità con le quali l’impie- gato infedele poneva in atto la frode, sono necessarie a individuare la sussistenza o meno delle moltepli- ci responsabilità concorrenti e sussidiarie dedotte dall’attore pubblico, connesse evidentemente alla ri- levabilità in ciascuna fase procedimentale della frode posta in essere dal Cristalli, sulla base del compor- tamento esigibile da ciascuno dei soggetti coinvolti nel procedimento, onde evitare inammissibili ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto legata soltanto al ruolo ricoperto.

Nel rispondere alle domande dei militari, il Cri- stalli esponeva: “Ogni mese elaboro le buste paga dei dipendenti e degli amministratori della provincia, inoltre preparo gli elenchi riepilogativi delle somme da erogare per i successivi accrediti. Tali riepiloghi li consegno in forma cartacea al dirigente dott.ssa Mariella Feraco per l’approvazione, mentre il file contenente tutte le retribuzioni di tutti i dipendenti dell’amministrazione provinciale per un dato mese lo consegno direttamente all’ufficio mandati su di una penna Usb di mia proprietà.

Preciso che l’invio di tale file alla tesoreria pro- vinciale lo effettua uno degli impiegati presso l’uffi- cio mandati, anche se spesso accade che provvedo io personalmente dai loro computer. Il mio intervento è quello di adulterare personalmente il solo totale nel riepilogo che porto all’esame della dott.ssa Feraco, aumentato della cifra che ho in mente di attribuirmi per quel mese e, successivamente all’approvazione del riepilogo da parte della dirigente, di modificare

il file che consegno all’ufficio mandati alterando la somma della mia retribuzione aggiungendo la mede- sima cifra di cui sopra. Tengo a precisare che il file che consegno all’ufficio mandati viene anche stam- pato da me e consegnato in busta chiusa allo stesso ufficio per il successivo inoltro alla tesoreria provin- ciale”.

Vagliando le ipotesi di responsabilità dedotte dal pubblico ministero nei confronti dei dirigenti e funzionari del servizio personale (Di Palma, Gerar- di, Feraco, Pizzolla e Tortorelli) emerge innanzitutto che nella fase di elaborazione informatica dei ce- dolini e degli elenchi riepilogativi delle somme da erogare (creati dal programma di elaborazione delle buste paga, v. p. 6 del verbale n. 40 del collegio dei revisori), soltanto i convenuti Pizzolla e Feraco, qua- li funzionari preposti alla firma degli elenchi riepi- logativi delle somme da erogare predisposti dal Cri- stalli – riportanti per ciascun dipendente, tra l’altro:

la matricola, il nome e cognome del dipendente, la banca su cui disporre l’accredito dello stipendio con relativo Iban, e l’importo netto da accreditare – pote- vano rilevare la frode che il Cristalli si accingeva a portare a compimento.

Tuttavia, da quanto innanzi riportato, emerge che detti elenchi riportavano l’importo corretto degli sti- pendi da erogare a ciascun dipendente, anche relati- vamente al Cristalli; in tale fase, infatti, il predetto alterava soltanto il totale dell’elenco riepilogativo elaborato dal sistema.

Ritiene il collegio che non integri gli estremi della colpa grave da parte dei convenuti Pizzolla e Feraco il non aver verificato un totale elaborato dal sistema informatico, teoricamente “chiuso” (cioè suscettibile di modifiche di sistema solo da parte della software house) di cui si era dotata la provincia – anche all’e- vidente scopo di implementare l’efficienza ed effi- cacia della gestione affrancandola da elaborazioni e minuti riscontri con mezzi meno moderni – che ri- guardava circa trecento dipendenti.

A maggior ragione non è configurabile l’ele- mento soggettivo dell’invocata responsabilità, nei confronti del convenuto Tortorelli, funzionario privo di posizione organizzativa, che non sottoscriveva i suddetti elenchi, e dei dirigenti del servizio personale (Di Palma e Gerardi), che svolgevano anche l’im- pegnativa funzione di segretario generale dell’ente, e nei confronti dei quali non appare comportamento esigibile la verifica della minuta attività di un im- piegato che operava nell’ambito di un servizio a cui erano preposti funzionari anche dotati di posizione organizzativa.

(11)

Né i soggetti operanti nel servizio personale potevano rilevare la frode in occasione degli al- tri procedimenti indicati dall’attore (versamento dei contributi all’Inps, elaborazione del Cud e altri adempimenti fiscali demandati alla provincia quale sostituto d’imposta, previsione del fabbisogno al fine elaborare gli stanziamenti nel bilancio preventivo).

Infatti, il Cristalli aveva cura di ripristinare la do- cumentazione corretta presso l’ufficio personale.

Riscontro di quanto innanzi si rinviene non solo nello stesso atto di citazione, ove si dà atto che l’im- piegato infedele elaborava anche un cedolino “prima in versione anomala e poi quella corretta”, ma so- prattutto nel più volte citato verbale n. 40, nel quale il collegio dei revisori riferisce di aver messo a con- fronto la documentazione acquisita presso l’ufficio stipendi, che riportava dati esatti, con quella acquisi- ta presso l’ufficio mandati, che riportava dati alterati.

Le verifiche effettuate hanno evidenziato che dalla banca dati Inps “non si rilevavano, allo stato attuale, contribuzioni maggiorate del predetto dipen- dente” (nota prot. ris. segr. gen. n. 26/2014), e che le dichiarazioni dei redditi mostravano un imponibile coerente con lo stipendio spettante al Cristalli, men- tre le frodi che pure perpetrava in sede di dichiara- zione dei redditi era relative alla rappresentazione di deduzioni fiscali inesistenti al fine di abbattere l’im- ponibile (v. verbale del collegio dei revisori n. 44 del 9 settembre 2014).

Anche le deduzioni attoree circa una inadeguata previsione delle somme necessarie per le retribuzio- ni del personale al fine di elaborare gli stanziamenti nel bilancio preventivo non appaiono condivisibili:

in disparte la scarsa incidenza percentuale delle mag- giorazioni stipendiali operate dal Cristalli sul totale delle retribuzioni di circa 300 dipendenti, occorre considerare che – come si rileva dai prospetti allegati al più volte richiamato verbale n. 40 del collegio dei revisori, contenenti un analitico esame delle somme indebitamente incassate – ogni qual volta il Cristal- li non trovava completa capienza per le somme da percepire indebitamente sul pertinente capitolo, im- putava le spese ad altro capitolo o manometteva gli importi delle trattenute.

Quindi va escluso che una colpevole sovrastima degli stanziamenti di bilancio sul capitolo dedicato al pagamento delle retribuzioni, da parte dei dipendenti del settore personale a ciò addetti, abbia agevolato il comportamento fraudolento del Cristalli.

Per i motivi innanzi esposti, i convenuti Di Pal- ma, Gerardi, Feraco, Pizzolla e Tortorelli vanno mandati assolti, non rinvenendosi nei loro confronti

la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa grave della invocata responsabilità.

Esaurita la fase di “liquidazione” delle spese di cui trattasi, affidata alla competenza del servizio personale e alle sue specifiche articolazioni interne (art. 184 d.lgs. n. 267/2000), seguiva la fase di “or- dinazione” della spesa, affidata alla competenza del servizio finanziario, con generazione del mandato (collettivo), con allegato l’elenco riepilogativo delle somme da erogare a ciascun dipendente, con relativo Iban per l’accreditamento.

Il collegio dei revisori, nel più volte richiamato verbale n. 40/2014, ha precisato: “Si evidenzia, da quanto riferito dai dipendenti dell’ufficio mandati, che il file di cui al punto 2) (il riferimento è al succita- to elenco riepilogativo) veniva creato dal dipenden- te Cristalli Damiano mediante la procedura paghe e sempre da lui portato materialmente, a mezzo di una penna Usb, nell’ufficio mandati dove, per tramite la procedura “Paschiintesoreria” e con l’utilizzo delle password dei dipendenti dello stesso ufficio mandati, veniva inoltrato on line alla banca per l’esecuzione dei mandati e successivo accredito degli stipendi”.

Il sig. Festa Emanuele, dipendente della provin- cia, nel verbale di sommarie informazioni testimo- niali rese ai Carabinieri, versato agli atti di causa, riferisce: “Mi consta che il Cristalli, oltre a inviare i flussi stipendiali in via telematica alla tesoreria, in- viava in busta chiusa dei tabulati riepilogativi con- tenenti le somme di tutti i dipendenti e i codici Iban per il successivo accredito degli stipendi presso i vari istituti di credito. Quest’ultimo documento ‘tabulati’

non veniva visionato dal dirigente della ragioneria né tanto meno da alcun altro funzionario della pro- vincia”.

L’invio dei tabulati anche in forma cartacea al tesoriere trova conferma anche nei verbali di som- marie informazioni testimoniali rese ai Carabinieri da alcuni dipendenti della banca che espletava il ser- vizio di tesoreria, che, come si avrà modo di eviden- ziare nel prosieguo della trattazione, riferiscono che la banca riceveva anche “una busta, solitamente di colore giallo, chiusa con all’interno un tabulato ri- portante l’elenco di tutti i dipendenti della provincia con i codici Iban e somme dovute ai medesimi”.

Come innanzi già riportato, il Cristalli ha riferito ai carabinieri che “l’invio di tale file alla tesoreria provinciale lo effettua uno degli impiegati presso l’ufficio mandati, anche se spesso accade che prov- vedo io personalmente dai loro computer”.

La signora Paolicelli Carmela, dipendente della provincia in servizio presso l’ufficio mandati, nel

(12)

verbale di sommarie informazioni testimoniali rese ai Carabinieri, versato agli atti di causa, riferisce:

“Confermo che solitamente il Cristalli procedeva a inviare dei dati, di cui non conosco il contenuto, mensilmente all’ufficio di tesoreria, attraverso le postazioni esistenti nel nostro ufficio di ragioneria.

Confermo inoltre che lo stesso Cristalli, ripeto di- pendente dell’ufficio stipendi, mensilmente faceva recapitare una busta chiusa sigillata, che veniva fatta recapitare insieme ai mandati”.

Emerge quindi palesemente la marcata colpevo- lezza di tutti i dipendenti e dirigenti dell’area finan- ziaria evocati nell’odierno giudizio, che hanno inopi- natamente abdicato ai compiti propri del loro ufficio nella fase di ordinazione della spesa, consentendo che gli stessi fossero invece sostanzialmente svolti dal Cristalli, che ha così potuto portare a termine il suo disegno truffaldino, facendo sì che al tesoriere pervenissero non i documenti “ufficiali” – alterati solo nei totali, come precedentemente precisato, e quindi non utili a portare a pagamento lo stipendio maggiorato del Cristalli – bensì quelli – sia sotto for- ma di “flussi telematici”, sia nella versione cartacea contenuta nella c.d. “busta gialla” – nei quali l’infe- dele dipendente aveva alterato anche l’importo del suo stipendio.

Giova sottolineare che l’art. 185 d.lgs. n.

267/2000, nel disciplinare l’“ordinazione e paga- mento” delle spese, dispone, al c. 3, che “il mandato di pagamento è controllato […] dal servizio finanzia- rio, che provvede altresì alle operazioni di contabi- lizzazione e di trasmissione al tesoriere”.

Invece, per quanto più specificamente riguarda i dipendenti dell’ufficio mandati odierni convenuti (D’Arecca, Paolicelli, Grillo e Menzano), risulta pa- lesemente accertata l’inopinata abdicazione ai loro compiti, che lasciavano invece svolgere all’infedele dipendente dell’ufficio personale – che invece do- veva limitarsi a collaborare con i propri superiori del settore personale nella fase di liquidazione della spesa – sia permettendogli di utilizzare le loro posta- zioni informatiche dell’ufficio di ragioneria (di cui detenevano le password), sia permettendo l’invio dei dati anche in forma cartacea (c.d. busta gialla), dati dei quali pacificamente hanno ammesso di non aver avuto alcuna conoscenza.

Parimenti emerge la grave colpevolezza dei diri- genti dell’area finanziaria convenuti in giudizio (de Capua e Menzella), che hanno completamente disat- teso i compiti di direzione e vigilanza sul settore al quale erano preposti, permettendo “l’intrusione” del Cristalli, appartenente all’ufficio personale, nello

svolgimento di compiti propri ed esclusivi dell’area finanziaria. Circa la colpevolezza dei predetti diri- genti, assume altresì rilievo quanto previsto dall’art.

64 del regolamento di contabilità adottato dalla Pro- vincia di Matera, che affida al servizio finanziario la vigilanza sul servizio di tesoreria, anche attraver- so periodiche verifiche sull’attività svolta dal teso- riere; appare indubbio che se essi avessero svolto con la richiesta diligenza i compiti di vigilanza loro affidati, avrebbero potuto verificare che il tesoriere procedeva al pagamento degli stipendi sulla base della documentazione trasmessa dal Cristalli, che non riportava alcuna firma dei responsabili dell’uf- ficio ordinatore della spesa, né codici di riferimen- to, come si avrà modo di sottolineare nel prosieguo della trattazione.

Connotato da marcata colpevolezza, ad avviso del collegio, appare anche il comportamento delle tre banche che hanno svolto il servizio di tesoreria nel periodo in cui si sono svolti i fatti di causa.

Assume rilievo quanto accertato dal collegio dei revisori che, nel più volte richiamato verbale n.

40/2014, a p. 5, precisa: “Dalla verifica sulla docu- mentazione cartacea messa a disposizione dal teso- riere, il collegio rileva che nell’elenco nominativo degli stipendi allegato al mandato – a firma in cal- ce del dott. Enrico de Capua, responsabile dell’area finanziaria dell’ente – in corrispondenza del dipen- dente Cristalli Damiano risulta riportata una retribu- zione netta di euro 825, corrispondente al cedolino del mese di maggio 2014 in possesso del collegio, precedentemente ricevuto dall’ufficio stipendi”.

Gli indebiti pagamenti, per circa un decennio, al Cristalli di stipendi maggiorati sono stati pertanto disposti dagli istituti bancari che hanno svolto il ser- vizio di tesoreria, non sulla base della documentazio- ne “ufficiale” proveniente dalla provincia, ma sulla base della documentazione formata e trasmessa dal Cristalli (c.d. busta gialla e poi anche il c.d. flusso informatico) priva di sottoscrizione e degli elementi idonei a documentare la provenienza dell’ordine di pagamento dalla provincia.

I tesorieri hanno pertanto disatteso le prescrizioni recate dall’art. 185 d.lgs. n. 267/2000 – che individua gli elementi essenziali del mandato di pagamento, tra i quali naturalmente la regolare sottoscrizione – ri- badite dalle distinte convenzioni intervenute tra la provincia e gli istituti bancari (convenzione dell’11 maggio 2004 con la Banca popolare dell’Emilia-Ro- magna, convenzione del 21 luglio 2006 con Unicre- dit Banca e convenzione del 30 gennaio 2009 con il Monte dei Paschi di Siena).

(13)

In particolare le predette convenzioni, dopo aver individuato negli artt. 8 ss. gli elementi essenziali del mandato di pagamento, agli artt. 11 ss. precisano che

“il tesoriere è responsabile a) della esatta osservanza delle modalità di pagamento prescritte dalla provincia sui mandati stessi; b) della autenticità delle firme di cui al precedente art. 8 al quale intento saranno inviati al tesoriere gli autografi dei funzionari ivi indicati”.

Né a diverse conclusioni portano le deduzioni del difensore del Monte dei Paschi di Siena, nella parte in cui sostiene la legittimità e l’affidabilità dei dati acquisiti tramite la procedura informatica “Paschiin- tesoreria”.

In disparte la considerazione che la succitata con- venzione del 30 gennaio 2009 non contiene alcun esplicito riferimento alla procedura “Paschiintesore- ria”, ma si limita a prevedere che “le parti si impe- gnano ad attivare eventuali forme di introduzione di innovativi strumenti informatici” (art. 8), va partico- larmente evidenziato che, da quanto risulta dal sito ufficiale della predetta banca (sezione dedicata alla gestione informatizzata dei servizi di tesoreria e di cassa, ordinativo informatico <www.mps.it/prodotti/

documents>: “La banca mette a disposizione dell’en- te specifiche funzionalità di firma digitale all’interno del servizio di internet banking Paschiintesoreria”), risulta evidente che la gestione informatizzata del servizio di tesoreria prevedesse misure idonee ad assicurare e verificare la provenienza dell’ordine dall’ente pubblico.

Invece, due dipendenti della predetta banca, ad- detti al servizio di tesoreria (il sig. Catenacci Michele e la signora Ruggieri Maria), nei verbali di sommarie informazioni testimoniali rese ai Carabinieri, versati agli atti di causa, hanno inequivocabilmente riferito:

“Come voi avete potuto constatare, effettivamente il tabulato che veniva anche inviato in via telematica non riporta alcuna firma né codice di riferimento”.

Pertanto appare indubbia al collegio la sussisten- za di una marcata colpevolezza delle tre banche che hanno svolto il servizio di tesoreria, che hanno di- sposto i pagamenti per cui è causa in violazione delle norme e dei più elementari principi posti a presidio della legittimità dei pagamenti.

Tanto precisato in termini di accertata responsa- bilità, occorre ora passare alla determinazione del danno e alla ripartizione di esso tra gli odierni con- venuti.

Il danno per cui è causa è stato analiticamente individuato dal collegio dei revisori, nel più volte ri- chiamato verbale n. 40/2014, e riassunto nei seguenti termini (omissis).

Innanzitutto va condannato, in via principale, al pagamento dell’intera somma pari a euro 282.670, aumentata degli accessori di legge, il convenuto Cri- stalli Damiano, in conseguenza dell’accertato com- portamento doloso.

Circa le responsabilità sussidiarie dei soggetti precedentemente indicati, in conseguenza del loro comportamento gravemente colposo, giova ricorda- re brevemente che la prevalente giurisprudenza della Corte dei conti (ex plurimis, cfr. Sez. riun., n. 4/1999, a cui questa sezione ha già avuto occasione di aderire con le sent. n. 59/2008, n. 186/2012 e n. 45/2015), ha evidenziato che, in base agli elementi peculiari carat- terizzanti la responsabilità amministrativo-contabile, nel caso del concorso di più soggetti nella produzio- ne di un danno erariale, la responsabilità di chi ha agito con dolo o ha conseguito un illecito arricchi- mento ha natura principale, mentre la responsabilità di chi ha agito con colpa grave ha carattere sussi- diario; pertanto, in sede di esecuzione della sentenza di condanna, va escusso in primo luogo il debitore principale, e, poi, solo in caso di mancata realizza- zione del credito erariale, il debitore sussidiario, nei limiti della somma alla quale questi è stato condan- nato (c.d. beneficium excussionis).

Nel ripartire il danno tra i dipendenti dell’area finanziaria e le banche che hanno svolto il servizio di tesoreria, ritiene il collegio come appaia maggiore il grado di colpevolezza e il contributo causale reca- to dai tesorieri, atteso che essi, come in precedenza motivato, hanno del tutto disatteso le norme e i più elementari principi posti a presidio della legittimità dei pagamenti; pertanto il danno va ascritto per il 40 per cento ai dipendenti dell’area finanziaria, e per il restante 60 per cento alle banche. (Omissis)

Passando a determinare l’addebito per ciascuna banca effettuato in ragione del tempo di svolgimento del servizio, il collegio decide che la Banca popolare dell’Emilia-Romagna, che ha svolto il servizio di te- soreria nell’anno 2005, nel quale sono stati disposti indebiti pagamenti per un totale di euro 16.019, come risulta dal prospetto precedentemente riportato, va condannata al pagamento del 60 per cento della pre- detta somma, pari a euro 9.611,40; l’Unicredit Banca, che ha svolto il servizio di tesoreria negli anni 2006, 2007 e 2008, nei quali sono stati disposti indebiti pa- gamenti per un totale di euro 80.070, come risulta dal prospetto precedentemente riportato, va condannata al pagamento del 60 per cento della predetta somma, pari a euro 48.042; il Monte dei Paschi di Siena, che ha svolto il servizio di tesoreria negli anni dal 2009 al 2014, nei quali sono stati disposti indebiti paga-

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