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La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e dei giudici di merito.* di Roberto Conti

Indice

1. Premesse. 2.L’adozione da parte di coppie same sex-Corte dir. Uomo –Grande Camera- 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria. 2.1 Una lettura corretta della sentenza della Corte europeaX e altri c. Austria. 2.2 Quali ricadute sul piano interno? 3.La Corte dei diritti umani e le unioni civili delle coppie omosessuali- Corte dir. uomo, Grande Camera, 7 novembre 2013, Vallianatos e altri c. Grecia (ric. n. 29381/09 32684/09). 4. Qualche breve considerazione sul significato della sentenza X e altri c. Austria e Vallianatos. 5.La famiglia secondo i giudici di merito nel micro sistema degli affidi eterofamiliari. Un primo paradigma -ortodosso- a favore dell’affido a coppie dello stesso sesso-G.T.Parma, 3 luglio 2013 e Trib.Min.Bologna, 31 ottobre 2013-. 5.1 L’accoglienza tiepida alle pronunzie emiliane. 5.2 La soluzione del Tribunale per i minorenni di Palermo nel caso di affido temporaneo eterofamiliare di minore ultrasedicenne a coppia same sex–

Trib.min.Palermo, 4 dicembre 2013-. Un altro paradigma ortodosso. 5.3 I punti qualificanti del provvedimento siciliano. 6. Il Tribunale di Grosseto – 9 aprile 2014- e il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero. Un paradigma eterodosso. 7.Qualche considerazione conclusiva. 7.1 Segue:b) il possibile disallineamento delle tutele all’interno dei diritti fondamentali come declinati dalle Carte. 7.2 Quali limiti per il giudiziario? 7.3 Il ruolo dell’interpretazione giuridica... e della motivazione. 7.4 A proposito del valore della comparazione.

1.Premesse.

Il titolo che Nicoletta Parisi ha ideato ha riservato all’intervento di chi scrive coglie la centralità del ruolo del giudice sulle questioni che involgono i diritti fondamentali delle persone, al cui interno quelle sottese alle relazioni familiari occupano, all’evidenza, un posto di sicuro rilievo1.

E’ sempre il titolo a sottolineare il particolare legame corrente fra giudici e Corte europea dei diritti umani e, per usare un’espressione a me cara -pur se atecnica- quel “filo rosso d’acciaio” che crea un ponte sicuro fra “merito nazionale” e Corte di Strasburgo.

Ciò detto,il contributo richiestomi dovrebbe indurre a incentrare l’indagine sulla ricognizione dei precedenti- di Strasburgo e di merito- senza addentrarsi sul ruolo di tali giurisdizioni nel processo di attuazione dei diritti fondamentali che si agitano all’interno del pianeta famiglia.

Inteso in questo modo, il compito sarebbe stato fin troppo oneroso, reclamando un’indagine ad ampio raggio sulla giurisprudenza europea nella galassia dei rapporti familiari non necessariamente fondati sul matrimonio, al cui interno si collocano relazioni fra coppie - non necessariamente eterosessuali- e relazioni fra minori e coppie e fra minori e minori e fra minori e singoli, per giungere poi alle questioni che attengono all’inizio e alla fine della vita quando queste si innestano all’interno di una relazione familiare in modo da incidere sulle fondamenta stesse dell’edificio familiare e matrimoniale, soprattutto nell’accezione tradizionale e millenaria che trova pieno riscontro nell’art.29 Cost.

Un’analisi di questo tipo potrebbe condurre, inevitabilmente, l’intervento verso una prospettiva asettica, appunto informativa che tuttavia poco si addice al ruolo non accademico, di giudice, per l’appunto, svolto da chi scrive. Ruolo, quest’ultimo, che si porta dietro un’esperienza diversa da                                                                                                                

* Testo rielaborato dell’intervento svolto all’incontro di studi su Vecchie e nuove ‘famiglie’ nel dialogo tra Corti europee e giudici nazionali, Catania, 29 maggio 2014, destinato alla pubblicazione a cura del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania.

1 Sia consentito il rinvio a Conti, Alla ricerca del ruolo dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Pol. dir., 1-2/2013, 127 ss.;id., I giudici e il biodiritto. Un esame concreto dei casi difficili e del ruolo del giudice di merito, della Cassazione e delle Corti europee, Roma, 2014, specificamente pagg.63 ss.

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quella degli altri autorevoli relatori e sul quale non è mai vano riflettere ben oltre il mero dato esperienziale connesso al fatto che il giudice offre un prodotto, poi affidato all’indagine della scienza giuridica, solo se e per il fatto di essere investito da una domanda di giustizia. Ciò che differenzia il mestiere del giudice da quello dello studioso- mi riferisco qui al giurista puro, non esercente attività libero professionale- che specula sulle questioni giuridiche senza avere avuto la fortuna -o la sventura- di doverle decidere o patrocinare.

L’opera di selezione che si tenterà di svolgere include, per l’un verso, il tema del peso attribuito dalla Corte europea dei diritti umani al concetto di relazione familiare con riferimento alle coppie dello stesso sesso e, per altro verso, l’indagine su alcuni provvedimenti di giudici di merito resi, di recente, in tema di affido temporaneo a coppie omosessuali.

Questa scelta, quanto alla giurisprudenza europea, si è così prevalentemente ridotta all’esame di sue sole pronunce già' in passato fatto oggetto di personale riflessione cherappresentano, almeno così pare a chi scrive,una sorta di sentenze “modello” circa il ruolo svolto dalla Corte europea nella protezione dei diritti fondamentali che ruotano attorno al sistema famiglia. Sentenze nelle quali, al di là degli specifici casi esaminati, si coglietutta la dinamicità – e dunque la problematicità- della giustizia proveniente da Strasburgo, il carattere arioso dell’incedere dei giudici europei che, in punta di fioretto, proprio in relazione alla delicatezza delle questioni affrontate, mostrano di non volere in alcun modo rinunziare a forme di costante dialogo con le legislazioni dei paesi contraenti ma che, al contempo, passo dopo passo, sembrano costruire, attraverso un’ordinata serie di mattoncini2, una casa dei diritti che, lentamente ma inesorabilmente, si erge progressivamente e si fortifica con l’opera incessante di tutti i protagonisti, legislatori, parti, giudici – comuni e non- anche nazionali.

Al di sopra delle fondamenta della Convenzione europea, la Corte di Strasburgo intende coinvolgere, nella costruzione di questo edificio, le legislazioni e i giudici nazionali, non solo in ragione della prossimità di questi ultimi con le vicende concrete e con la società di riferimento destinataria delle tutele, ma anche in una prospettiva che coglie nelle diversità esistenti a livello nazionale il punto di forza – della CEDU- della Corte europea, chiamata a compiere un’opera che la vede protagonista assoluta dapprima nell’individuazione delle “soglie minime” di tutela dei diritti fondamentali- anche grazie agli sviluppi legislativi nazionali - e poi, lentamente ma progressivamente, ancora una volta attraverso la cooperazione dei singoli Paesi, coinvolta in un’attività che passa dall’armonizzazione all’uniformazione delle soglie di tutela.

Si tratta, a ben considerare, di un fenomeno non nuovo se si guarda all’esperienza dell’Unione europea che, nel salvaguardare il principio di sussidiarietà, ha inizialmente- soprattutto quando era

“Comunità Europea”- preferito le attività di armonizzazione dei diritti nazionali fondate su standard minimi di tutela alle forme di vera e propria uniformazione, alle quali si è affacciata nel più recente periodo. A ciò si è giunti – lo si può dire, ovviamente, solo in termini di generalizzazioni- dopo una fase di “rodaggio” che ha consentito ai singoli Paesi di creare le condizioni interne per sostenere una regolamentazione uniforme da parte del legislatore UE. Ciò è tanto più vero, sul versante qui esaminato, rispetto a materie tradizionalmente sensibili, quali sono quelle che ruotano soprattutto attorno a temi etici e religiosi, i quali trovavano nelle singole tradizioni nazionali discipline radicalmente distanti.

Proprio la consapevolezza della delicatezza delle questioni, mediata dalla necessità di non stemperare il ruolo della CEDU fino a farla indietreggiare, ha così prodotto l’accresciuta rilevanza                                                                                                                

2 Mi sovviene, in particolare, l'idea dei piccoli parallelepipedi di legno di una casa di produzione francese con i quali mio figlio si diverte a realizzare le più strane costruzioni. Si tratta, a differenza dei ben più noti pezzi ad incastro con i quali la mia generazione ha condiviso la sua infanzia, di pezzi assolutamente lisci di pino marittimo che si "tengono"

insieme e si sorreggono l'un l'altro per effetto del forza di gravità, dando luogo a incredibili figure e sagome che alla vista appaiono sospese, in un equilibrio impossibile all'occhio profano del non addetto ai lavori e che, invece, traggono forza da un meccanismo di pesi e contrappesi, ben più solido del sistema ad incastro che traggono alimento dalla creatività del costruttore.

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attribuita dai giudici europei alla c.d.dottrina del consenso, sulla quale altra volta abbiamo provato a soffermarci3.

Ora, la problematicità dei percorsi battuti dalla Corte europea paiono emergere in tutta la loro dinamicità nei casi X e altri c.Austria e Vallianatos c.Grecia.

Pronunzie, queste ultime, rese nell’anno 2013 ed entrambe esitate dalla Grande Camera; dunque da quell’organismo che, all’interno della Corte dei diritti umani, occupa il gradino più alto e che, a ragione, può dirsi essere il tenutario delle chiavi della CEDU. Giudice fra i giudicisovranazionali che, con le proprie pronunzie, non rappresenta solo tecnicamente l’ultima istanza alla quale il ricorrente, le parti o gli stessi giudici di una singola Camera possono rivolgersi nei casi più complessi, ma offre anche a tutti gli operatori l’espressione massima dei “principi” sui quali si edifica la stessa giurisprudenza della Corte dei diritti umani.

Ragion per cui le affermazioni espresse dalla Grande Camera finiscono con l’assumere, nei fatti, la riprova di un “diritto vivente” della Corte tendenzialmente stabilizzato o, comunque, in via di rapida stabilizzazione4.

Il passaggio alla giurisprudenza di merito nazionale, recte ai tre provvedimenti che si è scelto di selezionare, tenta di indagare sul carattere ortodosso o eterodosso degli orientamenti espressi in tema di affido temporaneo di minore a coppia della stesso sesso e di trascrizione in Italia del matrimonio di omosessuali contratto all’esterno.

La parte finale dell’indagine sarà quindi tesa a verificare quale “legame” si è instaurato fra la Corte di Strasburgo e le Corti -di merito e non- e ancora se questo legame assume o rischia di assumere tratti patologici, deformanti, rischiosi o, come talvolta pure si è detto- o fatto anche solo intendere- di dare la stura a operazioni di vera e propria decostituzionalizzazione della Costituzione, di rottura del sistema di riparto dei poteri, di violazione di giudicati costituzionali, di attacco frontale ai meccanismi democratici di rappresentatività.

Per tali ultime ragioni e anche a costo di “sforare” l’argomento assegnato, non sembra inutile ritornare a riflettere, anche in questo contesto, tanto sul ruolo del giudice che sul quello dell’interpretazione, del modo giusto con cui va svolta, dei suoi limiti; ciò risultando crucialeper garantire un certo grado di completezza all’analisi con riferimento al tema sul quale si intende qui indagare.

Inutile dire che lo svolgimento di queste riflessioni non si pone in una prospettiva di risposte chiare, precise e concordanti, quanto in un senso, molto più modesto, di puntualizzazione di ciò che agli occhi di chi scrive significa esercizio della giurisdizione quotidiana da parte del giudice -di merito e non-. Giustizia povera oserei dire, scegliendo l’accezione (nobile, in realtà) che a tale termine riconduce, per l’un verso, la condizione di infelicità, di gravità, di inanità del giudice rispetto alle vicende umane che gli vengono affidate, a ciò che tali vicende agita e al loro porsi sul piatto della giustizia, anzi sui due piatti che la bilancia data in mano a un giudice tenta di fare restare in                                                                                                                

3Sul tema v., G. Raimondi, La controversa nozione di consensus e le recenti tendenze della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in riferimento agli articoli 8 e 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Relazione tenuta all’incontro di studio organizzato dalla Formazione decentrata europea del Distretto della Corte di appello di Milano sul tema, La Corte europea dei diritti dell’uomo, il meccanismo di decisione della Cedua ed i criteri dell’interpretazione conforme alla Convenzione, Milano, 11 gennaio 2013, pagg.10 ss.; Lecis, Consenso europeo, chi è costui? L’individuazione del consensus standard da parte della Corte Edu tra interpretazione evolutiva e margine d’apprezzamento, in www.diritticomparati.it; P. Gori, La rilevanza del diritto comparato nelle decisioni della CEDU, - le relazioni sono entrambe reperibili all’indirizzo http://www.corteappello.milano.it/Formazionedemagref.aspx; nonché, ora, volendo Conti, I giudici e il biodiritto. Un esame concreto dei casi difficili e del ruolo del giudice di merito, della Cassazione e delle Corti europee, Roma, 2014, 214 ss.; id, con specifico riguardo alla materia matrimoniale, Convergenze (inconsapevoli… o naturali) e contaminazioni tra giudici nazionali e Corte EDU: a proposito del matrimonio di coppie omosessuali, in Corr. giur., 2011,4, 579 ss.; Famiglie, genitori e figli, attraverso il “dialogo” tra Corti europee e Corte costituzionale: quali insegnamenti per la teoria della Costituzione e delle relazioni interordinamentali?, in Consultaonline, spec.pag.9 dattiloscritto.

4 V.,Guazzarotti, Uso e valore del precedente CEDU nella giurisprudenza costituzionale e comune posteriore alla svolta del 2007, in http://www.europeanrights.eu/public/commenti/RELAZIONE-Guazzarotti1.pdf

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costante equilibrio. Ma che, anche, deve essere e apparire giustizia povera, serva 5intesa come impegno al servizio di tutti, anche e soprattutto di quelli che la vedono ingiustamente denegata e che subiscono silenziosamente le discriminazioni di ogni genere. Giustizia che è, dunque, salvaguardia della dignità dell’uomo e della condizione nella quale egli si trova.

Occorre, d’altra parte, fin dall’inizio chiarire che tale analisi non intende sfruttare la naturale precarietà delle “cose umane” per indurre chi ascolta ad atteggiamenti buonisti o comunque a lasciarsi magari sedurre da quelle vicende umane per spuntare giudizi benevoli o per edulcorare il cuore dei problemi che pure esistono quanto ai limiti dell’agire del giudiziario, ma semplicemente offrire un affresco quanto più veritiero di ciò che è il mestiere del giudice o, meglio, del lavoro di uno dei tanti, tantissimi, giudici che svolge questa professione ponendosi al servizio né di sé, né delle sue idee, né delle sue passioni, ma unicamente del rigoroso e neutrale rispetto delle regole, dei principi.

Questo confronto con i principi, quando poi la/le fonte/i è/sono multiforme/i rimane, probabilmente, l’attività più complessa che si pone al giudice (soprattutto di merito) e che lo espone a giudizi di valore diametralmente opposti, tanto da farne rispettivamente il paladino dei diritti o il padrone dei diritti o, tutto al contrario, l’archetipo di colui che si pone pericolosamente oltre le stesse regole democratiche, fino al punto da fare evocare, a volte, scenari apocalittici, al cui internoil giudice veste i panni di pericoloso rivoluzionario che occorre mettere in riga, prima che sia troppo tardi, prima che la democrazia vada a picco.

Chi scrive, dunque, sa bene i rischi che tali riflessioni presentano e, tuttavia, intende consapevolmente affrontarli poichè metterli da canto vorrebbe dire, in definitiva, fare un cattivo servizio a quella giustizia della quale una collettività ordinata non può fare, comunque, a meno.

2.L’adozione da parte di coppie same sex-Corte dir. Uomo –Grande Camera- 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria.

Nella vicenda che ha originato la decisione della Grande Camera –Corte dir. uomo, 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria (ric. n.19010/07)- una coppia di donne omosessuali austriache aveva stipulato una convenzione per l’adozione del figlio di una di questa da parte dell'altra partner.

Tale convenzione, più specificamente, era stata conclusa fra l’adottante ed il minore, rappresentato dalla di lui madre.

Ritenendo che le disposizioni codicistiche interne impedivano tale forma di adozione, le ricorrenti si rivolgevano alla Corte costituzionale austriaca per ottenere la declaratoria di incostituzionalità dell’art.182 par.2 del codice civile, nella parte in cui non contempla l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso.

Il giudice costituzionale dichiarava irricevibile il ricorso, precisando che solo a seguito del ricorso delle parti innanzi al giudice per verificare la portata delle norme civilistiche sarebbe stato possibile ipotizzare l’intervento successivo di quel Consesso per verificare la correttezza costituzionale delle norme applicabili(p.13 sent.).

Tornati innanzi alle Corti di merito, le parti presentavano la convenzione di futura adozione all’autorità giudiziaria austriaca per ottenere l’omologazione e il padre del minore, titolare della potestà, vi si opponeva.

Il tribunale rifiutava l’omologazione, rilevando che l’ordinamento nazionale ammetteva soltanto l’adozione da soggetto single e da parte di una coppia di persone sposate. Era dunque impossibile l’interpretazione della disciplina interna in modo da consentire l’adozione, andando ad incidere sui                                                                                                                

5 Elisabetta Lamarque, nel suo recente I giudici italiani e l’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Dove va il sistema italiano accentrato di controllo di costituzionalità?(a cura di Lamarque e Cappuccio), Napoli, 2013, 244, individua il giudice come arlecchino servitore di due padroni- Costituzioni e fonti esterne-. In I giudici e il biodiritto, cit., 180, nota 18, ci è parso di dovere sottolineare come nell’espressione di giudice “servitore” debba essere marcato il significato estensivo del termine, che indica colui che con abnegazione e devozione si dedica ad un ideale.

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diritti del padre. Il giudice di primo grado, passando all'esame dell’eventuale vulnus prodotto dalla normativa interna sui diritti sanciti dagli artt.86 e 147 CEDU in tema di discriminazione per ragioni connesse all'orientamento sessuale, evidenziava il notevole margine di apprezzamento riconosciuto dalla stessa Corte dei diritti umani ai singoli Stati in materie che presentavano forti componenti etiche, non regolate in maniera uniforme nei Paesi contraenti. Concludeva quindi nel senso che l’ordinamento interno non consentiva ad una coppia dello stesso sesso di creare un rapporto giuridicamente vincolante rispetto al minore e che, per raggiungere tale obiettivo, sarebbe stato necessario un intervento normativo, non potendo il giudice interpretare la normativa interna in modo diverso dal senso palesato dal suo testo in modo non equivoco.

La decisione veniva confermata in grado di appello e, successivamente, dalla Corte di Cassazione, la quale ribadiva che:a) la disciplina interna non consentiva l’adozione di un minore da parte di una compagna della madre del minore stesso; b) che ciò non creava alcun vulnus ai principi costituzionali, nè alla stregua della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Tutti i ricorrenti (e ciò la coppia omosessuale ed il minore, quest’ultimo rappresentato dalla madre biologica) si rivolgevano alla Corte di Strasburgo prospettando l’esistenza di una violazione della Convenzione.

Orbene, i giudici europei hanno dedicato una parte non marginale della motivazione alla individuazione del quadro normativo di riferimento al cui interno sussumere la vicenda concreta rilevando, anzitutto, che nell’ordinamento austriaco le coppie omosessuali non si possono unire in matrimonio(p.33 sent.) e che una normativa recentemente introdotta (Registered Partnership Act) consente la registrazione delle convivenze, dalla quale derivano taluni effetti giuridici per i partners, rimanendo peraltro marcate le differenze rispetto alla coppia unita in matrimonio (p.38 sent.).

Viene ancora precisato come nell'ordinamento nazionale la potestà su un minore nato fuori dal matrimonio è riconosciuta solo alla madre, potendo i genitori naturali conviventi stipulare una convenzione per l’esercizio congiunto della potestà (p.45 sent.), sottoposta ad omologazione da parte del giudice, chiamato a valutare se tale accordo è proficuo all’interesse del minore. Il genitore naturale che non convive con il minore ha il diritto di frequentare il minore e di essere partecipe di                                                                                                                

6 E noto che l’art.8 CEDU ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita familiare del proprio domicilio e della propria corrispondenza(par.1), dovendo le ingerenze a tale prerogativa avere delle precise caratteristiche, delineate nel par.2. La Corte europea ha sottolineato che un’interferenza al diritto tutelato dall’art.8 CEDU può dirsi legittima se risponde a pressanti necessità sociali ed è proporzionata al legittimo scopo perseguito-Corte dir.uomo, 18 gennaio 2001, ric.n.27238/95, Chapman c. Regno Unito, § 90-. Mentre spetta alle autorità nazionali la valutazione iniziale circa la necessità dell’interferenza, compito della Corte di Strasburgo è quello di valutare in via definitiva se le ragioni poste a base dell’interferenza sono rilevanti - Corte dir.uomo, 18 gennaio 2001, ric.n.27238/95,Chapman c.Regno Unito, § 91-.

Sempre il giudice di Strasburgo ha ritenuto che la limitazione al diritto al rispetto della vita privata deve essere prevista per legge e deve risultare necessaria in una società democratica. La Corte ha sempre riconosciuto che le autorità nazionali godono di un margine di apprezzamento in ordine all’individuazione della tipologia di limitazione introdotta al diritto garantito dall’art.8 CEDU in relazione alla natura dell’obiettivo legittimo perseguito dalla limitazione e dell’interferenza prevista, di guisa che l’interesse alla sicurezza nazionale posto a base della limitazione deve essere bilanciato con l’interesse al rispetto della vita familiare- Corte dir.uomo, 26 marzo 1987, ric.n.9248/81, Leander c.Svezia, § 59-.

7 Sotto la rubrica “Divieto di discriminazione” l’art.14 CEDU stabilisce che “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione.” La disposizione, peraltro fatta oggetto di modifica da parte del Protocollo n.14 annesso alla CEDU, collega la discriminazione ai diritti ed alle libertà garantite dalla stessa Convenzione. Nelle vicende esaminate dalla Corte nella sentenza in rassegna rileva l’art.8 CEDU. La corte europea ha più volte chiarito che si ha discriminazione quando vengono trattate in modo differente, senza un obbiettivo e ragionevole giustificazione, persone che si trovano in situazioni simili (Corte dir.uomo caso Willis c. the United Kingdom, ric. n. 36042/97, § 48, ECHR 2002-IV; Corte dir.uomo 25 ottobre 2005, Okpisz v.

Germany, ric.n. 59140/00, § 33). Una differenza di trattamento è discriminatoria se non ha obiettive e ragionevoli giustificazioni e dunque se non persegue uno scopo legittimo e se manca un rapporto ragionevole di proporzionalità fra le misure applicate e lo scopo che deve essere perseguito.

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talune scelte rilevanti che riguardano il figlio(p.48 sent.)8.

La Corte ha poi dedicato ben tre paragrafi (55, 56 e 57 sent.) al diritto comparato esaminando, attraverso uno studio del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, lo stato delle legislazioni dei Paesi contraenti sul tema delle adozioni di coppie dello stesso sesso9.

Il primo passo svolto dal giudice europeo era quello di verificare se la prospettata esistenza di una violazione del divieto di discriminazione che le parti ricorrenti avevano costruito sul combinato disposto degli artt.8 e 14 CEDU fosse praticabile e se la relazione sottesa alla coppia omosessuale rientrasse nell’oggetto della tutela apprestata dall’art.8 CEDU.

La Grande Camera offre a tale quesito risposta positiva, dando continuità all’indirizzo inaugurato nel 2010 dalla sentenza Schalk e Kopft c.Austria. E ciò fa in termini inequivocabili10.

Dopo avere ribadito che la relazione fra persone dello stesso sesso fruisce della tutela apprestata dall’art.8 CEDU alla vita familiare11, la Corte passa a inquadrare la vicenda concreta, caratterizzata da una stabile coppia dello stesso sesso, al cui interno vive un minore figlio di uno dei partner, alla cui cura provvedono entrambi i conviventi.(p.96 sent.)

E' il punto 100 della motivazione a mettere in chiaro le tre diverse ipotesi che possono venire in gioco quando si discute di adozione di persone dello stesso sesso-adozione da parte di un single;

adozione del figlio da parte del partner dell'altro; adozione di un figlio da parte di una coppia omosessuale-.

                                                                                                               

La Corte non ha poi mancato di ricordare l’art.3 par.1 della Convenzione dei diritti del fanciullo approvata nel 1989 a New York, ove campeggia il concetto di miglior interesse del minore come canone da tenere in primaria considerazione e la Convenzione europea sull’adozione dei minori, aperta alla procedura di ratifica il 27 novembre 2008. Quest’ultima, entrata in vigore nel settembre 2011, sostituisce la Convenzione europea in materia di adozione di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata dall'Italia con la legge 22 maggio 1974, n. 357. La anzidetta Convenzione precisa che le autorità statali devono verificare se l’adozione è disposta nell’interesse superiore del minore(art.4), prevedendo che la stessa è ammessa fra due persone di sesso differente, all’interno della coppia unita in matrimonio e da un single(art.7). La stessa Convenzione precisa che gli Stati contraenti sono liberi di estendere la disciplina della Convenzione alle coppie dello stesso sesso che sono unite in matrimonio o stabilmente legate da un accordo. Ed è lo stesso rapporto esplicativo alla Convenzione a dare atto delle diversità esistenti nei singoli Stati circa le unioni di persone dello stesso sesso e le adozioni in tali ambiti. La Corte menziona, ancora, della Raccomandazione del Comitato dei Ministri (2010)5, nella quale si fa esplicito riferimento al fatto che i Paesi nei quali sono riconosciute le convivenze fra persone dello stesso sesso, queste non possono essere discriminate rispetto ai diritti riconosciuti alle coppie eterosessuali, pur dovendosi tenere in considerazione l’interesse superiore del minore(p.54 sent.).

9 Non è superfluo fin d’ora evidenziare che il piano comparatistico si è limitato alle legislazioni dei Paesi contraenti, tralasciando un’apertura verso esperienze extraeuropee che aveva, per contro, trovato spazio nel caso Gas e Dubois del quale si dirà -in particolare par.56 sent. - in una prospettiva volta a confermare il formarsi di un “consenso” verso il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuale all’adozione.

10 Cfr. §95 sent., in esame: “…La Corte rammenta che la relazione esistente tra una coppia omosessuale che convive di fatto in maniera stabile rientra nella nozione di «vita famigliare» così come quella di una coppia eterosessuale che si trova nella stessa situazione (Schalk e Kopf, sopra citata, § 94). Inoltre, nella decisione sulla ricevibilità che ha reso nella causa Gas e Dubois c. Francia (n. 25951/07, 31 agosto 2010), la Corte ha dichiarato che la relazione tra due donne che vivono insieme in regime di patto civile di solidarietà (PACS) e il figlio che la seconda di loro aveva concepito mediante la procreazione medicalmente assistita, e che la stessa allevava insieme alla sua compagna, si traduceva in una

«vita famigliare» ai fini dell’articolo 8 della Convenzione.

96. Nella fattispecie, la prima e la terza ricorrente formano una coppia omosessuale stabile che conduce una vita comune da molti anni. Il secondo ricorrente, di cui entrambe si occupano, vive insieme a loro. Pertanto, la Corte ritiene che la relazione che unisce i tre ricorrenti rientri nella nozione di «vita famigliare» ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.”

11 La Corte europea, a partire dal caso Marckx c.Belgio (ric.n.683/74) del 13 giugno 1979 ha esteso la nozione di vita familiare di cui all’art.8 CEDU alle famiglie non legittime(v. anche Corte dir.uomo, Keegan c.Irlanda, 26 maggio 1994, in cui si è ribadito che la tutela convenzionale sopra ricordata non è limitata alle relazioni fondate sul matrimonio). V., di recente, con specifico riferimento alle relazioni omosessuali, Corte dir. uomo, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c.

Austria (ric. n. 30141/04), con nota di Castellaneta, Il divieto di matrimonio tra coppie dello stesso sesso non viola la Convenzione, in Famiglia e minori, n. 8/2010, 86, ove si era ritenuto che la relazione tra i ricorrenti, una coppia omosessuale che coabitava in una stabile unione di fatto, rientrava nella nozione di vita familiare, allo stesso modo della relazione tra una coppia eterosessuale che si trova in un'analoga situazione.

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La Corte, dopo avere ricordato i precedenti della Corte europea sul tema delle adozioni di persone omosessuali i- caso Frettè c.Francia12 –ric. n. 36515/97 26 maggio 2002- e E.B c.Francia 13 - ric.

n.435466/02, 22 gennaio 2008 - e Gas e Dubois c. Francia14 –ric. n. 25951/07, 15 marzo 2012-15. La Corte si chiede se la situazione nella quale si trovavano le ricorrenti fosse assimilabile a quella di una coppia unita in matrimonio, nella quale uno dei coniugi intende adottare il figlio del genitore biologico.

La risposta negativa fornita sul punto dalla Corte si fonda sulle ragioni espresse nella sentenza Gas e Dubois, escludendo che la CEDU imponga agli Stati di riconoscere il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Le affermazioni sul punto espresse dalla Grande Camera sono abbastanza perentorie e non sembrano prestarsi a libere interpretazioni(§106): “…Conviene anzitutto tenere presente che l’articolo 12 della Convenzione non impone agli Stati contraenti l’obbligo di aprire il matrimonio alle coppie omosessuali (Schalk e Kopf, sopra citata, §§ 54-64), che il diritto al matrimonio omosessuale non può essere dedotto nemmeno dall’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8 (ibidem, § 101) e che gli Stati, quando decidono di offrire alle coppie omosessuali un'altra modalità di riconoscimento giuridico, godono di un certo margine di apprezzamento per decidere sulla natura esatta dello status conferito (ibidem, § 108). Peraltro, la Corte ha dichiarato più volte che il matrimonio conferisce uno status particolare a coloro che vi si impegnano, che l’esercizio del diritto di contrarre matrimonio è tutelato dall’articolo 12 della Convenzione e che tale diritto comporta delle conseguenze a livello sociale, personale e giuridico (si vedano, tra altre, Gas e Dubois, sopra citata, § 68, e Burden, sopra citata, § 63).”

Il margine di apprezzamento del quale godono gli Stati nel regolare l’unione di tali coppie in modo diverso dal matrimonio induce così la Corte ad escludere l’esistenza di una discriminazione rispetto alle coppie sposate in Austria. Se in tale Paese l'adozione è di regola prevista per le coppie unite in matrimonio mentre l'adozione da parte di chi non è genitore del minore figlio dell'altro sposo costituisce un'eccezione, non può ravvisarsi l'esistenza di una violazione della Convenzione, non potendosi la loro situazione comparare con quella di una coppia unita in matrimonio.

                                                                                                               

12 V. E.Varano, La Corte europea dei diritti dell'uomo e l'inesistenza del diritto di adottare, in Familia, 2003, 537.

13 in Fam. dir., 2008, 221, con nota di E. Falletti, La Corte europea dei diritti dell’uomo e l’adozione da parte del single omosessuale.

14 Crivelli, Gas e Dubois c. Francia: la Corte di Strasburgo frena sull'adozione da parte di coppie omosessuali, in Quaderni costituzionali, 2012, f. 3, 672.

15 Nel primo caso -Frette' c. Francia- era stata rifiutata l'adozione da parte del single a causa del suo orientamento sessuale, mentre lo stesso ordinamento riconosceva l'adozione da parte dei single eterosessuali. In quel caso, la Corte europea non ritenne esistente alcuna violazione dei principi convenzionali -rispetto vista privata e familiare in relazione all'art.14 CEDU - evocando il notevole margine di apprezzamento del quale godevano gli Stati su un argomento eticamente rilevante, dividendosi la comunità scientifica sui riflessi di un'adozione da parte di persona omosessuale sull'adottato. Nel caso E.b. c. Francia, la Grande Camera della Corte europea aveva modificato il proprio convincimento in un caso di soggetto che aveva una stabile relazione omosessuale e che intendeva adottare un minore.

In quel caso la Corte valorizzò il fatto che il rigetto della domanda da parte delle autorità interne si era fondato, in realtà, sul fatto che il richiedente fosse omosessuale. Era stata, dunque, la considerazione che alla base del provvedimento di rigetto della domanda vi fossero state ragioni fondate sull’orientamento sessuale dell’adottante ad indurre la Corte a ritenere fondata la violazione degli artt.8 e 14 CEDU. Se, infatti, la legislazione francese ammetteva l’adozione da parte del single, il divieto opposto all’adozione di persona omosessuale all’adozione fondata sul suo orientamento sessuale contrastava con le disposizioni anzidette(p.103 sent.). Nel caso Gas e Dubois, all'interno di una coppia omosessuale unita da un PACS francese, una delle partner aveva chiesto l'adozione del figlio -nato con le tecniche di fecondazione artificiale- della partner. Le autorità interne avevano rifiutato l'adozione ritenendola contraria all'interesse superiore del minore e la Corte europea aveva escluso la violazione dei parametri convenzionali sopra evocati, rilevando che la legislazione francese non prevedeva che i conviventi avessero diritti identici a quelli delle persone coniugate e che la stessa consentiva l'adozione alla coppia sposata ma non alla coppia unita in base ai patti.

Ragion per cui la situazione dei conviventi uniti da un patto civile non era tale da consentire alla coppia di aspirare ad un'adozione senza che ciò creasse alcuna discriminazione.

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La Corte è però passata ad esaminare gli eventuali profili discriminatori fra le due ricorrenti e le coppie non unite in matrimonio, al cui interno il partner può, in Austria, adottare il figlio dell'altra, a differenza del partner dello stesso sesso che intende adottare il figlio dell’altro partner.

Quel giudice ha considerato, anzitutto, che le situazioni fra coppie non unite in matrimonio di sesso diverso e dello stesso sesso potevano essere oggetto di comparazione ai fini dell’art.14 CEDU, poi rilevando che le ricorrenti potevano fruire del sistema di riconoscimento delle coppie di fatto introdotto in Austria (ancorchè non ne avessero concretamente fruito), nel quale una specifica sezione era stata introdotta per vietare, solo per le coppie omosessuali, l’adozione del figlio dell’altro partner. E ciò anche nell’ipotesi in cui il padre del minore fosse deceduto o, addirittura, avesse prestato il proprio consenso all’adozione.(p.116 sent.)

Ora, la Corte evidenzia la circostanza che la normativa interna impediva la sovrapposizione fra la relazione adottante minore e quella del padre con il minore, né consentiva al giudice di considerare la situazione concreta e di operare i necessari approfondimenti (p.119 sent.)16.

La Corte sembra mossa dall’intento di elidere in radice gli effetti discriminatori che possono derivare da una differenza di tutela fra coppie eterosessuali ed omosessuali17.

In definitiva, la Corte ha constatato che la ragione primaria che ha indotto i giudici a non autorizzare l’adozione non era stata rappresentata dalla valutazione concreta della situazione che coinvolgeva la coppia, il minore ed il padre naturale, ma soltanto il divieto giuridico di ottenere l’adozione previsto nell’ordinamento nazionale. Il che aveva impedito di verificare e ponderare l’esistenza dei presupposti per eventualmente ritenere irrilevante il consenso del padre naturale e, soprattutto, di ponderare quali effetti avrebbe prodotto l’adozione rispetto al superiore interesse del minore. E’ stato quindi il divieto assoluto in questione a sottrarre i fatti della causa all’esame dei giudici nazionali e a quello della Corte europea.

E’ stata così acclarata una discriminazione a danno delle parti ricorrenti, in quanto il divieto di adozione veniva indissolubilmente collegato all’orientamento sessuale delle due donne.

Ciò che ha consentito alla Corte di operare un netto distinguo tra la vicenda esaminata e il caso Gas e Dubois già ricordato, nel quale non si poneva alcun problema di discriminazione fra coppie omosessuali ed eterosessuali, posto che nella legislazione francese l’adozione era consentita esclusivamente alle coppie coniugate.

La Corte ritiene tuttavia di precisare che non è in discussione l’esistenza o meno dei presupposti concreti per disporre l’adozione, sui quali l’unico ad essere competente era il giudice nazionale (p.132 sent.)18. Ed è questa la parte della sentenza nella quale i giudici tentano di definire con precisione i “confini” della decisione.

                                                                                                               

16 La Corte europea da' atto che il giudice nazionale aveva stigmatizzato la situazione della madre del minore che rappresentava il minore stesso in una situazione di possibile conflitto d’interessi, ma evidenzia che tale circostanza era stata assorbita in ragione del divieto di adozione normativamente imposto alle coppie omosessuali. Inoltre, il giudice nazionale non aveva affrontato il tema dei rapporti fra padre e figlio, limitandosi a riscontrare che il primo si incontrava col secondo, senza tuttavia verificare se esistessero i presupposti, pure previsti nell’ordinamento interno, idonei a superare l’assenza di consenso all'adozione.

17 In questa direzione si comprende il richiamo al caso Karner-24 luglio 2003, ric. 40016/98- nel quale sempre l’Austria era stata ritenuta responsabile per la violazione degli artt. 8 e 14 CEDU per aver ammesso una discriminazione fra coppie eterosessuali ed omosessuali sul tema della successione nel contratto di locazione, consentito alle prime, ma non alle seconde. Sul punto v. R. Conte, Profili costituzionali del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali alla luce di una pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Corr.giur., 2012, 574.

18 §132 ss.:”… La Corte ritiene utile precisare, sebbene ciò risulti da quanto precede (si vedano, in particolare, i paragrafi 116 e 126 supra), che la presente causa non riguarda la questione di stabilire se, tenuto conto delle circostanze, la domanda di adozione presentata dai ricorrenti avrebbe dovuto o meno essere accolta. La Corte non deve dunque esaminare quale sia stato il ruolo del padre del secondo ricorrente né stabilire se vi fossero o meno motivi per non tenere conto del suo rifiuto di acconsentire all’adozione auspicata. Sarebbero stati i tribunali nazionali a dover decidere in merito a tali questioni se fossero stati messi in condizione di esaminare sul merito la domanda di adozione.

133. Ciò che è in discussione dinanzi alla Corte è precisamente il fatto che tali giudici si trovavano nell’incapacità di procedere a un tale esame dal momento che l’adozione del secondo ricorrente da parte della compagna di sua madre era in ogni caso impossibile ai sensi dell’articolo 182 § 2 del codice civile. Se una domanda di adozione identica fosse stata

 

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La Corte non ritiene, pertanto proporzionato, il divieto di adozione previsto dal legislatore austriaco in assenza di elementi che giustificavano un pregiudizio per il minore, né è persuasa dalla posizione assunta dal legislatore austriaco che, nell’ammettere il riconoscimento delle unioni civili, aveva tuttavia espressamente vietato l’adozione fra persone dello stesso sesso.

In questo senso, la necessità di tutelare la famiglia in senso tradizionale non costituisce ragione idonea a giustificare il diverso trattamento (pp.138 e 139 sent.).

Ed è qui che la Corte fa leva sulla necessità che la CEDU sia oggetto di continue e rinnovate operazioni interpretative19, alla luce dei mutamenti sociali, fin tanto da ritenere che l’esclusione delle coppie omosessuali all’adozione non poteva dirsi perseguire uno scopo legittimo, né appariva misura proporzionata per raggiungere detto scopo, proprio in ragione dei margini stretti ai quali è soggetto il “margine di apprezzamento” quando in discussione è la possibile discriminazione per ragioni di orientamento sessuale20- pp.138, 139, 140 e 148 sent.-

In definitiva, secondo la Corte tutti gli elementi emersi nel procedimento erano tali da fare ritenere che la soluzione in ordine all’opportunità o meno di disporre l’adozione doveva spettare al giudice a prescindere dal divieto previsto in via astratta dalla legge. Ed era all’interno di quel procedimento che spettava al giudice di valutare il migliore interesse del minore, che “…is a key notion in the relevant international instruments”.

Nemmeno ha fatto presa sulla Corte l’assenza di consenso dei Paesi contraenti circa il tema dell’adozione di coppie omosessuali- p.149 sent.-. Argomento, quello del consensus, che come già ricordato in altra occasione aveva mostrato di possedere un certo appeal presso i giudici di Strasburgo sempre nella stessa materia21.

Secondo la Corte, infatti, non può esservi dubbio che, in assenza di common ground tra gli Stati rispetto a questioni moralmente o eticamente sensibili, il margine di apprezzamento spettante agli                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                

presentata da una coppia eterosessuale non sposata, i tribunali austriaci sarebbero stati invece tenuti ad esaminarla sul merito.

134. Sebbene la presente causa possa essere considerata nell’ambito della problematica più ampia dei diritti genitoriali delle coppie omosessuali, la Corte non è chiamata a pronunciarsi sulla questione specifica dell’adozione coparentale da parte di coppie omosessuali, e ancora meno su quella generica dell’adozione da parte di coppie omosessuali. Si tratta invece, per la Corte, di decidere su un problema ben definito, ossia quello di stabilire se i ricorrenti della presente causa siano stati o meno vittime di una discriminazione tra le coppie eterosessuali non sposate e le coppie omosessuali in materia di adozione coparentale”.

19 §139 sent.cit.: “…dato che la Convenzione è uno strumento vivo che deve essere interpretato alla luce delle condizioni attuali, lo Stato deve scegliere le misure da adottare per tutelare la famiglia e garantire il rispetto della vita famigliare, tenendo conto dell’evoluzione della società e dei cambiamenti che si verificano nella percezione delle questioni sociali, di stato civile e di ordine relazionale, in particolare del fatto che vi sono più modi o scelte possibili sulla maniera di condurre una vita privata e famigliare”

20 §140 sent.cit.: “…Quando il margine di apprezzamento lasciato agli Stati è limitato, ad esempio in caso di una disparità di trattamento basata sul sesso o sull’orientamento sessuale, non solo il principio di proporzionalità esige che la misura scelta sia normalmente di natura tale da permettere la realizzazione dello scopo perseguito, ma obbliga anche a dimostrare che, per perseguire tale scopo, era necessario escludere alcune persone – nella fattispecie gli individui che vivono una relazione omosessuale – dal campo di applicazione della misura in questione”.

21 Cfr. Corte dir. uomo, Fretté c. Francia - ric. n. 36515/97 - § 41, in cui la Corte ebbe a precisare che «It is indisputable that there is no common ground on the question. Although most of the Contracting States do not expressly prohibit homosexuals from adopting where single persons may adopt, it is not possible to find in the legal and social orders of the Contracting States uniform principles on these social issues on which opinions within a democratic society may reasonably differ widely. The Court considers it quite natural that the national authorities, whose duty it is in a democratic society also to consider, within the limits of their jurisdiction, the interests of society as a whole, should enjoy a wide margin of appreciation when they are asked to make rulings on such matters. By reason of their direct and continuous contact with the vital forces of their countries, the national authorities are in principle better placed than an international court to evaluate local needs and conditions. Since the delicate issues raised in the case therefore touch on areas where there is little common ground amongst the member States of the Council of Europe and, generally speaking, the law appears to be in a transitional stage, a wide margin of appreciation must be left to the authorities of each State ... This margin of appreciation should not, however, be interpreted as granting the State arbitrary power, and the authorities’decision remains subject to review by the Court for conformity with the requirements of Article 14 of the Convention.”

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Stati è ampio, ma tale margine si riduce progressivamente, quando entra in gioco la discriminazione fondata su ragioni di orientamento sessuale22.

Né la Convenzione internazionale sulle adozioni, peraltro ratificata da un numero limitato di Paesi, poteva essere in grado di dimostrare l’esistenza di un consenso idoneo a giustificare la diversità di trattamento fra coppie etero ed omosessuali in punto di adozione.

In definitiva, la Corte esprime un giudizio di scarsa coerenza sul sistema austriaco che, da un lato, ammetteva l’adozione da parte in single, anche se omosessuale e riconosceva che un minore potesse vivere all’interno di una coppia omosessuale, poi tuttavia affermando il divieto che un minore potesse avere due madri o due padri-p.144 sent.-.Il che finiva con il negare il valore profondo che invece hanno le relazioni di fatto-p.sent.145 sent.-

E' quindi seguita la condanna dell’Austria all’equo soddisfacimento in relazione al ritenuto danno morale patito da tutte le parti ricorrenti.

In definitiva, la Corte ha inteso muoversi su un binario che non la conduce ad affermazioni di principio, anzi ripetutamente sottolineando i limiti della propria decisione.

2.1 Una lettura ortodossa della sentenza della Corte europeaX e altri c. Austria.

Va detto con chiarezza, allora, che ogni lettura del tipo …secondo la Corte le coppie omosessuali hanno diritto all’adozione… sarebbe oltre che erronea, poco persuasiva.

La soluzione soft adottata dalla Corte sembra essere stata il collante sul quale si è coagulato il consenso dei giudici che hanno sostenuto l’opinione di maggioranza e, sull’opposto versante, si sono appuntati i rilievi dell’opinione parzialmente dissenziente23.

Il giudice di Strasburgo insiste sul ruolo dell’interesse superiore del minore su esso, in definitiva, incentrando il proprio ragionamento.

Se in gioco c’è il diritto della coppia e del minore ad una relazione familiare stabile, al cui interno gravita il minore, non è possibile che un ordinamento vieti l’ulteriore formalizzazione di tale relazione esclusivamente per ragioni di orientamento sessuale e non si comporti allo stesso modo per le coppie eterosessuali.

Si tratta di un postulato, quest’ultimo, che appare sufficientemente persuasivo, ma che nulla dice – né vuole dire - sull’opportunità e doverosità che una legislazione consenta tout court alle coppie omosessuali di adottare un figlio, anche nell’ipotesi in cui il minore sia figlio di uno dei partner.

La Corte è sembrato voler marcare molto i propri limiti e quelli della CEDU.

Resta tuttavia il fatto che la possibilità di adozione delle coppie omosessuali si misura attraverso il confronto con la tutela che gli ordinamenti riconoscono alle coppie eterosessuali avendo, a quanto è dato comprendere, la Corte ormai tarato su tale regime il tertium comparationis da considerare al fine di verificare quelle discriminazioni che la stessa con forza ha inteso emarginare. E ciò a prescindere dal consenso che si andrà o meno consolidando nei vari Paesi contraenti.

Anzi, la decisione della Grande Camera ha confermato il fatto che l’assenza di consenso all’interno dei singoli ordinamenti sulla questione non può per ciò solo giustificare operazioni di tutela al ribasso, come ha di recente osservato il Giudice Raimondi.

Ciò trova conferma nel fatto che il margine di apprezzamento si riduce comunque in maniera considerevole quando in discussione entra il tema delle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale.

2.2 Quali ricadute sul piano interno?

                                                                                                               

22 Sul tema C.Vitucci, La tutela internazionale dell’orientamento sessuale, Napoli, 2012, recensito da A.Schillaci sul blog diritticomparati.it, http://www.diritticomparati.it/2013/01/orientamento-sessuale-e-diritti-umani-a-proposito- dellultimo-libro-di-chiara-vitucci.html.

23 V. l’opinione parzialmente dissenziente resa dai Giudici Casadevall, Ziemele, Kovler, Jočienė, Šikuta, De Gaetano e Sicilianos.

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Volgendo per un attimo così la lente verso casa nostra24, appare evidente che la scelta di normare i rapporti delle coppie di fatto, ove mai dovesse materializzarsi anche grazie ai moniti ripetutamente rivolti dalla Corte costituzionale al legislatore interno(particolarmente perentori in Corte cost.n.170/2014), non potrà orientarsi verso regimi discriminatori tra coppie omo e/o etero sessuali, a pena di incorrere in quegli stessi vulnera che ha individuato la Corte europea nella vicenda qui esaminata.

E tuttavia, l’assenza di una legislazione specifica, de iure condito, non sembra lasciare spazio ad aperture, anche solo di carattere giudiziario- dirette o mediate, attraverso la proposizione di questioni di costituzionalità, fondate sulla decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo e sui diritti umani di matrice convenzionale-.

Il messaggio che sembra materializzarsi dalla pronunzia è che i diritti riconosciuti dagli Stati ai coniugi non devono tout court attribuirsi ai non coniugi, fatte salve le regole che ciascuno Stato intende darsi.

Resta, tuttavia, ai singoli Paesi il compito di regolare le situazioni che possono avere una rilevanza sociale sulla base del margine di apprezzamento che in materia gli stessi mantengono.

Non secondario, tuttavia, risulta il messaggio che la Corte rivolge agli Stati contraenti circa la piena legittimazione delle relazioni omosessuali, la loro diretta considerazione per quel che riguarda l’art.8 CEDU. Si riscontra in modo netto una progressione di tutela in relazione al riconoscimento che a tali relazioni omosessuali viene offerta, nettamente distinguendole da altre relazioni parentali o affettive tra persone anche dello stesso sesso, fino al punto di specificare che, dal punto di vista

                                                                                                               

24 L'istituto dell’adozione di minori è disciplinato dalla legge del 4 maggio 1983 n. 184 - modificata nel 2001 con la legge 28 marzo n. 149-. Cass.n.7950/1995, in Giur.it., 1997,697, con nota di Gabrielli, L’adozione del single tra convenzionale e diritto interno:problemi attuali e prospettive di riforma, ha negato il diritto di adottare da parte del single proprio rilevando che l’art.6 della Convenzione sull’adozione non contemplava un simile diritto.V. anche, nello stesso senso, Corte cost.281/1994. Pronunzie recenti del giudice di legittimità sono state interpretate in modo non adeguato dai mezzi di informazione come apertura della Cassazione alle adozioni di persone singole e di coppie omosessuali. Così è accaduto per Cass.n.3572/2011 e per Cass.601/2013, ancorchè nessuna delle due pronunzie abbia affermato che nel diritto interno l’adozione è consentita alle persone single ed alle coppie omosessuali. Quanto a Cass.n.3572/2011, in Fam. Dir., 2011, 697, con nota di Astone, La delibazione del provvedimento di adozione internazionale di minore a favore di persona singola, si riporta la massima del CED: “In tema di adozione, la disposizione di cui all'art. 36, quarto comma, della legge 4 maggio 1993, n. 184 (nel testo sostituito ad opera dell'art. 3 della legge 31 dicembre 1998, n. 476) - secondo cui l'adozione pronunciata all'estero su istanza di cittadini italiani che dimostrino, al momento della pronuncia, di aver soggiornato continuativamente nel Paese straniero e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del tribunale per i minorenni - non ha introdotto alcuna deroga al principio generale enunciato nell'art. 35, terzo comma, della legge n.

184 del 1983 citata, secondo il quale la trascrizione nei registri dello stato civile italiano dell'adozione di un minore pronunciata all'estero con effetti legittimanti non può avere mai luogo ove "contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori". Tra questi principi v'è quello secondo cui l'adozione legittimante è consentita solo "a coniugi uniti in matrimonio", ai sensi dell'art. 6 della legge n. 184 del 1983, fermo restando che il legislatore nazionale, coerentemente con il disposto dell'art. 6 della Convenzione europea in materia di adozione di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata dall'Italia con la legge 22 maggio 1974, n. 357, ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento dell'ambito di ammissibilità dell'adozione legittimante di minore da parte di una singola persona.” Quanto a Cass.n.601/2013, il giudice di legittimità non ha in alcun modo teorizzato principi, limitandosi a rigettare una censura che intendeva escludere l'affidamento esclusivo di un minore ad un genitore per il solo fatto che lo stesso era omosessuale. Ed in questo si può, forse, intravedere un collegamento fra tale pronunzia e la sentenza della Corte europea, entrambi i dicta sottolineando come nei rapporti adulti-minori non può essere la condizione astratta in cui versa il primo ad incidere nei rapporti col minore, in assenza di elementi che ne dimostrino il pregiudizio concreto per il minore. V., sul tema, in generale, F.Bilotta, Omogenitorialità, adozione e affidamento famigliare, in Dir.fam.pers., 2011, 1375 ss.; G.Sergio, Adozione gay e diritto del fanciullo a preservare la propria identità, in Minori Giust., 2007, 109; M.Castellaneta, Legittimo il rifiuto delle singole autorità nazionali di consentire l'adozione a coppie omosessuali. La scelta non viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare, Guido al diritto24ore, 2012,14, 39.

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qualitativo, la relazione tra due sorelle che vivono insieme è diversa per la sua stessa natura da quella che lega i due partner di una coppia, anche omosessuale -§129 sent.cit.-25

Rinviando a quando già in altra occasione detto a proposito degli effetti della sentenza della Grande Camera nell’ordinamento interno austriaco26, rimane da verificare se la Corte, come hanno sostenuto i giudici che hanno firmato l’opinione dissenziente, sia davvero andata, nel caso in esame,

“oltre” i confini dell’interpretazione evolutiva che pure si addice allo strumento convenzionale inteso come “living instrument”27, ovvero se questa decisione abbia cercato di trovare un arduo, ma non per questo meno rilevante, punto di equilibrio su un tema che marca, in definitiva, il principio di sussidiarietà come perno sul quale ruota il sistema dei rapporti fra Paesi contraenti e CEDU.

E di ciò si ha riprova leggendo il p.151 della sentenza, ove il giudice di Strasburgo ammette che

“…La Corte è consapevole che la ricerca di un equilibrio tra la tutela della famiglia tradizionale e i diritti delle minoranze sessuali derivanti dalla Convenzione è un esercizio difficile e delicato per la sua stessa natura, che può obbligare gli Stati a conciliare vedute e interessi concorrenti che le parti interessate percepiscono come fondamentalmente contrapposti."

Quel che pare indiscutibile è l’abbandono definitivo, da parte della Corte europea, della giurisprudenza Frettè.

In quell’occasione la Corte aveva valorizzato, come ricorda puntualmente Varano28, tre ragioni fondamentali per non ritenere fondata la discriminazione fra adottante single omosessuale ed eterosessuale, rappresentate dall’interesse superiore del minore, dai dubbi della comunità scientifica in ordine all’esistenza di pregiudizio per il minore e dall'assenza di consenso da parte dei singoli Paesi contraenti in ordine alla disciplina dell’adozione da parte di omosessuale. In quel caso erano stati, infatti, i giudici dissenzienti a profilare un vulnus in danno del richiedente fondato proprio sugli artt.8 e 14 CEDU e sulla divergenza di tutela offerta in quel Paese ai richiedenti l’adozione non omosessuali.

Si tratta di argomenti che non trovano più alcuno spazio nella decisione della Grande Camera che, anzi, ha realizzato un risultato opposto ed a parti invertite, nel quale l’opinione dissenziente della minoranza è stata tutta protesa a dolersi del fatto che la sentenza abbia tralasciato di affrontare in termini generali il problema sotteso al ricorso delle tre parti ricorrenti.

                                                                                                               

25 Nel caso Moretti e Benedetti c.Italia (ric.n.16318/97) (sent.27 aprile 2010) la Corte ha ribadito la propria giurisprudenza in tema di tutela delle coppie di fatto in presenza d vincoli di natura affettiva.

26 Sia infatti consentito il rinvio al commento sistematico alla sentenza ricordata del testo a suo tempo espresso in

Conti, La CEDU, l'adozione e le coppie dello stesso sesso,

inhttp://www.magistraturademocratica.it/mdem/qg/articolo.php?id=32, dal quale i paragrafi del presente scritto dedicata alla decisione costituiscono una modesta rivisitazione.

27 Cfr.p.139 sent.:”… dato che la Convenzione è uno strumento vivo che deve essere interpretato alla luce delle condizioni attuali, lo Stato deve scegliere le misure da adottare per tutelare la famiglia e garantire il rispetto della vita famigliare, tenendo conto dell’evoluzione della società e dei cambiamenti che si verificano nella percezione delle questioni sociali, di stato civile e di ordine relazionale, in particolare del fatto che vi sono più modi o scelte possibili sulla maniera di condurre una vita privata e famigliare”. Tale affermazione è stata tuttavia fortemente criticata dall’opinione dissenziente di minoranza espressa dal giudice Spielmann, ritenendosi che l’operazione compiuta dalla Corte aveva assunto i tratti di un’interpretazione “creativa” : “… È noto, in effetti, che a partire dalla sentenza Tyrer c.

Regno Unito, la Corte rammenta frequentemente che la Convenzione è uno strumento vivo che bisogna interpretare

«alla luce delle condizioni di vita attuali» (si veda Tyrer c. Regno Unito, 25 aprile 1978, § 31, serie A n. 26). In altre parole, il senso dell'interpretazione evolutiva, come concepita dalla Corte, è quello di accompagnare, addirittura di incanalare i cambiamenti (si veda Rozakis, «The Particular Role of the Strasbourg Case-Law in the Development of Human Rights in Europe», in European Court of Human Rights 50 Years, Nomiko Vima, Athens Bar Association, Atene, 2010, pp. 20-30, soprattutto pagg. 25 e seguenti), non di precederli e ancor meno di tentare di imporli. Senza in alcun modo escludere la possibilità che la situazione in Europa in futuro si evolverà nella direzione apparentemente voluta dalla maggioranza, come abbiamo visto questo al momento non sembra essere il caso. Riteniamo di conseguenza che la maggioranza abbia oltrepassato i limiti abituali del metodo interpretativo evolutivo.”

28 E.Varano, La Corte dei diritti dell’uomo e l’inesistenza del diritto di adottare , in Familia, 2003, 540.

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