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“La Corte Costituzionale n. 78 del 2012 in materia di anatocismo: l’ultimo atto di una storia senza fine” - Judicium

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COSIMO FERRI

“La Corte Costituzionale n. 78 del 2012 in materia di anatocismo: l’ultimo atto di una storia senza fine”

1. Cenni storici.

Il fenomeno giuridico dell’anatocismo1 di cui all’art. 1283 c.c. consiste nella produzione di interessi da parte di altri interessi scaduti e non pagati.2 Gli interessi anatocistici costituiscono, quindi, l’esito economico, prima che giuridico, della c.d.

“capitalizzazione” degli interessi maturati: “gli interessi sugli interessi”.3

Sotto il profilo etimologico, il termine proviene dal greco anatokismos da ana (di nuovo) tokismòs (usura).4 Già in passato, il fenomeno della trasformazione degli interessi scaduti in capitale produttivo era visto con sfavore in ragione del conseguente rapido ed esponenziale aumento del debito che il fenomeno de quo era idoneo ad ingenerare.5

Nel diritto romano, l’anatocismo era, di regola, ammesso tra le parti ma vietato prima del compimento di un’intera annualità. Successivamente, Giustiniano proibì espressamente le operazioni che avessero quale risultato il computo di interessi su interessi già maturati, “exigens illimitate usurarum usus”.6

Il diritto canonico escludeva espressamente tale forma di capitalizzazione atteso che vietava la stessa richiesta di interessi sul capitale, oggetto di prestito.

Solo con l’avvento del Code Napolèon - in un’ottica di favor per la commercializzazione dei beni materiali e, quindi, anche del denaro - fu introdotto l’anatocismo che, in seguito, unitamente ad altri istituti, fu mutuato nell’ordinamento italiano ed, in particolare, dall’art. 1232 del Codice civile del 1865.

1 cfr. Colombo C., voce Anatocismo . Postilla di aggiornamento, in Enc. giur., III, Roma 2005, 1 ss.

2 Cfr. in generale, Gazzoni F., Manuale di diritto privato, ed. Esi, Napoli, 2006; Libertini M., in Commentario al Codice civile diretto da P. Cendon, vol. V, ed. Utet, Torino, 1999; Libertini M., voce Interessi, in Enciclopedia del diritto, vol. XXII, ed. Giuffrè, Milano, 1973; Quadri R., Le obbligazioni pecuniarie, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, Obbligazioni e contratti -I-, vol. IX, ed. Utet, Torino, 1999; Sinesio D., Interessi pecuniari fra autonomia e controlli, ed. Giuffrè, Milano, 1989; Zaccaria A., in Commentario breve al Codice civile diretto da Cian G. e Trabucchi A., ed. Cedam, Padova, 2007.

3 v. Torrente A., Schlesinger P., Manuale di diritto privato, ed. Giuffrè, Milano, 2009, p. 384.

4 v. Enciclopedia del diritto, voce Anatocismo, in Juris data, ed. Giuffrè, Milano, 1988.

5 “Il debitore si troverà a dover pagare una somma sempre crescente, in quanto ogni qualvolta gli interessi scadono essi andranno sommati al capitale di partenza, con conseguente calcolo della rata di interessi successiva su una somma data dal capitale di partenza maggiorata in tanti periodi (id est semestri) di interessi già scaduti.”

Celardi G.M., L’anatocismo bancario nella giurisprudenza di legittimità, in Giustizia Civile, n. 10, ed. Giuffrè, Milano, 2011, p. 2335.

6 Cfr. Enciclopedia del diritto, voce Anatocismo, cit.; Chinè G., Zoppini A., Manuale di diritto civile, ed. Nel Diritto Editore, Roma, 2011.

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Tal ultima norma disponeva che: “Gli interessi scaduti possono produrre altri interessi o nella tassa legale in forza di giudiziale domanda e dal giorno di questa o nella misura che verrà pattuita in forza di una convenzione posteriore alla scadenza dei medesimi. Nelle materie commerciali l’interesse degli interessi è, inoltre, regolato dagli usi e dalle consuetudini”.

L’interesse - convenzionale o legale d’interessi scaduti per debiti civili - non cominciava a decorrere, se non quando si trattava di interessi dovuti per un’intera annata, salvo, però l’ipotesi delle casse di risparmio e di altri simili istituti, nei limiti in cui i loro rispettivi regolamenti avessero altrimenti stabilito.

2. L’attuale assetto normativo e interpretativo.

Il Codice Civile vigente ha mutuato la disposizione de qua, differenziandosene sotto alcuni aspetti.

In particolare, la norma di cui all’art. 1283 c.c. sancisce che, fatti salvi usi contrari, gli interessi sugli interessi sono ammessi o dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di una convenzione posteriore alla loro scadenza; ciò, a condizione che gli stessi siano dovuti da almeno sei mesi.

Quale profilo di maggiore scarto rispetto alla disciplina previgente, il legislatore del 1942 generalizza il valore attribuito agli usi contrari, la cui portata derogatoria era prima circoscritta ai rapporti di natura commerciale.

Inoltre, si riduce ad un semestre il limite di tempo minimo dopo il quale gli interessi scaduti possono produrre altri interessi.

Sul piano sistematico, l’odierna disposizione indica tre tipologie di interessi anatocistici:

- Legali, ovvero discendenti da una domanda giudiziale che deve aver ad oggetto interessi scaduti e dovuti da almeno sei mesi;

- convenzionali, discendenti da apposita convenzione successiva alla loro scadenza;

- derivanti dagli usi contrari.7

Proprio in relazione a quest’ultima tipologia di interessi, nell’ultimo decennio, si è aperto un forte dibattito che ha interessato il settore bancario.

Nella specie, i maggiori profili problematici sono stati riscontrati nella qualificazione della natura giuridica dell’ uso – applicato nei contratti bancari – della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.

3. Tappe giurisprudenziali e legislative dell’anatocismo bancario.

7 A.A.V.V., Guida alla giurisprudenza civile, ed. NelDiritto Editore, Roma, 2011.

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Fino al 1999, era invalsa la prassi bancaria di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi sui saldi negativi delle aperture di credito concesse ai titolari dei conti correnti bancari8. In tal senso gli interessi dovuti dai clienti avevano una periodicità inferiore a quella prevista dall’art. 1283 c.c. che, invece, sancisce una periodicità semestrale.

E’ evidente che la previsione di tale clausola si poneva in aperto contrasto con la norma de qua sia perché prevedeva una capitalizzazione con un limite temporale inferiore a quello previsto ex lege, sia perché tale accordo “anatocistico” veniva concluso al momento del contratto di conto corrente e, dunque, prima della scadenza degli interessi; dunque, in assenza della possibilità per il cliente di ponderare l’effettiva incidenza della capitalizzazione sulla propria esposizione debitoria e, quindi, sulla propria sfera patrimoniale.

Tuttavia, tale prassi contra legem veniva, comunque, recepita, nel 1952, dall’art. 7 delle Norme Bancarie Uniformi predisposte dall’A.B.I. (Associazione bancaria italiana).

Da questo momento, è opportuno, dunque, ripercorrere il percorso evolutivo di quest’istituto.

Fino al 1999, la giurisprudenza di legittimità aveva riconosciuto (erroneamente) la sussistenza di un uso normativo, secundum legem, legittimante la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e lo aveva qualificato come uso normativo in grado di derogare alla legge vigente.

Era stata, così, riconosciuta piena legittimità alla prassi bancaria della capitalizzazione trimestrale9.

La prima svolta si registrava il 16 marzo del 1999, atteso che, con la sentenza n.

2374, la Corte di Cassazione operava un deciso rèvirement10.

Tale pronuncia sanciva, infatti, ex novo, la illegittimità della prassi bancaria che, sulla scorta della asserita sussistenza di un uso normativo, pretendeva di derogare alla norma di cui all’art.1283 c.c.

In particolare, la pronuncia “declassava” l’uso de quo, non riconoscendogli più natura normativa ma qualificandolo come uso meramente negoziale e, come tale, in virtù della gerarchia tra le fonti, non idoneo a derogare ad una norma di legge.

Di conseguenza, la Corte affermava la nullità delle clausole anatocistiche con capitalizzazione trimestrale perché scaturenti da un uso solo negoziale.

A tale conclusione si perveniva facendo leva su due considerazioni.

In primis, si evidenziava come, già prima della codificazione del 1942, non esistesse una consuetudine di carattere normativo avente ad oggetto la capitalizzazione

8 AA.VV., Guida alla giurisprudenza civile, ed. NelDiritto Editore, Roma, 2011, p. 326.

9 Cass. civ., 15 dicembre 1981, n. 6631, in Giust. Civ., 1982, p. 380 e ss..

10 Cfr., in generale, De Nova, Capitalizzazione trimestrale: verso un revirement della Cassazione?, in Contr., 1999, 446.

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trimestrale degli interessi, ma, al più, una prassi negoziale, “insinuatasi” nella relazione fra banche e utenti del sistema creditizio, a seguito di un’iniziativa unilaterale delle prime.

In secondo luogo, nel caso de quo, in applicazione di una massima di comune esperienza, doveva ritenersi che difettasse, almeno in capo al cliente, il requisito dell’opinio iuris ac necessitatis, per contro, necessario ai fini della sussistenza di un uso giuridicamente rilevante11.

La Corte sottolineava come tali clausole fossero inserite in appositi moduli predisposti dagli istituti di credito e non ritenute conformi a norme di diritto oggettivo da parte dei clienti.12 Dunque, con la sentenza in oggetto veniva sancita la nullità delle clausole anatocistiche predisposte nei contratti bancari e, di conseguenza, si ponevano le premesse giuridiche e concettuali per l’esercizio dell’azione di ripetizione delle somme versate indebitamente dai correntisti.

Tale deciso revirement della Corte di legittimità13 non aveva modo di spiegare i propri effetti.

Nello stesso anno, infatti, il legislatore interveniva con il decreto legislativo del 4 agosto 1999 n. 342 che modificava l’art. 120 del T.U.B. (D.lgs. n. 385 del 1993)14. Ivi, in primo luogo, si attribuiva al Cicr (Comitato interministeriale del credito e del risparmio) il compito di stabilire le modalità e i criteri per la produzione dei suddetti interessi stabilendo che la capitalizzazione dovesse avere la medesima periodicità sia per gli interessi attivi che passivi; in secondo luogo, si sanciva una sanatoria generalizzata delle clausole già stipulate. Il decreto, infatti – nell'intento di evitare un prevedibile diffuso contenzioso nei confronti degli istituti di credito cui avrebbe dato la stura il revirement del 1999 – prevedeva espressamente la validità ed efficacia delle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari, stipulati anteriormente alla entrata in vigore della nuova disciplina della materia.

I correntisti, in tal modo, vedevano irragionevolmente preclusa la possibilità di agire per la ripetizione delle somme indebitamente versate a titolo di capitalizzazione.

11 A tal proposito, si ricorda come la consuetudine normativa può assurgere a fonte del diritto solo in presenza dei requisiti della diuturnitas e dell’opinio iuris ac necessitatis ossia della ripetitività del comportamento e della convinzione di adempiere ad un dovere normativo.

12 Cass. civ., n. 2374 del 1999, in Corr. Giur., 1999, p. 561 ss., in Giur. it. 1990, 1221 ss., con nota di Cottino G., La Cassazione muta indirizzo in tema di anatocismo ; Cass., sez. I civ., 11 novembre 1999, n. 12507, con una nota di Palmieri A., L' anatocismo , le banche e il tramonto degli usi: un «prospective overruling» del legislatore?.

13 De Nova G., Capitalizzazione trimestrale: verso un revirement della Cassazione?, in Contratti, 1999, p. 442 ss.; Carbone V., Anatocismo e usi bancari: la Cassazione ci ripensa, in Corr. Giur., 1999, p. 570 ss..

14 V. Rizzini Bisinelli S., Le novità in tema di raccolta del risparmio, mutui fondiari e anatocismo, in I Contratti, 1999, p. 1142 ss.; De Gioia Carabellese P., L'anatocismo nei rapporti tra banca e cliente: la deliberazione del C.I.C.R., in Contratti, 2000, p. 411 ss..

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L’anno seguente, però, la norma non reggeva il vaglio di costituzionalità. Con la sentenza n. 425 del 2000, infatti, la Corte Costituzionale, dichiarava costituzionalmente illegittima per eccesso di delega e conseguente violazione dell'art. 77 Cost., la norma transitoria che prevedeva la sanatoria retroattiva delle clausole stipulate15.

L'eliminazione ex tunc, per tal via, della eccezionale salvezza e conservazione degli effetti delle clausole già stipulate aveva l’effetto di lasciare queste ultime, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore delle norme anteriormente in vigore, alla stregua delle quali, esse non potevano che essere dichiarate nulle, perché stipulate in violazione dell'art. 1283 c.c. (cfr. Cass. n. 4490/02).

Gli istituti bancari tornavano, dunque, ad essere esposti ad eventuali azioni di ripetizione dell’indebito da parte dei clienti lesi dall’operatività delle clausole anatocistiche.

Tale situazione interpretativa di ostilità alla capitalizzazione passiva si consolidò negli anni successivi poiché molteplici pronunce riaffermarono i principi espressi dalla Cassazione nel 1999; principi rafforzati dalla ritenuta inapplicabilità della disciplina delle obbligazioni naturali al pagamento di interessi anatocistici16.

Merita in particolare di essere segnalata la sentenza n. 21095 del 200417, emessa dalla Corte di legittimità a Sezioni Unite, con cui si ribadiva la nullità delle clausole anatocistiche in quanto fondate su un uso negoziale e non normativo e, dunque, inidoneo a derogare all’art. 1283 c.c..

Inoltre, le Sezioni Unite - al fine di collocare nel tempo l’illiceità della capitalizzazione trimestrale - evidenziarono come l'evoluzione del quadro normativo – intrapresa dalla giurisprudenza e dalla legislazione degli anni ‘90, in direzione della valorizzazione della buona fede oggettiva quale clausola di protezione del contraente più debole, della tutela specifica del consumatore, della garanzia della trasparenza bancaria, della disciplina dell'usura – avesse avuto la sua incidenza significativa nel determinare la consapevolizzazione del cliente rispetto a forme e condotte abusive del

15 Cfr. Castiglioni M., L'incostituzionalità del d.lgs. 342/99 sull'anatocismo bancario, in www.tidona.com;

Donzelli M., L'anatocismo, in www.diritto.it; Iapichino V., Dalla parte del debitore - riflessioni sull'anatocismo, in www.studiocelentano.it; Tidona M., La Corte Costituzionale dichiara con la sentenza 425/00 l'incostituzionalità dell'art. 25 d.lgs. 342/99, in www.tidona.com

16 Cfr., in generale: Dagna P., Esclusione dell'eccezione di obbligazione naturale per la ripetizione degli interessi anatocistici, commissione di massimo scoperto e soglia d'usura, Nota a Tribunale Monza, 12/12/2005; in Banca borsa tit. cred. 2007, 2, 204.

17 cfr, in generale, Fiorentino, Brevi note in materia di anatocismo e usi bancari ad un anno dalla sentenza, SS.UU., n. 21095 del 2004, in Mondo Giud., 2006, 74; Nivarra, La tutela collettiva del consumatore e l' anatocismo bancario, nota a App. Torino, 1° marzo 2005, in Corr. giur., 2005, 1127-1129.

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sistema bancario; prassi distorte che avevano avuto l’effetto di radicare e approfondire l’asimmetria dei rapporti contrattuali.

Nondimeno, secondo le Sezioni Unite, ciò non significava dire che, prima degli approdi giurisprudenziali di fine anni ‘90, prassi siffatte fossero percepite dagli utenti del sistema bancario come conformi a ius e che, sulla base di una tale convinzione (opinio iuris), venissero accettate e condivise.

Più semplicemente – affermavano le Sezioni Unite del 2004 – le clausole

“anatocistiche”, non negoziate e non negoziabili, perché già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive delle associazioni di categoria, venivano sottoscritte dai clienti che anelavano alla concessione del credito (sia quello per l’impresa sia quello al consumo) perché a ciò costretti da un sistema conformato al principio del “prendere o lasciare”.

Da ciò, la riconducibilità, fin dall’origine, della prassi di inserimento, nei contratti bancari, delle clausole de quibus, ad un uso negoziale e non già normativo, senza possibilità di individuare nel 1999, alcuna cesura concettuale.

Nè era possibile riconoscere alla giurisprudenza del ventennio, antecedente al revirement del 1999, un improprio e inammissibile ruolo di “fondazione” di un uso normativo, relativo alla capitalizzazione degli interessi dovuti alla banca.

Infatti, non poteva disconoscersi – hanno evidenziato le Sezioni Unite18 - come la funzione assolta dalla giurisprudenza non potesse essere altra che quella ricognitiva e specificativa dell'esistenza e della portata della regola stessa, quale già presente nel sistema ordinamentale, e non, dunque, anche una funzione (totalmente) creativa.

Dunque, anche laddove, da parte della giurisprudenza, si registri una ricognizione qualificata, perché reiterata nel tempo, di una regola in realtà insussistente (nel caso di specie, la normatività della capitalizzazione trimestrale), la successiva ricognizione correttiva dell’iniziale errore nell’individuazione del precetto normativo (ovvero la capitalizzazione trimestrale non corrisponde ad un uso normativo), deve avere una portata necessariamente retroattiva.

Diversamente ragionando, come evidenziato dalle Sezioni Unite del 200419, si avrebbe la consolidazione medio tempore di una regola che troverebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente, presupponendone l’esistenza, avrebbero dato luogo alla nascita della stessa.

D’altronde, la giurisprudenza favorevole alla normatività del fenomeno de quo, non avrebbe potuto, comunque, conferire normatività ad una prassi negoziale (che si è dimostrato essere) contra legem.

18 Cfr, in generale, Scozzafava, L' anatocismo e la Cassazione: cosi è se vi pare, in Contr., 2005, 221 ss.

19 Cfr. Nigro, Anatocismo nei rapporti bancari e Sezioni Unite: la fine della storia infinita?, in Dir. banc. merc.

fin., 2004, 651 ss.; Salanitro, Le Sezioni Unite e l' anatocismo bancario, in questa Rivista, 2005, I , 128 ss.

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4. Le questioni lasciate irrisolte dalle Sezioni Unite del 2004.

Nonostante la chiarezza dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, rimanevano aperte due importanti problematiche20.

La prima atteneva all’individuazione del momento dal quale far decorrere il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito.

A tal proposito, ci si chiedeva se la prescrizione decorresse dalla data di chiusura del conto o dalla data della singola annotazione della posta di interessi sul conto.

La seconda questione concerneva la possibilità, una volta accertata la nullità della clausola di capitalizzazione, di sostituire la periodicità trimestrale con quella annuale.

A risolvere le suddette criticità interveniva la Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 24418 del 2.12.201021.

Con riguardo a tale secondo profilo, la suddetta sentenza, ha sconfessato la tesi secondo cui le ragioni di nullità enucleate con riguardo alle clausole di capitalizzazione degli interessi debitori inerirebbero, in via esclusiva, al profilo della loro periodizzazione trimestrale.

La Corte ha sottolineato, infatti, come le ragioni poste a fondamento dell’illiceità dell’anatocismo22 siano “trasversali” ad ogni forma di “periodizzazione” nella capitalizzazione degli interessi passivi.

In primis, viene richiamata l’inesistenza del requisito della "normatività" di una scelta di capitalizzazione con cadenza annuale.

Ma, aspetto ben più rilevante, tali usi – prima che difettare di “normatività” – non avrebbero alcun riscontro nella realtà fenomenica e storica.

Infatti, l’ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi della fine degli anni novanta del secolo passato, è stato caratterizzato da una (mera) consuetudine negoziale – non sorretta dalla opinio iuris ac necessitatis – di capitalizzazione23 trimestrale, e non certo di capitalizzazione annuale degli interessi debitori.

Dunque, accertata la nullità della clausola di capitalizzazione, darebbe luogo ad una scelta censurabile, il convertire la stessa da trimestrale ad annuale.

20 Cfr. Pandolfini, Anatocismo bancario: le questioni ancora aperte, in Contr., 2005, 713 ss

21 Cfr. in generale, Serrao d'Aquino P., Questioni attuali in materia di anatocismo bancario, commissione di massimo scoperto ed usura, in Giur. merito 2011, 05, 1172.

22 Cfr. in generale Caraffa T., Anatocismo, in Dig. It., III, 1, Torino, 1895, p. 197 ss.; De Ruggero R., Anatocismo, in Diz. Prat. Dir. Priv., I, Milano, s.d., p. 177 ss.; Inzitari B., Interessi, in Dig. Priv., Sez. civ IX, Torino, 1993, p. 566 ss.

23 Fedele A., Appunti in tema di anatocismo giudiziale, in Riv. Dir. Comm. , 1952, I, 30 ss; Fedele A., Anatocismo e domanda proposta in corso di giudizio. Mora debendi e risarcibilità del maggior danno, nota a App. Torino, 28.4.1950, in Riv. Dir. Comm., 1951; Di Amato A., Anatocismo e prassi bancaria, nota a Cass., 15.12.1981, numero 6631, in Giust. Civ., 1982.

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Per quanto concerne il secondo aspetto, la sentenza, in armonia con i principi generali in materia di adempimento e di ripetizione d’indebito, afferma il principio per cui la decorrenza della prescrizione deve essere individuata, alternativamente: a) nel versamento (nell’ipotesi di conto in passivo, senza affidamento, così come di superamento del limite affidato); b) nella chiusura del rapporto (quando non siano effettuati versamenti, in pendenza di rapporto, o quando il versamento, effettuato in pendenza di rapporto, abbia funzione meramente ripristinatoria dell’affidamento).

Tale condivisibile approdo esegetico muove dalla considerazione che la ripetizione ha ad oggetto un pagamento indebito ed è pertanto dal momento di questo pagamento che inizia a decorrere la prescrizione del diritto all’azione.

Al riguardo, la Corte ha precisato che i versamenti ripristinatori della provvista (aventi lo scopo di espandere l’affidamento utilizzabile dal correntista)24 non costituiscono pagamento e, dunque, non fondano alcun diritto immediato di ripetizione dell’indebito.

Gli effetti della sentenza del 2010 si sono immediatamente rivelati dirompenti se non altro per l’idoneità della stessa a “cristallizzare” i principi della materia.

Anche in quest’occasione, tuttavia, il legislatore non si è astenuto dall’intervenire con una norma che, soprannominata “salva-banche”.

5. Il recente decreto mille proroghe introduce la cd. “norma salva-banche”.

Il decreto legge25 n. 225 del 29 dicembre 2010, convertito in legge n. 10 del 26 febbraio 2011, ha previsto all’art. 2 comma 61 che : “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.”.

Dunque, la norma ha sancito due distinte regole. La prima, secondo cui il termine prescrizionale decorre dalla data dell’annotazione e non dalla data di chiusura del conto, e ciò in netto contrasto con quanto statuito dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite.

Per contro, la seconda – a chiusura degli effetti “perversi” indotti dal primo comma, auto-proclamatisi come interpretativo – ha previsto che non potessero in alcun modo essere ripetuti gli importi versati prima del 26 febbraio 2011, e, quindi, a prescindere dal decorso del decennio.

24 AA.VV., Guida alla giurisprudenza civile, Nel diritto editore, ed. 2011, p. 331.

25Cfr. Greco F., Anatocismo bancario e prescrizione: le Sezioni Unite e la difficile applicabilità del decreto mille proroghe. Continua il match tra correntisti e banche, in http://www.tidona.com.

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La norma interpretativa del decreto legge, ribattezzato “mille proroghe”, ha suscitato immediate e forti critiche da parte della giurisprudenza di merito.

In particolare, sono stati censurati diversi aspetti della legge; innanzi tutto, è stato rilevato che non sussisteva alcun dubbio interpretativo da risolvere, atteso che la pronuncia n. 24418 del 2010 della Suprema Corte aveva chiarito tutti gli aspetti oggetto della questione.

Inoltre, è stato rilevato che le norme sulla prescrizione non potessero essere applicate per il passato e sui giudizi in corso, incorrendosi, altrimenti, nella violazione dell’art. 3 e 24 della Costituzione.

Infine, si è sottolineato come una simile previsione frustrerebbe le aspettative di tutela del risparmio.

Alla luce di tali censure sono state proposte molteplici ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale in relazione agli artt. 3, 24, 101, 102, 104, 111, 117 della Costituzione.

In particolare, nella ordinanza del Tribunale di Brindisi sezione distaccata di Ostuni – che è quella cui la sentenza della Corte Costituzionale dedica maggiore spazio descrittivo – si leggeva che “In particolar modo risultano violati i principi di ragionevolezza, di effettività del diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24, primo comma, Cost.); d’integrità delle attribuzioni costituzionali dell'autorità giudiziaria (art. 102 Cost.), ed, ancora, il principio del giusto processo, così come l’art. 117 Cost., in materia di rispetto degli obblighi assunti sul piano internazionale, con la sottoscrizione della Cedu.”.

Nello specifico, l’ordinanza di rimessione rimetteva al vaglio della Corte Costituzionale i seguenti motivi di incostituzionalità.

In primis, veniva evidenziata la violazione dei limiti, individuati dalla Corte Costituzionale all’ammissibilità di una legge di interpretazione. Al riguardo, il giudice brindisino rilevava come non vi fosse una reale questione interpretativa ed, in subordine, evidenziava la non includibilità della soluzione prospettata dal legislatore tra quelle legittimamente traibili dalla disciplina.

Altro profilo evidenziato è stato quello della violazione del principio di azione ex art.

24 Cost. Il correntista non poteva legittimamente agire in giudizio atteso che il dies a quo della prescrizione era anticipato alla data di annotazione in conto che esulava dalla sfera di conoscibilità dello stesso.

Ancora veniva posta in risalto la violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza ex art. 3 Cost. Secondo il giudice rimettente era configurabile una triplice forma di disparità di trattamento: tra banche e utenti del sistema bancario; tra tipologie contrattuali assimilabili sotto il profilo funzionale; tra somme versate indebitamente, rispettivamente, prima e dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge.

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Il giudice remittente riteneva, altresì, violato il principio del giusto processo, sub specie della parità delle “armi” atteso che chi aveva agito in giudizio vedeva paralizzata la pretesa processuale.

Da ultimo, il giudice rilevava una violazione della norma interposta (art. 6 Cedu) laddove essa impone al legislatore di uno Stato contraente di non interferire nell'amministrazione della giustizia allo scopo d'influire sulla singola causa o su di una determinata categoria di controversie, attraverso norme interpretative che assegnino alla disposizione interpretata un significato vantaggioso per una parte del procedimento, salvo il caso di «ragioni imperative d'interesse generale».

6. La pronuncia di illegittimità costituzionale del 5 aprile 2012.

La Corte Costituzionale, con la pronuncia del 5 aprile 2012, n. 78, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale ed espunto dall’ordinamento l’art. 2, comma 61, del d.l. n.

225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 201. Tale disposizione faceva coincidere il dies di decorrenza della prescrizione del diritto di ripetizione dell’indebito con la data dell’annotazione in conto del singolo addebito.

Come ribadito dalle SS.UU. del 2010, il versamento operato dal correntista - se di carattere non solutorio, ma meramente ripristinatorio, ovvero volto a riespandere la misura della capacità di indebitamento del correntista - non dà luogo al diritto di ripetizione delle somme indebitamente versate se non dalla chiusura del conto.26

In particolare, la Consulta ha accolto i motivi in punto di violazione del canone generale di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e di violazione del parametro di cui all’art.

117 Cost. ritenendo assorbiti gli altri profili.

Due sono, quindi, gli aspetti di maggiore rilievo.

In primo luogo, la sentenza della Corte Costituzionale, sostanzialmente, ha condiviso le censure mosse dal giudice remittente del Tribunale Civile di Brindisi, sez. distaccata di Ostuni, secondo cui vi era stato un superamento dei limiti interni posti all’esercizio del potere di interpretazione autentica del legislatore. E, di conseguenza ha ritenuto violato il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. In particolare, ha affermato come “la soluzione fatta propria dal legislatore con la norma denunziata non possa, sotto alcun profilo, essere considerata una possibile variante di senso del testo originario della norma oggetto d’interpretazione”.

La Consulta ha, inoltre, osservato che il legislatore ha innanzitutto inteso interpretare autenticamente (e dunque con effetti retroattivi) una norma in assenza di «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», così come di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto».

Né l’intervento normativo de quo era conciliabile con il fine di «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore» a tutela della

26 Corte Cost. n. 78/2012.

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certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale.

La Corte Costituzionale, ha evidenziato proprio come al momento dell’intervento legislativo non era prefigurabile alcuna “situazione di oggettiva incertezza del dato normativo”.

Infatti, a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite del 2.12.2010, si era delineato un quadro interpretativo univoco, per cui la prescrizione del diritto di ripetizione doveva intendersi decorrere dalla chiusura del rapporto contrattuale o, eccezionalmente, dal pagamento con funzione solutoria.

Il legislatore, invece, interpretando autenticamente l’art. 2935 c.c., aveva “chiarito”

che il dies a quo della prescrizione decorreva dall’annotazione e non dalla chiusura del conto; così scegliendo un’interpretazione non solo non necessaria, ma difforme da un quadro interpretativo consolidato.

Infine, il Giudice delle Leggi ha condiviso la censura del giudice brindisino relativa alla contrarietà della norma suddetta agli obblighi assunti dallo Stato Italiano con l’adesione alla Cedu. Secondo la Corte Costituzionale, infatti, la permanenza in vigore della norma censurata, avrebbe dato luogo ad una violazione dell’art. 6 Cedu, in materia di equo processo, valore irreversibilmente compromesso da indiscriminati interventi legislativi, in grado di incidere su diritti risultanti da leggi in vigore.

Ciò, con conseguente violazione “mediata” dell’art. 117 Cost. nella parte in cui obbliga lo Stato al rispetto degli obblighi internazionali di natura pattizia, quali sono quelli derivanti dalla Cedu.

Infatti, solo l’esistenza di ragioni imperative di interesse generale è idonea, secondo la Cedu, a consentire l’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia.

Orbene, per la Corte Costituzionale tale condizione non era rispettata nel caso di specie, atteso che non sussistevano ragioni imperative tali da giustificare un simile intervento ma, altresì, si era determinata un’inammissibile disparità dei poteri contrattuali delle parti.

Infatti, il correntista, a seguito dell’anticipazione del dies di decorrenza della prescrizione, sarebbe stato esposto, di fatto, alla contrazione dei termini di legge previsti per poter agire in giudizio.

Peraltro, il Giudice delle Leggi non ha condiviso il tentativo - adombrato da alcuni giudici di merito - di un’interpretazione costituzionalmente conforme della norma de qua, in virtù della quale i diritti derivanti dall’annotazione dovevano essere considerati solo quelli di contestazione, sul piano cartolare, e dunque di rettifica o di eliminazione delle annotazioni conseguenti ad atti o negozi accertati come nulli, ovvero basati su errori di calcolo.

L’ampia formulazione della norma censurata imponeva, infatti, di affermare che, nel novero dei «diritti nascenti dall’annotazione», dovevano ritenersi inclusi anche i diritti di ripetere somme non dovute.

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All’esito della pronuncia si è riaperta, quindi, la possibilità per i correntisti di muovere l’azione di ripetizione delle somme indebitamente versate a titolo di interesse anatocistico.

È evidente il forte impatto di tale pronuncia d’incostituzionalità sull’annoso contenzioso contro il sistema bancario, connotato dall’alternanza ultradecennale di interventi legislativi poco meditati e dei correlati interventi “ortopedici” da parte degli interpreti ed, in particolare, della giurisprudenza.

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