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CATERINA PASINI
La pronuncia della Corte Costituzionale del 6 dicembre 2012, n. 272 e alcune promettenti applicazioni in materia di mediazione delegata
SOMMARIO: 1. La pronuncia di incostituzionalità del tentativo obbligatorio di mediazione: le questioni di illegittimità costituzionale – 2. Un quadro di insieme alla luce del nuovo assetto – 3. La mediazione delegata: un banco di prova – 4. Le più recenti pronunce di merito e l'attenzione per la mediazione delegata – 5. Alcuni spunti di riflessione – 6. Il “decreto del fare” e le novità in materia di mediazione.
1. – La sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 2012 (1) che ha dichiarato l'eccesso di delega del d. lgs. 28 del 2010 in riferimento alle disposizioni che avevano introdotto e disciplinato il tentativo obbligatorio di conciliazione offre l'opportunità di approfondire il tema della mediazione ed analizzarne l’attuale panorama dottrinale e giurisprudenziale.
Si tratta di una sentenza corposa dalla quale emergono alcuni importanti principi.
La Corte si è pronunciata sulle questioni di costituzionalità sollevate in merito agli artt. 5 e 16 del d. lgs. del 4 marzo 2010, n. 28, dell'art. 2653, comma 1 n. 1 c.c., e dell'art. 16 del D.M. 18 ottobre 2010, n. 180, come modificato dal D.M. 6 luglio 2011, n. 145, per contrasto con gli artt.
24 e 77 della Costituzione.
La questione pregiudiziale ha avuto, per così dire, un effetto assorbente rispetto alle istanze avanzate dalle parti e la Corte Costituzionale non ha potuto effettuare un esame nel merito dei numerosi profili di incostituzionalità sollevati.
Otto ordinanze di rimessione giunte dal Tar del Lazio, dai giudici di pace di Catanzaro (due ordinanze), Recco, Salerno, Parma, e dai Tribunali di Torino e Genova avevano sollevato le seguenti principali doglianze in relazione alla struttura ed alle norme contenute nel d. lgs. 28 del 2010 (2).
1) Corte Costituzionale, sentenza 6 dicembre 2012 n. 272 , Gazz. Uff. 12 dicembre 2012.
2) Corte Costituzionale, sentenza 6 dicembre 2012 n. 272 , Gazz. Uff. 12 dicembre 2012.
Innanzitutto, la lamentata introduzione di una condizione di procedibilità della domanda giudiziale in determinate materie, rilevabile anche d’ufficio, era difforme alle previsioni della legge delega con una deistituzionalizzazione della giustizia civile. Allo stesso tempo, si finiva per dare all’atto che concludeva la mediazione un’efficacia di titolo esecutivo e titolo per iscrizione di ipoteca giudiziale (seppure previa omologa) come si trattasse di provvedimenti del tutto sovrapponibili a quelli giurisdizionali.
Il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, poi, si riteneva in contrasto con artt. 3, 24, 111 Cost., in quanto il legislatore delegato aveva subordinato l’accesso al giudice al pagamento di una somma di denaro con conseguenti ripercussioni in termini di discriminazione tra più e meno abbienti.
Ulteriore profilo di incostituzionalità era quello legato all’introduzione di un termine di quattro mesi per tentare una mediazione, idoneo ad incidere sul principio della ragionevole durata del processo.
Si lamentava poi come ad una scarsa definizione della figura del mediatore corrispondesse una parallela imposizione della mediazione come imprescindibile condizione di procedibilità.
Infine, si presentava il problema dell’assenza della domanda di mediazione nell’elenco di atti soggetti a trascrizione previsto nell’art. 2653 c.c., con ogni conseguenza in relazione al c.d. effetto prenotativo della domanda nell’ambito, soprattutto, dei diritti reali, materia questa rientrante tra quelle destinate al tentativo obbligatorio di mediazione.
Le problematiche sopra individuate sono state, si anticipava, assorbite dalla doglianza centrale rivolta alla Consulta, ossia quella del contrasto del decreto, ed in particolare dell’art.
5 comma 1, sul carattere obbligatorio del tentativo di mediazione, con gli artt. 76 e 77 Cost.
La Corte Costituzionale ha infatti esaminato con priorità, per ordine logico, quest’ultima questione giungendo alla conclusione per cui né gli atti dell’Unione Europea richiamati dalla legge delega, né la legge delega stessa consentono di sostenere che tra i criteri direttivi contemplati all’art. 60 della l. n. 69 del 2009 vi fosse la previsione di una mediazione obbligatoria.
L’illegittimità costituzionale del decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 discende, dunque, dall’eccesso di delega della mediazione obbligatoria poiché strumento non desumibile dalla legge delega stessa.
Più nello specifico, quanto al profilo dell’eccesso di delega, la Corte Costituzionale ha rilevato come l’art. 60 della legge n. 69 del 2009 non avesse fornito alcun esplicito riferimento all’astratta possibilità di prevedere all’interno del decreto legislativo il carattere obbligatorio della procedura stragiudiziale di mediazione. In un passaggio della sentenza, infatti, i giudici hanno sostenuto che “sul punto l’art. 60 della legge n. 69 del 2009, che per altri aspetti dell’istituto si rivela abbastanza dettagliato, risulta del tutto silente” per concluderne che “il denunciato eccesso di delega sussiste, in relazione al carattere obbligatorio dell’istituto di
www.judicium.it conciliazione e alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di
procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie di cui all’art. 5, comma 1, del d.lgs. n.
28 del 2010”. Dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost. estendendo la declaratoria all’intero comma 1, per la stretta connessione degli ultimi tre periodi a quelli oggetto di censure, dunque,
“resterebbero privi di significato a seguito della caducazione di questi”.
I giudici costituzionali affrontano peraltro anche il secondo aspetto determinante per rilevare l’eccesso di delega, ossia l’assenza di un riferimento all’obbligatorietà della mediazione all’interno della normativa europea (3).
La Corte sostiene l’insussistenza di “alcuna esplicita o implicita opzione a favore del carattere obbligatorio dell’istituto della mediazione”. Fermo il favor dimostrato verso detto istituto, in quanto ritenuto idoneo a fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale, il diritto dell’Unione disciplina le modalità con le quali il procedimento può essere strutturato (“può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro”, ai sensi dell’art. 3, lettera a, della direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008), ma non impone e nemmeno consiglia l’adozione del modello obbligatorio, limitandosi a stabilire che resta impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio (art.
5, comma 2, della direttiva citata).
La Consulta, dunque, ha definito la disciplina UE “neutrale” in ordine alla scelta del modello di mediazione da adottare, la quale resta demandata ai singoli Stati membri, purché sia garantito il diritto di adire i giudici competenti per la definizione giudiziaria delle controversie.
In relazione a tale ultimo punto, in effetti, l’interpretazione della neutralità offerta dalla Corte pare porsi in contrasto con l’intenzione del legislatore europeo e in un certo senso snatura l’impostazione dell’intero ordinamento dell’Unione che con la direttiva 52 del 2008 ha inteso imporre lo strumento della mediazione e promuovere al massimo la sua diffusione.
Resta il dato, difficilmente superabile, che a livello europeo non è espressamente prevista l’introduzione di forme obbligatorie di mediazione.
Non vanno dimenticate, poi, una serie di questioni che proprio per la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 5 comma 1 sono rimaste assorbite dalla pronuncia e colpite da una c.d. incostituzionalità in via consequenziale (4) poiché connesse alla obbligatorietà della mediazione.
3 ) Direttiva n. 52 del 2008 reperibile sul sito www.curia.eu.
4) LUISO, L'eccesso di delega della mediazione obbligatoria e le incostituzionalità consequenziali, in Le società, 2013, 1, p. 71; PAGNI, Gli spazi e il ruolo della mediazione dopo la sentenza della Corte costituzionale 6 dicembre 2012, n. 272, in Corriere giur. 2013, 2, pp. 262-‐273.
Si tratta di tutte le norme riferite alla condizione di procedibilità e dunque innanzitutto l’obbligo d’informativa dell’avvocato che permane limitatamente alle materie di giurisdizione condizionata. Rimangono assorbite parimenti le disposizioni sulla durata del procedimento di mediazione e gli effetti sulla ragionevole durata del processo, pur rimanendo in vigore le disposizioni in materia previste agli artt. 6 e 7 in riferimento alla mediazione c.d.
“demandata”.
Tra le norme cadute sotto la scure della Corte per illegittimità derivata (che peraltro non trova una specifica motivazione nel corpo della decisione) si deve rimarcare la incostituzionalità dell’art. 8, comma 5, che era composto di due norme. La prima in base alla quale “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile”. L’impostazione precedente alla sentenza della Consulta riteneva la stessa applicabile a tutti i procedimenti di mediazione e non soltanto quelli derivanti dalla condizione di procedibilità ex lege. La Consulta assume però sulla questione una diversa posizione dichiarandone l’incostituzionalità. Con riferimento invece alla seconda norma contenuta nel comma 5 dell’art. 8, secondo la quale “il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio” (norma introdotta dall'art. 2, comma 35-‐sexies, D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148), il generico richiamo all’art. 5 conduce alla decisione di illegittimità, pur dovendo rilevare come la mancata specificazione del comma 1 non consentiva di ricondurre tale previsione alla sola obbligatorietà legale, ma altresì anche alle altre modalità di accesso alla mediazione quali quelle previste dal comma 2 e dal comma 5 del medesimo art. 8.
Quanto all’art. 13, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale esso è mantenuto solo nella parte che fa salva l’applicabilità degli artt. 92 e 96 c.p.c. in punto di spese processuali.
Del tutto assorbite restano la questione relativa all’incostituzionalità dell’art. 2653 c.c. ed alla necessità di una specifica competenza e professionalità del mediatore.
Cade, inoltre, l’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 11 in conseguenza della demolizione dell’art. 13. Anche in questo caso la Corte collega strettamente (ma il dato è meramente interpretativo e non testuale) queste norme all’art. 5, comma 1, del d. lgs. 28 del 2010, stabilendo un nesso di interdipendenza necessaria tra la mediazione obbligatoria, la proposta del mediatore e le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata accettazione della stessa secondo i parametri ivi fissati.
Pur risolvendo con una sentenza “salomonica” la questione relativa all’ammissibilità della mediazione obbligatoria nel panorama normativo italiano, la Corte Costituzionale ha il merito di aver aperto la strada ad un nuovo dibattito sulla possibile reintroduzione di forme diverse di obbligatorietà della mediazione focalizzato nel ricercare ed adottare strumenti condivisi
www.judicium.it utili a rendere più efficace l’accesso alla giurisdizione: la previsione cioè di sistemi diversi che
anche attraverso meccanismi incentivanti o sanzionatori, di indirizzo o prescrittivi, siano in grado di offrire percorsi rapidi, accessibili ed economici per la soluzione negoziale delle controversie.
In tal senso la mediazione può essere considerata come un aiuto alla giustizia e non come, forse un po’ strumentalmente sostenuto, diniego di giustizia.
Il punto di partenza per realizzare appieno le potenzialità della mediazione è rappresentato dalla coscienza che l’accesso alla giustizia non deve essere il primo rimedio per la soluzione dei conflitti tra le parti. E ciò, non si può tacere, soprattutto nella situazione di congestionamento in cui il panorama giurisdizionale si trova. Il focus, dunque, si deve spostare dal quesito se l’obbligatorietà della mediazione sia ammissibile alle modalità per far si che il tentativo di mediazione sia fruttuoso e non pregiudizievole per le parti. Per usare le parole dell’ex Presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo, insomma, l’atteggiamento di fondo per permettere il successo della mediazione è la convinzione che un simile strumento configuri un miglioramento della giustizia, di certo perfettibile ma da non sottovalutare.
Il problema principale, a posteriori, del d. lgs. n. 28 del 4 marzo 2010 è rappresentato dal modo forzato e oneroso in cui è stato introdotto lo strumento. A ben vedere però molti sono i pregi. La mediazione consente di andare di là dell’ambito del contendere delimitato dalla domanda abbracciando la situazione globale delle parti, per essere uno strumento di assetto degli interessi in contrasto più libero.
Un simile ragionamento, peraltro, è del tutto in sintonia con le tendenze dell’Unione Europea che ha di recente approvato la direttiva ADR ed emanato il regolamento ODR in materia di consumatori (5). Quanto alla direttiva, essa va recepita in Italia entro il 2015 ed a tal fine sarà necessario un intervento legislativo che si attende con curiosità.
5) La nuova Direttiva Ue sulle procedure ADR tra imprese e consumatori è stata adottata il 18 giugno 2013 Si tratta di una nuova delibera in tema di ADR in generale (la n. 11/2013), ma riservata esclusivamente alle controversie dei consumatori. Viene ampliato l’ambito delle procedure di ADR in generale e se ne limita l’applicazione oggettiva alle vertenze tra consumatori e imprese, e non tra impresa e impresa.
La direttiva menziona le “procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie, nazionali e transfrontaliere, concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di servizi tra professionisti stabiliti nell’Unione e consumatori residenti nell’Unione”. Il termine per la sua attuazione è prevista ala massimo per il 9 luglio 2015, e obbligherà il legislatore nazionale ad intervenire pesantemente per regolamentare tutte le procedure, sfruttando magari l’impianto già in essere grazie alla rete degli organismi di mediazione. Quasi contemporaneamente veniva emanato il nuovo regolamento UE n. 514 del 2013 sull’ODR (Online Dispute Resolution), sempre a proposito di consumatori, poi pubblicato sulla GUUE il 18 giugno, che modifica il Regolamento (CE) n. 2006 del 2004 e la Direttiva 2009/22/CE (regolamento sull’ODR per i consumatori).
2. In effetti, si è diffusa la convinzione che non tanto l’obbligatorietà in sé quanto le modalità con cui è stato imposto il tentativo siano state, per così dire, poco felici. La norma sulla mediazione, infatti, è stata formulata in modo tale da imporre dall’alto, in modo forzoso e costoso, uno strumento di regolazione dei conflitti alternativo alla giurisdizione. Ciò in assenza di una opportuna e necessaria opera di educazione alla cultura della mediazione.
L’intervento della Consulta, come prevedibile, ha fatto venire meno tale strumento proprio nel momento in cui il tessuto sociale-‐giuridico, paradossalmente, cominciava ad accettare la presenza di un simile metodo alternativo.
Dal 2010 ad oggi, infatti, si erano creati circa 900 organismi.
Una fotografia statistica di ciò che è avvenuto nel periodo maggio 2011-‐maggio 2012 dimostra come vi sia stato un trend decisamente positivo. Di fronte ad un tentativo obbligatorio di mediazione, quando il convenuto è comparso si è verificato un esito positivo nel 46,6 % dei casi. Ciò dimostra, dal punto di vista fattuale, come lo strumento della mediazione, di per sé, possa essere di certo prezioso nel raggiungimento di un accordo che soddisfi le parti ed allo stesso tempo gravi in modo quantomeno minore sulla giustizia civile.
Il successo è però smorzato proprio dalla constatazione di quella assenza di “educazione” alla mediazione di cui poco sopra. Se è infatti vero che quasi la metà delle mediazioni ha avuto esito positivo, va considerato che soltanto nel 31,1% dei casi il convenuto chiamato in mediazione è comparso (6).
Una simile constatazione porta a chiedersi quale sia il motivo di una simile ritrosia ad abbracciare forme eteronome di regolamentazione delle controversie ed è possibile osservare come la ragione dello scarso successo nella fase “adesiva” non sia da imputare esclusivamente al comportamento ostruzionistico dell’avvocato, in alcuni casi presente, quanto anche alla formazione di prassi contrarie alla mediazione, quali, ad esempio, il comportamento degli enti assicurativi che con una omogeneità davvero sorprendente, qualora convenute in mediazione, non si sono presentate per il tentativo.
Il punto, mi pare, non è tanto il miglioramento della mediazione in sé, come strumento, quanto l’atteggiamento mentale complessivo delle parti rispetto alle ADR. Ancor meno confortanti, infatti, sono i risultati statistici della mediazione volontaria che, nella medesima forbice di tempo hanno visto un risultato positivo solo nel 16% delle iscrizioni. Davvero bassa, poi, la soglia raggiunta dalle mediazioni delegate dal giudice, assestatasi sul 2% delle iscrizioni.
Ebbene, di fronte a simili dati v’è da chiedersi se, piuttosto che puntare l’indice sulla legittimità costituzionale del tentativo obbligatorio di mediazione non sia piuttosto opportuno individuare quali siano gli elementi pregiudizievoli per una riuscita quanto più possibile estesa di un simile strumento. La Consulta, in effetti, nell’ultima pronuncia ha
6) Dati forniti dall’ex Presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo in occasione del Convegno di
studi Mediazione e accesso alla giustizia, Roma, 17 maggio 2013, Università degli Studi Roma Tre.
www.judicium.it sempre sostenuto come l’obbligatorietà del tentativo non configuri un contrasto con il diritto
di azione tale da giustificare declaratoria di illegittimità costituzionale. Tantomeno la direttiva 52 del 2008 può considerarsi un ostacolo in tal senso, considerato come il dettato della norma europea lasci liberi gli Stati di scegliere quale forma di mediazione adottare.
Ecco che, allora, un problema centrale, idoneo a pregiudicare l’ammissibilità dell’istituto è il binomio tra obbligatorietà e onerosità del tentativo di mediazione configurato nella versione originale del d. lgs n. 28 del 4 marzo 2010.
Ancora la previsione, all’art. 8 comma 5, dell’argomento di prova negativo in caso di mancata comparizione (con un serio pericolo in termini di protezione del contumace, ad esempio) risulta norma che, così come formulata, rischia di scontrarsi con principi radicati nel nostro sistema.
La Consulta non si è pronunciata, non essendo entrata nel merito delle istanze, sulla disciplina dell’onerosità della mediazione e le parti si trovano, tuttora, strette in una tenaglia: pagare il contributo unificato in fase introduttiva giudiziale oppure pagare le indennità previste dal d.
lgs 28 del 2010 al fine di costituirsi.
Secondo un autore (7), la connessione tra obbligatorietà e onerosità rendeva incostituzionale la mediazione stessa. Depurata di tale onerosità forzata, la forma obbligatoria non avrebbe ragione di essere esclusa.
3. – Un’interessante istituto rimasto illeso a seguito della falcidia della Corte Costituzionale e degno di particolare attenzione è quello della mediazione demandata dal giudice.
La mediazione delegata affida la propria disciplina all’art. 5 comma 2 d. lg. n 28 del 2010, secondo cui, nella formulazione originale, “il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere alla mediazione. L'invito deve essere rivolto alle parti prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Se le parti aderiscono all’invito, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”.
Tale istituto, partito per così dire “in sordina” rispetto all’esuberante strumento della mediazione obbligatoria, affida al giudice un ruolo di filtro, di valutatore delle chances di componibilità della controversia già intrapresa che, in presenza di determinati indici
7) CHIARLONI, Convegno di studi Mediazione e accesso alla giustizia, Roma, 17 maggio 2013, Università degli Studi Roma Tre.
sintomatici, può deviare verso forme di composizione alternative rispetto al classico iter giudiziale.
A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, e della soppressione del tentativo obbligatorio di mediazione, istituto tanto giuridicamente aggressivo quanto discusso, la forma di mediazione demandata ha progressivamente preso forza, imponendosi nel panorama giurisprudenziale in termini sempre più ficcanti.
Un simile incremento è dovuto, in parte, all’opera zelante di alcuni magistrati, dislocati sul territorio in modo del tutto disomogeneo, i quali paiono aver preso coscienza della forza e delle potenzialità insite nel rimedio di cui all’art. 5 comma 2 del decreto ed hanno cominciato a favorirne un’utilizzazione diffusa, senza imposizioni di sorta, ma con valutazioni ponderate ed equilibrate.
Mi propongo un’analisi delle recenti pronunce in materia, al fine, se possibile, di descrivere lo
“stato dell’arte” in relazione all’applicazione giurisprudenziale dell’istituto.
4. – Alcune indicazioni rispetto alla strada da seguire per uno sviluppo quanto più proficuo possibile dell’istituto della mediazione, come anticipavo, provengono dalle decisioni di alcuni giudici di merito attenti all’istituto.
Con ordinanza del 26 novembre 2012 il Tribunale di Roma, sez. distaccata di Ostia (8) ha insistito sulla necessità, fondamentale per la riuscita della mediazione, di affidare il tentativo ad un organismo serio ed efficiente. Se, come previsto dall’art. 4 comma 1 del d. lgs. 28 del 2010 l’invito alla mediazione avanzato dal giudice costituisce un invito neutrale perché il giudice non individua né l’organismo di mediazione presso il quale effettuare il tentativo di accordo, né la sede, rimettendo la scelta alle parti e in particolare a colui che si attiva per primo, la raccomandazione espressa di individuare un centro dotato di competenza e serietà sembra da salutare con favore, anche al fine di enucleare, dal punto di vista pratico, centri di riferimento a livello territoriale che possano spiccare rispetto ad altri centri dai risultati meno evidenti.
Il Giudice, nell’ambito di una controversia relativa ad un bene immobile venduto a due soggetti diversi, poi pignorato, ed al risarcimento del danno conseguente, ha ritenuto, sulla base dell’istruttoria espletata sino a quel momento e in considerazione dei provvedimenti assunti dal giudice, che le parti sarebbero potute pervenire ad un accordo conciliativo, con il vantaggio di giungere rapidamente ad una conclusione per tutte le parti vantaggiosa, anche
8) Ordinanza Tribunale di Roma del 26.11.12, reperibile sul sito www.mondoadr.it.
www.judicium.it dal punto di vista economico e fiscale (9) della controversia in atto. Ritenuto dunque di
procedere nell’ambito dell’art. 5 comma 2 del d. lgs 28 del 2010 ha evidenziato che, in concreto, diversi e molteplici elementi potessero essere valutati dal mediatore al fine di giungere ad un accordo utile per entrambe.
Il giudice, nello spingere le parti verso un tentativo di mediazione, ha indirettamente individuato, sebbene in embrione, i punti salienti sui quali concentrare l’attenzione, soffermandosi sui punti delicati della controversia ed in questo modo aiutando, verrebbe da dire con intento collaborativo, l’attività del mediatore. Si legge infatti nell’ordinanza come il punto centrale della vicenda fosse il fatto che con sentenza del novembre 2008 il medesimo Tribunale avesse accertato che nella complessa controversia in questione la banca aveva pignorato, seppure con colpa ritenuta non eccessiva, beni non (più) di proprietà del (suo) debitore ma di terzi (tra cui l’attrice del procedimento).
Pur confermando la sussistenza di un “qualche” danno, il giudice ha evidenziato appunto come fosse difficile quantificare quest’ultimo e individuarne la natura in termini di diritto.
Ventilando dunque la “inefficienza” del linguaggio del diritto nel caso di specie, ha ritenuto di fissare un termine per il deposito della domanda di mediazione ad un organismo di mediazione, sottolineando come, non essendo la mediazione obbligatoria nella materia in esame, essa avesse un senso solo se esperita bene e con lealtà, davanti ad un organismo serio ed efficiente, fornito di buona professionalità e con mediatori competenti.
Il Tribunale di Prato, con ordinanza del 16 gennaio 2012, ha specificato come, anche durante la vigenza del tentativo di mediazione obbligatoria, la mediazione delegata dovesse ritenersi applicabile a tutte le controversie, anche quelle oggetto di tale tipo obbligatorio di tentativo (10). Questa soluzione ermeneutica era preferibile non solo alla luce di un principio di economia processuale, ma anche poiché maggiormente compatibile con il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. Inoltre, prosegue il Giudice di merito, l’esercizio del potere discrezionale di delegare il tentativo di mediazione deve tenere conto del favor mediationis quale emerge dall’art. 6-‐bis inserito nel d. lgs. 28 del 2010 dal d.l. n.
212/2011, per cui “il capo dell’ufficio giudiziario […] adotta ogni iniziativa necessaria a favorire l’espletamento della mediazione su invito del giudice ai sensi del comma 2, e ne riferisce, con frequenza annuale, al Consiglio superiore della magistratura ed al Ministero della giustizia.”
9) In tal senso il giudice richiama le previsioni contenute agli artt. 17 e 20 del d. lgs 4 marzo 2010 n.28
10 ) Ordinanza Tribunale di Prato del 16 gennaio 2012, reperibile sul sito www.progettoconciliamo.it
Ebbene, nell’interpretare tale disposizione il giudice di merito è giunto alla conclusione per cui “non sussista più una discrezionalità assoluta in merito all’an dell’applicazione dell’art. 5, II comma, d.lgs. n. 28/2010, ma che tale discrezionalità sia, ormai, circoscritta alla valutazione dei presupposti relativi alla natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti e si identifichi in un giudizio prognostico sulla possibile idoneità della mediazione a definire la controversia”.
Un’applicazione interessante della mediazione delegata, seppur anch’essa riferita alle ipotesi riscontrate durante la vigenza del tentativo obbligatorio di mediazione, è riscontrabile nell’ordinanza del 18 gennaio 2012 dal Tribunale di Verona (11). In tale provvedimento il giudice ha disposto che in caso di pluralità di domande avvinte dal vincolo dell'accessorietà alcune soltanto delle quali soggette a mediazione obbligatoria è estremamente opportuno che le parti vi devolvano tutta la controversia giovandosi del disposto dell’art. 5 comma 2 d.lgs. n.
28 del 2010.
Tra le più equilibrate applicazioni dell’istituto della mediazione demandata vi è la seppur ormai risalente ordinanza del Tribunale di Varese dell’8 luglio 2011 (12).
La causa interessava due proprietari confinanti legati da un pregresso rapporto di vicinato destinato a proiettarsi nel tempo in modo durevole. Il giudice, sul punto, ha subito colto la meritevolezza di salvaguardare la possibilità di conservazione dello stato relazionale in essere posto che la mediazione, osserva il Tribunale di Varese, “diversamente dalla statuizione giurisdizionale, può guardare anche all'interesse (pubblico) alla pace sociale, favorendo il raggiungimento di una conciliazione che non distribuisce ragioni e torti ma crea nuove prospettive di legame destinate a far sorgere dal pregresso rapporto disgregato nuovi orizzonti relazionali”.
Il provvedimento prende posizione rispetto a due ulteriori questioni interessanti.
Da una parte, l'individuazione del soggetto (la parte in senso sostanziale o il rappresentante tecnico) che, nel silenzio della legge, dovrebbe pronunciarsi sull'invito del giudice alla mediazione; dall'altra, il problema dell'individuazione del “foro della mediazione” nell'ipotesi in cui non si arrivi ad una istanza presentata in modo congiunto.
Quanto al primo punto, viene chiarito come l'adesione all'invito non costituisce un atto dispositivo del diritto ma solo una precisa scelta in ordine alla strategia di tutela, azione o
11 ) Ordinanza Tribunale di Verona del 18 gennaio 2012, reperibile sul sito www.progettoconciliamo.it
12) Ordinanza Tribunale di Varese del 8 luglio 2011, in Giur. merito 2012, 1, 65, con nota di Masoni, Tipologie di mediazione nei rapporti con il processo.
www.judicium.it difesa. L'attività dunque può essere demandata agli avvocati nell'estrinsecazione del potere
loro riconosciuto all'art. 84, comma 1°, c.p.c. (13). Nella dinamica processuale, dunque, il giudice, laddove richiesto, una volta formulato l'invito alla mediazione provvederà contestualmente a concedere un rinvio al fine di permettere agli avvocati (pur muniti di procura e investiti del relativo potere) di raccogliere il consenso o dissenso del proprio assistito al percorso di mediazione in modo che la loro decisione sia rispettosa dell'attuale desiderio/bisogno del loro assistito. Ciò, precisa il Tribunale, non può essere trascurato in quanto la mediazione, nel profilo pratico, comporta un esborso economico e un rinvio del processo nel tempo di almeno quattro mesi: elementi che il difensore potrebbe ritenere sia necessario discutere con la parte dove non l'abbia preventivamente fatto.
La legge non ricollega alcuna conseguenza al rifiuto dell'invito del giudice (coerentemente con l'istituto della Court Annexed Mediation, di fatto recepito nell'art. 5 comma 3° cit.) e tale omissione non può essere colmata né con l'art. 116 comma 2° c.p.c., né con l'art. 88 c.p.c., in quanto il legislatore ha voluto che la scelta dei litiganti fosse libera e genuina non influenzata dal timore di ricadute sfavorevoli nella futura decisione giurisdizionale (è una mediazione su invito e non comando del giudice). Le parti sono quindi avvisate che del loro eventuale rifiuto, il giudice non terrà conto nella decisione conclusiva del processo.
Quanto al secondo aspetto, relativo al luogo di svolgimento della mediazione, là dove, a seguito dell’invito del giudice, non si arrivi ad una istanza presentata in modo congiunto (e quindi con completa libertà di scelta proprio poiché condivisa dai litiganti), il tentativo deve tenersi nell'ambito del circondario, anche perché, altrimenti, già gli stretti tempi a disposizione (4 mesi) vanificherebbero il procedimento conciliativo (14). Secondo
13) In tal senso, quando la parte sta in giudizio col ministero del difensore, questi può compiere e ricevere, nell'interesse della parte stessa, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati.
14) Vi è, anche, che, nel caso di specie, essendo una delle parti un consumatore rispetto alla convenuta, l'attività interpretativa può essere orientata dalla Raccomandazione della Commissione del 30 marzo 1998 riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo. Nell'alveo di tale provvedimento europeo, "il principio di legalità" (quivi scolpito nell'art. 7) vuole che "l'organo extragiudiziale non può adottare una decisione che avrebbe come risultato di privare il consumatore della protezione che gli garantiscono le disposizioni imperative della legge dello Stato sul territorio del quale l'organo è stabilito". Ebbene: il cd. foro inderogabile del consumatore è proprio una di quelle regole di favore finalizzate ad evitare che il soggetto debole nel mercato venga "dissuaso" dal ricorso alla Giustizia, ragion per cui le parti vanno inviate a rivolgersi presso un Organismo che abbia sede nel circondario del Tribunale. Taluni, autorevolmente, in Dottrina segnalano come non si possa inserire un referente di competenza territoriale per la mediazione e che la sanzione per l'eventuale uso distorto della libertà di scelta del Foro mediativo è, in seno al processo, la non applicazione delle sanzioni previste per il rifiuto di sedersi al tavolo della conciliazione. Tale pregevole indicazione finisce, però, per cancellare un aspetto importante della mediazione che è, in primis, un servizio a favore del consumatore. Altrimenti detto: con la mediazione viene offerta al soggetto l'opportunità di evitare il processo, comporre la lite e pervenire ad un assetto pacifico del contendere. La Dottrina citata, con la sua interpretazione, di fatto ignora questo aspetto e trascura un dato di rilievo: a foro di mediazione scollato dai criteri
un’interpretazione orientata alla salvaguardia della funzionalità dell'istituto almeno per il caso della mediazione su invito del giudice, il magistrato può indicare l'ambito territoriale entro cui svolgere la mediazione, onde evitare che l’invito a comparire avanti ad un organismo di mediazione dislocato territorialmente in un luogo eccessivamente lontano per una parte possa essere utilizzato strumentalmente dall’altra parte per bypassare l’invito del giudice alla soluzione conciliativa della controversia.
Sulla base di tale considerazione, il Tribunale di Varese, nell'invitare le parti a riferire se intendessero avvalersi o meno della possibilità di mediazione, come sollecitata dal giudice, ha disposto che l'organismo competente dovesse trovarsi all'interno del circondario del Tribunale di Varese, abilitando i difensori a conferire con le parti sostanziali.
Una recentissima ordinanza del medesimo Tribunale di Varese del 13 gennaio 2013 (15) di poco seguente alla sentenza della Corte Costituzionale, “ripesca” la mediazione, sebbene non più obbligatoria, quale strumento utile per il deflazionamento della giustizia e la risoluzione delle liti. La controversia traeva origine da questioni contrattuali relative al presunto inadempimento della parte opponente alle obbligazioni derivanti dal contratto fiduciario concluso con la parte opposta. In sede d'udienza, le parti, come spesso avviene, chiedevano congiuntamente un rinvio per trattative, facendo scorgere al giudice lo spazio per una soluzione conciliativa della lite. Ebbene il giudice, raccogliendo la richiesta di rinvio per trattative, ha ritenuto utile utilizzare il tempo di tale rinvio per proporre alla parti di valutare di proseguire la causa oppure attivare i “canali conciliativi dinanzi ai mediatori, a sensi dell'art. 5 comma 2 d. lgs. 28 del 2010, tenuto conto del comportamento delle parti, ed ha rinviato la causa ad un'udienza successiva per raccogliere eventuali consensi o dissensi.
Ad avvalorare tale proposta, continua il tribunale di Varese, il rilievo dell'utilità dell'istituto della mediazione delegata nella cornice del d. lgs. 28 del 2010, mutata a seguito della sentenza Corte Cost. 272/12, e la considerazione che, dal 2012, le A.D.R. sono state selezionate dalla Commissione europea per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa) come uno degli elementi di valutazione del sistema giudiziario.
Ancora il Tribunale di Varese, con ordinanza del 9 novembre 2012 (16), si è pronunciato sull'istituto della mediazione delegata quale “cellula resistente” dell'impalcatura del d. lgs. 28
inderogabili, alla fine al soggetto debole sarà stata "tolta" l'occasione di una mediazione o,
comunque, di scegliere se sostenerla o meno (posto che l'avere la controparte adito il foro dissuasivo ha di fatto già deciso le sorti della fase extragiudiziale). Senza considerare che la controparte di un soggetto debole può anche avere interesse a evitare la fase di mediazione e, quindi, può presentare istanze con il solo fine di "saltare" la mediation. Applicati al caso di specie, gli effetti rischiano di essere distorsivi in quanto l'invito del magistrato (accolto dai litiganti) verrebbe vanificato poi in concreto se una delle parti, interessata all'allungamento dei tempi del processo, presentasse una istanza in un luogo di grande distanza geografica dal tribunale così ottenendo, come risultato, quello di avere sicuramente dilatato la decisione del giudice e al contempo evitato la mediazione.
15) Ordinanza Tribunale di Varese del 13 gennaio 2013, reperibile sul sito www.mediatori.it
16) Ordinanza Tribunale di Varese del 9 novembre 2012, reperibile sul sito www.ilcaso.it
www.judicium.it del 2010 nella zona grigia precedente il deposito delle motivazioni della sentenza della
Consulta, disponendo come in nessun modo tale pronuncia abbia inciso sull'istituto della mediazione delegata.
Rientra nella stessa categoria il provvedimento del Tribunale di Lamezia Terme (17) che, con ordinanza dell'8 novembre 2012, si è pronunciato su una controversia afferente rapporti bancari. La materia rientrava nell'ambito di applicazione dell'art. 5 comma 1 del d. lgs. 28 del 2010, sicché veniva fissato termine per l'instaurazione della relativa procedura una volta consumato il potere delle parti di chiedere i provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c.
L'ordinanza si colloca temporalmente nelle more del deposito delle motivazione della sentenza della Consulta che ha dichiarato l'incostituzionalità della mediazione c.d.
obbligatoria: la norma di cui all'art. 5 comma 1 del d. lgs. 28 del 2010 era, dunque, ancora valida ed efficace. Ebbene, il giudice, precauzionalmente, ha disposto che, ove nelle more del decorso del termine assegnato, fosse stata pubblicata la citata sentenza caducatoria, il relativo rinvio si sarebbe dovuto intendere come invito del giudice, ai sensi dell'art. 5 comma 2, considerata la natura della causa e la possibilità di valutare una trattativa proprio sulla base delle considerazioni (in diritto) contenute nel provvedimento.
Il Tribunale di Varese con ordinanza del 14 dicembre 2012 (18) si è ancora pronunciato in tema di mediazione delegata in una controversia avente ad oggetto questioni economiche nella fase esecutiva (opposizione ad atto di precetto) relativa a parti già coniugi, successiva alla separazione giudiziale. La pregressa sussistenza di legami familiari e il tipo di difese e contestazioni introdotte in giudizio dai litiganti, suggerivano di sottoporre alle parti l'opportunità di un percorso di mediazione delegata dal giudice, stabilendo il principio per cui questa forma di mediazione è espressione del diritto del destinatario del Servizio Pubblico di Giustizia di potere beneficiare della procedura di risoluzione amichevole della lite, in linea con la cultura giuridica propria di altri Ordinamenti Europei (e non). L'art. 5 comma 3, insomma, riconosce il diritto dei litiganti alla possibilità di sperimentare il tentativo di mediazione e, nel riconoscere questa situazione giuridica soggettiva, conferisce al giudice il potere di farsi veicolo per valorizzare e sfruttare potenzialità di composizione bonaria della vertenza. Quanto è reso evidente dalla matrice volontaristica dell'istituto che non nasce dalla imposizione del giudice bensì dalla volontà delle parti stesse, totalmente libera in quanto il rifiuto non deve nemmeno essere motivato e non attrae nessun tipo di conseguenza.
Altrimenti vi sarebbe il rischio di veicolare, mediante forme di mediazione delegata una forma surrettizia di mediazione obbligatoria.
5. La mediazione delegata presenta, in effetti, alcuni punti di forza.
17) Ordinanza Tribunale di Lamezia Terme del 8 novembre 2012 reperibile sul sito www.ilcaso.it
18) Ordinanza Tribunale di Varese del 14 dicembre 2012 reperibile sul sito www.ilcaso.it