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USEFULLNESS, SOMETIMES NECESSITY, OF EXISTENTIAL DAMAGE

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Academic year: 2022

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TAGETE 4-2007 Year XIII

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USEFULLNESS, SOMETIMES NECESSITY, OF EXISTENTIAL DAMAGE UTILITÀ, A VOLTE NECESSITÀ, DEL DANNO ESISTENZIALE

Dr. Angelo Bianchi*

Riassunto

In questo contributo l’Autore sostiene l’utilità della categoria giuridica di danno esistenziale, che viene ad offrire cittadinanza ad una serie di ingiuste compromissioni non patrimoniali, altrimenti destinate a dilatare impropriamente i confini del danno biologico di natura psichica, alterandone l’identità giuridica e scientifica.

Nella parte finale, vengono richiamate alcune riflessioni di Melchiorre Gioia, che a buon diritto può essere considerato un precursore dell’attuale dibattito in tema di nuovi danni non patrimoniali.

*Neuropsicologo forense, Arezzo

ABSTRACT

Dr Angelo Bianchi, forensic neuropsychologist, supports the usefulness of the legal category of

“existential damage”. It gathers all non-patrimonial damages that otherwise would be improperly included into the psychical “biological damage”, distorting its legal and scientific identity. Psychic damage in medical nosography refers to no more than ten different pathologies. On the contrary, it seems more useful trying to use a methodology of damage evaluation based on existence.

“Existence can be damaged for different reasons – grown poor, fuddled, compromised - not only because of illness, disability or psychic illness”. In this way “existential damage”, when correctly used in legal medicine, is fully compensating the suffered damage. The Author also quotes Melchiorre Gioia, that can be considered forerunner of current discussion on non-patrimonial damages.

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2 Il danno esistenziale è non solo utile, ma in alcuni casi necessario, proprio allo scopo di arginare l’altrimenti inevitabile dilatazione dell’area del danno biologico di natura psichica.

1. Prima del danno esistenziale, il danno biologico di natura psichica, o danno psichico tout court, era stato indebitamente dilatato e distorto, non riuscendo altrimenti ad offrire ristoro a tutta una serie di pregiudizi non adeguatamente tutelati dallo striminzito ed esangue danno morale, ormai condannato a restare transeunte per sempre (ed anche questo ossimoro, del tutto involontario, la dice lunga…).

2. Alcuni esempi concreti, facilmente riscontrabili nella casistica di ogni consulente tecnico:

• il danno da lutto delle vittime secondarie, perpetuamente oscillante tra lutto fisiologico, disturbo dell’adattamento (quasi niente in termini tabellari), disturbo depressivo maggiore cronico, distimia, disturbo schizoaffettivo, disturbi vari della personalità e perfino psicosi post-traumatica, in una folle rincorsa al più alto punteggio tabellare possibile…

• L’abuso sistematico della diagnosi di Disturbo post-traumatico da stress (una categoria nata all’epoca della guerra del Vietnam, tanto per capire di cosa si tratta)

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3 ed invocato anche per l’esposizione alla fotocopiatrice dell’ufficio o alla televisione del vicino (non è un’esagerazione, ve lo assicuro…).

• L’impossibile classificazione nosografica del “disturbo” presentato dai familiari di un soggetto reso gravemente invalido da un trauma, le cui vite diventano improvvisamente febbrili e frenetiche, senza orari. Se si danno tanto da fare, come fanno ad essere depresse?

• E che dire delle conseguenze psichiche delle menomazioni somatiche? Delle incredibili reazioni psicopatologiche al minimo graffio?

• E ancora: la difficile valutazione delle cosiddette conseguenze “dinamiche e relazionali” del danno. Come apprezzare adeguatamente la perdita che la menomazione è in grado di produrre sulle attività realizzatrici della persona, se non

“aggiungendo” una menomazione psichica alla menomazione somatica, in un calembour di doppie e triple diagnosi da far tremare i polsi (e scuotere le sicurezze) di ogni bravo epidemiologo?

• L’ancor più difficile apprezzamento del danno da privazione o coartazione della libertà personale, sottomissione forzata, manipolazione del consenso, violazione della riservatezza, lesione dell’immagine sociale, dell’onore ecc. Tutte voci di danno che – trasformate in altrettante lesioni dell’integrità psicofisica – finivano per suggerire erroneamente l’idea che la salute contenesse in sé ogni valore…

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4 3. Tutto diventava, o era chiamato a diventare, malattia mentale, sofferenza e piagnisteo. Come re Mida, il danneggiato trasformava tutto ciò che (gli) toccava in sintomo di malattia. Per di più – e questo è forse l’aspetto più inquietante – permanente.

4. Ma questa pervasività della nosografia non giovava né al danneggiato, costretto ad assumere impropriamente il ruolo di malato, fino a restarne talvolta intrappolato per sempre, senza possibilità alcuna di resilienza (come fai a star meglio se devi continuamente dimostrare di essere ancora malato?); né tantomeno alla scientificità del danno psichico, che per il fatto di essere in natura un danno rilevabile solo (o in grande prevalenza) attraverso segni comportamentali, non per questo sopporta di essere ridotto a chiacchiera ed opinione in libertà, seppur contrabbandata come scienza.

5. Ma perché continuo a parlare al passato? Non è ancora questo ciò che accade ogni giorno? Come consulente tecnico e come (lo dico con la massima modestia) scienziato della mente, non ne posso proprio più delle perizie per danno psichico infarcite di diagnosi stravaganti, accompagnate da richieste tabellari vertiginose, con “forbici” tra le richieste delle parti regolarmente a due cifre,

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5 supportate da argomentazioni prive di ogni ragionevole fondamento scientifico, e così via. Chi di noi non ha fatto questa sgradevole esperienza?

6. Conoscete le ruvide espressioni in uso nelle corti statunitensi a proposito di psicologi, psichiatri ed altri esperti di disturbi mentali?

“Courtroom whores”, “Hired guns”, …

Da noi, le cose vanno ancor peggio, dal momento che il danno psichico – considerato (senza la minima ombra di dubbio teoretico) come una semplice specie del genere danno biologico – viene normalmente valutato e tabellato dai soli medici legali, in modo più o meno frettoloso, sulla base di “guide” e compendi vari. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ma no: qui la scienza – ci dicono - regna sovrana, ed è invece l’esistenziale il regno dell’opinabile e dell’arbitrario…

7. Allora, che il danno psichico diminuisca: divenga sobrio e fondato su solide evidenze scientifiche. Le scienze della mente – sia le tradizionali che le nuove - non hanno che da guadagnarne, e le corti pure. I danni psichici eziologicamente riconducibili ad eventi – per quanto traumatici possano essere – non sono più di una decina, e tutti rigorosamente accertabili con opportune metodologie. Aumenti l’investimento intellettuale, il numero ed il tipo di specialisti coinvolti nella valutazione

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6 di entità complesse come il danno psichico, ma solo per ricondurlo – com’è doveroso – entro i canoni di rigore metodologico propri della nobile tradizione medico legale.

8. E che il danno esistenziale cresca: si possa finalmente identificare e risarcire integralmente il danno senza dover necessariamente passare attraverso la nosografia, senza trasformare il torto in sintomo. Anzi, si renda al danneggiato la sua dignità, lo si rimetta in piedi e a testa alta, senza incoraggiarne l’infantile regressione al ruolo di malato.

Il danno esistenziale insegna a guardare alla vita come al referente ultimo dell’accertamento tecnico, liberando lo sguardo del consulente dalla necessità di comprimere la vita stessa entro categorie nosografiche troppo anguste.

Comprimere la vita entro la nosografia significa altresì – specularmente - dilatare impropriamente il concetto stesso di malattia, rendendolo alla fine inutile e socialmente dannoso.

Dovremo lavorare molto, nei prossimi mesi, alla costruzione di una metodologia di valutazione rigorosa, come pure ad un sistema di quantificazione appropriato del danno che finalmente abbiamo imparato a riconoscere e denominare come esistenziale.

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7 ALLA SCOPERTA DEL DANNO ESISTENZIALE CON MELCHIORRE GIOIA

Desidero terminare dedicando alcune riflessioni, o meglio lasciando spazio alle riflessioni di Melchiorre Gioia – al cui nome l’Associazione organizzatrice di questo prezioso evento è intitolata.

Nonostante che Melchiorre Gioia sia noto soprattutto per la celebre “regola del ciabattino”, una sorta di incisivo sommario dei criteri di risarcimento del danno patrimoniale, la sua opera Dell’ingiuria, dei danni , del soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili (Milano, 1821) contiene molte importanti suggestioni anche in tema di danni non patrimoniali:

• “Mancano le basi precise per calcolare il soddisfacimento in ogni generazione d’ingiurie;

• “Si fa uso d’alcune basi erronee ed ingiuste;

• “Si lascia senza soddisfacimento gran parte de’ danni;

• “È tuttora incerta, confusa, oscura l’idea del danno nella mente dei commentatori curiali.

Essi restringono il danno all’oggetto materiale diminuito o distrutto, e non veggono danno ove non possono applicare il compasso, la squadra o il trabucco.”

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8 Non c’è bisogno di sottolineare la modernità – oltre che la pungente ironia – di queste affermazioni.

Ma non è tutto. Subito dopo aver enunciato la celebre regola del ciabattino, Melchiorre Gioia ricorda che “Ne’ casi d’indebolimento o distruzione di forze industri, considerando il soddisfacimento come uguale al lucro giornaliero diminuito o distrutto, noi restiamo molto al di sotto del valore reale, giacchè una forza umana può essere riguardata come:

• Mezzo di sussistenza;

• Mezzo di godimento;

• Mezzo di bellezza;

• Mezzo di difesa.

“Rendendo paralitico, per esempio, l’altrui braccio destro o la mano, voi togliete al musico il mezzo con cui si procura il vitto divertendo gli altri, al proprietario il mezzo con cui si sottrae alla noia divertendo se stesso, alla donna il mezzo con cui gestisce e porge con grazia, a chiunque il mezzo con cui si schernisce da mali eventuali difendendosi.”

Non è questa un’intuizione da vero precursore del danno esistenziale?

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9 E ancora:

“Dobbiamo dunque ricercare qualche oggetto cui più frequentemente l’opinione confronta le ingiurie, e cogliere i risultati dei confronti.

“Questo termine di paragone si trova appunto nell’amore della vita.

“Nel valore della vita individuale si può dunque rinvenire una norma comune…”

Riferimenti

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