Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
Dr. Raffaele Castiglioni *
È materia fluida la responsabilità civile, sensibile agli umori della società. Fluidissimo il danno biologico. Tende a solidificarsi in principi stabili il danno biologico somatico. Rimane liquido il danno biologico psichico. E anche il danno morale. Psichico e morale tendono a mescolarsi. Viene da chiedersi se non siano la stessa cosa. E vien da chiederselo quanto più si penetra nelle argomentazioni ‐ fragilissime ‐ che vorrebbero dimostrarne le inconciliabili differenze.
1. Caso e necessità 1.2. Il caso.
È la variabilità storica.
Per l'art. 1151 del vecchio codice Pisanelli, 1865, "qualunque fatto dell'uomo che arreca danni ad altri obbliga quello per colpa del quale è avvenuto a risarcire il danno".
I lavori preparatori per un nuovo codice civile cominciano nel 1924. Dall'idillio fra la Commissione reale per la riforma dei codici e la Commission française d'études de l'union législative entre les nations alliées et amies nasce un progetto di "codice delle obbligazioni e dei contratti comune all'Italia e alla Francia". È il 1928. Negli anni seguenti si cambiano amori.
L'infatuazione per la Germania si consolida. Quello che non è tedesco sembra meno bello.
Anche il codice francesizzante. Il libro delle obbligazioni e i contratti, agosto 1939, viene ritirato.
Dal fumo dell'equivoca "intesa" giuridica italo‐tedesca, 1937, si passa ai fatti. Ai convegni giuridici italo‐germanici, a Roma nel 1938, a Vienna nel 1939. Si discute di romanesimo e germanesimo, di unificazione legislativa del diritto delle obbligazioni, di principi comuni nel diritto delle obbligazioni dei due paesi. L'entusiasmo retorico e teatrante prende la mano. La
"collaborazione fra romanità e germanesimo nel campo del diritto" diventa "un alto dovere e un fortunato compito che questo momento storico, ricco di fati, affida ai giuristi delle due nazioni" (M.
D'Amelio, 1941, 67). Grandi è guardasigilli. Aveva già criticato le matrici del progetto del libro delle obbligazioni, non più recenti ‐ avevano più di dieci anni ‐ e, soprattutto, troppo razionaliste. Adesso ritira il progetto.
Nuovo codice, 1942. L'art. 2043 è riscrittura del vecchio 1151. Di nuovo c'è il conio dell'aggettivazione ‐ "ingiusto" ‐ del danno. La ricchezza di fati partorisce l'art. 2059.
Nuovissima trovata. Ricalca il § 253 BGB. Dal BGB si pesca la dicotomia fra "danno patrimoniale" e "danno non patrimoniale". Tertium non datur. Verrà dato lo stesso, una quarantina di anni dopo, negli anni Ottanta. Sarà il danno biologico.
* Medico legale e avvocato, Milano
1.2. La necessità
Il gene del sistema subisce la mutazione. E il sistema deve farci i conti. La mutazione è funzionale a nuovi adattamenti. In natura. Nella storia è funzionale solo a fugaci contingenze.
Eppure, è poi impossibile disfarsene, anche quando non è più utile. Anzi, quando è di ostacolo alla comprensione di nuove esigenze.
Forse il 2059 poteva sembrare, alla nascita, una novità rivoluzionaria. Con l'art. 2059, si sbrecciava la concezione rigorosamente patrimonialistica del danno. Si dava ingresso alla risarcibilità di un danno ‐ di tono minore ‐ che patrimoniale non era. A certe condizioni. Allora accettabili, perché non cozzavano con i principi dello Statuto Albertino. La Grundnorm repubblicana non era ancora nata. Non che il danno morale fosse sconosciuto. La dottrina e la giurisprudenza l'avevano già definito. Da decenni. Era "quel danno che opera esclusivamente sulla nostra personalità morale, che consiste cioè in una sofferenza la quale non ha alcuna ripercussione sull'entità del nostro patrimonio presente o futuro" (Pacchioni, 1911, 3).
L'insanabile diatriba era sulla risarcibilità o irrisarcibilità del danno morale. La clausola generale dell'art. 1151 non bastava a sancire la risarcibilità di qualsiasi tipo di danno. Contava la secolare tradizione. Danno era quello alle cose, che diminuiva il patrimonio. Ma forse, una sola clausola generale alla francese, come il vecchio 1151, avrebbe facilitato la rilettura costituzionale del sistema. Con la centralità dell'uomo e non del patrimonio.
Il 2059 è ormai nel sistema delle obbligazioni da illecito. Brontosauro (Monateri, 1989, 1176). Si tenta di scalzarlo al banco di prova della costituzionalità. Ma vive ed è vitale, non ancora fossile da museo.
2. Danno biologico
È slogan dire che nasce con il memorabile arrêt 184/86. La sentenza coglie un frutto maturo.
Dopo lunga gestazione. Libera il danno alla salute dai lacci dell'art. 2059. Lo trasporta nell'art. 2043. L'aveva lasciato nel 2059 anni prima, con le sentenze 87 e 88/79. In compenso, aveva già affermato che la strozzatura 2059 non valeva per un bene primario come la salute.
Con un primo morso, aveva cominciato a erodere l'archeologica norma.
2.1.Danno biologico fisico e psichico
La sentenza 184/86 non distingue. Non potrebbe, perché lo psichico è ancora relegato nel morale. In astratto, va bene per i due generi.
Qualcosa affiora già in quegli anni, nelle corti di merito. Con sfortunati esiti (infra, 4.1).
Sbaglia chi dice che la sentenza del danno psichico è la 372/94. Statuisce, ancora nella scia dell'infinito dibattito su questioni di legittimità del 2043 e 2059. Si occupa anche di pregiudizio all'integrità psico‐fisica dei congiunti della vittima. Non del danno psichico tout court, ma di questo aspetto del danno psichico. Aspetto particolare. Tant'è vero che lo lascia nella sfera del 2059.
2.2. Danno non patrimoniale equivale a danno morale
Lo dimostrerebbe la filogenesi dell'art. 2059. È la sentenza 184 a dirlo. "Morale” rimane aggettivo equivoco. Evoca antiche diagnosi alienistiche, la "pazzia morale", pertinenti la psiche.
E anche filosofemi metafisici, riguardanti lo spirito. La Corte ne definisce rozzamente la natura: "turbamento psicologico", "patema d'animo", "stato d'angoscia". Terminologia più psichica che spirituale. Ma resta nosografia d'accatto, senza diritto d'asilo neppure in dozzinali libretti di psicologia divulgativa; e neppure in rubriche da rotocalco. Però pontifica.
3. Danno psichico
Il danno psichico finalmente attecchisce, sul tronco già vigoroso del danno biologico (fisico).
Germoglia, fiorisce, infittisce, diviene intricato viluppo, difficile da penetrare.
3.1. Danno psichico e danno psicologico
Estremi di un continuum (Pajardi, 1990, 27). A un estremo le "situazioni in cui è chiara la compromissione di certe funzioni ed è altrettanto chiaro il rapporto eziologico". All'altro le
"situazioni in cui sia i sintomi che le cause sono molto meno definiti". Prescindiamo dalle cause.
Problema a sé. Sembra che lo "psichico" attenga alla malattia, alla psicopatologia. E lo
"psicologico" alla normalità.
È, in effetti, accezione più ristretta, quella di "danno psichico" (Petti, 1996, 31; 1999, 67).
Propria della medicina legale. Anche Petti accarezza l'aggettivo "psicologico". "Danno psicologico" è il turbamento psichico "accertabile anche non medicalmente (o con l'ausilio della scienza psicologica o psicoanalitica)". Va rifiutato l'orientamento restrittivo (infra, 4.7), che
"privilegia solo un ramo della scienza medica, senza spiegare perché ne rifiuta gli altri (quello neurologico, psicologico analitico, ecc.)".
La qualificazione "psicologico" suscita facili giochi sillogistici. La psicologia concerne la normalità. Come la fisiologia. Ergo, parlare di "danno psicologico" sarebbe come parlare di
"danno fisiologico". Ossia, di un danno che non esiste, perché ciò che è psicologico ‐ leggi
"normale" ‐ non è danno. È tesi ‐ orale, non stampata ‐ di un medico psichiatra. Privilegia la malattia. Non sorprende (infra, 4.7).
4. Danno psichico e danno morale
Concetti inafferrabili, sfuggono a definizioni stabili, nella chicane fra giurisprudenza volubile e dottrina discorde.
4.1. Rêverie autobiografica
Tanto più indefinito è l'argomento, tanto più ognuno ci mette di suo. Tanto vale stare nel concreto particolare, anziché disquisire di astrazioni. Un percorso autobiografico può essere interessante. Ogni chicaneur della materia ha il suo. La sua concezione. Se la fa con i soliti mezzi. L'osservazione casistica. Qualche relazione illuminante ‐ rectius, tale ritenuta ‐ ai convegni. Qualche lettura. Ci si fa un'idea. Si colgono altre idee per alimentarla e perfezionarla.
Un excursus autobiografico impone la prima persona.
Fine anni Ottanta. Mi capita all'osservazione un'anziana donna. Ha perso il marito in un incidente. Ha avuto sorte più benigna. Solo un trauma del capo. Le sequele fisiche sono riconosciute come danno alla persona, già "biologico", perché siamo nel 1987. La donna azzarda un cenno al suo "esaurimento nervoso". Sarà per la morte del marito. "Esaurimento nervoso" è locuzione popolare, designa qualcosa di psichico. Qualcosa c'è, in effetti, e sembrerebbe dipendere dalla morte del marito. Ma non si chiama ancora danno biologico psichico. Esiste già, nella fenomenologia naturale, la depressione delle vedove per la morte del marito. C'è, ma, trattando cause e facendo consulenze medico‐legali, non si vede, perché manca ancora il canone interpretativo giuridico del fenomeno. Fino a poco prima non si parlava neppure di danno biologico. Il danno psichico è sconosciuto. Il biologico psichico viene relegato nel sottoscala del danno morale. Figuriamoci il danno da lutto.
Mi arrivano altri casi di preteso danno psichico. Disparata casistica. Per lo più incidenti con
lesioni fisiche ‐ di piccolo peso ‐ con postumi fisici ‐ altrettanto modesti ‐ nonché susseguenti ‐ temporalmente ‐ postumi psichici. Il somatico è danno, lo psichico no. Questa volta non è questione di qualificazione del danno, ma di nesso causale. Con ricorso al concetto, bizantino e bugiardo, di "causa spuria", ovvero "occasionale". È il "momento liberatore della causa", ossia ha funzione enzimatica, maieutica. Da sé sola ha minima importanza, è assolutamente inidonea a produrre l'effetto (Cazzaniga e Cattabeni, 1976, 135). È intercambiabile con altri eventi simili.
Mostriciattolo medico‐legale, privo di spessore giuridico. Se è "assolutamente inidonea" non è causa. Se ha pur "minima importanza" è concausa. Il giudice non se ne accorge. Le argomentazioni del consulente tecnico, immuni da vizi logici, diventano sentenza. Ma sbagliate sono le premesse. La logica è serratissima e porta a conclusioni sbagliate, consone alle premesse.
I pionieri non hanno mai fortuna.
Primi anni Novanta. Trovo un libricino dei Quaderni di Studi Senesi, autore D'Amico (1992).
Dubita delle differenze fra psichico e morale (infra, 4.8). Condivido, già allora, il dubbio.
Passa qualche anno. Anche qualche giudice comincia a dubitare. Accade a Bologna, 1995, in un ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale (infra, 4.8). Finalmente!
A Pisa, gennaio 1996, Busnelli è relatore a un seminario di Medicina Assicurativa 1. Parla dei rapporti fra diritto e medicina legale. Tre fasi. Incompatibilità di carattere, quando vige la concezione danno‐patrimonio. Matrimonio, quando si sovverte la concezione. Il danno è prima alla persona, poi al patrimonio. Danno primario è solo il danno biologico e solo il medico legale può apprezzarlo. Si delinea oggi la terza fase, quella del possibile tradimento. Da frettolosi appunti manoscritti: "Sullo sfondo sta sopraggiungendo un amante, sia nella pratica, sia nello studio. È l'avanzata dei nuovi scienziati, psicologi, sociologi, maghi, ecc. Il giurista è attratto da un danno che non passa dal medico legale, ma costituisce frustrazione di desideri, mancata realizzazione della personalità o di decoro. Siamo oggi di fronte a uno dei maggiori pericoli, quello del fallimento. Quando le voci di danno aumentano troppo, non è possibile far quadrare il cerchio. O ci si espande a detrimento del concetto della lesione del valore forte; oppure si rinuncia all'espansione illimitata e si lavora sui valori forti. Postulato: finché resiste il matrimonio fra giuristi e medici legali, abbiamo garanzia che le risorse sono impegnate bene. Se il matrimonio si sfalda o diventa tralaticio, si gabella per danno alla salute quello che tocca gioia di vivere, desiderio di giocare a golf, brama sessuale, ecc. Tutto questo va a detrimento di valori forti. I valori forti vanno ricercati nella Costituzione. La Costituzione americana parla di felicità della persona. Da noi il valore forte è la dignità della persona. E allora bisogna essere seri: la responsabilità civile non può diventare il cavallo di Troia per farci entrare i desideri".
Poco dopo la Corte Costituzionale boccia il Tribunale di Bologna (infra, 4.8). Delusione.
Viareggio, gennaio 1998, a un seminario di Diritto Assicurativo 2. Relazione del Consigliere Petti. Anche qui da frammentario manoscritto: disappunto per le domande incomplete degli avvocati, perché "nelle linee difensive, quanto più analitiche saranno le richieste, tanto più integrali saranno i risarcimenti; attenzione alle domande al perito, che è medico‐legale e tende a sottovalutare"; poi raccomandazioni per la precisa determinazione dei danni; a ciascuno la sua competenza: "la componente fisica è medicalmente accertabile; per la componente psichica
1 1° Master in Medicina Assicurativa, Pisa, gennaio-maggio 1996
2 II Corso di perfezionamento in Diritto Assicurativo, Viareggio, gennaio-marzo 1998
nascono le dispute: scuola neurologica, scuola psichiatrica, scuola psicoanalitica; nel danno psicologico sorge il problema se è sufficiente l'accertamento medico‐legale, ovvero se, anche senza malattia, in realtà, la persona continua a soffrire o a essere depressa; la capacità produttiva e concorrenziale non è medicalmente accertabile, ma è una componente sociologica; attenzione agli errori, tanto più se il giudice di pace o il giudice unico inchinano la testa di fronte a un medico di prestigio"; ancora ai difensori: "questa pluralità di voci di danno non esiste quasi mai nei documenti; si deve ricordare che il danno alla persona non è solo danno biologico, ma lesione di qualsiasi diritto inviolabile, che include anche il diritto alla salute". Il danno biologico, pur fondamentale, non esaurisce il danno alla salute.
La casistica di pretesi danni psichici si moltiplica. Sette, quarantatré, centonovanta casi.
Segnano tre tappe. Sette casi per un lavoretto sul nesso di causalità materiale (Castiglioni, 1992). In prima battuta la redazione di una rivista medico‐legale non lo accoglie bene. Un redattore: "ho preso in esame più volte il lavoro, ricavandone sempre una discreta difficoltà di lettura", anche se "non si può negare un certo interesse al lavoro". Miglior fortuna – senza riserve – trova in una rivista giuridica. Andiamo avanti. Quarantatré casi per il Convegno di Montecatini "Le nuove frontiere del danno risarcibile", maggio 1995 (Castiglioni, 1995). Ricordo il sottotitolo del Convegno: "Quando i confini tra danno morale e danno biologico, nel suo aspetto psichico, sono incerti e mal definiti". Centonovanta (fino a fine 1998) per un incontro a Piacenza, nel marzo 1999 3. Un'altra quarantina mi arriva dopo, nel corso del '99.
Con la casistica si moltiplica la tipologia: ripercussioni psichiche da menomazioni somatiche;
da immissioni; da aggressioni; da eventi stressanti; da gravi lesioni di stretti congiunti.
Esplode il tema del mobbing e del danno da lutto.
Si fa più corposo il (mio) dubbio che sia artificiosa la distinzione fra danno biologico psichico e danno morale come pretium doloris. Ergo ‐ se distinzione non c'è ‐ uno dei due non esiste.
Oppure il danno morale non è pretium doloris.
4.2. Danno evento e danno conseguenza
Il danno biologico è evento materiale, dannoso o pericoloso, costitutivo del fatto. Un successivo nesso, con l'intero fatto, è necessario all'epifania del danno morale, tipico "danno‐
conseguenza". Il danno biologico è "danno specifico, un tipo di danno, identificandosi con un tipo di evento". Il danno morale, invece, "può derivare da una serie numerosa di tipi di evento, come genere di danno‐conseguenza". È la Consulta a dirlo, nella lunga sentenza del 1986.
1994, sentenza 372, sul danno biologico patito iure proprio dai congiunti: "non è identificabile come danno evento, apparendo soltanto come conseguenza della lesione di un diritto altrui". La morte del congiunto non comporta necessariamente lesione della salute dei superstiti. C'è danno biologico solo "ove si dimostri che l'infortunio mortale ha causato a un familiare una lesione fisio‐psichica". Per esempio, "infarto da shock" ‐ con oscura approssimazione ‐ o "stato di prostrazione tale da spegnere il gusto di vivere". Così è danno risarcibile, ma non ex 2043, perché manca il requisito della colpa in capo al danneggiante, non potendo questo prevedere l'evento.
Perplessità. Sempre è imprevedibile quello che non si sa. Adesso ‐ probabilmente, anche prima, sul piano del buon senso, se non sul piano giuridico ‐ si sa benissimo che l'omicidio può comportare danno alla salute dei congiunti della vittima. Dunque, l'evento è prevedibile.
Quanto alla distinzione danno‐evento e danno‐conseguenza, la dottrina penalistica non parla
3 Convegno 'Le nuove frontiere del danno biologico: danno psichico e danno esistenziale', Associazione Italiana Giovani Avvocati, sez. di Piacenza, Piacenza, 27 marzo 1999
di fattispecie plurioffensive? (Antolisei, 1982, 155).
4.3. Danno biologico come danno permanente
Nella sentenza n. 372/94, la garrula, dissestata prosa della Corte definisce il danno biologico psichico (da lutto) come "momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo". Fermiamoci qui.
C'è un equilibrio. Viene turbato. Siamo nel danno morale. Essendo danno‐conseguenza, si deduce che a turbarlo è il fatto in toto, grazie a un secondo nesso causale. E non il comportamento illecito, che è elemento costitutivo del fatto. Continuiamo la lettura del passo. Il danno morale, "anziché esaurirsi in un patema d'animo o in uno stato d'angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente". Significa che il danno morale, tipicamente temporaneo (infra, 4.4), può divenire permanente. E quindi danno biologico. Se sia un continuum, ovvero una seconda conseguenza ‐ legata alla prima da un terzo nesso ‐ rimane nel mistero. Certo è che la metamorfosi può avvenire solo a una condizione, ossia "in persone predisposte". Exempli causa, per "debolezza cardiaca" ‐ forse, con pensiero poeticamente rivolto al cuore, albergo dei sentimenti ‐ e per "fragilità nervosa" ‐ id est la preesistente personalità; e qui c'è del vero.
Il giudice costituzionale non conosce un solo vocabolo del linguaggio psichiatrico. Ma – onnisciente peritus peritorum – ci distilla l'intima essenza del danno psichico e del danno morale. Tronfia "supponenza" (Schiavone, 1995, 239), poiché i giudici, "in luogo di ricorrere all'ausilio delle scienze del settore e dei risultati più accreditati, così partendo da una base quanto meno di ardua confutazione, vi sostituiscono la propria intuizione , ponendo un concetto di malattia psichica universalizzante. Ma anche probabilmente errato, non foss'altro perché viene connesso intimamente a particolari condizioni (es.: fragilità nervosa, ecc.), nonché all'idea di permanenza, la quale riecheggia troppo da vicino le patologie fisiche, mentre svolge un ruolo particolare nell'ambito della psiche a seconda della natura delle turbe e degli ambiti spaziali e temporali nei quali la personalità trova svolgimento" .
Fortunatamente la decisione della Corte "non ha effetto vincolante, atteso che si tratta di una pronuncia di rigetto di una questione di legittimità costituzionale..., e che il problema rimane irrisolto e attuale" (F. Martini, 1996, 21).
4.4. Danno morale come danno temporaneo. "Turbamento psicologico", "patema d'animo",
"stato d'angoscia".
La Corte Costituzionale esige che siano "transeunti". Desueto aggettivo curialesco, designa un carattere del danno morale: la temporaneità. Si dice già nella sentenza 184/86. Si ripete in quelle 356/91 e 372/94.
Concorda qualcuno, in dottrina (Toscano, 1995, 187). Discorda qualcun altro (Giannini, 1995, 113): la distinzione fra danno psichico e danno morale "non si fonda sul criterio della durata (se il dolore si attenua dopo X giorni, è danno morale, se permane è danno psichico)". Tutt'altro sarebbe il criterio distintivo (infra, 4.5).
4.5. Danno biologico come impedimento di svolgere le attività di vita quotidiana
Ancora la Corte Costituzionale ripete che c'è danno biologico quando ci sono "conseguenze in termini di perdita delle qualità personali".
Voce adesiva, in dottrina (Giannini, 1995, 113): vera connotazione del danno biologico
"ancorché di tipo psichico, [é] l'impedimento a vivere la vita nella intensità e nella estensione originarie". Facciamo attenzione alla congiunzione concessiva. Il danno biologico impedisce di godersi la vita. È nozione assodata per quello fisico. Qui si vuol notare che impedisce sempre il
godimento, anche se di tipo psichico. Nozione data per non scontata. Dovrebbe essere il contrario. L'esperienza dice che sono i disagi psichici i maggiori colpevoli della rovina della vita.
L'"impedimento" ‐ totale o quasi ‐ delle attività sarebbe tratto distintivo del danno biologico.
Il semplice "disturbo" delle attività sarebbe proprio del danno morale. Vale a dire: “chi è afflitto da un dolore compie, sia pur malvolentieri e senza entusiasmi, le incombenze di ogni giorno (si lava, si veste, va al lavoro); chi è afflitto da una malattia psichica ‐ essendo leso nelle sue funzioni psichiche, prima fra le quali quella volitiva ‐ non riesce a compierle in tutto o in parte"
(Giannini e Pogliani, 1997, 187).
Si rivela un'altra distinzione fallace. Andiamo al DSM IV, manuale à la page, ghiotta cornucopia di etichette diagnostiche. Sezione "Disturbi dell'Umore", voce "Episodio Depressivo Maggiore". Fra i criteri diagnostici la "compromissione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre aree importanti". Si specifica che "anche nei casi lievi deve essere presente ...qualche interferenza" in quegli ambiti. "Qualche" interferenza non impedisce di lavorare, magari malvolentieri. L'Episodio Depressivo Maggiore non è mero danno morale. Classifichiamolo pure come "malattia". E poi non c'è lesione primaria della volontà, ma dell'affettività (infra, 6.3.)
4.6.
Danno morale pretium dolorisSempre più compresso, il danno morale può, tutt'al più, andare ancora bene come pretium doloris. Motivo: è "sofferenza di carattere spirituale" e la prova materiale riesce difficile (Ziviz, 1999, 431). In fondo, è la concezione che va per la maggiore. Visto che la prova è difficile, qualcuno, con candido slancio di ottimismo, pensa a macchinari per saggiare "le modificazioni chimiche ed elettriche che si producono nell'organismo umano in conseguenza del dolore"
(Paradiso, 1981, 117). Con questi ordigni lo spirito si materializza, questione di conduttori elettrici e trasmissioni biochimiche.
4.7.
Il punto di vista medico‐legaleRistrettissimo, angusto, limitato dalla concezione di "malattia". Danno biologico è la malattia.
Danno morale è il pretium doloris, fuori dalla malattia. Non se ne dubita. È la concezione più accessibile. Più vicina alla visione dicotomica normalità e malattia. Si arriva a pensare che non possa esistere danno morale se non c'è danno biologico, ossia un'invalidità permanente, oppure la malattia che la precede e la produce. E si arriva a chiedere se non ci siano spazi per la valutazione tecnica medico‐legale del danno morale. (Fineschi e Salvinelli, 1988, 297;
Bargagna e Busnelli, 1988; Brondolo, Farneti e Marigliano, 1995, 77; Brondolo, Farneti e Marigliano, 1995a, 295). Anche se è fuori dalla malattia. È evidente il riferimento al danno morale francese.
La dottrina medico‐legale (Barni, 1996, 1499) plaude alla Consulta che stronca il timido, ma sensato interrogativo del Tribunale di Bologna (infra, 4.8): "decisione chiara ed incisiva ...definisce con forza la diversità del danno extrapatrimoniale rispetto al danno alla salute".
Ribadisce un'"antica certezza clinica e medico‐legale" e "valorizza la funzione del medico legale ...insostituibile protagonista della valutazione del danno biologico, nei termini dell'an [nientemeno! ndr] e del quantum".
4.8. Voces in deserto.
Una in dottrina (D'Amico, 1992). Una in giurisprudenza (Trib. Bologna, 13.6.95, RCP, 1995, 783). Le abbiamo già incontrate (supra, 4.1.).
Pigliamo la voce dottrinale (D'Amico, 1992). L'autore è giurista. Dimostra cognizione della
letteratura scientifica, psichiatrica, psicologica, neurofisiologica. Pregio rarissimo, ma non unico.
Condiviso con un altro autore (Cendon, 1984). Titolo del saggio di D'Amico: "Danno da emozioni". Titolo unico, più che raro. Non si riscontra il lemma in altre sedi. "Emozioni" sono, ad esempio, "paura, spavento, ansia, timore...". "La biforcazione tra danno biologico e danno‐
dolore" è "eco ritardata” della distinzione tra danni personali e danni morali". Contrasta "con quanto emerge sul piano della realtà materiale". Inoltre "non è neppure convincente sul piano normativo". L'artificiosa biforcazione va superata alla luce delle scienze naturali. La norma va riletta secondo il dettato costituzionale. La Costituzione vede la persona al vertice dell'ordinamento.
Osa il Tribunale di Bologna (Trib. Bologna, 13.6.95, RCP, 1995, 783). Con prosa piana, sintassi lineare, ragionamento limpido: "ogniqualvolta si verifichi un radicale peggioramento delle abitudini e condizioni di vita del soggetto, per ciò stesso viene in essere una menomazione del precedente standard psicofisico, qualificabile come danno biologico". Viene la parte interessante.
Non si obietti che il danno biologico per forza consiste in "uno stato patologico tecnicamente qualificabile come malattia". Infatti, "uno stato di turbamento morale conseguente alla privazione di un bene (si tratti del rapporto affettivo con un congiunto, dello svolgimento di attività ricreative, dell'espletamento di attività sessuali, della stima di sé e della propria immagine nei rapporti interni ed esterni, e simili) costituisce un'alterazione ‐ e quindi una malattia ‐ in relazione al normale modo di essere psichico dell'individuo; e, come la malattia più propriamente fisica, potrà risolversi senza lasciare traccia, oppure con postumi permanenti". Ferrea conclusione: "il danno morale, inteso come acuta sensazione di sofferenza più psichica che fisica, incidente in un arco di tempo più o meno lungo, ma comunque delimitato" è "una particolare sottospecie di danno biologico, o meglio di uno dei modi nei quali si può atteggiare il danno biologico da invalidità temporanea".
Risponde la Corte Costituzionale, ordinanza del 22 luglio 1996. Non è vero. Ordinanza stringata, quasi seccata. Prepotente e sussiegosa stroncatura. Come se quella del Tribunale di Bologna fosse infantile e velleitaria stravaganza.
5. Aggiornamento casistico
La relazione al Congresso di Montecatini, 1995, era fondata su una rassegna casistica. Dopo cinque anni, ancora qualche caso. La rassegna completa – oltre duecento casi ‐ sarebbe ormai impossibile. La riflessione sui casi rimane il ferro del mestiere. Accresce le conoscenze. Affina le abilità.
5.1. Danno da lutto (1995)
M., sedici anni, muore travolta da una motocicletta.
Il padre: "...è stata una perdita enorme ...ho perso tutto ...era una figlia ...per noi, almeno ...come per tutti i genitori ...una figlia che non ce n'è; ...era brava a scuola ...non aveva pretese ...non era una ragazza da discoteca ...prendeva sempre otto e nove ...non ci sono soldi che possono risarcire il dolore per la perdita di una figlia; ...quando si sente anche l'altra figlia ...che vuole morire ...sono i colpevoli che dovrebbero morire ...invece non c'è nessuna conseguenza, per chi provoca gli incidenti ...il dolore per la mancanza di mia figlia è grande ...il sorriso è sparito ...prima leggevo il giornale, e giravo pagina, indifferentemente ...adesso capisco di più il dolore degli altri genitori ...per questo non so se chi fa le perizie capisce che cos'è il dolore per la morte di una figlia: ...è come perdere un diamante; ...abbiamo fatto tanti sacrifici ... siamo arrivati in cima alla montagna ...abbiamo fatto la casa ...una villetta ...ma la felicità è durata
poco; ...è sempre stata bene ...mai una malattia ...è sempre andata a scuola ...poi è finito tutto;
...arrivare a casa dal lavoro e non vederla più a tavola ...non si può dire".
La madre: "...abbiamo donato gli organi ... giuro che gli organi non li daremo più, ...una parente mi ha detto che ho perso la fede ...le ho risposto ...come si fa a non perderla ...a volte ho una rabbia con quel Padre Eterno lì ...siamo rimasti una famiglia vuota di tutto ...le ripeto ...non donerò più gli organi ...dicono che in Bosnia c'è la guerra ...la guerra è in casa mia;
...passavamo di lì per caso ...qualcuno ha detto a mio marito 'c'è un incidente' ... poi abbiamo visto la bicicletta di mia figlia ... la gente ha detto che l'avevano portata all'ospedale per un controllo ...poi è successo quello che è successo; ...con i soldi di mia figlia non berrò un solo caffè; ...è Natale ...ma mi viene il nervoso con chi mi fa gli auguri; ...di mia figlia ...ne parliamo sempre ...come se fosse viva ...un sociologo ha detto che bisogna parlarne sempre; ...gli amici ...i parenti ... quando c'era da mangiare e bere ... sì ... allora venivano ... adesso che c'è da piangere ...c'è rabbia contro la società ... siamo stati abbandonati ...la perdita della figlia ha comportato la perdita delle amicizie ...adesso che ci sarebbe bisogno di parlare ...non c'è più nessuno ...la sera è il momento più importante ...ritrovarsi tutti a tavola è importante ...e la M.
non c'è più ...e poi ...tante cose che abbiamo perso; ...il sabato mattina sono in casa sola ...e parlo sempre con la M. ...leggo i temi ...gli scritti ...quando si parla in famiglia ...dico spesso 'la M. avrebbe detto così e così'; ...la piccola dice spesso che voglio bene di più alla M. ...forse sapeva che doveva morire presto ...è stata precoce ...c'era confidenza a parlare di tutto ...nei suoi temi chiamava il papà il suo genio".
Per la concezione strettamente medica, un quadro psichico dev'essere connotato da positività dell'esame obiettivo psichico. Altrimenti non è degno del nome di malattia. Se si prendono anche pillole, compresse, gocce, meglio. Se si va dallo psichiatra meglio ancora. Fa leva sul punto il consulente convenuto. Chiede ai genitori di M. se hanno seguito qualche terapia e se hanno certificati medici. La madre ribatte, con meraviglia: "...siamo sanissimi!"; e il marito, altrettanto sorpreso: "...ma che cosa vuole andare a dire a un dottore!?".
Commento del CTU: “Giusta sorpresa e giuste risposte. Quello della documentazione clinica è un falso problema. Inoltre, in caso di disturbi psichici, spesso, chi ne soffre, ben si guarda dal rivolgersi a specialisti, un po' per timore di 'passare per matto', un po' ‐ è questo il caso nostro ‐ per la consapevolezza che i disturbi siano, in qualche misura, 'normali' e non siano, in ogni caso, suscettibili di cure mediche".
"Normalità" ‐ ossia danno morale ‐ pretium doloris ‐ o "malattia" ‐ ossia "danno biologico"?
Nessun segno obiettivo orienta per la sussistenza, nei genitori di M., di un quadro psicopatologico ben definito. C'è, piuttosto, una "patologia" ‐ se così si può dire ‐ della costellazione familiare. Netta chiusura verso l'esterno, forte risentimento, rabbioso e aggressivo, della madre, contrastante passività rassegnata del marito, passività, acquiescente, della figlia più piccola, che asseconda i genitori. Molto tira verso la più moderna categoria del
"danno esistenziale".
CTU: "Una reazione da lutto, che non solo non si dissolve, ma, addirittura, si stabilizza e abnormemente si protrae nel tempo, è patologica. È, pertanto, gioco forza concludere che il
"malessere" della famiglia X consiste in un arresto, patologico, dell'elaborazione del lutto". Sono passati oltre tre anni. La situazione permane. Nessuna quantificazione del danno, poiché "tutto ciò che è psichico sfugge, per sua natura, a qualsiasi tentativo di obiettiva quantificazione numerica". Faccia il giudice.
5.2. Feroce scempio del cagnolino (1995)
L., dodici anni, porta a spasso un cagnolino. Quattro anni dopo racconta al CTU: "...un bassotto ...lo tenevo al guinzaglio ...uno di quelli lunghi ...di cinque metri; ...d'un tratto è arrivato il cane grosso ...un pastore tedesco ...che ha sbranato il piccolino ...io non sono stata capace di reagire ...il padrone è arrivato dopo un po' ...il cagnolino è corso verso casa e la mamma lo ha preso; ...lo abbiamo portato dal veterinario ...aveva una pleura e un polmone perforati ...il veterinario lo ha operato e non era certo che si sarebbe ripreso; ...dopo l'operazione abbiamo dovuto riportarlo tutti i giorni dal veterinario per le medicazioni; ...è stato per molti giorni sdraiato sul fianco ...sembrava morto ...con un taglio che andava dalla pancia fino alla schiena; ...poi il cagnolino è guarito ...al momento non sono stata capace di reagire ...è stato uno shock tremendo ...in quei giorni sono stata molto male …credevo fosse colpa mia ...anche dopo ...per molto tempo ...ho avuto incubi di notte ...avevo paura a uscire ...per via di quel cane, che era sempre libero ...senza museruola ...il padrone aveva l'abitudine di lasciarlo sempre così ...era l'unico cane aggressivo del vicinato; ...anche oggi non riesco ad avvicinarmi a un cane ...provo una specie di repulsione ...e dire che i cani mi piacevano molto ...avevo un debole per gli animali".
Causa bagattellare. Da spallucce, o ridanciane battute. A meno di non prendere la cosa curiosamente sul serio. Il CTU sceglie questo partito. Dispone indagine psicodiagnostica. A ciascuno il suo mestiere. Affida l'indagine a una psicologa infantile. La psicologa conferma che
"la struttura psicologica di base è ...solida; il livello di sviluppo della personalità più che adeguato all'età". In particolare, si tratta di "personalità di tipologia decisamente introversa", dotata di
"grande sensibilità". Ottimi appaiono i rapporti con i genitori, con la sorella, con i coetanei.
Ottima la riuscita scolastica. Quanto al fatto, "sicuramente una personalità come quella descritta risulta essere maggiormente vulnerabile ad accadimenti di portata traumatica, quale quello in questione".
Un attento sguardo è riservato al fenomeno di autocolpevolizzazione, succeduto al subitaneo ‐ e temporaneo ‐ blocco psichico provocato dall'aggressione del cane. L. "conserva intatto il ricordo delle sensazioni di panico che hanno prodotto la reazione di paralisi totale, prolungata per un tempo vissuto come lunghissimo". Ciò anche in considerazione del fatto che nonostante le ottime relazioni con genitori, sorella e amici, "non vi sono state nel contesto di vita allargato delle risorse sufficientemente adeguate, tali da fornire a L. un aiuto efficace e incisivo nell'affrontare e superare il trauma". Rimangono tracce del brutto spavento, giacché L.
"riporta una grande paura dei cani, di tutti indiscriminatamente, a differenza del timore, da lei considerato ragionevole, in precedenza nutrito verso cani di grande taglia, e/o noti per la loro aggressività, come ad esempio il cane dell'incidente".
Conclusioni del CTU: "Si può affermare che , in senso latissimo, ci fu una sorta di lesione dell'equilibrio psichico, in quanto l'aggressione da parte del feroce pastore tedesco e le sofferenze del bassottino produssero in L. un repentino, spiacevole turbamento psichico. Orbene, di certo, soprattutto in considerazione della connotazione negativa delle sensazioni spiacevoli cagionate dall'evento traumatico, si può parlare di turbamento ‐ temporaneo ‐ dell'equilibrio psichico; con altrettanta certezza, non si può definire siffatto turbamento come malattia, ossia come processo patologico, giacché non fu qualitativamente diverso da quelli di solito indotti dall'impatto di altri eventi esterni, improvvisi e violenti, sul sempre provvisorio equilibrio psichico. L'aggressione da parte del cane, paragonabile a un evento traumatico ‐ nel senso di fenomeno improvviso, violento e concentrato nel tempo ‐ fu causa per L. di perturbamento emotivo. Si verificò, per l'esattezza, un immediato, totale blocco psichico, che, successivamente, indusse in L. senso di colpevolezza e
impressione di anormalità psichica. Il tutto, per altro, nei limiti di un processo di elaborazione dell'evento traumatico privo di connotazioni patologiche, ossia non dissimile da ogni fisiologico processo di elaborazione degli stimoli esterni, che, incessantemente, compie la psiche. Non si può, dunque, parlare di malattia. L'elaborazione dell'evento è tuttora in atto e in via di risoluzione.
Permane un vivo timore, sorta di fobia, per i cani, non definibile, per altro, come malattia. Né il transitorio turbamento psichico, né l'attuale, piccola fobia sono definibili l'uno come 'malattia', l'altra come 'danno', almeno nel senso ‐ per così dire ‐ 'classico' dei termini. Si tratta, tuttavia, di fenomeni riconducibili all'evento traumatico".
Il giudice stabilisce un risarcimento di dieci milioni.
5.3. Mobbing (1996)
C., sindacalista. Oggetto di una lunghissima serie di ritorsioni da parte dell'azienda.
Nel ricorso ex art. 414 il difensore impernia la domanda sul danno biologico. Ne chiede ‐ si approva! ‐ la liquidazione equitativa.
Il Pretore formula per il CTU un quesito ad hoc. Perfettamente "personalizzato". Evenienza rara. Contrasta con la pigra abitudine della pedissequa modulistica prestampata. Eccolo: dica il CTU "...quale sia l'entità del danno all'integrità fisico‐psichica prodottasi nella persona del ricorrente (manifestatosi soprattutto in uno stato ansioso‐depressivo somatizzato mediante insonnia, disturbi intestinali, nausee, vomito, smorfie involontarie) in relazione ai fatti emersi nel corso del giudizio, tenendo conto, in particolare, dei due licenziamenti (1985‐1991) seguiti da riassunzione, del licenziamento del 1993 nella fase in cui esisteva un ordine di reintegrazione provvisoriamente esecutivo che non veniva eseguito dall'azienda, delle sanzioni disciplinari del 1988 derubricate con conciliazione, delle denunce penali seguite da decisione di archiviazione da parte della magistratura, nonché della particolare sorveglianza disposta dalla direzione aziendale nei confronti dei suoi movimenti in azienda (come all'ingresso e per recarsi in infermeria)".
Il CTU dispone accertamento specialistico psichiatrico. Lo psichiatra conclude: C. non ha
"patologia psichica idonea, per la sua concreta rilevanza, a produrre un 'danno biologico’. È ammissibile che una patologia psichica caratterizzata da tale idoneità (più precisamente una patologia di tipo nevrotico 'reattivo' con valenze ansiose e somatizzazioni gastriche) si sia verificata nel soggetto negli anni addietro, compromettendone la cenestesi, soprattutto nel 1994:
palesemente in 'risposta' all'apogeo della conflittualità del C. con la sua azienda. Tenendo in debito conto tutte le caratteristiche del caso, compresa la quota del suo assenteismo per malattia, non penso che si possano conferire a questa patologia tratti di notevole gravità: quindi ci fu sì un danno biologico, ma temporaneo, elettivamente collocabile nel 1994 (pur avendo cominciato a delinearsi dopo il 1987) e di entità non elevata".
Il CTU conclude. Il C. ha sofferto di "un quadro morboso configurabile come nevrotico ansioso reattivo con somatizzazioni varie (specie gastriche)". La causa è riportabile "alle problematiche di lavoro e sindacali di questi ultimi anni". Il quadro morboso è durato novanta giorni, nel 1994.
Lo dice la documentazione e lo psichiatra. Ora C. è guarito.
Il Pretore (Pretura di Milano, sent. 27 novembre‐14 dicembre 1995, Casarolli‐Ansaldo): c'è danno "di natura direttamente psichica e che investe la sfera fisica solo nella forma della somatizzazione"; ossia cosiddetto "danno psichico puro". Pacifica la risarcibilità del danno, quando "si manifesta in una malattia psichica rispondente alla nosografia psichiatrica consolidata". Ma è dubbio che sia solo questa l'area del danno psichico risarcibile: "cosa ne è del danno che non assurge a livello di patologia psichiatrica, ma che ugualmente investe la psiche del soggetto, condizionandola e provocando reazioni che possono coinvolgere, sia pure di riflesso,
anche la sfera fisica? È questo danno destinato all'irrilevanza giuridica solo perché non è permanente o solo perché non travolge in modo totale in un certo momento la vita di una persona impedendole del tutto di svolgere le proprie attività produttive?
Oppure è questo danno psichico destinato ad acquisire rilevanza nella sola (limitata) misura in cui si traduca in un danno fisico (i soli effetti di somatizzazione) o nell'impossibilità, totale o parziale, di dedicarsi alle ordinarie occupazioni? Se ne deve trarre la conclusione che ogni altra conseguenza psichica è a carico esclusivo di chi la subisce?". Premessa della risposta è l'evoluzione del diritto alla salute fino alla piena valorizzazione dello psichico. Il pretore ne traccia le linee. Riprende le conclusioni del consulente d'ufficio. Troppo ristrette, perché il consulente "ha escluso un danno biologico permanente e ha ricercato un danno che potesse essere ricondotto al concetto di 'quadro morboso’ o di 'patologia' e ha individuato una condizione di tal genere in novanta giorni nel corso del 1994". Periodo garantito, di genuina patologia. Gli accessi in infermeria lo dimostrano. Alla base, con evidenza, la nozione comune che, se non si sta male, non si va in infermeria. Troppo poco per il Pretore. Non aderisce al modello medico.
Se no, non avrebbe posto un quesito "più ampio", con "riferimento a un danno all'integrità fisica e psichica del ricorrente, da valutarsi alla stregua dell'ampia nozione di diritto alla salute". La risposta al quesito sta nella relazione dello specialista psichiatra. Si ricava, infatti, che "i novanta giorni sono soltanto l'acme (qualificabile in termini propri di patologia) di una pressione e di uno slittamento in un disagio nevrotico che hanno avuto inizio molto prima, e cioè nel 1987. Nel periodo 1987‐94 vi è stato quindi un disagio nevrotico clinicamente apprezzabile, anche se non grave". L'avverbio e la concessiva li sottolinea il Pretore. Sono la chiave del ragionamento.
Dicono che "in questo disagio sono ravvisabili gli estremi di quel danno psichico puro (pur con nuclei di somatizzazione), di cui si è parlato sopra". Si badi alla terminologia. "Disagio". Basta a realizzare il danno. Non è patologia, "ma per il diritto alla salute sono rilevanti componenti psichiche anche non patologiche (non psichiatriche)".
I disturbi non erano gravi. Ma la gravità rileva per la quantificazione. Non per la qualificazione di malattia. Si arriva al quantum. Difficili le quantificazioni del danno alla persona.
E opinabili. Già per il danno fisico. A fortiori per il danno psichico. Qui "la dottrina medico‐
legale segnala la inapplicabilità di qualsiasi quantificazione che si rifaccia a sistemi tabellari, data la estrema variabilità delle singole situazioni". Il Pretore assume "come base la quantificazione corrente per il danno biologico temporaneo per l'arco di tempo compreso tra il 1987 e il 1994 (circa 250 milioni)". Dimezza la somma "in considerazione della non particolare gravità del danno stesso". Riduce di un quarto "in considerazione del particolare contesto di aspro conflitto sindacale nel quale i fatti si collocano". Così, anche C. si prenda la sua dose di responsabilità: "nel prendere parte a quel conflitto, non dovrebbe certo aver pensato di partecipare a un 'pranzo di gala’". In tutto, fanno novanta milioni.
5.4. Ancora danno da lutto (1997)
A. muore a diciotto anni per incidente stradale.
La madre: "...è stato l'avvocato a dirmi di andare da un medico ...non facevo niente, perché pensavo che fosse una condizione naturale ...stavo male per motivi concreti ...sono andata dal medico ...ho fatto alcuni colloqui e una serie di test ...mi hanno consigliato di fare delle cure e poi di ritornare a farmi vedere ...invece ...dovevo farcela io, con le mie sole forze ...non ho fatto nessuna cura e non sono più tornata; ...faccio un lavoro particolare ...disegno illustrazioni per libri ...è un lavoro intellettivo e anche creativo ...mi sono venute a mancare le capacità ideative
...devo farmi forza ...cercare di impormi di sedere al tavolino ...ogni scusa è buona per non sedermi ...poi mi siedo ...vedo il foglio bianco ...devo vincere il foglio bianco ...devo campare di lavoro; ...è una strada senza ritorno ...ho una coscienza diversa ...è tutto diverso ...prima del fatto avevo una mia fisicità e una mia misura ben precisa ...morto A. ...è stato come se la mia persona fisica e spirituale si sia espansa ...come un'illuminazione ...sono vicina a A. ...lontana dal contingente ...è una situazione difficile ...mi sono trovata a rinunciare a tutti gli amici ...è come se, per non perderlo totalmente, ci sia bisogno di questa condizione ...ti fa partecipe della sua vita; ...è difficile raccontare certe cose ...sono uscita per la spesa ...ho sentito un motorino ...quando è stato vicino ...il ragazzo sul motorino aveva il viso di A. ...ha proseguito ...poi è tornato indietro ...era un altro ...poi è ripassato ancora ...ed era A. ...ma fisicamente era diverso ...il viso è diventato quello di A. ...mi è capitato una dozzina di volte ...sono catturata ...lo guardo ...e basta ...non c'è niente ...non colore ...non suoni ...sono solo io ...è un'esperienza che dà gioia ...dice che è vivo ...non c'è né al di là, né al di qua ...sono incontri al di là della fisicità".
Si dispone indagine psicodiagnostica.
Al Minnesota Multiphasic Personality Inventory la scala con "valore più alto, e nettamente patologico, è la 'Hy', che denota la presenza di una quota elevata di ansia, che si esprime in forme somatiche con possibili sintomi di conversione. Un punteggio simile colloca il soggetto decisamente nell'area nevrotica, fino al punto da compromettere la normale vita di relazione". In questo test "le scale più specificamente deputate a 'misurare' i tratti psicotici non hanno dato risultati particolarmente alti".
Più drammatici i risultati del Rorschach, che dà "continui ed imponenti segnali di patologia".
Sconcertanti e allarmanti sono "la quantità e la qualità di risposte indifferenziate, vaghe, inconsistenti, con immagini distorte, rovinate, deteriorate; ...se questo è il modo in cui la signora vede il reale e percepisce il sé, è palese che siamo di fronte a un'angoscia (solo depressiva?) di proporzioni gigantesche, e ‐ peggio ‐ all'inconsistenza dell'Io e della realtà; ma c'è anche di più: da molte risposte si evince un disperante senso di perdita, privo di strategie di salvaguardia".
Il caso presenta aspetti insoliti. Da un lato, gli usuali temi "normali" del lutto: senso penoso di irreparabile mutamento della vita, di vuoto incolmabile; perdita di interessi per le attività d'ogni giorno; drastica contrazione delle relazioni con gli altri; la vita che diviene un peso, uno sforzo, un mero obbligo morale in funzione degli altri figli. Fin qui, nessuno scostamento dalle
"normali" conseguenze del lutto. Potrebbe, semmai, considerarsi abnorme la durata delle manifestazioni, e, quindi, si potrebbe parlare di lutto complicato. Dall'altro lato, elementi più
"originali": le visioni del figlio morto e delle sensazioni di trasformazione corporea e spaziale.
Se si ragiona con i canoni della psicopatologia classica, fenomeni tanto massicci potrebbero orientare, d'acchito, verso una forma psicotica, ossia di vera e propria infermità di mente.
Eppure, al solo colloquio nulla autorizza a concludere che la signora sia soggetto psicotico.
Inoltre, il DSM IV, alla voce "Lutto" elenca alcuni strani sintomi, fra i quali "esperienze allucinatorie diverse dal pensare di udire la voce, o di vedere fuggevolmente l'immagine della persona deceduta".
Conclusioni del CTU: "Si può senz'altro concludere che la signora X soffre di disturbi psicopatologici, che pesantemente incidono sulle sue capacità di svolgimento delle attività quotidiane e della vita di relazione. Tali disturbi sono, in parte, certamente usuali nei casi di grave lutto; in parte, appaiono meno usuali e meno comprensibili. Può essere che esistano nella signora X sottogiacenti valenze psicotiche, finora tenute a bada da validi meccanismi di compenso, e
affiorate ‐ non si può parlare di franco scompenso ‐ in seguito al lutto".
Non manca l'osservazione circa le cure mediche. È sempre il consulente convenuto a farla.
La signora X non si cura. Condotta contrastante con il principio secondo cui il danneggiato ha il dovere di non mantenere o aggravare il danno. Il CTU: "Osservazione suggestiva, ma, ad avviso del sottoscritto non applicabile al danno psichico. Non è, infatti, ammissibile, l'esagerata 'medicalizzazione' della sofferenza psichica, i cui confini con la sofferenza esistenziale sono spesso assai labili. Inoltre, se le terapie possono senz'altro sortire effetti, la portata di tali effetti non è valutabile con precisione". Quanto alla permanenza del danno: "In astratto, non è detto che le condizioni della signora X possano, in futuro, migliorare. In concreto, a parte la già abnorme durata del disturbo, fattore prognostico negativo appare la sua sottogiacente personalità, che potrebbe ulteriormente alimentare il quadro, rendendo meno probabile un miglioramento" .
Il consulente dell'attrice propone una quantificazione del 15%. Il CTU riferisce della proposta. Non ritiene il danno quantificabile con un numero. Sia sempre il giudice a liquidare.
Equitativamente.
5.5. Risentimento psichico da grave menomazione fisica (1999)
F., trent'anni, riporta gravi postumi ortopedici ‐ quantificati nella misura del 45% ‐ in seguito a politrauma.
Riferisce: "...una macchina ha invaso la nostra corsia ...è stato un impatto tremendo ...io ...da quel maledetto giorno ...mi ha segnato la vita ...avevo appena compiuto venticinque anni ...il ...avevamo già fissato il matrimonio ...la chiesa ...il ristorante …tutto ...è stata una cosa tremenda ...ha sconvolto tutta la vita ...una ragazza di venticinque anni ...che si trova rotta ...rotta di tutto ...il femore che ha sfondato il bacino ...la prima cosa che ho detto all'ortopedico è stata 'potrò avere ancora un bambino?' ...l'ortopedico ha detto 'signora, non sono domande da fare’ ...il mio sogno era di avere tanti figli ...non tanti ...tre ...il mio mestiere è insegnante di scuola materna ...il femore era incastrato ...sono stata in trazione ...nessun farmaco poteva calmarmi ...poi si sono decisi a tirare fuori il femore dal bacino dove si era incastrato ...sono stata immobile fino a dicembre ...mia madre doveva vestirmi ...ogni volta che mi alzavo dal letto era una cosa tremenda e assurda ...ero abituata a fare da sola ...molto attiva in tutto ...dovevo chiedere anche da bere ...non mi riconoscevo più ...è cambiato tutto ...i miei sono stati forti e mi hanno incoraggiato ...poi ...è successo che a gennaio ...chiedevo quando potevo camminare ...nel frattempo l'osso nell'acetabolo si consumava ...la testa si è frammentata ...dopo visite e visite si sono decisi per l'intervento di protesi d'anca ...il nervo sciatico mi perseguita ancora ...anche la pelle della gamba non la sento ...il ginocchio è storto ...io evito di guardarmi allo specchio ...la cicatrice è schifosa ...il viso poi ...gli altri dicono che non si vede ...lo dicono per farmi contenta ...non vado al mare per non farmi vedere in costume ...il sole non lo prendo perché le cicatrici col sole si fanno più visibili ...in Sicilia non sono più andata ...perché lì c'è quel brutto ricordo ...quella strada non riesco a farla ...andare giù significa andare al suo paese dai genitori ...sono due anni e mezzo che non vado ...allora vengono sempre i miei ...il mio lavoro è di insegnante di scuola materna ...che ho scelto ...mi piace tanto ...mi piaceva tanto ...adesso non riesco più a farlo bene ...non è come alle elementari che si sta seduti in cattedra ...si fa attività psicomotoria ...si gioca con i bimbi ...il girotondo ...oppure ...se scappa un bambino bisogna rincorrerlo ...io non riesco più a correre ...anche con mio figlio ...ho un bimbo di un anno ...è piccolo ...non posso più tenerlo tanto tempo in braccio perché mi stanco ...che cosa significa riposare è da anni che non lo so ...non riposo più bene ...non c'è la posizione per dormire ...c'è anche l'insonnia ...bisogna tenere il
cuscino in mezzo alle gambe quando c'è una protesi ...perché solo sul fianco riesco a girarmi ...lavarmi ...non faccio più la doccia da sola ...abbassarmi ...non posso asciugarmi i piedi ...l'ortopedico mi ha detto che devo adoperare il rialzo ...il bacino deve essere sempre più alto rispetto al ginocchio ...molti movimenti non posso più farli ...in casa non posso più fare i mestieri ...a scuola ho trovato delle colleghe che mi capiscono ...che mi aiutano nel lavoro ...dentro di me lo so ...lo fanno anche per piacere ...ma a me dà fastidio che mi aiutino ...non riesco ad accettarlo ...ho dentro una rabbia con quello lì ...che mi ha rovinato la vita ... ...ho paura ad andare in macchina ...mi spavento per un nonnulla ...i miei mi dicono di andare da loro per le vacanze ...io dico di no ...e poi c'è il problema che è un piccolo paese in Abruzzo ...ci conosciamo tutti ...io sono andata via di là con due stampelle ...assolutamente non riesco ...non voglio farmi vedere così in paese ...non riesco ad accettare questa zoppia ...e tutto è dipeso da quello lì ...non riesco a darmi pace ...sono passati quattro anni ...quattro anni che si soffre ...non mi so dare pace ...non è una cosa che si dice 'sono guarita, è passato tutto’ ...no ...è una cosa che è rimasta ...che ha segnato tutti".
In sintesi. L'incidente ha segnato una rottura fra la vita di prima e quella attuale. Vivissimo il ricordo sia dell'incidente – vera e propria fotografia – sia della malattia. Alti e bassi. Speranze e delusioni. Di progetti rinviati e ripresi. Ripresi, ma non mai come prima. Rimangono le attuali menomazioni. Gravi, se si pensa al grezzo 45 % della quantificazione ortopedica.
Menomazioni che impediscono una vita normale. Limitazioni sul lavoro e nella vita privata, nei rapporti con i compaesani, con i parenti, con il marito, con il figlio. Il colloquio è costellato di locuzioni che denotano vissuti di perdita e di sfigurata immagine corporea.
Osserva il CTU: "Mentre F. parla, si alternano, con una più costante e uniforme deflessione d'umore – sottolineata anche da tendenza al pianto – momenti di risentimento e di rabbia. Che, in fondo, sono il rovescio della medaglia depressiva".
Il consulente di F. parla di stato depressivo grave. È psicologo. Rifugge da diagnosi psichiatriche. Rimane sul descrittivo. Il consulente convenuto parla di sofferenza morale.
Reazione "normale" a un evento obiettivamente grave e menomante. E rileva – ancora ! ‐ che F. non si è sottoposta a terapie psichiatriche ‐ farmacologiche o psicologiche.
Il CTU: "Certamente gli unici segni psichici apprezzabili sono di tipo depressivo. Per altro, sul piano strettamente psichiatrico, non si può parlare di depressione grave, né ‐ secondo la terminologia del DSM IV di Disturbo Depressivo Maggiore, caratterizzato da un Episodio Depressivo Singolo. È pur vero che i sintomi fondamentali consistono, in sintesi, in umore costantemente depresso; marcata diminuzione dell'interesse e di piacere nelle consuete attività;
perdita di energia; sentimenti di autosvalutazione; disturbi del sonno. Ma è anche vero, che, DSM IV alla mano, il quadro non è completo. Secondo la concezione strettamente medica, alimentata anche dalla sentenza della Corte Costituzionale 374/94, nel caso della signora F. non ci sarebbe, dunque, malattia, e quindi, danno biologico. È, infatti, convinzione diffusa che sussista danno biologico di tipo psichico solo laddove c'è malattia psichica. E che, fuori da tale evenienza non ci sia danno, né psichico, né d'altro tipo. O, tutt'al più, danno morale". Il CTU rammenta che la ristretta concezione di "malattia" deve oggi cedere a una più ampia idea di salute, quale quella dell'OMS.
6. Revisione
D'Amico e il Tribunale di Bologna (supra, 4.8) vedono giusto. Gli arzigogoli sui concetti ‐ veteropandettistico Begriffrecht ‐ offuscano la visione della fenomenologia naturale. La natura