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Stati generali green economy 2016, disponibili documenti e presentazioni - SNPA - Sistema nazionale protezione ambiente

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RELAZIONE

SULLO STATO DELLA

GREEN ECONOMY

L'Italia in Europa e nel mondo

si ringraziano per il sostegno a questa pubblicazione:

(4)

L’Italia in Europa e nel mondo

a cura di Edo Ronchi

Gruppo di lavoro

per la Fondazione per lo sviluppo sostenibile

Alessia Albani, Camille Aneris, Andrea Barbabella, Claudio Cesaretti, Massimo Ciuffini, Giuseppe Dodaro, Antonello Esposito, Toni Federico, Valeria Gentili, Ilaria Indri, Delia Milioni, Raimondo Orsini, Anna Pacilli, Roberto Pelosi, Emmanuela Pettinao, Luca Refrigeri

inoltre: Grazia Barberio (Enea), Jeremy Tamanini (Dual Citizen di Washington DC)

Ringraziamo per la collaborazione

Michele Munafò (Ispra), Cosimo Antonaci e Sergio Scicchitano (Agenzia per la Coesione Territoriale)

Fondazione per lo sviluppo sostenibile Via Garigliano 61A - 00198 Roma tel. 06.8414815 - fax 06.8414853 info@susdef.it

www.fondazionesvilupposostenibile.org

Grafica e impaginazione Laboratorio Linfa

Finito di stampare nel mese di Ottobre 2016

presso Pazzini Stampatore Editore srl (Verucchio - RN) su carta Cyclus offset certificata

(5)

L’Italia in Europa: confronto sulle tematiche strategiche

Le performance dell’Italia in sintesi 14

1 Emissioni di gas serra e crisi climatica 16 2 Risparmio ed efficienza energetica 19

3 Fonti rinnovabili 21

4 Economia circolare: il riciclo e l’uso efficiente dei materiali 24

5 Ecoinnovazione 26

6 Agricoltura 28

7 Territorio e capitale naturale 31

8 Mobilità 34

La green economy italiana nel mondo

1 Sintesi 40

2 Introduzione 2.1 Che cos’è il GGEI 41

3 Risultati generali per l’Italia 42

4 Risultati dell’Italia in dettaglio 4.1 Leadership e cambiamento climatico 45

4.2 Efficienza dei settori 47

4.3 Mercato e investimenti 51

4.4 Ambiente 54

4.5 Le città 57

La green economy a livello internazionale

Nel 2015 la crescita mondiale delle emissioni di gas serra si è fermata, continuano a crescere le rinnovabili, ma restano ancora alti gli incentivi alle fonti fossili 62

Crescono i green bond e arrivano segnali positivi dalle grandi aziende e da alcuni settori come l’agricoltura, i trasporti, la gestione dei rifiuti; un piccolo miglioramento anche negli stock ittici 63 Gli indicatori guida dell’Ocse per la green growth 65 Il nuovo percorso Unep della Inclusive Green Economy 67 Il Green Business Index 2016 68

Sommario

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Indice di figure e tabelle

FIGURE

Figura 1 Confronto delle performance di settore delle prime cinque economie europee 15 Figura 2 Indice di performance settoriale delle prime cinque economie europee 15 Figura 3 Variazione delle emissioni di gas serra nelle principali economie europee e media Ue28 16 Figura 4 Variazione delle emissioni di CO2 da processi energetici nei principali Paesi europei e media Ue28 17 Figura 5 Serie di anomalie della temperatura media in Italia rispetto al valore normale 1961-1990 18 Figura 6 Intensità energetica del Pil nelle principali economie europee e media Ue28 19 Figura 7 Variazione dell’intensità energetica dell’economia nei principali Paesi europei e media Ue28 19 Figura 8 Risparmi energetici conseguiti tra il 2011 e il 2015 per tipologia di meccanismo di sostegno

e livello di conseguimento per settore dei target nazionali al 2020 20 Figura 9 Quota di fonti rinnovabili sul Consumo finale lordo di energia nelle principali economie europee e media Ue28 21 Figura 10 Nuova potenza elettrica installata da fonti rinnovabili in Italia, per fonte 22 Figura 11 Investimenti nelle fonti rinnovabili in Europa, Usa e Cina 23 Figura 12 Variazione del numero di occupati nei principali Paesi europei e media Ue28 23 Figura 13 Tasso di riciclo dei rifiuti urbani nelle principali economie europee e media Ue28 24 Figura 14 Tasso di riciclo dei rifiuti speciali nei principali Paesi europei e media Ue28 24 Figura 15 Produttività delle risorse nelle principali economie europee e media Ue28 25

Figura 16 Dmc per categoria: media Ue28 e Italia 25

Figura 17 Andamento in Italia della produttività delle risorse, Pil e Dmc 26 Figura 18 Valutazione delle prestazioni dell’indicatore di ecoinnovazione (Eco-IS) nei principali Paesi europei e media Ue28 26 Figura 19 Valutazione delle prestazioni dell’Eco-IS disaggregato per le cinque classi (Input dell’ecoinnovazione,

Attività di ecoinnovazione, Output di ecoinnovazione, Risultati di efficienza di risorse, Risultati socio-

economici) nei cinque principali Paesi europei e media Ue28 27 Figura 20 Valutazione delle prestazioni italiane dell’Eco-IS disaggregato per le cinque classi (Input dell’ecoinnovazione,

Attività di ecoinnovazione, Output di ecoinnovazione, Risultati di efficienza di risorse, Risultati socio-economici) 28 Figura 21 Superficie coltivata con criteri biologici: confronto fra i principali Paesi europei e totale Ue28 28 Figura 22 Suolo consumato nei cinque principali Paesi europei e media Ue28 31 Figura 23 Totale Fondi europei strutturali e d’investimento stanziati per l’Obiettivo tematico 6 per il periodo 2014-2020 33 Figura 24 Emissioni di CO2 pro capite del settore trasporti nei principali Paesi europei e media Ue28 34 Figura 25 Auto immatricolate con combustibili alternativi rispetto al totale delle nuove immatricolazioni nei principali

Paesi europei e media Ue28 35

Figura 26 Bike sharing: consistenza flotte e stazioni in alcune delle migliori realtà italiane ed europee 36 Figura 27 Bike sharing: confronto tra diversi indici di performance, riferiti a Milano, Torino e altre grandi città europee 36 Figura 28 Mappa degli 80 Paesi indagati dal Global Green Economy Index (GGEI) nel 2016 41 Figura 29 Posizionamento dell’Italia nel Global Green Economy Index (GGEI) 42 Figura 30 Posizionamento e variazione degli indici di performance dell’Italia nelle quattro dimensioni del GGEI 43 Figura 31 Posizionamento e variazione degli indici di percezione dell’Italia nelle quattro dimensioni del GGEI 44 Figura 32 Posizionamento dell’Italia negli indici di performance e di percezione a confronto con i principali Paesi europei 44 Figura 33 Confronto del posizionamento dell’Italia negli indici di performance e di percezione per le quattro dimensioni

del GGEI 2016 (80 Paesi) 44

Figura 34 Posizione dell’Italia nella dimensione Leadership e cambiamento climatico del GGEI 45 Figura 35 Posizionamento degli indici di performance dell’Italia nei quattro fattori della dimensione Leadership

e cambiamento climatico del GGEI 46

Figura 36 Posizionamento degli indici di percezione dell’Italia nei quattro fattori della dimensione Leadership

e cambiamento climatico del GGEI 47

Figura 37 Posizione dell’Italia nella dimensione Efficienza dei settori del GGEI 47 Figura 38 Posizionamento degli indici di percezione dell’Italia nei cinque fattori della dimensione Efficienza

dei settori del GGEI 48

Figura 39 Posizionamento degli indici di performance dell’Italia nei cinque fattori della dimensione Efficienza

dei settori del GGEI 49

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Figura 40 Tasso di riciclo dei rifiuti urbani negli 80 Paesi GGEI 51 Figura 41 Posizione dell’Italia nella dimensione Mercato e investimenti del GGEI 51 Figura 42 Posizionamento degli indici di percezione dell’Italia nei quattro fattori della dimensione Mercato

e investimenti del GGEI 52

Figura 43 Posizionamento degli indici di performance dell’Italia nei quattro fattori della dimensione Mercato

e investimenti del GGEI 53

Figura 44 Posizione dell’Italia nella dimensione Ambiente del GGEI 54 Figura 45 Posizionamento degli indici di percezione dell’Italia nei sei fattori della dimensione Ambiente del GGEI 56 Figura 46 Posizionamento degli indici di performance dell’Italia nei sei fattori della dimensione Ambiente del GGEI 56 Figura 47 Posizionamento degli indici di percezione della città di Roma nelle quattro dimensioni del GGEI 57 Figura 48 Posizionamento di alcune grandi città nella classifica degli indici di percezione GGEI 58 Figura 49 Il rallentamento in atto delle emissioni di gas serra-Ghg 62

Figura 50 Installazioni globali in fonti rinnovabili 62

Figura 51 Investimenti globali in fonti rinnovabili 63

Figura 52 Sussidi globali alle fonti fossili di energia 63

Figura 53 Andamento dei green bond 63

Figura 54. Serie storica dell’andamento dell’indice S&P Dow Jones 64 Figura 55. Andamento dell’agricoltura biologica nel mondo 64 Figura 56 Rapida crescita nel mondo dei veicoli circolanti ibridi ed elettrici 64

Figura 57 La produttività carbonica sulle macroscale 66

Figura 58 La produttività della materia totale sulle macroscale 66 Figura 59 Valore del capitale naturale prelevato dalle imprese 69

Figura 60. Impatti diretti e delle catene del valore 69

Figura 61. Costi ambientali medi rispetto agli utili di impresa 70

Figura 62. Disinvestimento dai fossili 70

Figura 63 Investimenti low-carbon 70

Figura 64 Offerta di green bond 70

Figura 65 Investimenti delle aziende sulla base di informazioni ambientali 71

Figura 66 Emissioni di gas serra delle imprese 71

Figura 67 Intensità energetica delle imprese 71

Figura 68 Mix elettrico a livello globale 71

Figura 69 Usi finali di acqua 72

Figura 70 Intensità globale nell’uso di acqua 72

Figura 71 Destinazione dei rifiuti globali prodotti 72

Figura 72 Impatti sul capitale naturale dichiarati rispetto al totale degli impatti 73 Figura 73 Imprese che dichiarano spese di R&D o investimenti per la protezione del capitale naturale 73 TABELLE

Tabella 1 Performance di settore dell’Italia a confronto con la media Ue28 14 Tabella 2 Agricoltura biologica in Italia: superficie, operatori, allevamenti 29

Tabella 3 Produzione certificata in Italia 29

Tabella 4 Emissioni e assorbimenti di gas serra nel settore agricolo e forestale in Italia 30

Tabella 5 Stima del suolo consumato in Italia 31

Tabella 6 Stima preliminare dei costi medi annuali dovuti al consumo di suolo avvenuto tra il 2012 e il 2015 in Italia 32 Tabella 7 Rete Natura 2000 nei cinque principali Paesi europei e nella Ue28 32 Tabella 8 Stato ecologico dei corpi idrici superficiali (Sw) e sotterranei (Gw) nei cinque principali Paesi Ue 33 Tabella 9 Car sharing: consistenza delle flotte condivise in diverse città italiane ed europee 37 Tabella 10 Efficienza degli edifici: dati Leed e Odyssee a confronto 50 Tabella 11 Schema di valutazione dell’impegno delle Agenize nazionali per attirare investimenti green 53 Tabella 12 Legame tra le percezioni e la performance ambientale 57 Tabella 13 Gli indicatori Ocse per l’assessment della Green growth 65

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Nella prima parte della Relazione 2016 viene approfondita la posizione della green economy italiana rispetto a quella degli altri grandi Paesi europei (Germania, Regno Unito, Francia e Spagna) oltre alla media europea, attraverso 16 indicatori chiave per 8 tematiche strategiche: emissioni di gas serra; efficienza energetica; fonti energetiche rinnovabili; riciclo dei rifiuti e produttività delle risorse;

ecoinnovazione; agricoltura biologica e prodotti agroalimentari di qualità certificata; consumo di suolo e siti naturali protetti europei; emissioni di gas serra nei trasporti e peso del trasporto su gomma.

Tra il 1990 e il 2014 l’Italia ha ridotto le proprie emissioni di gas serra di circa il 20%, raggiungendo quindi in anticipo l’obiettivo al 2020. Nella classifica europea Ue28 si trova leggermente al di sopra della riduzione media che è stata di -24%, mentre nella classifica a cinque, dei grandi Paesi europei, si trova al 3° posto dopo il Regno Unito (che ha ridotto le emissioni del 34%) e la Germania (del 28%), prima della Francia e della Spagna. La performance dell’Italia nella riduzione dei gas serra è stata quindi complessivamente positiva fino al 2014. Nel 2015, secondo una prima stima della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, e poi secondo i dati pubblicati da Eurostat a consuntivo del 2015 delle emissioni di CO2 di origine energetica (circa l’80% delle emissioni di gas serra in Europa), la posizione dell’Italia è significativamente peggiorata con un aumento di tali emissioni di ben il 3,5%, a fronte di una media Ue28 di + 0,7%, con una posizione diventata la peggiore fra i cinque grandi Paesi europei (-2,9% Regno Unito, 0% Germania, +1,7% Francia e +2,3% Spagna).

Per l’efficienza energetica, misurata in tonnellate equivalenti di petrolio (tep) per ogni milione di euro di Pil, l’Italia ha una buona performance (dati 2014): migliore della media europea e al 2° posto della classifica dei cinque grandi Paesi, dietro solo al Regno Unito. Analizzando invece l’andamento nel tempo, dal 2005 al 2014, vediamo che l’intensità energetica del Pil dell’Italia è migliorata del 16%: meno della media europea (18%) e solo al 4° posto a pari merito con la Francia, dietro a Regno Unito (26%), Spagna (20%) e Germania (19%).

Per quanto riguarda la quota del consumo finale lordo (Cfl) soddisfatto con fonti energetiche rinnovabili, nel 2014 l’Italia - secondo i dati Eurostat - ha raggiunto il 17,1%, superiore alla media europea del 16% e al 1° posto fra i cinque grandi Paesi europei, seguita da Spagna (16,2%), Francia (14,3%), Germania (13,8%) e Regno Unito (7%). L’Italia deve però prestare attenzione poiché questo primato fra i grandi Paesi europei rischia di durare poco: negli ultimi tre anni, dal 2013 al 2015, l’Italia ha infatti fermato la crescita dei nuovi investimenti in fonti rinnovabili, cresciute mediamente solo dello 0,2% annuo. Nel 2014 l’Italia per nuovi investimenti in fonti energetiche rinnovabili è scesa al 4° posto, dopo Germania, Francia e Regno Unito, anche se è rimasta, in valore percentuale del Pil, nella media europea dell’1%.

Nel riciclo dei rifiuti urbani l’Italia (dati 2014), col 42%, si colloca un punto percentuale sotto la media Ue28 e al 3° posto fra i cinque grandi Paesi europei, dietro alla Germania (oltre il 60%) e,

L’ITALIA IN EUROPA E NEL MONDO

1. La green economy italiana è fra le migliori in Europa

Presentazione di Edo Ronchi

Presidente Fondazione per lo sviluppo sostenibile

EMISSIONI GAS SERRA

EFFICIENZA ENERGETICA

RINNOVABILI

ECONOMIA CIRCOLARE

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di poco, dietro al Regno Unito, prima della Francia e della Spagna. Nel 2012 sono state riciclate in Italia circa 99 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, pari al 76% dei rifiuti prodotti. Rispetto ai cinque principali Paesi europei, l’Italia si colloca al primo posto, seguita da Germania (69%), Francia (61%), Spagna (52%) e Regno Unito (49%) e 30 punti percentuali sopra alla media europea (46%).

La produttività delle risorse, misurata come consumo interno di materiali per unità di Pil (in euro di Pil per chilogrammo di materiale consumato) - sulla base dei dati Eurostat 2015 - colloca l’Italia in buona posizione, con 3 euro al kg, meglio della media europea (2 €/kg) e al 2° posto fra i cinque grandi Paesi europei, dietro al Regno Unito (3,4), ma davanti a Francia e Spagna (2,8) e alla Germania (2,1).

Per quanto riguarda l’ecoinnovazione - secondo l’indice dell’Osservatorio europeo che valuta gli investimenti e i ricercatori impegnati, le imprese (core green e go green) che hanno attuato innovazione, i brevetti e le pubblicazioni, i benefici ambientali e i benefici socio economici in termini di occupazione, esportazioni e fatturato, con dati del 2015 - l’Italia ha una posizione al di sopra della media europea, ma al 3° posto della classifica dei cinque grandi Paesi al pari con il Regno Unito e la Spagna, ma dietro a Germania e Francia.

Con 1,4 milioni di ettari coltivati con criteri biologici, pari all’11,2% della superficie agricola utilizzata, ben superiore alla media europea, l’Italia si colloca in Europa al 2° posto, dopo la Spagna (1,7 milioni di ettari), ma ben prima della Francia (1,1 milioni), della Germania (1 milione) e del Regno Unito (0,55 milioni). L’Italia si colloca, ben al di sopra della media, al 1° posto in Europa per prodotti agroalimentari certificati per qualità e tracciabilità, che coinvolgono circa un quarto dell’intera produzione agricola nazionale, davanti a Francia, Spagna, Germania e Regno Unito.

Per quanto riguarda il consumo di suolo, col 7% l’Italia è in una condizione peggiore della media europea (4,3%), in 4° posizione fra i cinque grandi Paesi europei, dietro a Spagna (3,5%), Francia (5,2%) e Regno Unito (6%) e simile alla Germania (7,2%), (dati 2015).

Per quanto riguarda l’estensione dei siti terrestri (Sic e Zps) di importanza comunitaria della Rete natura 2000, l’Italia tutela circa 57 mila Km2, al 3° posto dopo la Spagna (circa 137 mila Km2) e la Francia (circa 70 mila), ma davanti alla Germania (circa 55 mila) e al Regno Unito (circa 21 mila). In termini percentuali rispetto alla superficie terrestre complessiva, il dato italiano (18,97%) è lievemente superiore alla media Ue (18,12 %).

Con 1,72 tonnellate di CO2, le emissioni pro capite nel settore dei trasporti in Italia sono inferiori alla media europea (1,76) e al 1° posto fra i grandi Paesi europei, prima della Spagna (1,77), del Regno Unito (1,78), della Germania (1,91) e della Francia (1,99), (dati 2015).

Per quanto riguarda il traffico merci terrestre, nel 2013 in Italia l’85% delle tonnellate/km ha viaggiato su strada, peggio della media europea, del 73%, con 5,88 t/km trasportate su gomma per ogni tonnellata trasportata su ferro, al 3° posto fra i cinque grandi Paesi europei, dopo Germania (2,28 t/km) e Francia (4,86), davanti a Regno Unito (6,20) e Spagna (13,60).

Considerando il posizionamento della green economy dell’Italia per i 16 indicatori chiave qui considerati per le 8 tematiche strategiche, emerge una situazione migliore della media europea per 9 indicatori, mentre per 3 la situazione è nella media e solo per 4 è sotto la media europea: la green economy italiana per le tematiche strategiche ha un buon posizionamento europeo, prevalentemente positivo.

ECOINNOVAZIONE

AGRICOLTURA

TERRITORIO E CAPITALE NATURALE

TRASPORTI

(10)

Ma il dato più positivo per la green economy italiana viene dalla somma di tutti i sui posizionamenti, per i 16 indicatori chiave, nella classifica fra i cinque principali Paesi europei con:

- 4 primi posti: nella quota raggiunta di rinnovabili sul consumo finale di energia, nel riciclo dei rifiuti speciali, nelle emissioni pro-capite di CO2 nei trasporti e nei prodotti agroalimentari di qualità certificata;

- 3 secondi posti, quindi sempre in buona posizione: nell’efficienza energetica per unità di Pil, nella produttività delle risorse e nell’agricoltura biologica;

- 5 terzi posti, in una posizione quindi intermedia della classifica: nella riduzione dei gas di serra dal 1990, nel riciclo dei rifiuti urbani, nell’ecoinnovazione, nella estensione dei siti naturali tutelati, nel rapporto tra ferrovia e strada nel traffico merci terrestre;

- 3 quarti posti, quindi dove si registrano importanti ritardi che vanno recuperati: nel miglioramento dell’efficienza energetica negli ultimi dieci anni, nella crescita delle rinnovabili negli ultimi tre anni e nel consumo di suolo;

- 1 quinto posto nella crescita dei gas serra nel 2015 che desta preoccupazioni per il futuro e richiede misure di correzione anche in vista dei maggiori impegni previsti dall’attuazione dell’Accordo di Parigi.

A partire da questi posizionamenti, è stato elaborato un indice di performance settoriale che deriva dalla somma delle posizioni di un Paese registrate con i 16 indicatori chiave e dalla successiva normalizzazione su una scala da 0 (peggiore performance possibile con 16 quinti posti) a 100 (migliore performance possibile con 16 primi posti).

L’Italia raggiunge il punteggio di 59/100, davanti alla Germania con 53, al Regno Unito con 50, alla Francia e alla Spagna con 48. L’Italia, relativamente ai 16 indicatori chiave delle tematiche strategiche della green economy, mostra quindi la migliore performance complessiva fra i cinque principali Paesi europei.

Occorre migliorare l’informazione e la comunicazione, non ignorare le difficoltà e i ritardi, ma resta un fatto del quale occorre essere più consapevoli: mediamente, rispetto alle tematiche strategiche della green economy, l’Italia ha in Europa una posizione di primo piano che la mette in grado di competere, come minimo alla pari, con gli altri grandi Paesi europei.

La seconda parte della Relazione analizza la collocazione internazionale della green economy italiana in una valutazione comparata di 80 Paesi. Il processo di cambiamento dell’economia in direzione green è, infatti, globale: averne consapevolezza e conoscerne le dinamiche principali è utile anche per orientare le scelte nazionali. Il confronto internazionale con la situazione della green economy di altri Paesi aiuta, inoltre, a capire meglio i punti di forza e di debolezza della green economy in Italia. Per tali scopi abbiamo utilizzato un approfondimento relativo alla green economy italiana, realizzato da Jeremy Tamanini del centro di ricerca “Dual Citizen” di Washington DC, che ha svolto un'analisi comparativa sulla green economy di ben 80 Paesi.

L’analisi del Dual Citizen prende in considerazione e compara 4 dimensioni: leadership e cambiamento climatico; efficienza dei settori; mercato e investimenti; ambiente. Per ciascuna di queste dimensioni effettua due tipi di comparazioni – una di performance e una di percezione – stabilendo una

2. La green economy italiana

e la sua percezione inadeguata nel mondo

LA CLASSIFICA IN EUROPA

(11)

graduatoria e segnalando la variazione di posizione di ogni singolo Paese in ciascuna delle due graduatorie rispetto al precedente Rapporto del 2014. L’analisi delle performance si basa su un mix di parametri oggettivi sia quantitativi che qualitativi, dagli investimenti nelle fonti rinnovabili alla copertura mediatica dei temi green. L’analisi di percezione si basa sulle risposte fornite da un gruppo di esperti qualificato e rappresentativo di vari Paesi.

Il posizionamento delle performance dell’Italia sulla leadership e sul cambiamento climatico è al 32° posto della classifica mondiale su 80 Paesi: una posizione certamente migliorabile, ma comunque migliore di quella del Regno Unito (74/80), della Spagna (55/80) e della stessa Germania (36/80). E’ un po’ peggiore della Francia (25/80) la cui buona posizione internazionale risente del forte ruolo di leadership esercitato in occasione della Cop 21 di Parigi. L’analisi, in gran parte basata su parametri qualitativi, mostra da un lato buone performance dell’Italia in termini di livelli e riduzione delle emissioni di gas serra (escludendo però il peggioramento del 2015, non ancora quotato nei data base internazionali); dall’altro evidenzia la scarsa attenzione verso la green economy dei media e dei principali rappresentanti di Governo. Se dalle performance passiamo alla percezione in materia di leadership e cambiamento climatico, la posizione dell’Italia nella graduatoria internazionale precipita al 68° posto. La Germania, invece, risale addirittura al 1° posto, la Francia al 3°, il Regno Unito all’11°

e la Spagna al 25°. Appare ancora più evidente come l’Italia non punti sulla comunicazione del proprio valore green, valore che non viene colto dagli osservatori internazionali, mentre altri Paesi, come la Germania, ne abbiano addirittura fatto un proprio marchio di riconoscimento. Rispetto al 2014, inoltre, le performance della green economy dell’Italia sono rimaste stabili (+1), mentre la percezione è addirittura peggiorata (-9).

Per quanto riguarda l’efficienza e la qualità di alcuni settori cruciali (efficienza energetica degli edifici, fonti rinnovabili, turismo sostenibile, mobilità sostenibile ed economia circolare), le performance della green economy dell’Italia sono buone (all’11° posto su 80 Paesi) e anche la percezione internazionale è discreta seppure sempre inferiore alle performance (al 20° posto su 80).

Rispetto all’edizione del 2014, in questi settori cruciali si registrano complessivamente miglioramenti significativi sia delle performance (+14) sia della percezione (+10). Le performance dell’Italia in questi settori strategici sono migliori di quelle della Francia, del Regno Unito e della Spagna e inferiori, di non molto, a quelle della Germania (6/80). Poi però tutti questi Paesi ci sopravanzano nella valutazione della percezione, con la Germania che balza al 1° posto, ma anche con Regno Unito (all’8°), Francia (al 14°) e Spagna (al 19°) che ci superano.

Per quanto riguarda il mercato e gli investimenti per la green economy - analizzati con 4 indicatori composti (investimenti nelle rinnovabili, nuove imprese e brevetti green, rendicontazione della sostenibilità delle maggiori aziende, disponibilità di dati e informazioni green per gli investitori) - le performance dell’Italia precipitano al 41°posto e la percezione a livello internazionale è, questa volta, circa equivalente (al 40° posto), con un lieve peggioramento rispetto al Rapporto del 2014 sia della performance (-2), sia della percezione internazionale (-12). La percezione internazionale del mercato e degli investimenti green è decisamente migliore per la Germania (al 1° posto), per il Regno Unito (al 3° posto), ma anche per la Francia (al 15° posto) e per la Spagna (al 19°). L’Italia è quindi poco attraente come mercato green per gli investitori globali. Questo aspetto si ricollega direttamente alla scarsa capacità, rilevata nelle altre dimensioni analizzate, di promuovere, in primo luogo attraverso i propri leader politici e i mezzi di comunicazione, le proprie eccellenze in tema di green economy, ma anche di dotarsi di una strategia nazionale chiara sulla green economy in grado di dare stabilità e certezza ai potenziali investitori.

LEADERSHIP E CAMBIAMENTO CLIMATICO

EFFICIENZA DEI SETTORI

MERCATO E INVESTIMENTI

(12)

La qualità ambientale, fattore rilevante di una green economy, valutata con diversi indicatori (impatti dell’agricoltura, qualità dell’aria, trattamento e disponibilità delle acque, biodiversità e habitat naturali, risorse ittiche e foreste), segnala una buona posizione dell’Italia (al 21°posto su 80, con miglioramenti rispetto al Rapporto del 2014, +4), ma sempre con una percezione internazionale più negativa (al 34° posto) e in peggioramento rispetto al Rapporto del 2014 (-8). Anche per le performance ambientali l’Italia è meglio collocata degli altri grandi Paesi europei, ad eccezione della Francia che è al 6° posto. Ancora di più emerge come il nostro Paese, pur avendo un capitale naturale importante in assoluto, a cominciare ad esempio dal patrimonio di biodiversità e dalla qualità dei sistemi agroforestali, non sia in grado di metterlo a frutto, attraendo investimenti e aumentando il proprio standing internazionale in materia di green economy come invece fanno altri Paesi pure con qualità ambientali decisamente peggiori.

Riassumendo quindi le quattro dimensioni considerate, la green economy italiana fa registrare buone performance sull’efficienza e la qualità di alcuni settori strategici (efficienza energetica degli edifici, turismo e mobilità sostenibili, economia circolare e fonti rinnovabili), dove siamo all’11°

posto nella classifica mondiale, e sulla qualità dell’aria, dove siamo al 21° posto con sicure possibilità di migliorare. All’opposto, fa registrare le performance peggiori nel mercato e negli investimenti per la green economy, in particolare nella bassa attrattività di investimenti esteri, dove precipitiamo al 41° posto, e nella capacità di leadership e di lotta al cambiamento climatico, che ci colloca al 32° posto, posizione che potrebbe anche peggiorare viste le evoluzioni più recenti, a cominciare dall’aumento delle emissioni di gas serra nel 2015.

In generale, le performance italiane risultano migliori quando si analizzano dati quantitativi sugli asset e sulle prestazioni operative della green economy, a cominciare dalla qualità dell’ambiente e dall'efficienza dei settori. Crollano drasticamente, invece, quando entrano in ballo parametri più qualitativi direttamente o indirettamente collegati alla reputation del Paese, come l’attrattività degli investimenti e la capacità dei leader e dei media di rappresentare la green economy italiana. Come a dire che il potenziale green del Paese è buono ma la sua valorizzazione molto scarsa. Con qualche ulteriore miglioramento, nei settori strategici potremmo conquistare una posizione fra i top ten, mentre molto resta da fare, in particolare nelle politiche pubbliche, per migliorare le condizioni di mercato e gli investimenti nella green economy italiana: se qui non si recupera il ritardo (nei nuovi investimenti per le rinnovabili, nell’ecoinnovazione e nelle start up green, nel fornire più informazioni green ai mercati) si comprometteranno le possibilità di sviluppo futuro.

Il risultato complessivo, della media ponderata delle diverse dimensioni analizzate, porta a una performance della green economy italiana al 15° posto fra gli 80 Paesi analizzati: una posizione discreta, leggermente inferiore al peso mondiale dell’economia italiana, che potrebbe essere migliorata notevolmente intervenendo con priorità nei punti deboli evidenziati. A questo si contrappone in modo stridente il dato estremamente basso della percezione della green economy italiana a livello internazionale, che ci vede precipitare complessivamente al 29° posto (al 68° per leadership e cambiamento climatico).

Il sondaggio qualitativo è condizionato dalla scelta degli esperti che hanno espresso la loro opinione.

Tuttavia, pur con tutte le cautele e i possibili margini di incertezza, il risultato registrato è troppo netto per non segnalare un grande problema per la green economy italiana: la scarsa considerazione che gode all’estero. Intanto serve, con la collaborazione di tutti - istituzioni ai vari livelli, mezzi di informazione, centri di ricerca, imprese green e loro organizzazioni - un’operazione verità: affinché la

IL POSTO DELL'ITALIA QUALITÀ AMBIENTALE

(13)

green economy italiana sia conosciuta e percepita all’estero almeno per quello che è e per quello che fa; affinché il livello di percezione internazionale corrisponda a quello delle sue effettive performance.

Questo recupero di conoscenza e di credibilità internazionali è indispensabile e urgente per le possibilità di sviluppo della green economy italiana e, dato il peso crescente della green economy per i mercati e per le opinioni pubbliche a livello mondiale, per la credibilità e il futuro dell’Italia.

Il 2015 si è chiuso con l’Accordo di Parigi per il clima, che potrebbe segnare una svolta internazionale nelle politiche climatiche per la dinamica che si è messa in moto con una vasta partecipazione di Paesi, compresi i principali emettitori (Cina e Stati Uniti): un accordo che si basa su impegni nazionali, ma che fissa obiettivi avanzati (ben al di sotto dei 2°C e con neutralità carbonica a partire dal 2050), meccanismi di controllo e di verifica periodica che dovrebbero spingere a misure più efficaci di quelle attuali.

L’Accordo di Parigi è stato raggiunto in un contesto internazionale che presenta diversi segnali positivi:

- nel 2014 -2015 la crescita delle emissioni di gas serra mondiale si è fermata;

- la nuova potenza di impianti a fonti rinnovabili, la produzione di energia rinnovabile e gli investimenti in fonti rinnovabili a livello mondiale sono tutti in crescita dal 2013;

- cresce l’attenzione al green da parte del mondo della finanza, come testimonia l’incremento continuo dei green bond a livello mondiale;

- dal 2013 è in costante crescita anche il numero dei veicoli ibridi e elettrici circolanti, mentre si è fermata la crescita delle immatricolazioni pro capite di automobili.

L’Ocse ha reso disponibili nel 2016 i database di 4 indicatori guida della green economy su scala mondiale:

la produttività carbonica, la produttività di materia, la protezione del capitale naturale e i cambiamenti nell’uso del suolo, l’andamento dell’esposizione media annuale al particolato fine (Pm2,5).

La produttività carbonica - che misura il valore aggiunto in dollari per ogni kg di C02 emessa - a livello mondiale dal 1990 al 2014 è circa raddoppiata, quella della Cina e degli Stati Uniti è in miglioramento, anche se restano significativamente al di sotto di quella dell’Ocse.

La produttività della materia - che misura il valore aggiunto in dollari per ogni tonnellata di materiali consumati (combustibili fossili, sostanze abiotiche e biotiche con esclusione dell’acqua) - nonostante i miglioramenti realizzati in Europa e Nord America, a causa dei peggioramenti di Cina, India e Indonesia, fa registrare a livello mondiale un peggioramento dal 2000.

Per quanto riguarda la protezione del capitale naturale e l’uso del suolo, la superficie agricola dal 1990 a livello mondiale è lievemente aumentata (è calata nei Paesi Ocse), quella occupata da pascoli e prati è, dal 1990 a livello mondiale, quasi costante (è calata nei Paesi Ocse), il suolo forestato dal 1990 a livello mondiale è in calo, mentre è in aumento quello urbanizzato e per altre destinazioni.

L’esposizione al particolato sottile (Pm2,5) - misurata quale concentrazione annuale media in microgrammi al metro cubo - nel 2013 rispetto al 1990 ha evidenziato alcuni progressi in Europa (la Germania dimezza e l’Italia riduce da 30,6 a 18,3μg/m3), pur rimanendo quello della qualità dell’aria un aspetto critico dal punto di vista ambientale e sanitario; una stabilità ma con bassi livelli negli Stati Uniti (11); un peggioramento in Cina (da 39 a 54,4) e in India.

Nel 2016 è stato pubblicato il Rapporto internazionale “State of green business 2016”, realizzato da

3. I progressi della green economy a livello internazionale

L'ACCORDO DI PARIGI

GLI INDICATORI DELL'OCSE

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società di ricerca sul capitale naturale. Questo Rapporto, denominato “Green Business Index”, alla sua nona edizione annuale, valuta 1.600 grandi imprese presenti in 24 Paesi (500 sono americane): aziende che hanno un grande peso industriale e negli indirizzi dell’economia internazionale. Questo Rapporto focalizza 10 tematiche strategiche per la green economy a livello industriale: la circular economy, l’ecoinnovazione della catena del valore, le infrastrutture verdi, la sharing economy, l’inclusione della sostenibilità nelle strategie aziendali, la ripulitura dell’industria estrattiva, l’agricoltura rigenerativa, il riciclo del carbonio, le microgrid elettriche e la blue economy.

Il Rapporto GreenBiz fornisce una serie di analisi di indicatori green di queste grandi imprese:

1. Il prelievo di capitale naturale è valutato in poco meno di 3 miliardi di dollari (1 circa negli Stati Uniti), in lieve diminuzione dal 2013 (in lieve aumento quello delle aziende degli Stati Uniti).

2. Le imprese che dichiarano investimenti per la protezione del capitale naturale sono una quota im- portante e in crescita (dal 40% nel 2010 al 56% nel 2014).

3. Il rapporto fra i costi ambientali medi e gli utili d’impresa è più alto e in crescita a livello globale (dal 138% nel 2010 al 153% del 2014), mentre è minore e in calo per le grandi imprese statunitensi (dal 116% nel 2010 al 111% nel 2014).

4. La riduzione degli investimenti in fonti fossili, sia in numero crescente di imprese che di importi disinvestiti.

5. Gli investimenti nelle rinnovabili, che in queste grandi imprese avevano avuto una flessione dal 2011 al 2014, sono di nuovo saliti nel 2015.

6. L’offerta dei green bond per interventi per il clima e in generale per l’ambiente è in fortissima crescita.

7. Il capitale investito dalle imprese in modo ambientalmente e socialmente responsabile è in forte crescita (nel 2014 in queste imprese avrebbe superato i 21 miliardi di dollari e negli Stati Uniti 4 miliardi di dollari).

8. Le emissioni di gas serra di queste grandi imprese, dal 2010 al 2014, sono tuttavia aumentate del 5%, nonostante l’intensità carbonica, cioè le emissioni per unità di fatturato, sia diminuita del 9% e nonostante sia migliorata l’intensità energetica. L’aumento delle emissioni è dovuto all’aumento degli usi finali di energia elettrica (+21% dal 2010 al 2014 di queste grandi imprese) e al peggioramento del mix elettrico, con una riduzione della quota di rinnovabili e un aumento di quella del gas, abbondante e a basso costo soprattutto negli Stati Uniti. La ripresa degli investimenti nelle rinnovabili nel 2015 potrebbe migliorare la situazione. Le imprese che dichiarano impegni di riduzione delle proprie emissioni di gas serra sono ancora meno del 50%.

9. Gli usi finali di acqua non diminuiscono, ma sono in lieve aumento dal 2010 al 2013 (da 1, 2 miliardi di m3 nel 2010 a 1,25 miliardi di m3 nel 2014). Le imprese che dichiarano impegni di risparmio idrico sono il 20%.

10. La gestione dei rifiuti registra dal 2010 al 2014 una lieve riduzione della produzione e un modesto aumento (7%) del loro riciclo.

Da questa analisi emerge che il management di queste grandi imprese multinazionali dedica un'attenzione crescente alla green economy, è abbastanza aggiornato sulle proprie tematiche strategiche e in alcuni casi ha messo in campo o implementato strumenti di conoscenza e di valutazione anche ambientale aggiornati. Tuttavia, queste grandi imprese non hanno ancora conseguito un vero disaccoppiamento fra crescita delle loro attività e dei loro fatturati e impatti ambientali, che non diminuiscono (gas serra e usi finali di acqua) o migliorano in modo ancora insufficiente (riduzione e riciclo dei rifiuti).

BUSINESS 2016

L’ITALIA IN EUROPA

CONFRONTO SULLE TEMATICHE STRATEGICHE

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L’ITALIA IN EUROPA

CONFRONTO SULLE TEMATICHE STRATEGICHE

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LE PERFORMANCE DELL’ITALIA IN SINTESI

I risultati conseguiti dall’Italia nelle otto tematiche strategiche, valutati attraverso 16 indicatori chiave, sono presentati di seguito in forma di sintesi e approfonditi nelle pagine successive. La valutazione

è stata effettuata per ogni indicatore attraverso un duplice confronto: performance italiana rispetto alla media registrata per la Ue28; performance italiana in relazione alle prime economie europee.

Tabella 1 Performance di settore dell’Italia a confronto con la media Ue28

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Figura 1 Confronto delle performance di settore delle prime cinque economie europee

I risultati vengono presentati in Figura 2 attraverso l’indice di performance settoriale, prodotto dalla somma dei punti ottenuti nella classifica a cinque per ognuno dei 16 indicatori e poi normalizzato su una scala

0-100, in cui 100 equivale al miglior risultato possibile (ossia la migliore performance in tutti i 16 indicatori) e 0 al peggiore (ossia la peggiore performance per tutti gli indicatori chiave).

Figura 2 Indice di performance settoriale delle prime cinque economie europee (valore indice)

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1 EMISSIONI DI GAS SERRA E CRISI CLIMATICA

Figura 3 Variazione delle emissioni di gas serra nelle principali economie europee e media Ue28: 1990-2005, 2005-2014 e complessiva 1990-2014

Fonte: Eurostat-Aea database

Tra il 1990 e il 2014, ultimo aggiornamento disponibile a livello europeo, le emissioni di gas serra in Italia sono scese di circa il 20%, valore inferiore, anche se non di molto, della media Ue28 (24%). Rispetto ai cinque principali Paesi europei l’Italia si trova al 3° posto:

ha fatto meglio della Spagna, che partiva da livelli di emissioni pro capite degli anni ’90 molto bassi e per la quale lo stesso target del Protocollo di Kyoto prevedeva un aumento consistente delle emissioni complessive, meglio della Francia, con livelli di emissioni molto simili ma con maggior difficoltà a intervenire sul settore elettrico a causa dell’ampio ricorso al nucleare, ma peggio della Germania (-28%) e del Regno Unito (-34%), che hanno potuto contare, oltre che su importanti politiche in favore delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica nel caso della Germania, anche sulla ristrutturazione di settori industriali, come quello elettrico, che partivano da condizioni molto critiche (molto carbone, impianti altamente inefficienti, ecc.).

L’Ue28 ha seguito un percorso abbastanza lineare, con

un trend di riduzione moderato fino al 2008 seguito da un’accelerazione nel periodo post crisi. L’Italia, per contro, ha conosciuto una prima fase di crescita significativa delle emissioni, che tra il 1990 e il 2005 sono aumentate dell’11% (mentre l’Ue nello stesso periodo le aveva ridotte del 6%), seguita da un periodo di contrazione molto rapida, con performance migliori rispetto alla media europea. Dal 2005 al 2014 l’Italia ha tagliato il 28% delle emissioni di gas serra, contro il 18% della media europea e facendo meglio di Germania (-9%), Francia (-17%), Regno Unito (-24%) e Spagna (-25%). Si tratta del periodo della crisi economica, che il nostro Paese ha sofferto di più e più a lungo di altri; ma è anche il periodo nel quale maturano, in Europa e non solo, le moderne politiche e le tecnologie per l’efficienza energetica e, soprattutto, le fonti rinnovabili. Diverse analisi suggeriscono che proprio queste ultime abbiano contato almeno quanto la crisi economica del 2008 e che la performance nazionale dell’ultimo decennio possa essere letta in termini positivi per lo sviluppo della green economy.

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Le emissioni di gas serra nel 2015

Nel 2015, secondo le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente, le emissioni della Ue28 sono tornate a crescere, anche se di appena lo 0,4%, in contrasto con quanto si registra a livello globale: secondo diverse stime, nel biennio 2014-2015, per la prima volta da diversi decenni in una fase di crescita economica, le emissioni mondiali di gas serra sono rimaste sostanzialmente stabili. Questo trend negativo, che può essere messo in relazione a un rallentamento generale delle politiche climatiche a livello europeo, è particolarmente forte per l’Italia. Secondo le stime della Fondazione1, nel 2015 le emissioni nazionali di gas serra sarebbero cresciute del +2,5% (la stessa Aea aveva previsto addirittura +3,2% e l’Ispra, in una più recente valutazione, aveva indicato +2%).

Nel maggio di quest’anno Eurostat2 ha pubblicato i primi dati a consuntivo 2015 sulle emissioni di CO2 da processi energetici (che corrispondono a circa l’80%

delle emissioni di gas serra complessive): in Italia sono cresciute di ben il 3,5%, decisamente peggio della media europea (+0,7%), e peggio degli altri

quattro grandi Paesi europei (-2,9% Regno Unito, 0%

Germania, +1,7% Francia, + 2,3% Spagna).

Sull’aumento delle emissioni di gas serra dell’Italia hanno influito:

- un contesto ambientale sfavorevole, su cui pesano anche gli effetti del cambiamento climatico, con una estate particolarmente afosa che ha portato al record di consumo di energia elettrica per il condizionamento, e al forte calo della produzione rinnovabile da idroelettrico;

- una leggera ripresa dei consumi energetici connessa in parte a cenni di una ripresa economica, in parte al contesto ambientale appena descritto, e in parte al rallentamento delle politiche in favore dell’efficienza energetica, a cominciare dai dati fatti registrare dagli strumenti dei certificati bianchi e delle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici;

- un peggioramento del mix energetico nazionale, dovuto a una riduzione del contributo delle fonti rinnovabili e a un contemporaneo aumento dei consumi di combustibili fossili, favoriti anche dai prezzi estremamente bassi.

Figura 4 Variazione delle emissioni di CO2 da processi energetici nei principali Paesi europei e media Ue28 nel 2015 (%)

Fonte: Eurostat

Altre osservazioni

L’Unione europea ha già conseguito con anticipo il target di riduzione fissato dal cosiddetto Pacchetto

20-20-20, pari a un taglio delle emissioni serra del 20% entro il 2020 rispetto al 1990. Anche l’Italia

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sembrerebbe ampiamente “on track” su questo obiettivo. Tuttavia, secondo le valutazioni dell’Agenzia europea dell’ambiente3, sia con le misure esistenti (scenario With Existing Measures - Wem) sia con quelle addizionali (scenario With Additional Measures - Wam), l’Ue28 non centrerà il target di riduzione del 40% al 2030, fermandosi rispettivamente a -30% e a -33%4. Purtroppo, secondo l’Agenzia, l’Italia farà molto peggio della media europea: nello scenario a politiche esistenti si prevede addirittura una fase di crescita strutturale delle emissioni, che risalirebbero dagli attuali 430 a circa 450 MtCO2eq nel 2030, mentre nello scenario Wam queste scenderebbero a 405 MtCO2eq (appena il -22% rispetto al 1990). Troppo poco per potersi dire allineati agli obiettivi del nuovo Pacchetto su energia e clima al 2030, e ancor meno agli impegni di Parigi. Anche guardando al solo settore non-Ets, formalmente l’unico di diretta responsabilità nazionale, al 2030 le emissioni nazionali dovrebbero passare dalle attuali 265 MtCO2eq a meno di 230, mentre negli scenari dell’Aea l’Italia non scenderebbe sotto 268-236 MtCO2eq.

Guardando agli effetti del cambiamento climatico in atto, negli ultimi tempi si sono susseguite mese dopo mese le notizie dei record raggiunti, con il primo semestre del 2016 che è stato il più caldo da quando esistono le moderne statistiche in materia (1880), con una temperatura media superficiale più alta di 1,3°C rispetto alla fine del XXI secolo5. Questi trend globali presentano variabilità regionali e locali molto elevate, con alcune aree del pianeta che possono far registrare dinamiche ben più estreme della media. A livello

europeo le perdite economiche dovute a eventi estremi legati al clima e alla meteorologia tra il 1980 e il 20136 sono state pari a 400 miliardi di euro, in crescita: da una media di 7,6 Mld €/anno negli anni ’80 a 13,7 negli anni 2000. L’Italia, in particolare, è maggiormente esposta agli impatti connessi a questi eventi, anche, ma non solo, per la particolare conformazione del territorio. Nel periodo analizzato (1980-2013) l’Italia ha fatto segnare il maggior numero in assoluto di decessi connessi a eventi meteo-climatici, oltre 20 mila, e danni per circa 60 miliardi di euro (seconda solo alla Germania con 79), meno di 2 miliardi assicurati, circa il 3%, una delle peggiori performance europee (la media Ue è del 33%).

Negli ultimi decenni sono state osservate dinamiche particolarmente preoccupanti: secondo i dati dell’Ispra7, il 2015 è stato l’anno più caldo mai registrato, con un'anomalia termica, ossia una differenza rispetto alla temperatura media del periodo 1961-1990, di circa 1,6°C. Tutti gli indicatori principali mostrano un acutizzarsi degli eventi estremi: dal numero di notti tropicali (in cui la temperatura minima supera i 20°C), a quello di giorni con gelo (temperatura minima minore o uguale a zero) fino all’indice sulle onde di calore, tutti mostrano valori ben superiori alle medie 1961-1990, con il 2015 che si caratterizza come uno degli anni più

“estremi”. Una recente analisi dell’Agenzia europea dell’ambiente8 mostra chiaramente come gli effetti del riscaldamento globale varino fortemente sul territorio e indica l’Italia tra i Paesi caratterizzati negli ultimi anni dai più elevati tassi di crescita della temperatura media superficiale nel periodo invernale.

Figura 5 Serie di anomalie della temperatura media in Italia rispetto al valore normale 1961-1990 (°C)

Fonte: Ispra

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Figura 6 Intensità energetica del Pil nelle principali economie europee e media Ue28:

dato 2014 standard (tep/M€2010) e dato 2013 con correzione climatica (tep/M€2005)

2 RISPARMIO ED EFFICIENZA ENERGETICA

Quella italiana è tradizionalmente considerata una economia efficiente dal punto di vista energetico, almeno in confronto ai partner europei. Analizzando l’intensità energetica del Pil (l’indicatore più ampiamente utilizzato per misurare l’efficienza energetica di una economia), con 98,4 tonnellate di petrolio equivalente per milione di euro nel 2014 l’Italia si posiziona al 2° posto della classifica dei cinque

principali Paesi europei, davanti a Spagna, Germania, Francia e dietro solo al Regno Unito, ma ben al di sotto della media europea (122 tep/M€).

Utilizzando l’indicatore “aggiustato” con le correzioni climatiche, i risultati cambiano in maniera rilevante:

nel 2013, ultimo aggiornamento disponibile, con 88,1 tep/M€2005 l’Italia fa peggio della media Ue28 (87,3) e di tutti i principali Paesi europei (Figura 6).

Variazione dell’intensità energetica 2005-2014

Analizzando l’andamento nel tempo, si osserva come l’Italia abbia migliorato le proprie performance ma in misura inferiore rispetto agli altri partner europei: tra il 2005 e il 2014, ad esempio, l’intensità energetica del Pil in Italia è migliorata del 16%, come in Francia ma meno di Germania (19%), Spagna (20%), Regno

Unito (26%) e un po’ al di sotto della media Ue28 (18%) (Figura 7). Questo fenomeno ha fatto sì che quello che un tempo era un vantaggio reale in termini di performance energetiche dell’economia italiana rispetto agli altri Paesi europei si sia andato progressivamente riducendo.

Fonte: Eurostat, Odyssee-Mure

Figura 7 Variazione dell’intensità energetica dell’economia nei principali Paesi europei e media Ue28:

2005-2014 indicatore standard e 2005-2013 indicatore con correzione climatica

Fonte: Eurostat, Odyssee-Mure

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Secondo l’analisi dell’Enea9, dal 1994 al 2014 i consumi finali del settore civile (terziario e residenziale) sono cresciuti di quasi il 34% e oggi superano quelli dell’industria, che ha subìto una riduzione notevole (-26,5%) a causa della crisi economica, dei trasporti, i cui consumi sono cresciuti di circa il 7%, e ovviamente dell’agricoltura (-14,6%). Il contributo dato dai vari settori ai progressi in termini di risparmio ed efficienza energetica è molto articolato. Nei trasporti non sono stati osservati miglioramenti significativi nel tempo, mentre nell’industria, complice anche la spinta della crisi e gli alti prezzi dell’energia oltre alle politiche attive per l’efficienza energetica, dal 2005 si osserva un progressivo e significativo miglioramento delle prestazioni. Nel residenziale, infine, sono stati osservati buoni progressi, specie nei primi anni ’90. Tornando alle valutazioni del progetto Odyssee-Mure, le analisi settoriali indicano per l’Italia prestazioni in linea con quelle medie europee solo nel caso dei trasporti (che anche a livello comunitario hanno registrato scarsi progressi), mentre negli altri settori sono generalmente inferiori anche a quelle degli altri maggiori partner europei, con elementi di maggiore criticità nel terziario e nell’edilizia.

Da molti anni in Italia sono attivi strumenti per la promozione dell’efficienza energetica, alcuni di diretta derivazione europea, come tutto il pacchetto degli standard energetici delle apparecchiature elettroniche, altri messi a punto direttamente a livello nazionale,

Altre osservazioni

come i certificati bianchi o le detrazioni fiscali in edilizia, che hanno in qualche modo rappresentato delle best practices a livello europeo. Secondo i dati dell’Enea, i meccanismi di incentivazione conteggiati ai fini del raggiungimento degli obiettivi nazionali sull’efficienza energetica, tra il 2005 e il 2015 hanno portato a un risparmio cumulato annuo di 9,9 Mtep, con una riduzione della bolletta energetica stimata in 2,94 miliardi di euro. Tuttavia, i trend registrati non sembrano essere sufficienti a conseguire i risultati attesi per il 2020 e oltre. In particolare, il nuovo Piano nazionale per l’efficienza energetica del 2014 indicava un risparmio energetico finale atteso tra il 2011 e il 2020 di 15,5 Mtep, mentre dal 2011 al 2015 il risparmio conseguito è stato di 5 Mtep. Il livello di conseguimento dei target è buono solo nel settore residenziale, grazie innanzitutto alle detrazioni fiscali, ed è accettabile in quello industriale, grazie al contributo dei certificati bianchi, mentre rimane decisamente insufficiente nei trasporti e nel terziario, con livelli di conseguimento inferiori al 20% (Figura 8).

La necessità di intervenire rafforzando politiche e strumenti per l’efficienza energetica si conferma anche osservando il rallentamento registrato proprio nei principali strumenti di sostegno: secondo le stime del 2015, rispetto al 2013, ad esempio, i risparmi stimati grazie ai certificati bianchi si sono ridotti di oltre il 40%

mentre quelli per le detrazioni fiscali di circa il 10%.

Figura 8 Risparmi energetici conseguiti tra il 2011 e il 2015 per tipologia di meccanismo di sostegno (sx) e livello di conseguimento per settore dei target nazionali al 2020 (dx)

Fonte: Enea

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Figura 9 Quota di fonti rinnovabili sul Consumo finale lordo (Cfl) di energia nelle principali economie europee e media Ue28: dati 2005, 2014 e target 2020 (%)

Fonte: Eurostat database

3 FONTI RINNOVABILI

Secondo i dati Eurostat10, nel 2014 il 17,1% del Consumo finale lordo (Cfl) in Italia è stato coperto da fonti rinnovabili, un valore superiore a quello medio europeo del 16%. All’interno dell’ampio range di risultati che caratterizza i Paesi europei, l’Italia rientrerebbe, tuttavia, nel terzo più basso della classifica. Ciò dipende dalle performance fatte registrare da pochi Paesi nord europei, con dimensioni e strutture produttive non confrontabili con quella italiana, che presentano livelli di penetrazione delle fonti rinnovabili non comuni:

Finlandia quasi 40% di rinnovabili sul Cfl, Svezia 53%, Norvegia 69% e l’Islanda addirittura 77%. Analizzando le performance nazionali a confronto con le altre grandi economie europee, il quadro migliora sensibilmente: in questo gruppo l’Italia presenta, infatti, la maggiore

penetrazione di fonti rinnovabili sul Cfl, seguita dalla Spagna con il 16,2% e dalla Francia con il 14,3%, facendo meglio anche della “virtuosa” Germania con il 13,8% e del Regno Unito che chiude la classifica con appena il 7% (Figura 9).

Va anche osservato come l’Italia sia l’unica grande economia ad aver raggiunto con largo anticipo il target al 2020 fissato all’interno del Pacchetto clima-energia della Ue. Ma, soprattutto, è quella che ha conosciuto tra il 2005 e il 2014 l’aumento più consistente nella copertura di fonti rinnovabili tra le grandi economie europee (con l’unica eccezione del Regno Unito, che partiva però da livelli estremamente bassi nel 2005):

+130%, ben oltre un raddoppio, contro il +100% della Germania, il +93% della Spagna e il +49% della Francia.

Aumento delle rinnovabili negli ultimi tre anni

Questo quadro, complessivamente positivo, non trova tuttavia conferma negli andamenti registrati negli ultimi anni e in particolare a cominciare dal 201311. I dati europei consentono un confronto solo parziale, in quanto non risultano abbastanza aggiornati per evidenziare i trend più recenti. Utilizzando le stime preliminari per l’Italia

fornite dal Gse12, dal 2013 si osserva un sostanziale arresto nella crescita delle fonti rinnovabili la cui quota sul Cfl in un triennio sarebbe passata da 16,7% a 17,3%, facendo segnare appena un +0,2% in media annua: in valore assoluto si è passati da un Cfl da fonti rinnovabili di 21,07 Mtep a uno di 21,14 Mtep.

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Questo rallentamento è trasversale a tutti i settori:

nei trasporti dal 2012 si è interrotto il trend positivo e le rinnovabili sono passate da1,89 a 1,18 Mtep (-38%); nel calore si è passati da meno di 5 Mtep a oltre 10 Mtep tra il 2005 e il 2008 e da allora non si è praticamente più cresciuti13; nell’elettrico, infine, da una crescita media vicina a 1 Mtep/anno, si è passati nel periodo 2013-2015 a una crescita complessiva di meno di 0,5 Mtep. Guardando al solo 2015, complice anche un’annata poco felice per l’idroelettrico, per la prima volta nella storia recente la produzione elettrica da fonti rinnovabili è diminuita mentre quella da fonti fossili è tornata a crescere (ben oltre 10 TWh in più, secondo le stime provvisorie di Terna). Questo calo, al netto dei cicli annuali che caratterizzano alcune fonti come quella idrica, è direttamente riconducibile al crollo della nuova potenza installata da fonti rinnovabili, passata da valori che si misuravano in migliaia di MW (fino al picco degli 11 mila MW del 2011) a poche centinaia di MW. Il trend negativo è proseguito:

secondo le valutazioni di Terna14, nel primo semestre

Figura 10 Nuova potenza elettrica installata da fonti rinnovabili in Italia, per fonte, tra il 2005 e il 2015 (MW)

Fonte: elaborazione su dati Terna

del 2016 la produzione da idroelettrico e da fotovoltaico è diminuita rispettivamente del 9 e del 13%, mentre la quota dei fossili sulla produzione nazionale è cresciuta dal 56,8 al 57,8%. Le politiche e gli strumenti messi in campo fino a ora, a cominciare dal tanto atteso Decreto sulle rinnovabili non fotovoltaiche, non sembra saranno in grado di invertire questa tendenza e riallineare il sistema in vista dei nuovi obiettivi europei al 2030 e di quelli che deriveranno dall’Accordo di Parigi.

Questa tendenza negativa si inquadra in un contesto mondiale ed europeo in rapida evoluzione. Nel 2015, secondo l’analisi di Ren2115, gli investimenti mondiali nelle fonti rinnovabili hanno raggiunto un nuovo record:

286 miliardi di dollari (+4,8% sull’anno precedente).

Tuttavia in questo contesto positivo, l’Unione europea, che pure con le sue politiche di incentivazione ha reso possibile lo sviluppo delle tecnologie low carbon, da alcuni anni ha invertito una tendenza positiva: dal 2011 al 2015 gli investimenti nelle rinnovabili nella Ue sono passati da 123 a 49 miliardi di dollari, mentre in Cina sono cresciuti da 47 a 103.

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nelle rinnovabili, dopo la Germania, superato nel 2014 anche da Francia e Regno Unito. Tra il 2011 e il 2014 in Italia sono stati persi 39 mila posti di lavoro nelle rinnovabili, il 32%, contro una media europea del 7%, l’8% della Germania o il 5% della Francia.

In un contesto difficile come quello europeo, l’Italia, che insieme alla Germania era stata protagonista della fase di crescita iniziale delle rinnovabili, sta facendo peggio di altri. Secondo i dati di EurObserv’ER16, nel 2011 era il secondo Paese europeo per investimenti

Fonte: Ren21

Figura 11 Investimenti nelle fonti rinnovabili in Europa, Usa e Cina tra il 2005 e il 2015 (miliardi di dollari)

Investimenti e occupazione nelle rinnovabili

Fonte: EurObserv’ER

Figura 12 Variazione del numero di occupati nei principali Paesi europei e media Ue28 tra il 2011 e il 2014 (%)

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Figura 13 Tasso di riciclo (%) dei rifiuti urbani nelle principali economie europee e media Ue28, 2014

Fonte: Eurostat

Figura 14 Tasso di riciclo dei rifiuti speciali (%) nei principali Paesi europei e media Ue28, 2012

4 ECONOMIA CIRCOLARE: IL RICICLO E L’USO EFFICIENTE DEI MATERIALI

Nel 2014 sono state riciclate in Italia 12,6 milioni di tonnellate (Mt) di rifiuti urbani, pari al 42% dei rifiuti prodotti. Rispetto ai cinque principali Paesi europei, l’Italia si colloca al terzo posto, dopo la Germania e il Regno Unito, davanti alla Francia e alla Sagna e vicina alla media europea con un punto percentuale in meno (Figura 13).

Delle 12,6 Mt riciclate in Italia, il 39% è costituito da frazione organica derivante dalla raccolta differenziata;

il 27% da carta e cartone; il 15% vetro; l’8% plastica e il 2% è composto da metalli. Il 18% dei rifiuti urbani prodotti è stato avviato a recupero energetico (circa 5,3 Mt; + 3,5% rispetto al 2013) e il 31% è stato smaltito in

discarica, cioè circa 9,3 Mt, -14% rispetto al 2013, ma con notevoli differenze per macro area geografica (-6%

Nord, -27% Centro, + 12% Sud). La rimanente parte è stata recuperata come materiale di riempimento delle discariche, come combustibile in impianti produttivi (cementifici) o esportata.

Nel 2012 sono state riciclate in Italia circa 99 Mt di rifiuti speciali, pari al 76% dei rifiuti prodotti. Rispetto ai cinque principali Paesi europei, l’Italia si colloca al primo posto, seguita da Germania (69%), Francia (61%), Spagna (52%) e Regno Unito (49%) e 30 punti percentuali sopra alla media europea (46%) (Figura 14).

Fonte: Eurostat

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La produttività delle risorse

La produttività delle risorse misurata in euro di Pil per kg di risorse consumate vede l’Italia in buona posizione:

3,05 €/kg nel 2014, a un livello migliore della media europea (2 €/kg), al 2° posto fra i cinque principali Paesi europei, dietro al Regno Unito (3,5 €/kg), ma davanti alla Francia e alla Spagna (2,8 €/kg) e alla Germania

(2,1 €/kg) (Figura 15). Nella Ue28 la produttività delle risorse per Pil prodotto tra il 2000 e il 2014 è aumentata da 1,48 a 1,98 €/kg, con un incremento del 34,2%, registrando un aumento costante ma modesto tra il 2000 e il 2007 (8,2%), una riduzione nel 2008 a causa della crisi, per risalire tra il 2009 e il 2014.

Fonte: Fonte: Eea

Figura 16 Dmc per categoria (%): media Ue28 e Italia, 2014

Altre osservazioni

Nella Ue28 il consumo interno dei materiali (Dmc), in termini di volume, è passato da 7,55 miliardi di tonnellate (Gt) nel 2000 a 6,64 nel 2014, con una riduzione del 12%.

Nello stesso periodo, il valore pro capite si è ridotto del 16% passando da 15,5 a 13,1 t/persona.

In Italia, Paese naturalmente incline a fare tesoro delle poche risorse materiali a disposizione, nel 2014 il Dmc è arrivato a 503 Gt, -47% rispetto al 2012 (948 Gt). Il consumo pro capite, pari a 16,6 ton/persona nel 2000, si attesta nel 2014 a 8,3 con una riduzione del 50%.

L'analisi del Dmc per categoria di materiale evidenzia l'importanza relativa dei vari materiali e il loro potenziale per il riutilizzo, il recupero e il riciclaggio. I materiali sono classificati in quattro categorie principali: biomassa, minerali metallici, minerali non metallici e materiali di energia fossile.

Il Dmc della Ue28 è dominato da minerali non metallici, che costituiscono quasi la metà del consumo totale di materiali nel 2014, circa 6 tonnellate pro capite, le biomasse e l’energia fossile 3,5 e 3,0 t/pro capite, i minerali metallici 0,5. La ripartizione del Dmc nelle

quattro categorie per l’Italia rispecchia la media europea, con circa il 45% rappresentato dai non metallici (Figura 16).

Fonte: Fonte: Eurostat

Figura 15 Produttività delle risorse (€/kg) nelle principali economie europee e media Ue28, 2015

(28)

Fonte: Eea

Figura 17 Andamento in Italia della produttività delle risorse, Pil e Dmc, 2000-2014

Fonte: Eio, 2016

Figura 18 Valutazione delle prestazioni dell’indicatore di ecoinnovazione (Eco-IS) nei cinque principali Paesi europei e media Ue28 per il 2015

Il confronto tra l’andamento crescente della produttività delle risorse e la sostanziale stabilità del Pil tra il

2000 e il 2014 registra il raggiunto disaccoppiamento rispetto al Pil (Figura 17).

5 ECOINNOVAZIONE

Secondo l’indicatore Eco-IS (Eco-Innovation Scoreboard), l’Italia si posiziona al di sopra della media Ue28 al pari con Spagna e Regno Unito, ma in coda a Germania e Francia (Figura 18); nella classifica dei Paesi europei è al 10° posto.

L’Eco-Innovation Scoreboard è l’indicatore utilizzato dall’Osservatorio europeo per l’ecoinnovazione (Ecoinnovation Observatory Eio17) per valutare le prestazioni dei vari Paesi, confrontare i risultati ottenuti in modo da poterne identificare i punti di forza

(29)

e di debolezza sui diversi assi di analisi. L’indicatore Eco-IS è composto da 16 indicatori provenienti da diverse fonti di dati (Eurostat, Cleantech, Iso Survey of Certifications, Patstat, Scopus, Meltwater, Eea, Water Footprint Network, Orbis), raggruppati in cinque componenti:

1. input di ecoinnovazione include stanziamenti R&S rispetto alla percentuale di Pil, personale e ricercatori rispetto alla percentuale totale dei dipendenti, investimenti verdi in fasi iniziali (Usd/pro capite);

2. attività di ecoinnovazione ovvero quanto le imprese hanno avviato attività di innovazione volte a una riduzione del materiale e dell’apporto di energia per unità di output (rispetto alla percentuale delle aziende) e quante sono le organizzazioni certificate Iso 14001 (per milioni di popolazione);

3. output di ecoinnovazione, che si misura per mezzo di brevetti, pubblicazioni (per milioni popolazione) e copertura mediatica;

4. risultati ambientali di efficienza delle risorse ovvero i benefici all’ambiente, valutati in riferimento alla “produttività” di materie, energia e acqua (misurati come rapporto tra Pil e materie, energia e acqua rispettivamente), insieme all’”intensità” delle emissioni di gas a effetto serra (CO2eq/Pil);

5. risultati socio-economici che mostrano come le azioni di ecoinnovazione da parte delle aziende (cosiddette “ecoindustrie”) possano generare benefici economici e sociali in termini di esportazioni, occupazione e fatturato (di aziende ecoinnovative e con azioni su economia circolare, rispetto alla percentuale totale di esportazioni, dipendenti e fatturato, rispettivamente).

I dati della Figura 19 riportano l’Eco-IS disaggregato per le cinque componenti sopra descritte, riferiti ai cinque principali Paesi (Germania, Regno Unito, Spagna, Francia, Italia) più la media europea (Ue28). Tutti i Paesi sono al disopra della media Ue28, ma quando si osserva il dato disaggregato si può notare come, a seconda della categoria analizzata, vi siano forti variazioni (ad esempio, la Germania eccelle in attività e input di ecoinnovazione ma consegue più bassi risultati ambientali e socio-economici).

Infine, in Figura 20 si mostra l’andamento dell’ecoinnovazione in Italia negli anni 2010-2015. Si può notare come vi sia stato un aumento per le categorie di attività di ecoinnovazione e risultati ambientali, una stazionarietà per output di ecoinnovazione, una diminuzione in input di ecoinnovazione rispetto al 2013 ma non al disotto dei valori del 2011, e un calo rispetto ai risultati socio-economici (sia 2013 che 2011).

Elaborazione Enea, da database Eio

Figura 19 Valutazione delle prestazioni dell’Eco-IS disaggregato per le cinque classi (Input dell’ecoinnovazione, Attività di ecoinnovazione, Output di ecoinnovazione, Risultati di efficienza di risorse, Risultati socio-economici) nei cinque principali Paesi europei e media Ue28

(30)

Fonte: Eio, 2016 su dati del 2015

Figura 20 Valutazione delle prestazioni italiane dell’Eco-IS disaggregato per le cinque classi

(Input dell’ecoinnovazione, Attività di ecoinnovazione, Output di ecoinnovazione, Risultati di efficienza di risorse, Risultati socio-economici)

Dal 2012 l’Italia si è dotata di una normativa organica volta a favorire la nascita e la crescita dimensionale di nuove imprese innovative ad alto valore tecnologico.

Con il Decreto Crescita 2.0 (dl 179/2012) e successive modifiche e integrazioni, si è introdotto nell’ordinamento giuridico italiano la definizione di start up innovativa:

- meno di 5 anni di attività;

- non distribuisce utili;

- almeno il 15% di spese in ricerca e sviluppo o almeno 1/3 della forza lavoro complessiva costituita da dottorandi, dottori di ricerca o ricercatori oppure almeno 2/3 costituiti da persone con laurea magistrale o start up

Le start up ecoinnovative

titolare, depositaria o licenziataria di brevetto registrato.

Le start up innovative sono poi tenute a iscriversi a una sezione speciale delle camere di commercio. Tale iscrizione permette di dimensionare il fenomeno a livello nazionale: al 30 maggio 2016 sono 5.771.

Un’analisi empirica recentemente svolta da ricercatori del Politecnico di Milano e dal Gruppo di lavoro “Start up green” degli Stati generali della green economy ha permesso di identificare il numero delle start up green all’interno delle start up innovative.

Le start up ecoinnovative in Italia sono 1.365, pari al 23,65% del totale delle start up innovative.

Fonte: Fibl-Ami. Organic Data Network Survey 2014

Figura 21 Superficie coltivata con criteri biologici: confronto fra i principali Paesi europei e totale Ue28 (ettari), 2014

6 AGRICOLTURA

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