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Confessioni, organizzazioni filosofiche e associazioni religiose nell’Unione Europea tra speranze disilluse e problemi emergenti

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Academic year: 2022

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Roberto Mazzola

(ordinario di Diritto canonico e ecclesiastico nell’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Dipartimento di Giurisprudenza

e Scienze politiche, Economiche e Sociali)

Confessioni, organizzazioni filosofiche e associazioni religiose nell’Unione Europea tra speranze disilluse e problemi emergenti *

SOMMARIO: 1. L’Europa bifronte. Libertà religiosa in Europa tra federalismo e nazionalismi –2. Ambiguità e contraddizioni del dialogo fra istituzioni europee, confessioni, organizzazioni filosofiche e associazioni religiose - 3. Le potenzialità insite nel Trattato di Lisbona sotto il profilo delle politiche in materia di libertà religiosa e di coscienza.

1 – L’Europa bifronte. Libertà religiosa in Europa tra federalismo e nazionalismo

Lo gnommero1, ovvero il gomitolo, il groviglio, il garbuglio è l’immagine che utilizza Gadda per esprimere l’inestricabile complessità dell’esistenza, ma è anche la metafora che meglio si presta per descrivere le contraddizioni, in parte irrisolte, del sistema normativo europeo nel suo sforzo di regolare i rapporti con le organizzazioni religiose e con le associazioni filosofiche e non confessionali.

Una complessità, quella del rapporto fra diritto europeo, confessioni, organizzazioni filosofiche e associazioni religiose, che trova la sua principale ragion d’essere nella natura ibrida dell’Unione europea,

* Il contributo, accettato dal Direttore, riproduce il testo integrale, corredato delle note, della relazione al Convegno Nazionale dell’ADEC sul tema “Per una disciplina che cambia.

Il diritto canonico e il diritto ecclesiastico nel tempo presente” (Bologna, 7-9 novembre 2013), ed è destinato alla pubblicazione negli Atti.

1 Come sostiene il Commissario Ingravallo in C. EMILIO GADDA, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, 4ª ed., Garzanti, Milano, 1990, p. 4: “[…] le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero (cors. autore) che alla romana vuol dire gomitolo”.

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come testimonia in forma inequivocabile l’art. 17 del TFUE2: per un verso espressione di un modello federale, per un altro, indissolubilmente legato al vecchio schema novecentesco della Lega delle Nazioni3 geloso nel difendere la sovranità delle singole nazioni4.

2 “Articolo 17: 1. L'Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale.

2. L'Unione rispetta ugualmente lo status di cui godono, in virtù del diritto nazionale, le organizzazioni filosofiche e non confessionali. 3. Riconoscendone l'identità e il contributo specifico, l'Unione mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese e organizzazioni”, in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea C 83/55

3 Come osserva infatti B. SPINELLI, L’Europa imbalsamata mentre la storia precipita, in Il Regno-att., 18 (2012), p. 635, “[…] l’Unione è un ibrido. In parte la sua natura è già federale, e più di quello che immaginiamo. Non lo sono solo alcune politiche. Come la politica agricola o quella commerciale o il Trattato di Schengen. Non solo, abbiamo istituzioni sovranazionali come la Commissione, il Parlamento europeo, la Banca centrale europea (BCE). Al tempo stesso la Unione è ancora legata alla lega delle Nazioni sovrane”. Si veda anche su questo punto F. BASSANINI, G. TIBERI, Introduzione alla seconda edizione. Le nuove istituzioni europee, in Quaderni ASTRID, Commento al Trattati di Lisbona, (a cura di), F. Bassanini, G. Tiberi, il Mulino, Bologna, 2012, p. 12. I curatori evidenziano, in particolare, come dopo il referendum del 2005, dove Francia e Olanda si espressero contro la Costituzione europea, occorreva con urgenza trovare soluzioni che

“conciliassero la forte opposizione di una agguerrita minoranza di Stati con l’avvenuta approvazione del Trattato costituzionale da parte di una larga maggioranza dei paesi e dei cittadini europei: apparve subito chiaro che l’unica strada praticabile per raggiungere questo risultato consisteva nella costruzione di un compromesso che da una parte evitasse il più possibile di riaprire il «vaso di Pandora» faticosamente negoziato nel Trattato costituzionale, dall’altro acconsentisse alle richieste dei paesi oppositori di cancellare ogni riferimento alla Costituzione e ai suoi simboli, sostituendo il Trattato costituzionale con un nuovo trattato che si presentasse come uno strumento essenzialmente tecnico, di basso profilo politico”. Si veda anche: AA. VV., La Costituzione europea. Un primo commento, (a cura di) F. Bassanini, G. Tiberi, Quaderni di Astrid, Bologna, il Mulino, 2004.

4 Osservano sempre F. BASSANINI, G.TIBERI, Introduzione alla seconda edizione. Le nuove istituzioni europee, cit., p. 15, che nel discorso ufficiale tenuto in occasione della solenne cerimonia della firma dell’atto di ratifica, “il Presidente polacco ribadì con forza che la Polonia era e sarebbe comunque rimasta uno Stato sovrano”. Un bilancio obiettivo deve, d’altra parte registrare anche innegabili ombre. Infatti, osservano sempre gli stessi curatori nell’Introduzione appena citata “al di là della scontata eliminazione di qualsiasi riferimento che potesse anche solo lontanamente richiamare la Costituzione europea (nome, bandiera, inno, motto europeo, terminologia degli atti normativi), occorre ammettere che, per giungere all’accordo, sono stati pagati prezzi non indifferenti. Per averne evidenza è sufficiente sfogliare le 76 pagine di protocolli allegati al Trattato e le 25 pagine di dichiarazioni finali in cui minuziosamente, con puntiglio e quasi con protervia (Amato), le posizioni nazionali hanno avuto soddisfazione sull’interesse comune europeo”.

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È infatti senza dubbio ascrivibile ad una filosofia federalista il terzo comma, là dove riconosce alle istituzioni europee il diritto d’instaurare un dialogo aperto, trasparente e regolare con le confessioni e le organizzazioni filosofiche; non così, invece, il disposto normativo contenuto nel primo comma. Quest’ultimo esprime, infatti, la formale rinuncia d’esercizio di sovranità da parte delle istituzioni europee a vantaggio dei singoli stati e delle organizzazioni religiose nazionali maggiormente rappresentative.

Come osserva puntualmente Feliciani:

“[…] ci si può azzardare a dire che con tale formulazione non solo abbiano vinto le istanze delle singole confessioni religiose, ma la cultura nazionalista che ancora persiste in misura forte all’interno dell’Unione e la corrispondente debolezza dell’idea paneuropeista”5.

Il modello di politica ecclesiastica a livello di Unione europea elaborato a Lisbona6 si presenta dunque come un sistema dai contorni incerti e contraddittori, un autentico work in progress di cui, a distanza ormai di cinque anni dalla entrata in vigore del Trattato, non si riesce ancora a comprendere la reale portata pur intuendone le potenzialità innovative. È proprio su questa natura in divenire che bisognerà riflettere, cogliendone limiti e potenzialità. In particolare, due mi sembra siano, sotto il profilo ecclesiasticistico, i nodi problematici di maggiore interesse:

innanzitutto, la verifica se la riserva di sovranità riconosciuta agli stati membri per regolare i rapporti con le chiese e le associazioni o comunità religiose escluda del tutto qualsiasi ingerenza del diritto europeo, o se, al contrario, quest’ultimo influenzi in qualche modo le decisioni di politica ecclesiastica assunte a livello nazionale; in seconda battuta, si dovrà chiarire in che grado il privilegio accordato agli stati in materia di politica ecclesiastica riesca a conciliarsi con la funzione dialogica riconosciuta all’Unione Europea.

In merito al primo punto, il dettato normativo contenuto nel primo comma dell’art. 17 del TFUE sembra, a prima vista, non suscitare dubbi interpretativi. La ripresa dei contenuti della dichiarazione n. 11 annessa al Trattato di Amsterdam del 1997 rimanda, infatti, ad una riserva assoluta di competenza degli stati, ad una sorta di zona franca che non lascia

5 G. FELICIANI, Liberté de religion dans le contexte établi selon le Traité de Lisbonne, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 14/2012.

6 Cfr. F. CLEMENTI, Il Trattato di Lisbona: dalla Convenzione europea del 2003 alla sua entrata in vigore , in Introduzione alla seconda edizione. Le nuove istituzioni europee, cit., p. 41 ss. Si veda anche nel medesimo volume: G. LUIGI TOSATO, L’architettura del nuovo Trattato, in Introduzione alla seconda edizione. Le nuove istituzioni europee, cit., p. 57 ss.

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spazio a modelli di rapporto stato-confessioni religiose che non siano quelli ascrivibili agli ordinamenti giuridici nazionali. Come osserva criticamente Margiotta Broglio, con la formulazione del primo comma dell’art. 17, si è persa l’occasione

“di innovare la condizione giuridica di chiese e comunità religiose, […] e si è finito, sancendo l’intangibilità degli status nazionali, col perdere di vista l’originalità del sistema [europeo] e di perpetuare modelli che non rispondono al nuovo e importante, ma diverso ruolo che religioni e convinzioni svolgono in società europee profondamente trasformate”7.

Tutto vero? È certo che la difesa dello status quo da parte dell’art. 17 primo comma corrisponda ad un reale disinteresse dell’Unione Europea nei confronti del fenomeno religioso? Non è forse in atto, al contrario, un processo sommerso, ma per questo non meno importante, di lento ma costante indebolimento del monopolio statuale in materia di libertà religiosa a favore del diritto europeo? Interrogativi doverosi in quanto più segnali provenienti da dottrina8 e giurisprudenza sembrano confermare quest’ultima ipotesi. Intanto, osserva Parisi9, è necessario fare attenzione alla terminologia utilizzata nel Trattato: il primo comma dell’art. 17, con il ricorso ai verbi “rispettare”, da intendersi come “trattare con riguardo”, e

“non pregiudicare”, da interpretarsi come “non danneggiare”, non sembra implicare necessariamente un’incompetenza assoluta dell’Unione Europea in materia. D’altronde, se così non fosse, la disposizione in tema di dialogo contenuta nel terzo comma sarebbe difficilmente giustificabile nella geometria generale della norma. Altri, ancora, evidenziano come all’incompetenza formale delle istituzioni dell’Unione Europea rispetto

7 F. MARGIOTTA BROGLIO, Confessioni e comunità religiose o “filosofiche” nel Trattato di Lisbona, in Riv. di Studi sullo Stato. Dossier. Il Trattato di Lisbona, 2010, p. 2; cfr. anche G.

ROBBERS, Europea e religione: la dichiarazione sullo status delle Chiese e delle organizzazioni non confessionali nell’atto finale del trattato di Amsterdam, in Quad. Dir. e Pol. Eccl., 2 (1998), pp. 393-398; M. VENTURA, Diritto e religione in Europa: il laboratorio comunitario, in Pol.

dir, 4 (1999), pp. 577-628; ID., La laicità dell’Unione Europea. Diritti, mercato, religione, Giappichelli, Torino 2001

8 Si veda in particolare T. JANSEN, Europe and Religions: the Dialogue between the European Commission and Churches or Religious communities, in Social Compass, 47, 1 (2000,) pp. 103-112.

9 M. PARISI, Vita democratica e processi politici nella sfera pubblica europea. Sul nuovo ruolo istituzionale delle organizzazioni confessionali dopo il Trattato di Lisbona, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 27/2013.

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alla regolazione del fenomeno religioso si è spesso contrapposta un’incidenza sostanziale del diritto di quest’ultima

“che viene di fatto a condizionare ambiti e azioni di singoli e di collettività che dovrebbero invece esserne esenti [così che di fatto ] l’incidenza del diritto dell’Unione su tali materie è [divenuta]

decisiva e rilevante”10.

In altri termini, nel corso degli anni, l’evoluzione della tutela dei diritti fondamentali all’interno dell’ordinamento dell’Unione e la progressiva influenza della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno fatto sì che tra il diritto europeo ed il fenomeno religioso venisse a costruirsi una rete di relazioni ed influenze particolarmente complessa.

Ma v’è di più: è pur vero che la Corte costituzionale italiana nella sentenza n. 80 del 201111, e ancor prima nelle sentenze nn. 348 e 349 del 200712 e nn. 311, 317 e 329 del 200913, ha ribadito il principio per cui, in assenza di una connessione e di un legame del diritto comunitario con il diritto interno, la Carta di Nizza non può essere utilizzata dal giudice per disapplicare le norme nazionali in contrasto14. Tuttavia, nulla impedisce, e

10 P. ANNICCHINO, Il Dialogo con i gruppi religiosi e le organizzazioni non confessionali nel Diritto dell’Unione europea: a proposito di una recente pronuncia del mediatore europeo, in Quad. dir. pol. eccl., 3 (2013), in fase di pubblicazione.

11 Sent. Corte cost. 11 marzo 2011, n. 80 , in Giur. cost., 2 (2011), p. 1224 ss. Si veda a commento di questa sentenza: AA. VV., Corti costituzionali e Corti europee dopo il Trattato di Lisbona, (a cura di) M. Pedrazza Gorlero, ESI, Napoli, 2010; ed ancora A. RUGGIERI, Rapporti tra Corte costituzionale e Corti europee, bilanciamenti interordinamentali e

“controlimiti” mobili, a garanzia dei diritti fondamentali, in (www. associazionedeicostituzion alisti.it 1/2011). Di quest’ultimo autore si veda soprattutto la riflessione critica mossa alla sentenza 80/2011 del giudice costituzionale italiano nell’articolo dal titolo: la Corte fa il punto sul rilievo interno della CEDU e della Carta di Nizza-Strasburgo (a prima lettura di Corte cost. n. 80 del 2011), in www. forumcostituzionale. it

12 Sentt. Corte cost., del 24 ottobre 2007, n. 348; 24 ottobre 2007, n. 349, in Giur cost., 4 (2007), rispettivamente a p. 3475 ss e p. 3535 ss.

13 Sentt. Corte cost. 26 novembre 2009, n. 311; 4 dicembre 2009, n. 317; 11 dicembre 2009, n. 329, in Giur cost 3 (2009), rispettivamente a p. 4657 ss; p. 4747 ss, e p. 4919 ss.

14 Come osserva A. RUGGIERI, la Corte fa il punto sul rilievo interno della CEDU e della Carta di Nizza-Strasburgo, cit., p. 3, grava “innanzitutto, sul giudice l’obbligo di far luogo all’interpretazione della legge in senso conforme a Convenzione, «avvalendosi di ogni strumento ermeneutico a sua disposizione». Qui, è palese la sollecitazione rivolta ai giudici a produrre ogni sforzo – e, forse, di più […] – al fine di riconciliare per via d’interpretazione gli enunciati in campo. Non riuscendovi – ed ecco il secondo punto –, viene fatto obbligo ai giudici di adire la Corte: nessuno spazio residuerebbe, dunque, per l’eventuale applicazione diretta della CEDU, pure ventilata in dottrina e praticata da qualche giudice «ribelle»”.

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il fenomeno è sempre più diffuso, che il giudice nazionale interpreti il diritto interno in base ai parametri della Carta europea dei diritti, cercando in tal modo di rendere il diritto interno il più simile possibile a quello europeo, facendo così rientrare dalla finestra della giurisprudenza di merito ciò che era uscito dalla porta della giurisprudenza costituzionale e della Corte di Giustizia del Lussemburgo. D’altronde, la stessa Corte costituzionale ha sempre ribadito, anche se in riferimento specifico alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, tale schema argomentativo, evidenziando come in caso di conflitto fra norma interna statale e norme convenzionali sia dovere di ciascun giudice trovare un punto di equilibrio fra i due ranghi di fonti, interpretando la norma di diritto interno alla luce di quella convenzionale, e qualora ciò non fosse possibile, ricorrendo alla procedura di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 117 comma 1 Cost15. Ora, tutto ciò, non solo conferma il ruolo sempre più centrale assunto nei sistemi giuridici statuali dal diritto della Unione Europea e da quello convenzionale prodotto in seno al Consiglio d’Europa, ma impone al contempo all’ecclesiasticista di riflettere sul fatto se i principi fondamentali contenuti nella Carta di Nizza e nella CEDU concorrano anch’essi, nell’ambito del sistema giuridico italiano, a fissare i limiti di legittimità delle politiche pattizie, ai sensi di quanto a suo tempo stabilito dal giudice costituzionale nella sentenza n. 30 del 197116 in merito ai principi fondamentali contenuti in Costituzione.

La verità è che dietro gli sforzi di vincere le resistenze all’ingresso del diritto dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa nel sistema dei diritti interni, si cela l’irreversibile processo di entropizzazione delle fonti normative. Un fenomeno tuttora in atto che porta ad un radicale indebolimento delle tradizionali categorie attraverso cui la cultura giuridica per lungo tempo ha gerarchizzato e ordinato le fonti di diritto;

un processo irreversibile dove l’equilibrio corrisponde alla completa confusione e alla perdita di ogni informazione su di esse17. La Carta di Nizza sembra così sovrapporsi alle costituzioni nazionali e alla CEDU, così come quest’ultima sembra ormai confondersi irrimediabilmente con il diritto della Unione Europea, in un intreccio sempre meno districabile18, a

15 Cfr. A. CELOTTO, Il Trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente applicabile nell’ordinamento italiano? (in margine alla sentenza n. 1220/2010 del Consiglio di Stato, in (www.neldiritto.it)

16 Sent. Corte cost., 1 marzo 1971, n. 30, in Giur.cost., 1 (1971), p. 150 ss.

17 Cfr. A. GUAZZAROTTI, I diritti fondamentali dopo Lisbona e la confusione del sistema delle fonti, cit., p. 10.

18 Cfr. N. COLAIANNI, Religioni e ateismi: una complexio oppositorum alla base del neo-

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dimostrazione del fatto che la forza dell’integrazione europea è, malgrado tutto, almeno per quanto concerne il diritto ecclesiastico, ben maggiore dello sbarramento opposto dalle Chiese maggioritarie attraverso la difesa del disposto contenuto nel primo comma dell’art. 17 TFUE. Come osserva infatti Ventura

"per quanto le grandi Chiese lottino contro l’effetto competitivo dell’integrazione europea (anche) sulla religione, quell’effetto è ora più forte. Il libero mercato che nel secondo dopoguerra ha difeso le Chiese dalla minaccia dell’ateismo marxista-leninista, le obbliga oggi a competere"19

e a godere sempre meno dei privilegi maturati nei secoli passati a livello di diritto interno.

2 – Ambiguità e contraddizioni del dialogo fra istituzioni europee, confessioni, organizzazioni filosofiche e associazioni religiose

Le ambiguità e le contraddizioni dell’art. 17 non si esauriscono con il primo comma, anzi, si accrescono in riferimento al terzo, e non tanto per l’uso del concetto polisemico di “dialogo”, quanto piuttosto in ragione di alcune evidenti incongruenze di natura tecnico-giuridica: penso all’adozione di un modello di relazioni Unione Europea-organizzazioni religiose incentrato esclusivamente sulla dimensione collettiva di libertà religiosa, là dove la Carta di Nizza, nell’art. 10, introduce un opposto modello di natura prevalentemente individuale20; non appare inoltre chiaro quali potranno essere le materie oggetto di un dialogo regolare sul tavolo europeo, e quali, invece, saranno riservate alle legislazioni nazionali. Non può immaginarsi infatti, osserva Margiotta Broglio, “che questioni come l’identità religiosa e culturale, o i diritti e le libertà fondamentali, possano, in qualche modo, essere ‘contrattate’ con le organizzazioni religiose”21; ancora: le decisioni assunte sul piano europeo vincoleranno o non le parti a livello nazionale?

separatismo europeo, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., giugno 2011.

19 Cfr. M. VENTURA, Religione e integrazione europea, in AA. VV., (a cura di) G. Enrico Rusconi, Lo Stato secolarizzato nell’età post-secolare, il Mulino, Bologna, 2008, pp. 333-334.

20 Cfr. S. RODOTÀ, La Carta come atto politico e documento giuridico, in AA.VV., Riscrivere i diritti in Europa. Introduzione alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Con testo accluso, il Mulino, Bologna, 2001, p. 61.

21 F. MARGIOTTA BROGLIO Confessioni e comunità religiose o “filosofiche” nel Trattato

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Comunque stiano le cose, è un fatto che a questi, così come ad altri interrogativi, bisognerà dare delle risposte, consapevoli che il terzo comma dell’art. 17, piaccia o non, ha introdotto un nuovo modello di regolazione del fenomeno religioso, fondato su presupposti diversi rispetto a quelli nazionali. Primo fra tutti, osserva al riguardo Colaianni, la posizione a-teista dell’Europa, priva, cioè, di una sua religione ufficiale e avversa a qualsiasi forma di religiosità maggioritaria o privilegiata, senza tuttavia ignorare il fenomeno religioso, anzi, mantenendo con esso, così come con le organizzazioni non confessionali, un dialogo regolare e aperto22, anche se non si può tacere il ripetuto sforzo fatto dalle confessioni religiose maggiormente rappresentative di resistere a tale modello federalista, riproponendo schemi di politica ecclesiastica analoghi a quelli utilizzati dalle confessioni religiose a livello nazionale. Si spiega così la proposta tedesca di adottare un maxi-concordato e delle maxi- intese tra confessioni religiose e Unione Europea, una soluzione, quest’ultima, che finirebbe, ovviamente, per favorire la Chiesa cattolica, in quanto unica confessione religiosa dotata di una soggettività giuridica tale da consentirle di accedere alla stipulazione di un trattato internazionale con la Commissione Europea23. Appare pertanto del tutto evidente come il richiamo al dialogo faccia emergere il problema di quali confessioni, associazioni religiose e organizzazioni filosofiche siano legittimate a interfacciarsi con la Commissione europea e quali non. Detto diversamente, la procedura di dialogo prevista dall’ultimo comma dell’art.

17 TFUE pone il problema di scelta dei criteri in base ai quali deve avere luogo la selezione dei soggetti ammessi al dialogo. A questo riguardo bisognerà evitare, nonostante la tentazione dell’Unione Europea di riprodurre gli schemi degli stati nazionali sia forte, che vengano accettati i paradigmi selettivi, di natura spesso arbitraria, utilizzati dagli ordinamenti interni dei singoli stati convenzionati. La natura doverosamente aperta del dialogo, richiesta dalla norma del Trattato, comporta infatti che nessun gruppo, tanto confessionale quanto filosofico sia a priori escluso dagli incontri con le istituzioni dell’Unione. La verità è che la recente raccomandazione del Mediatore europeo pronunciata su ricorso della European Humanist Federation contro la Commissione

di Lisbona, cit., p. 4.

22 Cfr. N. COLAIANNI, Religioni e ateismi: una complexio oppositorum alla base del neo- separatismo europeo, cit., p. 3.

23 Cfr. N. COLAIANNI, Religioni e ateismi: una complexio oppositorum alla base del neo- separatismo europeo, cit., p. 2.

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europea24 “a proposito delle modalità di conduzione del dialogo e le successive linee guida approvate dal gabinetto del Presidente della Commissione Barroso”25 per l’implementazione dell’art. 17 comma 3 del Trattato, non sembrano soddisfare appieno tale esigenza. Lo si deduce dalla lettura del comma 1 dell’articolo 1 delle guidelines26 il quale, riproducendo quanto regolato dai singoli diritti interni, consente che al dialogo possano partecipare solo

"les églises, les associations ou communautés religieuses ainsi que les organisations philosophiques et non confessionnelles qui sont reconnues ou inscrites en tant que telles à l'échelle nationale et adhèrent aux valeurs européennes".

Ancora una volta l’anima nazionalista, prevalendo sulla dimensione federale, delega all’amministrazione e al decisore politico nazionale, per mezzo della tradizionale procedura di registrazione, la funzione di filtro, ai fini dell’accesso al dialogo a livello europeo.

Tuttavia, ammesso e non concesso che le guidelines approvate nell’estate del 2013 dalla Commissione europea consentano effettivamente a un numero potenzialmente maggiore di confessioni e di associazioni religiose di soddisfare le proprie istanze accedendo alle procedure di dialogo con la Commissione europea, rimane da sciogliere un altro interrogativo di fondo: in che forma istituzionale tali confessioni dovrebbero dialogare con le istituzioni europee? Potrebbero presentarsi singolarmente, oppure dovrebbero organizzarsi in forma federativa? Un organismo come la Conferenza delle Chiese europee (KEK)27 è in grado di rappresentare gli interessi dei nuovi soggetti religiosi che animano la società europea? La verità è che tale organismo soddisfa solo in parte le istanze di pluralismo religioso, in quanto espressione di una frazione, anche se maggioritaria, della ben più complessa geografia religiosa oggi presente in Europa. È pur vero che la sottoscrizione della Carta ecumenica

24 Decisione del Mediatore Europeo contro la Commissione Europea sull’art. 17 del TFUE, 25 gennaio 2013 (ric. 2097/2011/RA).

25 P. ANNICCHINO Il Dialogo con i gruppi religiosi e le organizzazioni non confessionali nel Diritto dell’Unione europea: a proposito di una recente pronuncia del mediatore europeo, cit., in corso di pubblicazione.

26 Cfr. Guidelines on the implementation of article 17 TFEU by the European Commission, 20/7/2013, disponibile su: http://ec.europa.eu/bepa/pdf/dialogues/guidelines-implementation- art-17.pdf.

27 Cfr. J. ARNOLD DE CLERMONT, La Conférence des Églises européenne (KEK), in L’administration des cultes dans les pays de l’Union Européenne, (editor) B. Basdevant Gaudemet, Peeters, Leuven – Paris – Dudley, MA, 2008, pp. 37-39

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nel 2001 da parte della KEK e del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (COMECE)28 ha dimostrato particolare sensibilità verso il problema del pluralismo religioso, come dimostra la particolare attenzione voluta riservare dai due organismi all’ultimo comma dell’art. 17 TFUE riconosciuto da entrambi come “norma in grado di tutelare allo stesso modo tutte le confessioni religiose”29. Così come è innegabile il fatto che il documento comune, sottoscritto il 27 aprile 2010 dalla Plenaria della COMECE e dal Presidium della KEK sull’art. 17 terzo comma, nell’interrogarsi sul significato d’attribuire all’azione di dialogo, dimostra di cogliere lo spirito più autentico del Trattato di Lisbona: in esso, infatti, si auspica che il dialogo, inteso come consuetudine30, sia capace di coinvolgere il numero più ampio possibile di organizzazioni e di associazioni religiose, soprattutto quelle di minoranza; si richiede che esso sia aperto, ovvero in grado di coinvolgere il numero più vasto di cittadini, estendendosi a tutte le tematiche di competenza dell’Unione Europea, e si sviluppi in forma trasparente grazie all’uso dei mezzi stampa e ai siti informatici, consentendo in questo modo agli organismi europei di

“spiegarsi di fronte ad una vasta opinione pubblica, e per le chiese di divulgare le proprie posizioni”31. Si ribadisce, inoltre, che avvenga con regolarità per mezzo d’incontri, di seminari e attraverso la partecipazione alle udienze conoscitive del Parlamento europeo32 utilizzando la figura di un facilitator33.

Ora, tutto ciò è sicuramente meritorio, tuttavia i dubbi permangono, in quanto il dialogo, pur condotto in conformità a tali criteri34, rischia, se gli interlocutori confessionali delle istituzioni europee

28 Cfr. Mgr NÖEL TREANOR, Commission des épiscopats de la Communauté européenne, in L’administration des cultes dans les pays de l’Union Européenne, (editor) B. Basdevant Gaudemet, Peeters, Leuven – Paris – Dudley, MA, 2008, p. 25 ss.

29 G. LONG, La Conferenza delle chiese europee (KEK) e l’attuazione del Trattato di Lisbona, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., febbraio 2011, p. 11.

30 Cfr. G. LONG, La Conferenza delle chiese europee, cit., p. 9.

31 G. LONG, La Conferenza delle chiese europee, cit., p. 10.

32 Cfr. G. LONG, La Conferenza delle chiese europee, cit., p. 10.

33 G. LONG, La Conferenza delle chiese europee, cit., p.10. Si veda anche a questo proposito P. ANNICCHINO, Religion and EU Institutions, in Ecclesiastical Law Society, 15 (2013), pp. 326–343.

34 Secondo la Commissione “open” include: “all relevant topics of EU agenda can be addressed in this informal dialogue that is of horizontal nature and commonly agreed”, il carattere di “transparent” significa invece che: “the EU institutions commit themselves to convey to the public all relevant information about this dialogue (…)”, “regular” è invece:

“it has become common practice to organize, once a year, two separate informal meetings hosted by the President of the Commission and co-chaired by the President of the

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rimangono quelli attuali, non solo di soddisfare le istanze e gli interessi soltanto di una parte delle comunità religiose presenti in Europa, ma soprattutto di rappresentare e ascoltare esclusivamente quella parte del mondo religioso organizzato che si presenta nelle forme istituzionali classiche di chiesa, là dove con sempre più insistenza si affacciano nella società europea forme di religiosità nuove, lontane dai tradizionali schemi ecclesiali di tradizione giudaico-cristiana che difficilmente troverebbero, ad esempio nella Commissione Chiesa e Società della KEK, il proprio naturale rappresentante35, e questo per la ragione molto semplice che addirittura, solo una parte delle chiese di più antica tradizione, operano a livello di Unione Europea attraverso gli organi della Conferenza delle Chiese europee:

“les grandes Église protestantes et ortodoxes entretiennent à Bruxelles des instances ‘parallèles’; l’Église protestantes d’Allemagne, les Églises ortodoxes du Patriarcat oecumémique, du Patriarcat de Moscou de l’Église de Grece, ont leurs propes représentants”36

e, come evidenzia ancora il Presidente della Conferenza delle Chiese Europee, nonché Presidente della Federazione protestante francese, in Europa il dialogo fra confessioni religiose e istituzioni europee è ancora sostanzialmente rimasto, nel suo significato meno nobile, a livello di lobbying, senza avere ancora giunto lo stadio di dialogo aperto, trasparente e regolare auspicato dal Trattato Costituzionale europeo37.

Nel gioco dialettico fra illusioni e utopie tradite, sempre più significativa risulta poi essere la questione, spesso dimenticata dalla dottrina italiana, ad eccezione di rari casi38, dell’azione di lobbying esercitata dalle organizzazioni religiose e dalle associazioni filosofiche e

European Parliament and of the European Council […]. The dialogue also entails exchanges of views and meetings with members of the Commission, as well as speeches by the latter. In this spirit, the Commission organized, over the past years, several events with philosophical and non-confessional organization”,

35 Cfr. Le Religioni nell’Italia che cambia. Mappe e bussole, (a cura di) E. Pace, Carocci, Roma, 2013, p. 9 ss, ed ancora C. CARDIA, Multiculturalismo e libertà religiosa, in Oltre i confini. Religione e Società nell’Europa contemporanea, Cacucci-Editore, Bari, 2010, p. 137 ss;

si veda anche F. MESSNER, État et religions en Europe, in Religions et modernité, CRDP, Versailles, 2003, p. 185 ss.

36 J. ARNOLD DE CLERMONT, La Conférence des Églises européenne (KEK), cit., p. 37.

37 J. ARNOLD DE CLERMONT, La Conférence des Églises européenne (KEK), cit., p. 37.

38 Cfr. G. MACRÌ, voce Lobbies, in Dig. disc. pubb., 5° Aggiornamento, UTET, Torino, 2012, pp. 471- 484, ed ancora dello stesso autore:Europa, lobbying e fenomeno religioso. Il ruolo dei gruppi religiosi nella nuova Europa politica, Giappichelli, Torino, 2004.

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non confessionali sulle istituzioni europee. Qui l’espressione tradizionalmente negativa di lobby assume un significato differente, nella misura in cui richiama in primo luogo l’azione della Commissione nel sollecitare le organizzazioni religiose e umaniste a contribuire al rafforzamento della società civile e dell’identità europea. Nell’era del pluralismo, l’Unione sente infatti la necessità, come testimonia l’art. 11 del TFUE in materia di democrazia partecipativa, di delegare alla società civile, e quindi anche alle organizzazioni religiose e alle associazioni non confessionali, la costruzione progressiva di un’Europa, non solo economica e finanziaria, ma attenta a garantire i valori dell’uguaglianza, della solidarietà, della giustizia e della libertà, così come prevede la nuova geometria assiologica della Carta di Nizza39. Sulla base di tali presupposti è possibile pertanto, evidenzia ancora Massignon, “dépasser le simple lobbying en vue d’intérêts (exclusivement) particuliers et catégoriels”40.

Infine, è del tutto evidente come un dialogo, chiunque sia l’interlocutore, sarà tanto più costruttivo41, quanto più vedrà coinvolte controparti istituzionali motivate e preparate. In tal senso il problema dell’analfabetismo religioso in Europa costituisce senza dubbio un limite all’efficacia del dialogo, e il tema della trasmissione del sapere religioso torna ad essere in tal modo centrale, non più o non tanto per garantire la trasmissione di un patrimonio di dottrine etico-religiose, ma, evidenzia Pajer,

«per cooperare a elaborare – nella logica universale dei diritti umani e mediante una pedagogia dell’intercultura – una tavola di valori comuni e condivisi in vista di abilitare alla cosiddetta “nuova cittadinanza europea”, da diverse parti auspicata, ma che è ancora in

39 Cfr. Si veda J. LUTHER, Europa costituenda e cultura costituzionale, Giappichelli, Torino, 2007, p. 39 ss. ed ancora E. PACIOTTI, La Carta: i contenuti gli autori, in AA. VV., Riscrivere i diritti in Europa. Introduzione alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, cit., p. 17. L’autrice sottolinea in particolare come la Carta di Nizza si ispiri ad una logica e faccia propria un’architettura di valori del tutto innovativa rispetto alle altre carte internazionali. Gli articoli che la compongono non sono infatti suddivisi secondo le tradizionali distinzioni tra diritti civili e politici, diritti sociali ed economici, ma sono raggruppati intorno a dei valori fondamentali: la dignità (artt. 1-5); la libertà (artt. 6-19);

l’uguaglianza (artt. 20-26); la solidarietà (artt. 27-38); la cittadinanza (artt. 39 -46) e la giustizia (artt. 47-50).

40 B. MASSIGNON, Les rapports entre Eglise et Union européenne, in Quad. dir. pol. eccl., 1 (2014), in corso di pubblicazione.

41 Cfr. B. MASSIGNON, Des dieux et des fonctionnaires. Religions et laïcités face au défi de la construction européenne, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2007, pp. 211-230.

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via di collaudo in molti ambienti della socializzazione pubblica»42.

3 – Le potenzialità insite nel Trattato di Lisbona sotto il profilo delle politiche in materia di libertà religiosa e di coscienza

È indiscutibile che con Lisbona si sia avuta una svolta; la firma del Trattato costituisce un tornante le cui conseguenze varieranno a seconda di come il gomitolo sarà dipanato: se prevarrà l’interpretazione più restrittiva a difesa delle politiche ecclesiastiche nazionali, i processi di cambiamento si svilupperanno in forma molto più lenta e incerta, ciò significherà che nel breve-medio termine non muterà il modo di percepire il fenomeno religioso, né cambierà il modo d’interpretarne il pluralismo. Ne conseguirà un più forte divario fra società civile e istituzioni, e una più ridotta capacità politico-istituzionale nel risolvere le questioni relative alla presenza del religioso in Europa43. Se, al contrario, prevarrà un’interpretazione di spirito più federalista, forse i vecchi schemi otto- novecenteschi verranno finalmente smantellati a vantaggio di un linguaggio nuovo e a favore di una rinnovata logica nell’affrontare il rapporto fra diritto e religioni, finendo così per considerare il fenomeno religioso, e più in generale la spiritualità, “come prerequisiti necessari allo sviluppo del dialogo europeo, della cooperazione e della unificazione”44.

La verità è che, come evidenziano con speranza e nel contempo con una certa apprensione più autori, la nuova legislazione costituzionale dell'Unione europea lancia alle confessioni, alle associazioni religiose e alle associazioni filosofiche una grande sfida, dove la posta in gioco è la costruzione di una nuova, «grande» Europa fondata sul processo di revisione di vecchi schemi e il superamento di sterili e cattive polemiche.

È evidente che tutto ciò impone alle c.d. ‘agenzie di senso’ un differente impegno ma, soprattutto, una rinnovata mentalità, più federalista, lontana dai privilegi ed egoismi assicurati dalle specifiche normative nazionali.

Come osserva ancora Margiotta Broglio, le organizzazioni religiose

42 F. PAJER, Scuola e università in Europa: profili evolutivi dei saperi religiosi nella sfera educativa pubblica, in Gruppo lavoro su “analfabetismo religioso”, (coordinato da) A. Melloni, il Mulino, Bologna, 2014 (in fase di pubblicazione)

43 Cfr. A. FABBRI, Unione Europea e fenomeno religioso. Alcune valutazioni di principio, Giappichelli, Torino, 2012, p. 49 ss. Si veda anche A. LICASTRO, Il diritto statale delle religioni nei paesi dell’Unione Europea. Lineamenti di comparazione, Giuffrè, Milano, 2012, p.

179 ss.

44 E. GENRE, F. PAJER, L’Unione Europea e la sfida delle religioni. Verso una nuova presenza della religione nella scuola. Claudiana, Torino, 2005, p. 86.

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«dovranno […] cessare di riposare sugli allori, spesso privilegiati, degli “statuti” nazionali (concordatari e non) ed accettare la sfida del confronto positivo con una Unione laica, sempre più multietnica e pluralista in materia di religione e di credenze, con la sola, ma efficace, protezione dei diritti dell'uomo (individuali e collettivi) e senza fare più conto sui «nazionalismi costituzionali» che, se da un lato elargiscono favori alla religione «ufficiale» o di maggioranza, dall'altro ne limitano, talvolta profondamente, la piena libertà e autonomia»45.

D’altronde, i soggetti religiosi organizzati devono ormai prendere atto della diversa posizione da loro assunta all’interno del sistema politico-istituzionale europeo. Il modello francese di laicità fondato sulla netta separazione fra politica e religione domina, infatti, il modo di pensare e di agire dell’Unione europea46 in materia di libertà religiosa e di coscienza, anche se tale distinzione non viene mai declinata come disinteresse verso il religioso. Come evidenzia, infatti, il Mediatore europeo47, il concetto di separazione non significa l’impossibilità di un dialogo con le chiese e le organizzazioni religiose, ma implica, al contrario, che le chiese e le organizzazioni religiose non pretendano di avere una posizione di privilegio nel dialogo con le istituzioni dell’Unione, che, a loro volta, dovranno assumersi la responsabilità di attivare quel learning process48 rispetto al Trattato di Lisbona indispensabile per un ripensamento, a livello europeo, nel modo di trattare le agenzie di senso, siano esse religiose, confessionali o esclusivamente filosofico-umaniste.

45 F. MARGIOTTA BROGLIO, Confessioni e comunità religiose o “filosofiche”, cit., p. 5.

46 Cfr. A. FABBRI, Unione Europea e fenomeno religioso. Alcune valutazioni di principio, cit., p. 30 ss. ed inoltre C. MIRABELLI, N. COLAIANNI, D. GARCIA-PARDO (interventi), Stato e confessioni religiose in Europa tra separazione e coordinazione, in Quad. dir.

pol. eccl., n. 2 (2009), p. 302.

47 Cfr. P. ANNICCHINO, Il Dialogo con i gruppi religiosi e le organizzazioni non confessionali nel Diritto dell’Unione europea: a proposito di una recente pronuncia del mediatore europeo, cit., in fase di pubblicazione

48 Cfr. P. ANNICCHINO, Il Dialogo con i gruppi religiosi, cit.

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