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Di Milano sappiamo molto poco per quanto riguarda tutto il lunghissimo periodo che precede l’età tardoantica

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Academic year: 2021

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PARTE III: LOMBARDIA

Il termine Lombardia è piuttosto anacronistico per una trattazione che si occupa del IV secolo d.C., ma credo che possa ugualmente avere un valore anche per questa epoca: le città di questa regione hanno molti elementi in comune e presentano caratteristiche fondamentalmente unitarie. Tale suddivisione mi pare, poi, utile alla luce dell’evolversi delle province annonarie: l’unica regione che mantiene invariati i suoi confini è la Venetia et Histria, mentre le altre circoscrizioni subiscono continui cambiamenti che renderebbero disagevole la trattazione sistematica delle città.

CAPITOLO 1: MILANO

1

Di Milano sappiamo molto poco per quanto riguarda tutto il lunghissimo periodo che precede l’età tardoantica

2

: soltanto con il 286 diventa improvvisamente una città degna di nota, perché scelta come sede imperiale. Le informazioni sull’assetto del centro, non sono però eccessivamente numerose. Di certo è molto studiato l’aspetto paleocristiano: non bisogna dimenticare che le grandi basiliche costruite in questo periodo sono, per lo più, ancora esistenti e l’impegno politico-edilizio di quel grande stratega che è Ambrogio ha condizionato l’aspetto della città in tutte le epoche successive, compresa la nostra. Escluse le basiliche, comunque, rimane ben poco della Milano romana: edifici imponentissimi sono stati completamente obliterati e sopravvivono spesso soltanto in antichi toponimi;

inoltre, come è facile immaginare, l’indagine archeologica non è quasi mai praticabile: se Aquileia è attualmente solo il fantasma di se stessa, Milano oggi è una moderna metropoli ricoperta di fitti edifici su tutta la sua superficie. Non bisogna, comunque, pensare che non si conosca niente della città romana: scavi di emergenza sono stati eseguiti in concomitanza con i cantieri degli edifici contemporanei o dei grandi lavori pubblici

3

e indagini più approfondite hanno coinvolto alcuni complessi. Le notizie delle fonti, poi, sono poco numerose, come anche le iscrizioni, che probabilmente sono andate distrutte o reimpiegate.

Al di là di queste considerazione è stato, comunque, possibile la ricostruzione di un’immagine abbastanza precisa della città di Milano.

1 Si veda la tavola in appendice.

2 Si veda a proposito di questo e della condizione generale di Milano all’interno dell’Italia Annonaria, il capitolo uno della prima parte.

3 Si pensi, ad esempio, agli scavi di Piazza Duomo: sono stati effettuati durante i lavori per la metropolitana nel 1961- 1962 da Mirabella Roberti e precedentemente da De Capitani D’Arzago durante la guerra, nel 1943, quando si stava scavando un rifugio antiareo. Come è facile supporre, quest’ultima ricognizione archeologica fu particolarmente rapida.

(2)

1: L’ASSETTO URBANO

La topografia romana

4

presenta un asse urbano insolito

5

per l’orientamento delle strade principali: il cardo si sviluppa da Nord-Est a Sud-Ovest e va da porta Romana a porta Vercellina, mentre il decumano si trova in direzione Nord-Ovest Sud-Est ed ha come estremi porta Ticinensis e porta Nova. Tale reticolo è forse determinato dalla stessa pendenza del terreno o forse condizionato dall’esistenza di importanti direttive preromane;

la presenza, infatti, di strade extra-urbane di origine preistorica e protostorica impone alla città uno schema a raggera, totalmente sostituito da quello romano soltanto nella zona forense

6

. Bisogna, inoltre, notare che cardo e decumanus non sono perpendicolari tra loro e le dimensioni degli isolati non sono costanti

7

. Interessante è, inoltre, la situazione idrografica di Milano: l’area su cui sorge la città era in origine ricca di corsi d’acqua, che in epoca romana sono ancora parzialmente navigabili.

2: LE MURA

Ausonio, nel suo poemetto dedicato alle metropoli dell’impero, scrive che Milano presenta una doppia cinta muraria

8

: duplici muro amplificata loci species. Tale testimonianza può essere integrata dalla ricerca archeologica e dal breve tratto murario romano attualmente ancora visibile. Anche Claudiano e Aurelio Vittore parlano delle fortificazioni milanesi, che vengono attribuite da quest’ultimo autore all’opera di Massimiano. Probabilmente la città possedeva una cerchia repubblicana, che viene, poi, allargata al tempo dei tetrarchi, senza, però, distruggere o smantellare le fortificazioni precedenti. Sicuramente il tracciato tardoantico si espande verso Nord e ingloba così la parte più salubre della città; ulteriori allargamenti si verificano anche ad Ovest, dove si inserisce all’interno delle mura il preesistente circo suburbano

9

, e a Est. La datazione dell’impianto non è suffragata da dati stratigrafici, ma soltanto da considerazioni tipologiche e storiche; un termine post quem per la loro realizzazione è stato individuato da Mirabella Roberti nel III secolo: un intervento di rialzo eseguito sulle mura repubblicane in quest’epoca, garantisce il loro utilizzo. Un elemento molto interessante è costituito da una base iscritta dedicata a

4 CALDERINI, 1965, pp. 84-85.

5 C’è chi a proposto di vedere la presenza di due sistemi ortogonali all’interno della città: quello legato a cardo e decumano e un altro che vi si sovrappone e ricalca la divisione centuriata. Si veda: Milano capitale dell’impero, 1990, p. 91.

6 REBECCHI, 1993 C, p. 108.

7 CERESA MORI, 1995, pp. 356-358.

8 AUS., Ordo Nobilium Urbium 7.

9 CALDERINI, 1965, p. 85.

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Massimiano, reimpiegata in un tratto di mura; tale scoperta mette in discussione la cronologia tradizionale, che, però, è salvata da Sartori: lo studioso sostiene che tale iscrizione non rappresenti la vera base della statua a cui è riferita, ma piuttosto una brutta copia di essa

10

, di conseguenza un eventuale riutilizzo ai tempi dello stesso Massimiano non costituirebbe un problema; un’altra interpretazione, invece, attribuisce l’elemento di spoglio ad una fase successiva di restauro della cinta

11

Le porte cittadine sono piuttosto conosciute. La Ticinensis è posta al termine della via suburbana che porta a Pavia e, probabilmente, di un’altra che arriva da Vigevano; secondo la ricostruzione di Calderini possiede due fornici di tre metri di ampiezza

12

, ma tale ipotesi è stata messa in discussione per la disarmonia delle proporzioni, che ne deriverebbe

13

. Dopo di essa si può incontrare, in senso orario la porta Vercellina. Questa è ricordata insieme alla porta Giovia, la cui posizione, però, non è individuata con certezza

14

. Nel tratto murario successivo non è stata individuata finora nessuna porta, ma nel caso se ne trovasse una è sicuramente da identificare con la Comacina

15

. La porta detta Nuova nel medioevo, dovrebbe, poi, trovarsi nel tratto successivo di mura individuato dalle ricognizioni archeologiche. Probabilmente esiste, anche, una porta presso la quale confluiscono le strade provenienti dal Veneto e dalle valli bergamasche , il nome antico non è noto, ma è giunto a noi quello medievale, che corrisponde a porta Orientale o porta Argentea. Un ulteriore varco è ipotizzabile nella direzione dell’attuale strada Paullese, a cui deve corrispondere un antico asse romano

16

. Infine la serie delle porte si conclude con porta Romana. Tale accesso presenta un impianto monumentale: davanti alla porta vera e propria si allunga una strada porticata lunga 600 metri, all’inizio della quale si trova un arco onorario a tre fornici; la strada è lastricata e i portici che vi si affacciano comprendono una serie di ambienti da interpretare come botteghe provviste di sistema fognario autonomo e, almeno in parte, affrescate. L’edificazione di tale impianto avviene tra la metà del IV secolo e il suo ultimo quarto: promotori di tale opera sono probabilmente Valentiniano I e il figlio Graziano, che dimora stabilmente a Milano. Già nel V secolo, tale complesso subisce danni vistosissimi a causa della scesa di Attila; l’arco onorario, invece, si conserva fino ai tempi del Barbarossa

17

. È interessante, poi,

10 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 36.

11 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 98.

12 CALDERINI, 1965, pp. 86-89.

13 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 98.

14 Un’iscrizione che ricorda un collegium iumentariorum portae Vercellinae et Ioviae.

15 CALDERINI, 1965, p. 88.

16 CALDERINI, 1965, p. 89.

17 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 99.

(4)

considerare la funzione di raccordo che tale struttura ha in rapporto con il territorio extra- urbano: città e territorio in questo modo non sono più del tutto separati ma, tramite tale elemento trovano una nuova integrazione

18

; non bisogna, poi, dimenticare che anche le basiliche cimiteriali che si sviluppano all’esterno del perimetro urbano contribuiscono a ridelineare il rapporto tra il centro e il suburbio, così molto più vicini. Certo, il fatto che tale sistemazione riguardi proprio questa porta non è casuale: da una parte bisogna considerare che porta Romana si trova in asse con il decumano della città e dall’altra che da questo varco entra in città chi proviene da Roma, di conseguenza è facile ipotizzare un collegamento ideologico e simbolico tra le due capitali.

Il circuito murario è provvisto di torri, la tradizione medievale ne conta addirittura quattrocento, l’archeologia moderna, invece, ne ha individuate molte meno. Possiamo, sicuramente, stabilire che le porte siano circondate da torri: negli anni quaranta è stata identificata una di esse inglobata in un edificio medievale, chiamata tradizionalmente torre dei Malsani; ha un diametro di quattro metri e si presenta internamente circolare e poligonale esternamente. Un’altra torre superstite si erge, poi, nella zona di Monastero Maggiore, dove affiora dal terreno insieme a un tratto di mura; strutturalmente è identica all’altra ed è chiamata torre di Ansperto, dal nome del vescovo restauratore

19

; allo stesso personaggio è attribuita un’ulteriore torre, che si trova tra porta Orientale e porta Romana:

la costruzione medievale potrebbe erigersi su una struttura romana appartenente alle mura massimianee

20

.

È, poi, da ricordare che nelle fondazioni e negli alzati delle mura sono presenti numerosi elementi di spoglio, come epigrafi e parti di monumenti sepolcrali

21

. Si noti, infine, che la costruzione delle fortificazioni tardoantiche modifica l’idrografia della zona: il Seveso viene deviato per costituire il nuovo fossato della città

22

.

3: IL FORO

Gli autori antichi non riportano nessuna notizia sul foro romano, le uniche testimonianze letterarie ci giungono da fonti medievali, che si dimostrano, comunque, molto utili: in una carta del IX secolo, si nomina il foro pubblico non longe a moneta

23

, ovvero la zecca,

18 CRACCO RUGGINI, 2001.

19 CALDERINI, 1965, pp. 86-87.

20 CALDERINI, 1965, p. 89.

21 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 98.

22 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 98.

23 Tale testimonianza si trova nel testamento autentico dell’arcivescovo Ansperto, dell’11 novembre 879.

(5)

mentre in un altro documento coevo si parla di foro publico quod vocatur assemblatorio

24

. In base a considerazioni toponomastiche si può collegare la presenza del foro con l’attuale via Moneta e, più in particolare, l’area forense può essere individuata nella zona di piazza San Sepolcro e della Biblioteca Ambrosiana, che oblitera buona parte della struttura antica.

Il foro misura 160 metri per 55 e si svilippa all’incrocio tra gli assi principali della città, spiegandosi lungo la parte del cardo massimo, che si trova a Nord-Est del decumano

25

. Sui lati lunghi, paralleli a quest’ultimo, si trovano, poi, tabernae sopraelevate accessibili tramite una gradinata

26

.

Per quanto riguarda il Capitolium, si può ragionevolmente supporre che si trovi a Nord del lato breve del foro; tale ipotesi non è avvalorata da scavi archeologici, ma si basa sul confronto con aree forensi caratterizzate dalla stessa planimetria

27

.

Il foro, come abbiamo visto, continuerà ad esistere anche nell’alto medievo, sebbene ridotto in estensione: su alcune zone della pavimentazione rinvenuta sono state trovate tracce di costruzioni private.

A questo punto, mi pare interessante analizzare gli edifici che si trovano intorno al foro.

Verso Est sono state individuate delle strutture che possono essere interpretate come un macellum; infatti la testimonianza di un atto di vendita di età altomedievale riferibile a questo luogo, menziona locum ubi prope macellum dicitur

28

. L’edificio rinvenuto è di forma rettangolare e presenta un cortile interno, che almeno su tre lati appare circondato da ambienti quadrangolari identificati con botteghe.

A Nord-Est del foro sono state rinvenute, poi, delle suspensurae, forse collegabili ad un edificio termale; a Est, infine, gli scavi hanno rinvenuto tracce di un quartiere a carattere residenziale e artigianale, frequentato per un periodo molto lungo, che va dal II-I secolo a.C. al IV d.C., in tale settore sono stati scavati anche i resti della zecca

29

.

4: LA ZECCA

La città di Milano è sede di un’importante zecca: dal III secolo batte moneta ed è provvista di ben tre officinae, che in un secondo momento diventano additittura quattro; a tali atelier va aggiunto anche quello comitatense attivo quando l’imperatore è in città. Le

24 Quest’altra testimonianza si trova nel testamento apocrifo dell’arcivescovo Ansperto, del 10 ottobre 879.

25 Si noti che il decumano entra nel foro obliquamente.

26 CERESA MORI, 1995, pp. 352-353.

27 CERESA MORI, 1995, p. 355.

28 CERESA MORI, 1995, p. 347.

29 CERESA MORI, 1995, pp. 353-354.

(6)

testimonianze antiche sulle zecche milanesi sono piuttosto rare e possiamo ricordare a proposito solo i versi di Ausonio

30

che citano esplicitamente la presenza di una moneta. In base ai ritrovamenti e a notizie di altro tipo siamo in grado di individuare almeno uno di questi edifici, che va collocato nel cuore della città.

Come abbiamo visto, alcuni toponimi aiutano a identificare il sito della zecca: le chiese di S. Mattia alla Moneta e di S. Martino alla Moneta, nonché via Moneta non possono certo essere prive di valore. Tanto più che, gli scavi archeologici di inizio novecento hanno individuato sotto l’attuale banca d’Italia un importante edificio romano delle dimensioni di 44 metri per 16,85. l’edificio si trova a Nord-Ovest del foro e presenta i propri lati lunghi paralleli a quelli del vicino complesso. Il fatto che buona parte dell’alzato dei muri si sia conservata fa pensare ad un utilizzo prolungato dell’edificio

31

.

5: GLI HORREA

Nella parte dedicata ad Aquileia abbiamo fatto cenno alla presenza di horrea

32

anche per la città di Milano, dove si trova un modello molto simile a quello aquileiese. Il magazzino milanese è collocato in posizione leggermente decentrata: sorge non lontano dalle mura, sulla strada che porta a Como, cioè sulla direttrice che mette in comunicazione la città annonaria con la regione dell’alto Reno e dell’alto Danubio; tale complesso, inoltre, si trova vicino a un corso d’acqua, il Seveso, e a due sue diramazioni. L’edificio misura 18 metri per 68, è diviso internamente in quattro navate, possiede un piano superiore ed è probabilmente provvisto di un cortile interno. Per quanto riguarda l’aspetto esterno si può ipotizzare la presenza di lesene con arcate cieche

33

, come ad Aquileia e a Treviri.

Si noti, poi, che non lontano da qui è stato rinvenuto un muro, che per tecnica edilizia, è molto simile a quello degli horrea; si tratta probabilmente di un altro edificio pubblico tardoantico.

6: IL PALAZZO IMPERIALE

La presenza di un palazzo imperiale a Milano è garantita per la prima volta nel 291 dalla testimonianza del panegirista Mamertino

34

. Forse anche in epoca anteriore esisteva una residenza per i principi, se si vuole dare fede ad una notizia tarda riportata da Landolfo

30 AUS., Ordo Nobilium Urbium 7.

31 CERESA MORI, 1995, p. 349.

32 Milano capitale dell’impero, 1990, pp. 102-103.

33 Una simile impostazione ha anche la chiesa di S. Simpliciano.

34 Paneg. XI, 1.

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Seniore, che parla di un palazzo traianeo

35

. Tralasciando tale ipotesi, le fonti letterarie possono ancora aiutarci per la localizzazione della dimora massimianea: Ambrogio

36

dice di passare davanti al palatium, nel suo percorso dall’episcopio al cimitero ad martyres, di conseguenza tale complesso si trova tra l’attuale piazza Duomo e S. Ambrogio. Più precisamente, si estende in un’ampia area triangolare posta tra porta Vercellina e porta Ticinese, tra il decumano e il cardo, che probabilmente scavalca.

La toponomastica moderna

37

, può aiutare ad individuare il sito preciso del palazzo imperiale: due chiese, S. Giorgio e S. Alessandro portano la denominazione al Palazzo. È da rilevare anche che poco lontano una zona era chiamata, in passato, dell’olmo e un’analoga denominazione va vista nell’odierna via dell’olmetto; quest’ultimo gruppo di toponimi può fare riferimento a due realtà: da una parte ai giardini di cui il palazzo imperiale è sicuramente ornato

38

, dall’altra ad una diversa struttura, presumibilmente una villa suburbana appartenente all’imperatore. Quest’ultima ipotesi si ricollega agli atti di S.Vittore: il santo viene decapitato ad silvam ulmos vocatur ubi viridarium habebat imperator; tale luogo potrebbe essere collocato tra S.Ambrogio e S.Vittore al Corpo dove sorgeva la chiesa di S. Vittore ad ulmos; in questo modo avremmo, dunque, a che fare con un possedimento imperiale extra-urbano e non con il palatium vero e proprio

39

.

Il complesso palaziale, comunque, si estende in una zona compresa tra il foro e il circo, si ricordi, infatti, che la vicinanza del circo è irrinunciabile per un palatium tardoantico. La struttura dunque si dimostra molto ampia e occupa numerose insulae: all’interno si trovano sicuramene gli appartamenti imperiali, ambienti di rappresentanza e, come s’è già detto, i giardini. Anche le terme sono senz’altro presenti, come testimoniano gli scavi di via Brisia: tali resti in un primo momento sono stati identificati con le terme citate da Ausonio e costruite da Massimiano

40

, ma in un secondo momento nuove scoperte hanno fatto abbandonare tale ipotesi. Comunque tale edificio, rinvenuto presso la chiesa di S.

Giorgio al Palazzo, va, molto probabilmente, interpretato come termale e collegato ad ambienti di rappresentanza

41

: Landolfo Seniore, per il medioevo, ricorda in questo luogo la presenza di balnea, che viene avvalorata dal toponimo Baniaria. Gli scavi, per tali

35 RR. II. SS., IV, 11.

36 PL. 16, 1054, 15.

37 CAGIANO DE AZEVEDO, 1959, pp. 5-6.

38 CAGIANO DE AZEVEDO, 1959, p. 5.

39 CALDERINI, 1965, pp. 104-105.

40 CAGIANO DE AZEVEDO, 1959, p. 6.

41 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 99.

(8)

terme, hanno, poi, individuato vani poliabsidati con corte circolare colonnata e nartece di ingresso

42

.

Si potebbe, poi, ipotizzare che tale edificio presenti un’esedra prospettante sull’asse stradale: a Costantinopoli si trova una simile sistemazione nel quartiere palaziale

43

.

Gli scavi archeologici hanno rinvenuto dei lacerti musivi, statue di pregio e, soprattutto, i resti di imponenti muraglioni che possono essere messi in relazione con un edificio importante come la residenza dell’imperatore

44

. Purtroppo l’articolazione degli ambienti non è nota.

Calderini, inoltre, suppone che possa esistere anche un secondo palazzo imperiale a Milano: in base a documenti medievali

45

ipotizza strutture di questo tipo fuori dalle mura nei pressi del monastero di S. Ambrogio: a mio parere tale testimonianza non possiede particolare valore, poichè non penso che garantisca la presenza di edifici imperiali in zona suburbana

46

.

7: IL CIRCO

Come abbiamo detto, il circo sorge in stretta relazione con il palatium. L’esistenza di tale complesso è garantita da numerose testimonianze letterarie che vanno da Ausonio a Paolo Diacono fino ai documenti bassomedievali. Molto interessante è notare, poi, che ancora una volta la toponomastica viene in aiuto all’archeologia: via Circo, le chiese di S. Maria ad Circulum e di S. Maddalena ad Circulum sono molto indicative.

Il circo, dunque, si trova nella parte occidentale della città e, come ad Aquileia parte della cinta muraria coincide, in questo tratto, con le pareti del circo; esso, inoltre, occupa il letto del Seveso. Tale complesso misura esternamente 505 metri per 80, con un’arena di 460 per 70: un edificio estremamente imponente.

Attualmente è ancora visibile una delle due torri dei carceres, le cancellate da cui partono le corse, presso il Monastero Maggiore: essa è molto simile per tecnica costruttiva alle torri della cinta massimianea

47

. Gli scavi, iniziati negli anni trenta, hanno portato alla luce un muro e il podio imperiale.

42 REBECCHI, 1993 C pp. 108-109.

43 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 99.

44 CALDERINI, 1965, pp. 104-105.

45 Si tratta di due diplomi, con cui Carlo il Grosso e Corrado di Franconia avrebbero fatto donazione al monastero di S.

Ambrogio di possessi facenti parte di quello quod dicitur palatium Maximiani.

46 Non vedo perché gli stabili donati debbano essere obbligatoriamente fuori dalle mura: il fatto che il monastero sia in tale posizione non mi pare un motivo sufficiente.

47 REBECCHI, 1993 C pp. 109-110.

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8: IL TEATRO

Il teatro

48

di questa città sorge all’interno del perimetro urbano. Tale impianto si trova nei pressi di porta Vercellina ed è caratterizzato dalla mancanza di allineamento rispetto al circostante tessuto urbano: la cavea, infatti, è posta verso Est per poter meglio sfruttare la luce della sera; questo orientamento è indicativo della duttilità che l’assetto di Milano possiede. L’edificio pobabilmente è alto 20 metri e ha un diametro semicircolare di 95; la capienza si aggira sui settecento spettatori, è databile, al più tardi, all’età augustea e sopravvive fino al tempo del Barbarossa

49

.

Del teatro rimangono pochi elementi dell’alzato, parti delle colonne del porticato, un muraglione esterno e un tratto stradale. Tali resti sono stati individuati tra piazza degli Affari e via S. Vittore al teatro, ancora una volta un toponimo significativo.

9: L’ANFITEATRO

Fuori dalla porta Ticinese si trova l’anfiteatro di Milano, che si sviluppa nei pressi dell’attuale via Arena; presenta un’ampiezza di 155 metri per 121 ed è uno dei pochi monumenti che Ausonio non cita nel suo denso compendio urbanistico in versi, per cui alcuni hanno ipotizzato che a fine IV fosse stato già demolito. Tale complesso, però, deve essere ancora in funzione al tempo di Ambrogio: Paolino Diacono, nella Vita di S.

Ambrogio

50

, parla del munus venatorio allestito nel circo, nel 396 per festeggiare il terzo consolato di Onorio, durante il quale avviene la cattura di un certo Cresconio. Ancora nel 399 l’anfiteatro è palcoscenico di nuovi festeggiamenti: Claudiano dà testimonianza di spettacoli volti ad esaltare il console Flavio Manlio Teodoro

51

.

Già al tempo di Narsete inizierà lo smantellamento: occorre, infatti, rafforzare il perimetro murario in previsione dell’assedio di Alarico.

Secondo Rebecchi, blocchi provenienti da questo edificio saranno utilizzati, a inizio V, per costruire la platea di fondazione della vicina S. Lorenzo. Tale ipotesi è stata formulata per la prima volta da De Marchi, che ha collegato la presenza di elementi di spoglio, rinvenuti in tali sostruzioni

52

, con il vicino anfiteatro.

Dal mio punto di vista, tale interpretazione è inaccettabile: la costruzione di questa chiesa è decisamente anteriore al V secolo, per cui non mi pare possibile tale reimpiego. Dello

48 Si veda: AUS. Ordo Nobilium Urbium 7.

49 CALDERINI, 1965, pp. 94-97.

50 P.L., 14, 34, c. 41- 42.

51 CLAUDIAN. Paneyiricus dictus Manlio Theodoro consuli, 290-310.

52 Alcuni di essi sono provvisti di foro, forse destinato al passaggio di velari.

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stesso avviso è Calderini, che sostiene l’incompatibilità della teoria di De Marchi con la testimonianza di Paolino.

10: I TEMPLI

Dei templi di Milano si sa pochissimo. L’unica struttura sicuramente interpretabile come un edificio pagano è un’aula rettangolare, 15 metri per 11,60, rinvenuta da Mirabella Roberti in via Lauro; possiede absidi interne ed è databile al I secolo d.C.

Notizie ricavabili da autori molto tardi alludono alla presenza di templi dedicati ad Apollo, a Bacco, alla Magna Mater, alla Luna e ad altre divinità. Sotto la distrutta chiesetta di S.

Pietro ad Linteum è stata trovata una sostruzione, forse, attribuibile ad un tempio precedente. Si può pensare, inoltre, che la chiesa di S. Giovanni alle quattro facce sia, in qualche modo, legata ad un tempio di Giano. Il ritrovamento di statue di Giove nei pressi di piazza Fontana, testimonia la presenza di un culto dedicato a tale divinità.

Per quanto riguarda l’epoca tarda possiamo fare riferimento ad un’epigrafe riguardante il rifacimento di un mitreo distrutto da un incendio

53

.

11: L’EDILIZIA PRIVATA

La conoscenza dell’edilizia privata milanese è molto limitata e riguarda soprattutto rinvenimenti casuali legati ai lavori per le linee della metropolitana; di conseguenza abbiamo a che fare con scoperte sparse e spesso decontestualizzate, che non permettono di ricostruire planimetrie e farsi un’idea precisa di questo settore della realtà urbana milanese.

Comunque, per alcuni edifici si hanno a disposizione dati piuttosto consistenti che permettono di articolare un discorso sulle domus di Milano. In primo luogo, si deve fare riferimento ad una ristretta fascia centrale, non lontana dal palatium, in cui sono stati rinvenuti i resti di ricchi tappeti musivi, databili ad edifici tardoantichi o, comunque, abitati in questo periodo. Mirabella Roberti ritiene di aver individuato in questo settore una grande casa a peristilio, di cui è stato scavato il probabile triclinium. Di conseguenza emerge l’immagine di un quartiere di lusso, che, non a caso, sorge nei pressi del palazzo imperiale.

Anche nella zona di S. Lorenzo, sono stati rinvenuti resti forse attribuibili ad abitazioni:

lacerti musivi, che però potrebbero appartenere ad uno scarico precedente alla basilica.

53 CALDERINI, 1965, pp. 105-106.

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Altri resti, come mosaici, tratti di muri, suspensurae sono stati rinvenuti in diversi punti della città in modo accidentale: di conseguenza è molto difficile esprimere un qualche giudizio su di essi ed è spesso addirittura impossibile stabilire se appartengano ad edifici pubblici o privati

54

.

12: LE TERME

La città di Milano possiede diversi impianti termali, i più importanti dei quali sono le Terme Erculee, celebrate dai noti versi di Ausonio

55

. Lo stesso nome si collega al tetrarca Massimiano, da considerare il committente dell’edificio; dal punto di vista archeologico, un più preciso termine post quem è dato da ritrovamenti di ceramica comune del IV secolo sotto la pavimentazione musiva.

Tale impianto è veramente enorme: si estende su 14.500 metri quadrati e si trova nella zona orientale della città, non lontano dalle mura, alle spalle dell’attuale piazza Fontana. I ritrovamenti, che in passato, a più riprese hanno riguardato quest’area, sono stati fortuiti e, purtroppo, molti dati di scavo sono andati perduti; nonostante ciò è, comunque, possibile ricostruire la successione degli ambienti, grazie agli importanti rilevamenti sistematici condotti da Mirabella Roberti tra 1959 e 1973, proseguiti poi, da altri, negli anni ottanta.

Durante gli scavi è stata rilevata, ad esempio, la presenza di un percorso anulare doppio, tipico anche di altre terme imperiali, che separa l’afflusso degli utenti maschili da quelli femminili. Per quanto riguarda i ritrovamenti, va segnalato anche quello ottocentesco di un grande torso di Ercole, di certo legato alla figura di Massimiano. Di grandissimo pregio sono, poi, i tappeti musivi; da segnalare è, in particolar modo, quello con il busto di stagione rinvenuto nel 1928

56

.

All’alimentazione dell’impianto provvede, forse, un corso d’acqua interno.

13: L’EDILIZIA RELIGIOSA PRIMA DI AMBROGIO

Come è stato detto, Ambrogio si dimostra un eccezionale promotore dell’edilizia religiosa in tutta l’Italia Annonaria e soprattutto a Milano, che viene profondamente segnata dalla sua attività. Non per questo, però, bisogna pensare che prima di tale vescovo non ci siano chiese, al contrario siamo al corrente dell’esistenza di alcuni interessanti edifici.

Prima di tutto, si può fare riferimento alle chiese legate ai vescovi che precedono Ambrogio. Dei primissimi episcopi si sa molto poco e le poche notizie loro riferite sono

54 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 104.

55 AUS. Ordo Nobilium Urbium 7, v. 41: Regio Herculei celebris sub honore lavacri.

56 Milano capitale dell’impero, 1990, pp. 100-101.

(12)

leggenda. Migliore è la conoscenza dei vescovi del IV secolo: il primo di cui si hanno informazioni antiche è Calimero

57

; a lui si può collegare la chiesa di S. Calimero fuori porta romana, verosimilmente costruita nel IV secolo in area cimiteriale, sopra la sua tomba, in area cimiteriale, sicuramente per opera di altri

58

. I vescovi Protasio

59

e Mirocle

60

, invece, sono forse seppelliti a S. Vittore al Corpo. Eustorgio

61

, poi, giace all’interno della basilica che porta il suo nome sulla via ticinensis ed è a lui attribuita. Tale edificio, che insiste su un’antica necropoli, esiste tuttora, sebbene con una struttura posteriore, che comunque conserva sotto di sé resti paleocristiani, in particolar modo è stata rinvenuta sotto il coro un’abside; tale elemento è da collegare ad una precedente struttura funeraria, forse un sacello o una semplice recinzione, sulla quale, forse, è stata costruita in un secondo momento una struttura basilicale tripartita

62

.

13.1: S. VALERIA

Una notevole importanza, poi, è rivestita dalla demolita chiesa di S. Valeria, che sorge nell’area del cimitero ad martyres. La fase paleocristiana di tale edificio presenta un’aula rettangolare di 7,50 metri per 7,25 ed è accompagnata da vani attigui, la cui funzione non è certa, ma probabilmente è legata a scopi funerari. D’altronde tale finalità è indiscutibile:

la collocazione all’interno della celebre necropoli ne è garanzia, come lo è anche il ritrovamento, attorno, di numerose iscrizioni funerarie sia pagane che cristiane; tali epigrafi sono particolarmente interessanti: molte di esse portano il nome della gens Valeria, un’importante famiglia milanese covertitasi tempestivamente al cristianesimo, di conseguenza l’antichità dell’edificio potrebbe essere avvalorata

63

. Bisogna ricordare, infine, che il culto di questa santa sarà particolarmente radicato a Milano, soprattutto nell’altomedioevo

64

.

13.2: S. VITTORE AL CORPO

Un’attenzione particolare va poi data all’area di S.Vittore al Corpo, interessante complesso, in cui sono presenti strutture pagane e cristiane.

57 KINNEY, 1987.

58 PICARD, 1988.

59 Attestato tra il 343 e il 344.

60 Attestato tra il 313 e il 314.

61 Attestato tra il 345/6 e il 347/8.

62 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 115.

63 CIL, V 6186.

64 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 124.

(13)

Presso l’odierna basilica di S. Vittore, ad Est della città, è stato individuato un recinto fortificato databile al IV secolo. Esso ha forma ottagonale e torri semicircolari agli angoli, possiede un perimetro di 364 metri e presenta l’ingresso sul lato Sud-Est. Tale cerchia muraria comprende all’interno un’area funeraria, su cui sorge un edificio, di nuovo, ottagonale, da alcuni interpretato come mausoleo; il recinto, come è intuibile, ha la funzione di proteggere il cimitero e l’edificio che vi campeggia. Per quanto riguarda il mausoleo non è accertata né la sua contemporaneità rispetto al recinto, che potrebbe essere posteriore, né, soprattutto, l’identità del suo proprietario; a tal proposito ci sono solo ipotesi: secondo alcuni il mausoleo è legato a Massimiano

65

, per altri è, invece, appartenuto al giovane Valentiniano II

66

e al fratello Graziano. L’area cimiteriale è ancora molto frequentata nel IV secolo ed è organizzata in piccoli recinti quadrangolari orientati in direzione Nord-Sud; una vecchia teoria interpretava la necropoli come area di sepoltura privilegiata degli equites singulares, ma la presenza di molti simboli cristiani, ha fatto accantonare tale teoria che prevederebbe anche un tempietto e quindi sarebbe troppo legata alla dimensione pagana del complesso. Un’ipotesi simile, ma di diverso segno, vede la presenza di una chiesa all’interno del recinto che subisce, in questo modo, una completa cristianizzazione.

Probabilmente, l’area sarebbe stata in origine un sepolcreto suburbano di proprietà imperiale a cui si potrebbe aggiungere, già in questo momento, un mausoleo; in un secondo tempo viene cristianizzata e a metà IV secolo, forse in connessione con la sepoltura di Vittore, viene ridefinita e arricchita con un complesso funerario che comprende il mausoleo e una basilica: il sito di tale chiesa è da identificare con quello dell’odierno S. Vittore, che in un disegno cinquecentesco

67

è rappresentato adiacente ad una struttura ottogonale, ovvero il mausoleo poi demolito; infine, viene costruito il recinto, che esalta la funzione sepolcrale dell’area.

Mi pare, poi, interessante analizzare il mausoleo

68

. In base alle informazioni in nostro possesso si può stabilire, che si tratti di un edificio ottagonale chiamato S. Gregorio, dal lato di 7,5 metri, dotato internamente di nicchie. I mattoni rinvenuti sono molto simili a quelli delle Terme Erculee e le pareti superiori sono, probabilmente, mosaicate: da questi pochi elementi si deduce una datazione generica al IV secolo. Committente potrebbe, poi, essere Massimiano, ma, probabilmente, tale edificio ospita le spoglie di un altro

65 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 111.

66 CALDERINI, 1965, p. 89-91.

67 Disegno anonimo del 1570 ca. Stoccarda, Staatsgalerie.

68 Milano capitale dell’impero, 1990, pp. 114-115.

(14)

imperatore, ovvero Valentiniano II: Ambrogio

69

, nell’elogio funebre del giovane, offre una valida testimonianza del fatto che tale imperatore riposi nella città di Milano, dove la struttura ad ottagono, tipica forma degli edifici funerari, va considerata il luogo più degno per la sua sepoltura. È anche probabile che la tomba di Valentiniano sia affiancata da quella di Graziano. Krautheimer

70

, invece, sostiene che i resti del figlio di Giustina non siano mai arrivati nella capitale annonaria. Forse, già a quest’epoca il mausoleo è collegato ad una coeva basilica. Il complesso sarà smantellato nel cinquecento per l’edificazione dell’attuale chiesa di S.Vittore.

PARAGRAFO 13.3: S. VITTORE IN CIEL D’ORO

Mi pare interessante considerare, ora, il sacello di S. Vittore in Ciel d’Oro. Tale struttura sorge all’altezza dell’abside minore destra della basilica ambrosiana ed è costituita da diversi ambienti: intorno alla cappella vera e propria si trovano alcuni vani destinati a sagrestia e la cappella di S. Ambrogio morente. Il sacello contiene, tradizionalmente, i resti di Vittore e si potrebbe, quindi, interpretare come una memoria edificata sullo stesso luogo della sepoltura originaria del martire. Tale luogo, poi, ospita anche le spoglie di Satiro, il fratello di Ambrogio, che riceve l’onore di una sepoltura ad sanctos, presso il più venerato martire milanese. L’edificio attuale può essere considerato un sacello di età preambrosiana fortemente rimaneggiato tra V e VI secolo o addirittura un rifacimento totale di metà V

71

. La struttura originaria è attribuibile al vescovo Mirocle o a Mona.

Vanno, infine ricordate da una parte la perduta basilichetta dei santi Nabore e Felice, presso la quale, collocata sul cimitero ad martyres, avviene l’inventio dei corpi di Gervasio e Protasio

72

; dall’altra la basilica Faustae, una cappella che ospita temporaneamente i resti di questi ultimi martiri e sorge sulla stessa zona seplocrale

73

.

14 : L’EDILIZA AMBROSIANA 14.1 : S. DIONIGI

S. Dionigi sorge sulla strada che esce dalla porta Orientale, a Nord-Est della città e costituisce una delle chiese che circondano Milano come una seconda cinta muraria.

Purtroppo le nostre informazioni circa tale chiesa, demolita nel XVI secolo, sono molto

69 De Ob. Val. 54 e 79. Si veda anche l’epistola 1, 53, in cui Ambrogio parla del sarcofago in porfido da destinarsi all’imperatore.

70 KRAUTEIMER, 1987.

71 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 135.

72 CALDERINI, 1965, p. 114.

73 AMBR. Ep. 77,2.

(15)

poche ed anche la stessa attribuzione ad Ambrogio non è del tutto sicura

74

. Siamo, però, in possesso di un’epistola scritta da Basilio di Cesarea ed indirizzata al vescovo lombardo, in cui si assicura la traslazione a Milano del corpo di Dionigi, vescovo morto in esilio. Molto tempo dopo l’Itinerario Salisburghese

75

, parla di una chiesa che costituisce la tomba di Diunius. Recenti studi

76

tendono a screditare la supposta lettera del cappadoce e a considerare improbabile la presenza delle reliquie: oggi si ritiene, piuttosto, che il culto del vescovo si sia sviluppato su un cenotafio per iniziativa di Ambrogio; tale cenotafio sarebbe stato, poi, inglobato all’interno della basilica in un’epoca anteriore al 475.

Dunque, la chiesa è senz’altro antica, ma la committenza ambrosiana non è dimostrabile con sicurezza: può darsi che in questo luogo si trovasse un edificio di culto voluto da Dionigi o un sepolcro della sua famiglia legato ad un qualche cimitero suburbano

77

.

14.2 : LA BASILICA AMBROSIANA

78

Molto più significativa è, poi, la basilica di S. Ambrogio, chiamata sin dalla sua costruzione Basilica Ambrosiana o Basilica Martyrum e costruita dal presule milanese per ospitare le proprie spoglie insieme a quelle dei santi Gervasio e Protasio. Il sito prescelto per tale edificio è il noto cimitero ad martyres: tale luogo riveste una certa importanza per la politica niceizzatrice del vescovo; qui, a più riprese, sono trovati i resti dei martiri milanesi, mezzo imprescindibile per la diffusione della vera fede. Dunque, fuori da porta Vercellina, ad Ovest della città, tra il 379 e il 386 tale chiesa viene costruita.

Testimonianze a riguardo della costruzione dell’edificio sono contenute nell’epistola 77 di Ambrogio. In tale missiva, il vescovo narra alla sorella il miracoloso rinvenimento dei corpi dei due martiri: un sogno premonitore porta Ambrogio presso i Cancelli di SS.

Felice e Nabore e qui vengono rinvenuti i resti di Gervasio e Protasio. Tali reliquie verranno, poi, traslate nell’Ambrosiana dove verranno inumate. .

L’edificio attuale presenta un aspetto romanico: gli elementi paleocristiani sono stati, per lo più, obliterati dalle fasi successive e sono stati danneggiati dagli scavi eccessivamente invasivi dell’ottocento. Nonostante ciò, è possibile ricostruire una probabile planimetria:

l’antica S. Ambrogio è costituita da un’ampia aula monoabsidata

79

, dalle proporzioni di 1:2, ripartita in tre navate; nell’area del coro e del presbiterio, è collocato l’altare

74 KINNEY, 1987, p. 65.

75 Datato al VII secolo.

76 PICARD, 1988.

77 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 117.

78 Si veda la tavola in appendice.

79 Calderini pensa, invece, che la chiesa presenti tre absidi. Si veda: CALDERINI 1965, p. 115.

(16)

maggiore, sotto il quale sono collocati due loculi: quello a sinistra è destinato al vescovo, quello a destra ai martiri Gervasio e Protasio

80

.

La presenza dei due santi è molto interessante. Sicuramente è possibile parlare di sepoltura ad sanctos; Ambrogio, come il fratello, viene inumato presso la tomba di due martiri, ma secondo Krautheimer tale collocazione nasconde motivazioni più complesse. L’altare maggiore avrebbe dovuto, originariamente, contenere soltanti i resti del costruttore:

Ambrogio stesso dice che è giusto che il vescovo riposi là dove ha officiato la messa

81

, senza fare nessun riferimento ad una sepoltura ad sanctos. Secondo Krautheimer l’opinione pubblica milanese non ritiene accettabile un simile comportamento e fa pressioni sul presule, che risolve la situazione con un appropriato rinvenimento di reliquie.

Lo stesso studioso, poi, collega tale tentativo ambrosiano con il progetto dell’Apostoleion di Costantinopoli: sotto o presso l’altare di questa chiesa era stato, in un primo momento, sepolto Costantino il Grande

82

. Di conseguenza il progetto di Ambrogio potrebbe opporsi al comportamento dell’imperatore, che, in quanto laico, non ha nessun diritto ad una simile sepoltura, opportuna, invece, per un sacerdote: si conferma la visione ambrosiana che colloca gli imperatori tra i semplici fedeli e non in una posizione privilegiata

83

.

Per quanto riguarda la decorazione interna, possiamo credere che sia di pregio, come testimoniano i ritrovamenti di due pannelli in legno intagliato: è interessante notare che alcuni studiosi vi hanno visto un legame con la decorazione di S. Sabina a Roma, che ha una pianta molto simile, tanto che Krautheimer ha pensato ad un tipo standard di basilica costantiniana, fissato a fine IV.

14.3 : S. NAZARO

84

Il nome originario di tale chiesa è Basilica Romana

85

o Basilica Apostolorum

86

. Il primo nome è legato alla collocazione dell’edificio che si trova sulla strada di porta Romana; il secondo, invece, deriva dalle reliquie che conserva e che sono, probabilmente, da legare a quelle custodite a Concordia e tanto venerate nell’Italia Settentrionale. Infatti si troverebbero a Milano reliquie appartenenti a Giovanni, Tommaso ed Andrea. Secondo

80 Milano capitale dell’impero, 1990, pp. 127-129.

81 AMBR. Ep. 77.

82 Lo stesso progetto ambrosiano di cingere Milano di basiliche, ricorda molto l’attività edilizia di Costantino che analogamente costruisce basiliche intorno a Roma.

83 KRAUTHEIMER, 1987, pp. 123-125.

84 Si veda la tavola in appendice.

85 Con tale nome Ambrogio si riferisce alla basilica. Si veda: Ep. 22.

86 Tale nome si afferma presto ed è gia presente in Paolino. Si veda: Vita Ambrosii, 32-33.

(17)

alcuni studiosi, d’altro canto, nella Basilica Romana si troverebbero resti di Pietro e Paolo, ai quali sarebbero, poi, state aggiunte le reliquie concordiesi.

Il nome moderno

87

della chiesa è legato alla presenza, non prevista in un primo momento, del corpo del martire Nazario, rinvenuto dallo stesso Ambrogio nel 395, all’interno dell’antica area cimiteriale, che si estende fuori porta Romana.

La chiesa viene edificata tra il 382 e il 386 e presenta uno schema a croce libera: tale planimetria è molto diffusa in Oriente, mentre in Occidente trova in questo luogo la sua prima applicazione. Secondo la Lusuardi Siena, l’impianto della basilica si ispirerebbe al già citato Apostoleion di Costantinopoli

88

, ma richiamerebbe anche le basiliche constantiniane di Gerusalemme e Antiochia

89

. Anche Krautheimer

90

sottolinea la somiglianza che lega tale edificio all’Apostoleion di Costantinopoli, per la planimetria, per la presenza di reliquie e per la dedica.

Le dimensioni dell’edificio a croce latina, sono di 56 metri per 45,30 con una larghezza di 14,20; lungo i bracci della croce sono presenti esedre a emiciclo, forse di destinazione funeraria e all’incrocio di transetto e navata si trova l’altare con la capsella argentea contenente le reliquie apostoliche; la chiesa possiede un’abside, probabilmente aggiunta per custodire i resti di Nazario

91

.

Suzanne Lewis ha ipotizzato che la forma a croce abbia un significato simbolico specifico, riferibile alle vicende milanesi: all’epoca della costruzione della chiesa, Ambrogio può dirsi vittorioso sulla fazione ariana, di conseguenza la chiesa stessa celebrerebbe con la sua forma cruciforme tale trionfo sull’eresia

92

: l’idea della vittoria di Cristo è infatti contenuta nell’epigrafe dedicatoria composta dallo stesso Ambrogio

93

.

Infine, va ricordata la presenza di un nartece, che collega, in maniera monumentale, l’impianto basilicale alla strada porticata che parte da porta Romana.

14.4 : S. SIMPLICIANO

94

87 Tale nome si afferma più tardi ed è attestato per la prima volta dall’Itinerario Salisburghese.

88 Milano capitale dell’impero, 1990, p. 119.

89 CALDERINI, 1965, p. 116.

90 KRAUTHEIMER, 1987, pp. 125-127.

91 KRAUTHEIMER, 1987, p. 125.

92 KINNEY, 1987, pp. 69-70.

93 Amborgio ha fondato il tempio e lo ha consacrato al Signore con il nome degli Apostoli e con il dono delle loro reliquie. Il tempio ha la forma della croce, il tempio rappresenta la vittoria di Cristo: la sacra immagine trionfale contrassegna il luogo. All’estremità del tempio è Nazario dalla vita santa e il pavimento è nobilitato dalle spoglie del martire. Là dove la croce ha levato il sacro capo piegandosi a cerchio, qui è l’estremità del tempio e la dimora per Nazario, che vincitore per la sua fede gode per la pace eterna. Colui per il quale la croce fu palma di vittoria, nella croce è accolto. Aurelio Ambrogio vescovo. Traduzione di I. Gualandri.

Gregorio Nazianzeno lega la forma di croce dell’Apostoleion di Costantinopoli con il trionfo della fede.

94 Si veda la tavola in appendice.

(18)

A Nord della città sulla strada per Como sorge la chiesa di S. Simpliciano, chiamata anche Basilica Virginum. La datazione dell’edificio è tutt’altro che certa, ma tra le varie proposte la più convincente è, sicuramente, quella che l’attribuisce all’iniziativa ambrosiana.

Secondo Krautheimer il progetto risale al 397, cioè a poco prima della morte di Ambrogio

95

. Tale ipotesi è avvalorata da alcune constatazioni: da una parte la tecnica costruttiva la avvicina molto alla Basilica Ambrosiana, dall’altra la collocazione stessa inserirebbe l’edificio in quella cerchia di chiese che Ambrogio desidera vedere a protezione della città. Inoltre, può essere interessante un collegamento storico: nel 393 il vescovo convoca a Milano una sinodo per condannare l’eresia di Gioviniano, che nega il parto verginale della Madonna; di conseguenza una chiesa dedicata alle vergini potrebbe essere legata alla sconfitta di tale personaggio. Il fatto, poi, che la struttura di S.

Simpliciano sia riconosciuta come abbastanza tarda corrisponde perfettamente con una datazione a fine IV secolo. Infine, bisogna dire che il santo a cui la chiesa è dedicata è il successore di Ambrogio, Simpliciano: questi annette all’edificio di culto un martyrium, accessibile dal braccio sinistro del transetto, per conservare alcune reliquie dei martiri della Val di Non: di conseguenza non solo la traslazione, ma anche la costruzione della chiesa devono essere collocate prima del 400, anno della morte del presule

96

. Secondo la Kinney, invece, tale basilica è da attribuire ad età post-ambrosiana

97

.

Per quanto riguarda l’assetto dell’edificio si deve dire che sotto le aggiunte romaniche è stato ritrovato intatto l’edificio paleocristiano

98

. La pianta della chiesa è a croce latina ed è costituita da un’unica navata di 65,30 metri per 21,70; la struttura è affiancata da due ambienti laterali e da un ingresso a U. Cagiano De Azevedo vede in questa chiesa una grande somiglianza con l’aula palatina di Treviri, sia per l’uso dello spazio, sia per il significato simbolico: da una parte l’imperatore che esplica la sua autorità terrena, dall’altra il vescovo che manifesta la sua supremazia di origine divina. Bisogna, poi, notare anche che le proporzioni di tale edificio sono piuttosto diverse rispetto a quelle delle altre chiese milanesi: Krautheimer parla di forma abbreviata, che troverà grandissima diffusione in tutta l’Italia settentrionale e nelle regioni alpine

99

.

Una precedente destinazione funeraria dell’area non è dimostrata, comunque sono state rinvenute tombe risalenti ad età paleocristiana e altomedievale, quest’ultime sicuramente posteriori alla chiesa.

95 KRAUTHEIMER, 1987, p. 128.

96 Milano capitale dell’impero, 1990, pp. 135-136.

97 KINNEY, 1987, p. 75.

98 I muri perimetrali di tale basilica, fino a 20 metri di altezza sono quelli originali paleocristiani.

99 KRAUTHEIMER, 1987, pp. 128-129.

(19)

15: IL CENTRO EPISCOPALE

L’antico centro episcopale della città di Milano sorge nell’area dell’attuale piazza Duomo.

Tale complesso è sicuramente costituito dalla chiesa di S. Tecla

100

e dal battistero di S.

Giovanni alle fonti, tali edifici, infatti, sono stati rilevati dagli scavi eseguiti negli anni quaranta e sessanta: i loro resti si trovano sotto il lastricato della piazza e sono stati così facilmente indagabili da parte degli archeologi; gli altri monumenti, invece, si trovano sotto l’attuale Duomo, che rende le ricognizioni molto più complicate. La chiesa di S.

Tecla si estende dalle gradinate del Duomo moderno verso la piazza, ha dimensioni pari a 81,80 metri per 45,30 e presenta cinque navate delimitate da archi colonnati; possiede, inoltre, una abside semicircolare, poi modificata, e ali laterali a mò di transetto all’altezza del coro, divise dalle navate da due tratti di muri continui. L’impianto sorge su una precedente aula rettangolare lunga 17 metri che, secondo la tradizione, si identifica con un preesistente tempio di Minerva. La chiesa si trova in una posizione obliqua rispetto all’attuale piazza e ha orientamente Est-Ovest, l’andamento anomalo è probabilmente motivato dall’assetto idrografico della zona.

Per quanto riguarda gli altri elementi esistono solo ipotesi, che si basano soprattutto sulle fonti letterarie e sulle informazioni tramandate da Ambrogio nella famosa epistola sulla consegna delle basiliche. Di conseguenza, in base alle diverse interpretazioni della lettera, sono state proposte altrettante interpretazioni dell’assetto della piazza: le informazioni archeologiche relative a ciò che si trova sotto il Duomo gotico sono estremamente scarse.

L’epistola in questione è la numero 76 e decrive i fatti dell’anno 386, cioè la lotta tra corte filoariana e vescovo niceno. Il documento dà un’immagine molto efficace della tensione del momento, ma purtroppo non è particolarmente preciso per quanto riguarda i luoghi, in cui si svolgono tali eventi: Ambrogio non chiama mai le chiese che sono ora occupate o sequestrate con la loro titolatura ufficiale, ma con aggettivi e soprannomi, certo chiarissimi a Marcellina, ma che risultano estremamente problematici per noi moderni.

Nell’epistola, dunque, si parla di basilica nova e di basilica vetus, di basilica maior e minor, di Portiana, basilica baptisteri e, infine, hiemalis, nomi che sono stati variamente attribuiti a determinate chiese milanesi, senza nessuna certezza assoluta.

Dall’analisi dei dati letterari e archeologici, sono derivate molteplici interpretazioni che mi pare utile considerare.

100 Si veda la tavola in appendice.

(20)

In primo luogo, Calderini ritiene che la basilica di S. Tecla sia stata edificata per opera d’Ambrogio e poi modificata dai suoi successori fino a quando, nel XIV secolo, sarà demolita. Una simile sorte toccherà anche al Battistero di S. Giovanni alle Fonti che, si trova dietro l’abside di S. Tecla e si protrae sotto la gradinata del Duomo verso i resti di Santa Maria Maggiore, basilica del XII secolo: secondo Calderini tale chiesa potrebbe sorgere sui resti della così detta vetus, che coinciderebbe con la hiemalis. Quest’ultima denominazione si contrappone alla presenza di una basilica aestiva, che viene identificata dallo studioso con S. Tecla.

Il battistero è ottagonale

101

e all’interno di ogni lato presenta una nicchia alternativamente rettangolare e circolare; al centro si trova la vasca, anch’essa ottagonale, il pavimento marmoreo originale è stato parzialmente rinvenuto, mentre il soffitto potrebbe essere mosaicato: secondo Mirabella Roberti anche tale costruzione è attribuibile ai primi anni dell’episcopato di Ambrogio

102

.

La Kinney, dal canto suo, sottolinea che l’edificio di S. Tecla, da lei identificato con la basilica maior, presenta un’evoluzione abbastanza complessa, che si articola in quattro fasi. La prima, l’unica databile al IV, si differenzia dal rifacimento postattiliano, cioè la seconda fase, per la presenza del transetto separato da muri e di un’abside di raggio maggiore rispetto a quello successivo; inoltre si può constatare la mancanza anche di una serie di vani di servizio e della solea, posta all’altezza del transetto, presenti invece nella fase successiva. La tecnica costruttiva e i materiali sono di eccellente qualità e prevedono un investimento finanziario notevole.

Per quanto riguarda la datazione anche la Kinney fa riferimento alle fonti letterarie, poiché i brevi scavi non hanno potuto dare elementi sufficienti. Basandosi sulla notizia tramandata da Ilario di Poitiers, prende il 355 come termine ante quem: Ilario narra che il vescovo Dionigi viene rapito dalla basilica maior, secondo la Kinney S. Tecla, durante un concilio

103

tenutosi in questo anno; termine post quem è, invece, considerato l’incendio attiliano del 452. La chiesa viene così datata all’età preambrosiana. Molti studiosi, poi, la collocano, più precisamente, negli anni intorno al 350. Per la Kinney, però, tale data è troppo bassa: la presenza della corte ha di certo stimolato l’evergetismo religioso, che può esprimersi al meglio nel centro episcopale. Se si considera la grande qualità della struttura

101 Tale forma è ripresa da quella dei mausolei pagani ed è scelta anche per la simbologia del numero otto che rappresenta rigenerazione e resurrezione.

102 CALDERINI, 1965, pp. 110-111.

103 Il concilio potrebbe svolgersi all’interno di uno dei transetti, cioè all’interno della chiesa, ma isolato dal popolo.

(21)

di S. Tecla, si può ragionevolmente pensare ad una committenza imperiale che sarebbe più opportuno porre negli anni trenta o quaranta del IV secolo.

Per quanto concerne il battistero, la Kinney sottolinea la somiglianza con l’ottagono di S.

Vittore e con la cappella di S. Aquilino presso S. Lorenzo. La datazione di S. Giovanni alle Fonti, però, non è sicura, sebbene venga attribuito solitamente ad Ambrogio; secondo De Capitani l’edificio presenta due fasi coincidenti con lo sviluppo di S. Tecla; Mirabella Roberti, invece, considera la struttura unitaria. Tale battistero viene datato anche al 380:

ipotesi poco probabile se si considera che la chiesa ad esso collegata è anteriore. La Kinney, infatti, considerando improbabile che Ambrogio abbia fatto ricostruire un battistero di pochi decenni antecedente, ipotizza una prima fase di costruzione che si articola dal 330 al 350 e una seconda dopo il 480.

Krautheimer, dal canto suo, considera il sito della chiesa: la sua centralità e la sua ampiezza hanno di certo comportato l’abbattimento di molte strutture precedenti e l’acquisto di una vasto lotto di terreno senza dubbio costoso. Tali constatazioni, sommate alla raffinatezza della struttura, portano lo studioso a proporre una committenza imperiale da attribuire a Costante, che avrebbe, quindi, iniziato la chiesa tra il 345 e il 350; la costruzione si sarebbe, poi, conclusa in fretta entro il 353 per essere pronta entro 355, anno del concilio. Krautheimer ritiene che tale struttura vada identificata con la basilica maior, da contrapporre ad una minor-vetus. Lo studioso, ancora, sottolinea la grandisità dell’edificio che potrebbe contenere tremila persone: una capacità pari a quella delle basiliche di Roma e poco giustificata per una città molto meno popolosa come Milano, dunque una scelta di grandeur

104

.

Infine, la Cantino Wataghin, attribuisce S. Tecla ad Ambrogio, che di conseguenza diventa anche il costrutture di S. Giovanni alle Fonti

105

.

Molto interessante mi pare, poi, un contributo della Lusuardi Siena che reinterpreta completamente il complesso episcopale. Infatti, la studiosa riesamina la nota epistola 76 e propone delle identificazioni nuove per le chiese citate dal vescovo. Come abbiamo visto, la maggior parte degli studiosi vede in S. Tecla la maior-nova-aestiva e la vetus-minus- hiemalis nella chiesa che precede S. Maria Maggiore. La Lusuardi, invece, nega tali uguaglianze e ne propone altre. In primo luogo ipotizza che la basilica vetus coincida con la basilica baptisteri. Per la studiosa, infatti, tale basilica sarebbe la chiesa collegata al battistero di S. Stefano, ricordato da Ennodio nel VI secolo; tali considerazioni derivano dal fatto che se una basilica è connotata come quella del battistero, esiste un solo

104 KRAUTHEIMER, 1987, pp.118-121.

105 Milano capitale dell’impero, 1990, pp. 106-110.

(22)

battistero e, ovviamente, è il più antico S.Stefano, mentre S. Giovanni non esiste ancora o è al massimo in costruzione. La Lusuardi, poi, ritiene che la chiesa definita maior, da una parte, sarebbe più grande non rispetto alla vetus, ma alla Portiana e, dall’altra, sarebbe da identificare con la vetus, che, in questo momento, costituisce il centro della vita episcopale. Rimane, però, in sospeso la minor: per la Lusuardi potrebbe essere una parte della basilica vetus, che quindi apparirebbe come una basilica doppia, sul tipo diffuso nell’Italia settentrionale. Tale complesso presenterebbe due aule inframmezzate dal vano del battistero di S. Stefano: a Nord di esso andrebbe collocata la così detta basilica minor e Sud la maior. A questo punto la studiosa prende in considerazione la basilica nova: essa potrebbe coincidere con S. Tecla, ma anche con una chiesa, non nota, collocabile ad Est di S. Giovanni; se così fosse, la datazione di S. Tecla scivolerebbe al V secolo

106

.

A mio parere, l’interpretazione della Lusuardi non è più infondata delle altre: gli scavi di S. Tecla sono stati frettolosi e hanno danneggiato molte strutture, per cui i dati che se ne ricavano potrebbero essere opinabili; d’altra parte le strutture sotto il Duomo gotico sono pressoché sconosciute e mi sembra che, allo stato attuale della documentazione, sia ugualmente ipotetico collocare una o due chiese in quest’area. Certo la datazione di S.

Tecla al V, sconvolgerebbe tutte le considerazioni dei vari studiosi, citate sopra, ma non mi sembra particolarmente difficoltoso trasferire il rapimento di Dionigi e il concilio del 355 in un’altra chiesa; la committenza imperiale è, però, forse compromessa: all’inizio del V la capitale è spostata a Ravenna, ma tale fatto non è di certo un impedimento assoluto.

Inoltre, credo che la presenza di una terza chiesa potrebbe ben inserirsi nelle tendenze urbanistiche tardoantiche, caratterizzate dall’espansione degli edifici sul suolo pubblico: la distanza tra S. Tecla e l’ipotetica basilica doppia sarebbe veramente grande considerando che, da una parte, uno spazio aperto per uso pubblico già esiste ed è rappresentato dal foro, luogo di riunione per buona parte dell’altomedioevo, e che, dall’altra, uno spazio vuoto sarebbe poco razionale: la popolazione di Milano non è particolarmente consistente, per cui l’acquisto, da proprietari privati, di una così vasta parte della città rappresenterebbe un investimento inutile.

L’ipotesi della Lusuardi è, poi, sostenuta da Paolo Piva, che vede nel complesso vetus una vera e propria basilica doppia, simile a quella di Aquileia o Treviri, e che ritiene che S.

Tecla sia meglio databile al V secolo. Secondo tale archeologo, Milano fornirebbe anche un modello di una certa diffusione: il battistero in asse con la chiesa, ritrovabile a Como, a Brescia, a Novara e presso il complesso post-teodoriano. In tale rapporto si presenterebbe,

106 LUSUARDI SIENA, 1996.

(23)

infatti, la basilica nova della Lusuardi

107

con S. Giovanni. Anche lo studio dei testi liturgici può avvalorare la tesi della studiosa: la cerimonia del battesimo dei catecumeni e del loro primo ingresso in chiesa, ben s’addice allo schema proposto per S. Stefano

108

. Bisogna, infine, ricordare che l’epistola di Ambrogio offre un’immagine riferibile alla primavera del 386, quindi ad un singolo breve momento dell’evoluzione del centro episcopale di una capitale importante come Milano.

16: S. LORENZO

109

La basilica di S. Lorenzo è senz’altro una delle più belle chiese d’Italia e il più importante edificio romano di Milano: nonostante incendi, aggiunte e rifacimenti rinascimentali essa conserva intatta la sua planimetria e permette di ammirare, almeno parzialmente, l’antica articolazione dei volumi.

Tale basilica sorge poche centinaia di metri fuori dalla porta ticinese, su un’area lambita dal Seveso e non occupata da sepolcreti. La pianta è veramente particolare e rappresenta un unicum tra le chiese milanesi. S. Lorenzo, infatti, presenta un atrio con quadriportico preceduto da porticato esterno, costituito da sedici colonne di reimpiego, tutt’ora visibili fuori dalla chiesa; sul nartece si aprono due parte laterali, dalle quali è possibile accedere al matroneo, e una porta centrale: l’ingresso alla basilica vera e propria. La pianta è centrale e tetraconca, presenta un diametro di circa 45 metri e quattro vaste esedre a semicupola; all’esterno è, poi, circondata agli angoli da quattro torri con contrafforti, che insieme alle varie articolazioni del complesso, danno alla chiesa un aspetto turrito

110

. Ad Est si estendono una cappella ottagonale dedicata a S. Ippolito e due ambienti di servizio.

A Sud si trova, poi, un altro avancorpo a forma di ottagono, la cappella di S. Aquilino. A Nord, simmetrico a quest’ultimo elemento, si trova il terzo ottagono, S. Sisto, aggiunto nel V secolo.

È da notare che le sostruzioni dell’edificio sono unitarie: di conseguenza le diverse parti della chiesa, con l’eccezione di S. Sisto, sono coeve e previste dal progetto originario. A tal proposito Krautheimer ritiene opportuno parlare non di una chiesa con cappelle annesse, ma di una struttura composta da diversi elementi

111

. Tale basilica mostra un modello a doppio guscio con nucleo a quattro lobi, che si ritrova nel posteriore SS. Sergio e Bacco di Costantinopoli: nonostante i rifacimenti che hanno coinvolto l’edificio

107 Cioè l’ipotetica terza basilica, posta tra S. Tecla e la maior.

108 PIVA, 1996.

109 Si veda la tavola in appendice.

110 KRAUTHEIMER, 1987, p. 134.

111 KRAUTHEIMER, 1987, p. 131.

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milanese, la somiglianza tra i due edifici è, a mio parere, lampante soprattutto per l’articolazione dei matronei. Grandi finestre sono presenti e rendono la chiesa molto luminosa: condizione parzialmente perduta dall’assetto attuale. Probabilmente le pareti sono rivestite in marmo nella parte inferiore e mosaicate in quella superiore: lacerti di pregiati mosaici sono stati rinvenuti in S. Aquilino. Quest’ultima cappella presenta un atrio, di costruzione posteriore ed interpretato da Calderini come un battistero collegabile alla originaria consacrazione ariana della chiesa: una volta conquistata dai niceni, la cappella avrebbe perso la sua funzione battesimale ormai inutile e avrebbe ospitato un sarcofago

112

.

La datazione del complesso è controversa. Da una parte Chierici ipotizza che il complesso sia stata edificato tra il 355 e il 372, in due momenti successivi, sotto la guida di due diversi architetti. Tale datazione è accettata dalla Kinney

113

, mentre Calderini opta per una datazione diversa e colloca la costruzione della chiesa verso il 350

114

.

Krautheimer rileva un particolare molto interessante: la prima citazioni letteraria di S.

Lorenzo risale al 590; poiché tale chiesa è molto più antica è evidente che nel IV secolo abbia un nome diverso. Secondo buona parte della critica essa va identificata con la famosa Portiana, protagonista della contesa per le basiliche. Tale interpretazione si basa su diverse e convincenti argomentazioni. In primo luogo, la tecnica costruttiva di questa chiesa appare molto più raffinata rispetto alle chiese ambrosiane: il vescovo non si sarebbe potuto permettere un simile edificio; di conseguenza è necessario pensare ad una committenza diversa, cioè a quella imperiale: non solo l’investimento materiale, ma anche la collocazione incoraggiano tale ipotesi. Infatti S. Lorenzo sorge fuori dalla porta ticinese nelle immediate vicinanze del palatium. Se dunque questa è una chiesa di corte è facile accettare che anche il credo che vi si recita sia lo stesso del palazzo e che, di conseguenza, sia una chiesa ariana e in particolare la Portiana.

Molto interessanti sono anche le osservazioni di Krautheimer

115

su S. Aquilino, interpretato da lui come un mausoleo, probabilmente imperiale. Basandosi su tale congettura, lo studioso cerca di offrire una datazione più precisa per l’intera chiesa. La ricerca di Krautheimer arriva ad una datazione piuttosto precisa: la chiesa sarebbe stata progettata non prima del 376 e non dopo il 378: da una parte Valentiniano I, morto nel 375-376, giace a Costantinopoli e non può, quindi, essere l’ideatore del mausoleo,

112 CALDERINI, 1965, p. 114.

113 KINNEY, 1987, p. 60.

114 CALDERINI, 1965, p. 111.

115 KRAUTHEIMER, 1987, pp. 145-147.

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