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“Clinica Veterinaria Cascina” di Fornacette e l’ Ospedale Didattico Veterinario dell’Università di Torino, affetti da sindrome del compartimento mediale (MCompD) mono o bilaterale e trattati con intervento C

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Academic year: 2021

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3.2 Materiali e metodi

Per questo studio prospettico sono stati presi in considerazione tutti i cani pervenuti nel periodo tra Aprile 2016 e Settembre 2017 presso la

“Clinica Veterinaria Cascina” di Fornacette e l’ Ospedale Didattico Veterinario dell’Università di Torino, affetti da sindrome del compartimento mediale (MCompD) mono o bilaterale e trattati con intervento Canine Unicompartimental Elbow (CUE).

Criteri di inclusione

Per essere inclusi nello studio tutti gli animali dovevano:

- Appartenere alla specie canina;

- Essere stati sottoposti ad esame clinico completo;

- Essere stati sottoposti ad esame ortopedico completo;

- Essere stati sottoposti ad esame radiografico degli arti anteriori;

- Essere affetti da sindrome del compartimento mediale (MCompD) mono o bilaterale;

- Non presentare altre patologie ortopediche né sistemiche concomitanti;

- Essere stati sottoposti ad esami ematologici, con risultati nella norma;

- Essere stati sottoposti ad intervento CUE;

- Presentare un follow-up clinico e radiografico di almeno 2 mesi.

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Segnalamento

Sono stati inclusi nello studio quattro cani, tre sottoposti ad intervento monolaterale, uno sottoposto ad intervento bilaterale. I pazienti appartenevano a razze diverse e presentavano età, sesso e pesi diversi (Tab. 3.1).

Valutazione clinica pre-operatoria

Ogni paziente è stato sottoposto sia ad esame clinico che ortopedico;

quest’ultimo includeva una valutazione soggettiva del grado di zoppia dell’animale, una valutazione del discomfort alla manipolazione dell’articolazione con movimenti flesso-estensione ed alla palpazione profonda, una valutazione della presenza di effusione articolare o di crepitii ed infine una valutazione del ROM sia con paziente vigile che sedato.

Durante il consulto con i proprietari sono sempre stati descritti tutti i mezzi terapeutici di cui ad oggi possiamo disporre, sia conservativi che

RAZZA SESSO ETA’ PESO INTERVENTO

Sebastian Pastore Abruzzese

Maschio 3,5 anni 35 Kg Bilaterale

Bonnie San

Bernardo

Femmina 3,5 anni 60 Kg Monolaterale Isotta Labrador Femmina 5 anni 20 Kg Monolaterale

Malik Setter Inglese

Maschio 10 anni 18 Kg Monolaterale

Tab. 3.1: Segnalamento.

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di chirurgia convenzionale, spiegandone per ognuno sia i rischi che i benefici. Tutti i proprietari sono stati informati che la procedura CUE è una tecnica chirurgica recente con una letteratura alle spalle quasi assente ed hanno firmato un consenso scritto alla chirurgia.

Esame radiografico pre-operatorio

Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un esame radiografico di entrambi i gomiti sotto anestesia generale. Le proiezioni comprendevano:

proiezione mediolaterale neutra, proiezione mediolaterale flessa e proiezione cranio-caudale neutra.

Strumentario chirurgico

Per l’esecuzione degli interventi sono state utilizzati sia strumenti chirurgici standard che materiale ideato appositamente per l’applicazione corretta delle due emiprotesi (Fig. 3.1).

Il kit chirurgico specifico per la CUE (Arthrex©) comprende una serie di

strumenti, alcuni studiati per fissare l’emiprotesi destinata all’omero,

altri per quella destinata all’ulna. Tale strumentario è disponibile in due

diverse grandezze, sia media che grande, a seconda delle dimensioni

delle superfici articolari del paziente. Gli strumenti di dimensione media

sono identificati tramite una fascetta gialla che ne avvolge l’estremità

prossimale mentre gli strumenti di dimensione grande presentano la

medesima fascetta ma di colore rosso.

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Strumentario impianto omerale

• Guida punta omerale

Strumento con due cavità che presenta l’esatto diametro dell’impianto omerale definitivo. Viene usato per determinare la giusta dimensione della protesi da utilizzare e per guidare l’inserimento dei chiodi durante la procedura (Fig. 3.2).

• Ferma - punta omerale

Particolare strumento che presenta due distinti fori; il primo, più piccolo, serve per l’alloggio di un chiodo guida da 2,4mm mentre il secondo, più ampio, serve per l’alloggio della punta omerale (Fig. 3.2).

Fig. 3.1: Set chirurgico CUE (Arthrex©)

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• Punta omerale

Strumento utilizzato per scavare l’alloggio per l’impianto omerale.

Presenta un diametro tale da poter essere inserito all’interno del ferma punta e presenta una sporgenza nella sua parte finale. Tale sporgenza permette l’arresto alla profondità corretta, corrispondente all’altezza dell’impianto (Fig. 3.3).

Fig. 3.2: A sinistra un guida punta omerale. A destra un ferma punta omerale.

Fig. 3.3: A sinistra una punta omerale. A destra un trial omerale.

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• Trial omerale

Strumento utilizzato come campione per verificare la corretta conformazione dei solchi per l’impianto della protesi omerale (Fig. 3.3).

• Reggi impianto omerale

Strumento in gomma utilizzato per alloggiare delicatamente la protesi omerale all’interno del solco corrispondente (Fig. 3.4).

• Premitore omerale

Strumento utilizzato per premere correttamente in sede la protesi omerale (Fig. 3.4).

• Impianto omerale

E’ la componente omerale della protesi. E’ stato progettato con una forma “ad 8”. La superficie articolare della protesi si presenta arcuata, a formare una cupola biconvessa di 0,5 mm con un arco di curvatura biradiale allo scopo di replicare la normale curvatura caratteristica della

Fig. 3.4: A sinistra un reggi impianto omerale. A destra un premitore omerale.

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superficie articolare omerale. La porzione articolare dell’impianto è formata da Cobalto Cromo di alta qualità (CoCr) un materiale con altissima resistenza e solidità tale da non usurarsi nel tempo. Lo strato più superficiale dell’impianto è collegato ad uno strato più profondo fatto di Byosync, un materiale poroso, costituito al 99,2% da titanio puro caratterizzato da grande solidità, resistenza alla corrosione, eccellente biocompatibilità, capace di favorire una crescita ossea rapida al suo interno in grado di stabilizzare l’intero impianto ed integrarlo con l’osso (Fig. 3.5).

Strumentario impianto ulnare

• Guida punta ulnare

Strumento cavo che presenta l’esatto diametro dell’impianto ulnare definitivo. Viene usato per determinare la giusta dimensione della protesi da utilizzare e per guidare l’inserimento dei chiodi durante la procedura (Fig. 3.6).

Fig. 3.5: Impianto omerale.

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• Punta ulnare

Strumento utilizzato per scavare l’alloggio per l’impianto ulnare. E’ cavo per poter essere inserito intorno ad un chiodo guida e presenta una sporgenza nella sua parte finale. Tale sporgenza permette l’arresto alla profondità corretta, corrispondente all’altezza dell’impianto (Fig. 3.6).

• Trial

Strumento utilizzato come campione per verificare la corretta conformazione dei solchi per l’impianto della protesi ulnare (Fig. 3.7).

• Reggi impianto ulnare

Strumento in gomma utilizzato per alloggiare delicatamente la protesi ulnare all’interno del solco corrispondente (Fig. 3.7).

Fig. 3.6: A sinistra guida punta ulnare. A destra una punta ulnare.

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• Premitore ulnare

Strumento utilizzato per premere correttamente in sede la protesi ulnare (Fig. 3.8).

• Impianto ulnare

La componente ulnare dell’impianto CUE consiste in un singolo impianto di forma cilindrica che viene posizionato a sostituire il conseguente difetto sulla base del processo coronoideo mediale. La superficie articolare dell’impianto è formata da polietilene a peso molecolare ultra- alto (UHMWPE) ed a sua volta presenta una leggera

Fig. 3.7: A sinistra un trial ulnare. A destra un reggi impianto ulnare.

Fig. 3.8:

Premitore ulnare.

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convessità biradiale. Questa curvatura è stata appositamente studiata per far in modo che, una volta posizionato correttamente l’impianto, i bordi della protesi siano a filo dell’osso subcondrale adiacente mentre la porzione centrale si presenti lievemente rialzata. La finalità di questo accorgimento è ristabilire il corretto spazio mediale dell’articolazione ed allo stesso tempo scaricare il peso sulla protesi piuttosto che sull’osso subcondrale, esposto, adiacente. Esistono due varietà diverse di impianto ulnare: una con uno strato profondo di Byosinc, per consentire la crescita ossea interna all’impianto; l’altra costituita interamente da polietilene, in grado quindi di permettere solo una crescita ossea intorno all’impianto ma non all’interno di esso (Fig. 3.9).

Fig. 3.9: Impianti ulnari. A sinistra la versione interamente costituita da polietilene.

A destra la versione dotata di uno strato profondo di Byosinc.

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Tecnica chirurgica

Preparazione del soggetto

Il paziente veniva anestetizzato secondo i protocolli standard in vigore all’interno di ciascuna struttura di referenza nelle sale di preparazione pre-chirurgia.

Successivamente veniva effettuata un’ampia tricotomia dell’arto in questione interessante a 360° tutta la regione scapolare fino al carpo con preparazione successiva del piedino sterile. Il paziente veniva trasferito in sala operatoria dove veniva appeso l’arto e si procedeva alla preparazione del campo chirurgico secondo il protocollo standard di ciascuna struttura di referenza.

Accesso mediale tramite osteotomia

Tale approccio veniva eseguito tramite un’osteotomia dell’epicondilo mediale, preservando i tendini di origine dei muscoli flessori ed il legamento collaterale mediale del gomito.

L’animale era posizionato in decubito dorsale con sostegno posizionato

sotto al gomito per permettere spostamento in valgo e l’intrarotazione

della mano facilitando così l’accesso all’articolazione. Con una lama di

bisturi 10 veniva praticata l’incisione della cute. I punti di repere per

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l’incisione cutanea erano il capo mediale del tricipite brachiale, l’epicondilo mediale dell’omero ed il muscolo superficiale delle dita.

L’incisione veniva praticata lungo il bordo craniale del tricipite omerale, continuata sopra l’epicondilo e terminata caudalmente al muscolo flessore superficiale. Era fondamentale restare craniali al tricipite brachiale per evitare il fascio vascolo-nervoso lì presente costituito da arteria, vena brachiale e nervo mediano.

Successivamente venivano incisi il grasso sottocutaneo e la fascia seguendo la stessa linea dell’incisione precedente. Veniva poi incisa la fascia profonda, dissezionata con cautela per identificare il fascio vascolo-nervoso menzionato precedentemente.

Prima di procedere con le osteotomie veniva trapanato un tunnel (utilizzando una punta di trapano di 2.5mm) passante per il centro dell’epicondilo mediale ed il centro dell’epicondilo laterale dell’omero.

Tramite un misuratore di profondità si procedeva a misurare la lunghezza

del tunnel appena effettuato per determinare già la lunghezza della vite

necessaria a ridurre l’osteotomia a procedura terminata. Venivano poi

praticate tre osteotomie: cranialmente, caudalmente e prossimamente

all’epicondilo (Fig. 3.10). Ogni osteotomia veniva praticata con

un’inclinazione di 30-45° ed all'incirca 5 mm di profondità. Dopodiché

veniva utilizzato un osteotomo ben affilato ber completare l’osteotomia e

staccare l’epicondilo facendo leva in senso prossimo-distale. Veniva così

creato un frammento di osso di forma vagamente trapezoidale che veniva

ribaltato distalmente per provvedere all’esposizione dell’articolazione. Il

legamento collaterale mediale, i tendini dei flessori associati

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all’epicondilo ed una porzione della capsula articolare rimanevano attaccati al frammento osseo e con esso ribaltati per una maggiore esposizione.

Terminata la procedura CUE si provvedeva a ridurre l’osteotomia posizionando una vite a compressione di 3,5mm della lunghezza corrispondente a quella misurata in precedenza per stabilizzare l’epicondilo. Veniva suturata la capsula articolare e si provvedeva a suturare la ferita chirurgica come di routine.

Fig. 3.10: Accesso mediale al gomito tramite osteotomia dell’epicondilo omerale

mediale. Si può osservare come il legamento collaterale mediale, i tendini dei

flessori associati all’epicondilo ed una porzione della capsula articolare rimangano

attaccati al frammento osseo e con esso ribaltati per una maggiore esposizione. Da

Piermattei DL. 2004.

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Accesso caudale tramite osteotomia parziale del tubercolo olecranico

Tale approccio veniva eseguito tramite un’osteotomia parziale del tubercolo olecranico, facendo ben attenzione a preservare tutti i capi muscolari ed il nervo ulnare lì presenti. Il paziente era posizionato in decubito dorsale ed il gomito veniva mantenuto flesso. Con una lama di bisturi 10 veniva praticata un’incisione cutanea sulla superficie caudale dell’ulna. Tale incisione veniva eseguita subito mediamente al tubercolo olecranico e continuata distalmente seguendo il profilo della cresta olecranica. Sulla stessa linea venivano incise la fascia antebrachiale superficiale e profonda. Successivamente veniva scollato per via smussa dalla superficie mediale dell’ulna il capo ulnare del flessore ulnare del carpo. Si procedeva poi ad identificare il nervo ulnare ed a separare per via smussa il muscolo flessore superficiale delle dita dal muscolo flessore ulnare del carpo. Una volta identificala la separazione tra i due muscoli veniva passata dalla superficie mediale dell’ulna una pinza emostatica

“Klemmer” curva fino al punto di separazione appena identificato. Il nervo ulnare si manteneva superficiale al tunnel creato. Veniva successivamente praticata un’osteotomia parziale sulla porzione mediale del tubercolo olecranico, angolata in modo da formare un piccolo cuneo.

Il cuneo ottenuto veniva retratto medialmente, assieme ad i muscoli

menzionati precedentemente ed al nervo ulnare correttamente preservato,

per esporre la porzione mediale dell’articolazione del gomito. Veniva

incisa la capsula articolare per la completa esposizione del cavo

articolare mediale.

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Terminata la procedura CUE si provvedeva a ridurre l’osteotomia posizionando una vite a compressione di 3,5mm della lunghezza adeguata ed eventualmente dei fili di Kirschner anti-rotazionali. Veniva suturata la capsula articolare e si provvedeva a suturare la ferita chirurgica come di routine.

Tecnica CUE

Una volta eseguito l’accesso l’assistente provvedeva ad intra-ruotare l’avambraccio e ad applicarvi uno stress valgo per esporre l’articolazione e permettere l’accesso alle superfici articolari del processo coronoideo mediale e della troclea omerale.

Prima di applicare la protesi il chirurgo provvedeva a rimuovere ogni frammento del processo coronoideo così come gli osteofiti o le cartilagini anormali che impedivano un’identificazione chiara dei limiti del processo stesso.

Il chirurgo sceglieva poi il guidapunte ulnare della giusta dimensione e

lo posizionava a coprire tutta la superficie articolare del processo

coronoideo mantenendolo perpendicolare ad essa. Il guida punta ulnare

presentava l’esatto diametro dell’impianto ulnare definitivo e veniva

usato per determinare quale sarebbe stata la giusta dimensione della

protesi da utilizzare. Veniva selezionata la taglia che massimizzava la

copertura del processo coronoideo preservando comunque un margine di

sicurezza minimo di 2mm tutt’intorno. Mantenendo il guida punta di

dimensione appropriata ben saldo, piatto e perpendicolare, contro il

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processo coronoideo il chirurgo provvedeva ad inserirvi all’interno un chiodo di 2,4 mm di diametro guidato fino ad uscire completamente dalla porzione caudale dell’ulna. Nel caso in cui il chiodo fosse stato mal posizionato si provvedeva a rimuoverlo ed a ripetere il processo fino ad ottenerne il corretto posizionamento.

Posizionato il chiodo, veniva rimosso il guida punta ulnare e sostituito con la corrispettiva punta ulnare. Si provvedeva a trapanare la superficie articolare fino ad arrivare alla profondità desiderata per l’impianto;

durante la procedura veniva applicato un copioso lavaggio con soluzione salina sterile. Si rimuovevano quindi il chiodo e la punta e si lavavano via tutti i detriti venuti a crearsi con le operazioni precedenti. Con il Trial ulnare veniva confermata la corretta profondità della cavità ottenuta, se era adeguata il trial sporgeva di circa 0-1mm. Nel caso si riscontrasse una profondità inferiore a quella desiderata si provvedeva a riposizionare il chiodo e ripetere l’operazione precedentemente descritta.

L’impianto della protesi ulnare veniva effettuato dopo la corretta preparazione dell’omero.

Per identificare correttamente la zona per la protesi omerale si

provvedeva a posizionare un filo di Kirshner attraverso il foro scavato

precedentemente nell’ulna, ritirarlo distalmente fino ad averne solo la

punta lievemente sporgente dall’osso subcondrale e cautamente si

procedeva con la riduzione del gomito. Una volta ridotto il gomito il filo

veniva fatto avanzare fino a creare un piccolo foro nell’omero. Si

provvedeva così ad eliminare il filo di Kirshner appena utilizzato ed a

sub-lussare di nuovo il gomito.

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Il segno così creato costituiva il punto di riferimento per il posizionamento medio-laterale dell’impianto omerale, rappresentando il punto in cui le due componenti, ulnare ed omerale, sarebbero andate ad articolare a riduzione compiuta.

Si prendeva quindi il guida punta omerale, di adeguate dimensioni, e si posizionava correttamente basandosi sul riferimento creato in precedenza; di fondamentale importanza era posizionare il guida punta perpendicolare alla superficie articolare e non all’accesso omerale.

Con il guida punta in posizione si procedeva all’inserimento di due chiodi da 2,4mm all’interno di essa, si procedeva prima all’inserimento del chiodo nel foro caudale in modo tale da preservare ancora al chirurgo la possibilità di cambiare l’angolazione del guida punta o la sua dimensione. Il primo chiodo veniva tagliato con l’ausilio di una pinza tagliachiodi sterile.

Il secondo chiodo veniva posizionato e tagliato con la stessa metodica del precedente.

Veniva rimosso il guida punta e sostituito con il ferma punta omerale.

Il chirurgo praticava due fori posizionando la punta omerale all’interno

del ferma punta omerale. Per praticare i fori il ferma punta veniva prima

inserito in un verso, successivamente nell’altro. Si provvedeva a

trapanare la superficie articolare fino ad arrivare alla profondità

desiderata per l’impianto; durante la procedura veniva applicato un

copioso lavaggio con soluzione salina sterile. Si rimuovevano quindi i

chiodi e si lavavano via tutti i detriti venuti a crearsi con le operazioni

precedenti. Il chirurgo utilizzava il Trial omerale per assicurarsi della

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corretta profondità dei solchi appena scavati, se questa era adeguata il Trial veniva alloggiato perfettamente all’interno della cavità, i suoi bordi craniali e caudali risultavano a filo dell’osso subcondrale mentre la porzione centrale sporgeva per 2mm massimo. Nel caso si fosse riscontrata una profondità inferiore a quella desiderata si provvedeva a riposizionare i chiodi e ripetere l’operazione precedentemente descritta.

La protesi omerale delle corrette dimensioni veniva quindi posizionata sull’apposito reggi impianto e tramite esso alloggiata nei fori preformati sulla porzione omerale . Il reggi impianto veniva rimosso ed il chirurgo posizionava in sede la protesi martellandola gentilmente con un premitore apposito (Fig. 3.11).

Allo stesso modo veniva posizionata la protesi ulnare (Fig. 3.11).

Fig. 3.11: A sinistra immagine intra-operatoria di una protesi omerale appena

appoggiata nella sua sede definitiva. Si noti come il profilo della protesi ancora

sporga rispetto alla superficie articolare, questo divario verrà colmato una volta

accertatisi del corretto posizionamento. A destra immagine intra-operatoria di una

protesi ulnare nella sua sede definitiva, ad installazione ultimata.

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Terminate le procedure precedenti si procedeva con un abbondante lavaggio della cavità articolare; il gomito veniva gentilmente ridotto e vi venivano applicati leggeri movimenti di flesso-estensione per verificare la corretta fluidità del movimento. Se si riscontravano degli attriti eccessivi al movimento si procedeva a sublussare di nuovo l’articolazione e picchiettare nuovamente con ciascun premitore la corrispettiva prostesi. Al termine della chirurgia si procedeva sempre ad effettuare un abbondante lavaggio dell’articolazione con soluzione fisiologica sterile a 37°.

Controllo radiografico post-operatorio

Il primo controllo radiografico veniva effettuato nell’immediato post- operatorio con il paziente ancora profondamente sedato, eseguendo le proiezioni mediolaterale neutra, mediolaterale flessa e cranio-caudale neutra. Questo per verificare il corretto posizionamento dell’impianto.

Gestione post-operatoria del paziente

Una volta confermata radiograficamente la riuscita della chirurgia veniva

applicato un bendaggio morbido standard a tre strati: cotonina, benda

orlata e Vetrap. Il paziente, dopo una notte di ricovero per terapia

analgesica, veniva dimesso con il bendaggio morbido da tenere fino al

successivo controllo e con una terapia medica da svolgere presso la

propria abitazione.

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Inoltre, al momento delle dimissioni, venivano fornite ai proprietari le indicazioni da seguire presso il proprio domicilio per un corretto decorso post-operatorio del paziente, in particolare: riposo quasi assoluto per i primi giorni e brevi passeggiate al guinzaglio per i due mesi successivi.

Controllo clinico

Il primo controllo clinico veniva effettuato nelle visite per la rimozione del bendaggio e/o la rimozione punti di sutura, a distanza massima di 15 giorni. Durante il primo controllo veniva valutata la guarigione della ferita, l’utilizzo dell’arto da parte dell’animale, il ROM e l’andatura.

I controlli clinici successivi variavano di frequenza a seconda della disponibilità di ciascun proprietario, veniva comunque costantemente mantenuto un contatto telematico con scambio di informazioni, immagini e video. Il follow-up clinico veniva effettuato valutando il soggetto all’andatura e determinando il grado di zoppia secondo la classica scala in quattro gradi.

- Grado I: zoppia lieve, movimento leggermente alterato, carico dell’arto, anche limitato

1

.

- Grado II: blanda zoppia, movimento alterato ma con funzionalità mantenuta, carico dell’arto

1

.

- Grado III: zoppia moderata, movimento e funzionalità alterati, talvolta

l’arto non viene appoggiato

1

.

(21)

- Grado IV: zoppia grave, movimento alterato e perdita della funzionalità, stazione tripodale

1

.

Si valutavano anche il ROM ed il discomfort dell’animale.

Controllo radiografico

Anche per i controlli radiografici veniva adottata una politica flessibile a

patto che i controlli radiografici a lungo termine per la verifica della

completa guarigione ossea e della fusione dell’impianto fossero

rispettati. Nel caso in cui il domicilio dei pazienti risultava vicino alla

struttura di referenza veniva attuato un protocollo radiografico, con

controlli a 30, 60, 180 giorni ed eventualmente oltre. Nei restanti casi, a

causa dei problemi logistici dei proprietari, veniva effettuato almeno un

controllo radiografico nelle due proiezioni ortogonali a guarigione ossea

conclusa, quindi dopo un periodo minimo di due mesi, a condizione che

i pazienti non sviluppassero complicazioni prima di tale data.

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