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Capitolo 1

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

1. Il Piano di Eliminazione delle Barriere

Architettoniche

1.1 Definizione di Barriera Architettonica

Per barriere architettoniche si intendono:

a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;

b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti;

c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi.

Così vengono definite le barriere architettoniche all’art. 1 del DPR 24 luglio 1996, n. 503 (“Regolamento recante norme per l’eliminazione delle barriere

architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici”), riprendendo quanto già

espresso nell’art. 2 del DM 14 giugno 1989, n. 236 (“Prescrizioni tecniche

necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata ed agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche”).

Nella definizione di “barriera architettonica” viene postulato e messo bene in evidenza che il problema di relazione con la città e/o con le sue parti o componenti riguarda “chiunque” e quindi tutti gli individui, precisando poi di

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prendere in considerazione le esigenze delle persone con impedita o ridotta capacità motoria e dei non vedenti, ipovedenti e sordi. In sostanza il legislatore intende evidenziare che, tenendo in debito conto le esigenze connesse alla fruibilità ambientale dei disabili motori e sensoriali, si rendono gli spazi comodi e sicuri e si migliora la qualità della vita di tutti i cittadini.

Da quanto precede, discendono due assunti fondamentali, strettamente correlati tra loro: un quadro esigenziale più esteso, connesso ad u profilo di “utenza ampliata”, che prende in considerazione dei riferimenti antropometrici non più connessi a quelli di un individuo “normodotato” ideale, ma tiene conto delle diverse condizioni fisiche degli individui; un concetto ampliato di “barriera architettonica”, che non è solo un salto di quota da superare con una rampa, come spesso si intende, interpretando in maniera superficiale la legge, ma può essere costituita da elementi della più svariata natura, da limitazioni percettive, oltre che fisiche, o da particolari conformazioni degli oggetti e dei luoghi che possono risultare fonte di affaticamento, di disagio, di pericolo. Questi due temi meritano un approfondimento, che prelude qualunque trattazione di carattere tecnico di argomenti specifici, poiché aiutano ad affrontare problemi progettuali anche nuovi o non trattati nei manuali con una giusta ottica e secondo i principi dell’universal

design, ovvero di una progettazione che contempli le esigenze di tutti.

1.2 Antropometria e quadro esigenziale

Al di là della definizione di disabilità data dalla legge n. 104/92 “Legge quadro

per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, che

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apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”, sono da considerare altre importanti variabili, rappresentate dal grado di autonomia della persona nelle funzioni della vita quotidiana, dal contesto e dal quadro organizzativo che sostiene e accompagna la persona stessa, oltre che dal coincidere di alcune patologie. Allo scopo, dunque, di definire le caratteristiche dimensionale e morfologiche di ambienti e manufatti pienamente accessibili a chiunque, è opportuno individuare ambiti esigenziali omogenei.

In particolare si possono definire cinque profili di utenza: 1) persone con ridotta o impedita capacità di movimento; 2) persone su sedia a ruote;

3) persone con disabilità sensoriale; 4) persone con disabilità mentali;

5) persone con altre forme di disabilità invisibili.

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Persone con ridotta o impedita capacità di movimento

Si tratta di emiplegici, con paralisi totale o parziale di una metà del corpo umano; persone che soffrono di artrite; persone temporaneamente inferme per l’ingessatura ad un arto inferiore; persone convalescenti a seguito di un intervento chirurgico; anziani ai quali sono diminuite le capacità motorie; cardiopatici ecc. Sono persone con handicap di origine traumatica o congenita, o dovuta all’avanzamento dell’età, che camminano con difficoltà, servendosi di bastoni, tutori, grucce, stampelle o elettroscooter e che, in generale, hanno difficoltà a percorrere un tragitto superiore a 200 m. senza effettuare una sosta.

Alcuni dei problemi riscontrati dalle persone con ridotta capacità motoria sono: • Difficoltà nel superare dislivelli eccessivi e scale sia per problemi di

carattere muscolare che di equilibrio;

• Difficoltà a percorrere una rampa in discesa, alla quale è talora preferito il gradino;

• Difficoltà nel passare attraverso spazi eccessivamente stretti;

• Difficoltà ad aprire le porte, soprattutto se hanno dei meccanismi di ritorno non controllati;

• Difficoltà ad azionare oggetti e meccanismi che richiedono l’uso di entrambe le mani.

Per agevolare la fruizione dei luoghi e delle strutture per tali soggetti occorre prevedere:

• percorsi in piano e complanari; • punti di sosta lungo i percorsi; • porte a ritorno automatico ritardato;

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• carrozzine o altri mezzi (es. elettroscooter) nei punti di lunga percorrenza pedonale;

• corrimano lungo le scale e nelle rampe;

• posti riservati, opportunamente dimensionati sui mezzi di trasporto pubblico;

• eventuali permessi per arrivare in auto e parcheggi riservati nei pressi del luogo da visitare.

Sotto il profilo meramente esigenziale sono da considerarsi soggetti con difficoltà di deambulazione, gli anziani in generale. Gli obesi, le persone affette da nanismo o gigantismo, le donne in stato di gravidanza, le persone con passeggino al seguito, le persone con valige o buste della spesa, i bambini al di sotto dei 3 anni.

Persone su sedia a ruote

Le persone che utilizzano la sedia a ruote sono i paraplegici, con paralisi della parte bassa del corpo, tetraplegici, emiplegici, anziani; persone impossibilitate a muoversi con le proprie gambe a causa di forme di artrite o a seguito di una operazione chirurgica, ecc. Si tratta di persone con handicap di origine traumatica o congenita, o dovuta all’avanzamento età, che si muovono grazie all’ausilio di una carrozzina meccanica o elettrica, autonomamente o con l’aiuto di un’altra persona.

I principali problemi riscontrati da tali individui nella fruizione degli spazi sono: • Impossibilità nel superare dislivelli eccessivi e scale;

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• Limitazione nella capacità di raggiungere oggetti collocati su piani orizzontali troppo alti o di vedere attraverso finestre e su piani orizzontali quando sono posti ad un’altezza eccessiva;

• Impossibilità di passare attraverso varchi eccessivamente stretti.

Tra gli interventi atti a favorire la mobilità autonoma dei disabili motori su sedia a ruote si evidenziano:

• Possibilità di arrivare nei pressi del luogo da visitare; • Parcheggi riservati entro 50 metri;

• Mezzi di trasporto accessibili con opportuni spazi e ancoraggi per la sedia a ruote;

• Percorsi in piano e complanari; • Sufficienti spazi di manovra; • Servizi di accompagnamento;

• Altezze fruibili di interruttori e maniglie; • Maniglie per le porte con prensibilità agevolata; • Pavimentazioni lisce e compatte;

• Porte a ritorno automatico ritardato.

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Persone con disabilità sensoriali

Disabili sensoriali sono i non vedenti, gli ipovedenti, i soggetti affetti da sordità che, se congenita, è spesso associata al mutismo. Si tratta di persone impossibilitate all’uso di uno o più sensi.

Alcuni dei principali problemi riscontrati dalle persone con gravi problemi della vista, nella fruizione autonoma di luoghi e strutture sono:

• Difficoltà nell’identificazione degli oggetti utili (come le pulsantiere degli ascensori, ecc.)

• Difficoltà nell’individuazione di ostacoli, di oggetti pericolosi sui percorsi pedonali o di dislivelli;

• Difficoltà a muoversi autonomamente in spazi aperti non strutturati o privi di indizi percettivi (acustici, tattili).

Alcuni dei principali problemi riscontrati dalle persone con problemi gravi di udito sono:

• Difficoltà nell’identificazione di segnali acustici (allarme, voci, ecc.); • Sensazione di isolamento rispetto all’intorno.

La disabilità visiva e quella uditiva hanno quadri esigenziali abbastanza diversi, per cui è opportuno fare alcune precisazioni in relazione agli interventi volti a favorire l’accessibilità dei luoghi pubblici per i disabili sensoriali.

Persone non vedenti

La mobilità delle persone non vedenti può essere favorita da elementi da elementi che possono costituire “guide naturali” e consentire l’orientamento, da guide artificiali con pavimentazione differenziata (“percorsi tattili”), avvisatori acustici

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per la segnalazione di fonti di pericolo, mappe tattili di rappresentazione dei luoghi con scritte in braille, bottoniere di ascensori con numerazione in rilievo e braille, informazioni alla fermata del bus con avvisatori acustici. Per non creare barriere percettive, fonti di pericolo per il non vedente, è necessario evitare di disporre lungo i percorsi ostacoli pendenti e/o sporgenti tali da non poter essere intercettati con il movimento del bastone e dal cane guida.

Ipovedenti

Per le persone con una forte riduzione della vista occorre garantire dei riferimenti visivi che contrastino con l’intorno, definire gli spazi interni evidenziando l’attacco tra parete verticale e piano orizzontale (battiscopa ben contrastato9, prestare grande attenzione all’uso delle superfici trasparenti, alla riflessione della luce naturale e artificiale, a tutti gli elementi che possono creare disturbo visivo, lavorare sui contrasti di luminanza tra materiali per poter aumentare gli indizi percettivi.

La progettazione di un ambiente a favore degli ipovedenti è un tema molto complesso, proprio perché si risolve con gli stessi strumenti interni dell’architettura, senza apposizione di elementi aggiunti: i percorsi tattili sono utili, ma non sono l’unico elemento che può stimolare il residuo visivo di tali soggetti. Le informazioni visive, se il senso della vista non è del tutto compromesso, sono ancora percepibili, ma occorre utilizzare, nei pannelli segnaletici, per esempio, caratteri tipografici sufficientemente grandi e leggibili (“large print”) e a rilievo per essere esplorati con le dita).

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Persone non udenti

Non sono richiesti ausili particolari, ma bisogna considerare tutti gli aspetti che attengono alla sfera della comunicazione. Tutte le informazioni date attraverso comunicazioni verbali dovrebbero essere date, a favore dei non udenti, anche attraverso segnalazioni visive (display con scritte leggibili in luogo pubblico, per esempio, nel quale si diffondono informazioni con altoparlante, telefono con sistemi DTS, avvisatori luminosi per la segnalazione di fonti di pericolo). Esistono anche soluzioni tecnologiche che potenziano l’indizio acustico negli spazi interni. In generale, per aumentare il comfort degli ambienti interni per tutti, ma in particolar modo per chi ha ancora un residuo uditivi (ipoudenti), bisogna progettare spazi dove gli indizi acustici non siano mascherati da elementi che creano disturbo uditivo.

Ci sono situazioni in cui è necessaria la presenza degli interpreti del linguaggio dei segni, anche se non tutti i non udenti lo conoscono o sono concordi su tale soluzione, poiché preferiscono leggere le labbra.

Occorre, a tal proposito, prestare attenzione tuttavia alla progettazione degli sportelli aperti al pubblico, in modo che le condizioni della luce rispetto al personale preposto alla comunicazione con gli utenti favorisca la lettura del labiale.

Persone con disabilità mentali

Si tratta di persone che hanno un’insufficienza di tipo intellettivo (ritardo mentale, disturbi del comportamento), con una capacità parziale o totale di gestire autonomamente le situazioni, le nuove relazioni, le comunicazioni, gli

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spostamenti, la cura della propria persona. Le difficoltà che riguardano le attività di relazione in alcuni casi, possono essere causa di esclusione e discriminazione. Per quanto riguarda gli aspetti meramente tecnici, è difficile definire una progettualità riferita propriamente alle disabilità cognitive o ai disturbi del comportamento. In generale occorre prestare attenzione al comfort degli ambienti, utilizzare colori che non suscitano irritabilità, costruire spazi di facile comprensione, disporre paraspigoli sugli elementi di arredo ed evitare che ci siano nell’ambiente oggetti che possano costituire fonte di pericolo.

Persone con disabilità mentali

Molti soggetti possono avere limitazione delle potenzialità fisiche non visibili all’esterno: cardiopatici, persone con problemi di alimentazione, persone con epilessia, persone con diabete, persone con insufficienza renale, dializzati; persone con insufficienza respiratoria; persone con allergie, ecc.

Si tratta di Patologie che, quando non richiamano situazioni descritte nei casi precedenti, non richiedono soluzioni specifiche dal punto di vista dell’accessibilità e della visitabilità dei luoghi. Può essere necessaria, invece, per tali soggetti, la disponibilità in loco di servizi e presidi sanitari, diete o alimenti specifici nella ristorazione o punti per la somministrazione dell’ossigeno.

1.3 Classificazione delle barriere architettoniche

Da quanto emerso in precedenza, occorre ampliare e precisare meglio il concetto di “barriera architettonica”, incominciando a definire, per contro, i requisiti di un ambiente pienamente accessibile e fruibile da tutti.

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Le barriere architettoniche vengono di seguito illustrate con riferimento ad alcune problematiche evidenziate nella stessa definizione contenuta nella vigente normativa, suddividendole in:

• Situazioni che presentano “ostacoli” o impedimenti fisici; • Situazioni che costituiscono “barriere percettive”;

• Situazioni che costituiscono “fonti di disagio”; • Situazioni che costituiscono “fonti di pericolo”; • Situazioni che generano “affaticamento”.

A margine di ogni schema grafico esemplificativo sono riportati dei pittogrammi identificativi dei soggetti per i quali la situazione individuata costituisce pericolo, ostacolo, barriera percettiva, fonte di disagio o affaticamento.

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1.4 Normativa di riferimento

Ci sono diversi riferimenti al piano di eliminazione delle barriere architettoniche nella normativa nazionale e regionale: da un lato vengono date specifiche indicazioni per la realizzazione e l'adozione dei Piani per l'eliminazione delle barriere architettoniche; dall'altro si definiscono in termini generali le modalità di finanziamento delle opere direttamente finalizzate all'eliminazione delle barriere architettoniche.

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Appare opportuno considerare questo duplice aspetto tecnico ed economico presente nella normativa, perché lo strumento urbanistico può essere effettivamente posto in essere, solo se ci sono risorse economiche per la sua attuazione.

1.5 Norme nazionali per il PEBA

I Piani per l'eliminazione delle barriere architettoniche (PEBA) vengono per la prima volta previsti dalla normativa italiana con la legge 28 febbraio 1986, n. 41, nel quale all'art. 32, comma 21 si dice: "Per gli edifici pubblici già esistenti non ancora adeguati alle prescrizioni del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384 (abrogato e sostituito dal DPR 503/96), dovranno essere adottati da parte delle Amministrazioni competenti piani di eliminazione delle barriere architettoniche entro un anno dalla entrata in vigore della presente legge". Tale articolo obbliga tutti gli Enti pubblici (tra i quali le amministrazioni comunali e provinciali) a dotarsi di vino specifico "Piano per l'eliminazione delle barriere architettoniche" relativo ai propri edifici, senza però fissare un limite massimo di tempo entro cui si debba provvedere ad adeguare gli edifici stessi.

Il comma 22, invece, rafforza l'aspetto temporale entro cui i citati Enti pubblici si devono dotare del PEBA: "Per gli interventi di competenza dei comuni e delle province, trascorso il termine previsto dal precedente comma 21, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano nominano un commissario per l'adozione dei piani di eliminazione delle barriere architettoniche presso ciascuna amministrazione".

La legge 41/86 si riferisce solamente agli edifici pubblici già esistenti, trascurando lo spazio di connessione tra gli stessi edifici, ovvero i marciapiedi e i percorsi

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pedonali, rispetto ai quali si precisa debbano fare parte del PEBA nella legge 5 febbraio 1992, n. 104, all'art. 24, comma 9 (Eliminazione o superamento delle barriere architettoniche):

"I piani di cui all'articolo 32, comma 21, della citata legge n. 41 del 1986 sono modificati con integrazioni relative all'accessibilità degli spazi urbani, con particolare riferimento all'individuazione e alla realizzazione di percorsi accessibili, all'installazione di semafori acustici per non vedenti, alla rimozione della segnaletica installata in modo da ostacolare la circolazione delle persone handicappate".

Tale articolo di legge prescrive direttamente che i Piani di cui alla legge 41/86 art. 32, comma 2 1, vengano modificati prevedendo di rendere accessibili, oltre agli edifici di proprietà pubblica, anche gli spazi esterni urbani. In particolare fa riferimento all'individuazione di percorsi pedonali accessibili, all'installazione di semafori acustici ed alla rimozione della segnaletica installata in maniera tale da costituire barriera architettonica.

Il comma 11 dello stesso articolo 24 riguarda, invece, l'adeguamento dei regolamenti edilizi comunali al piano di eliminazione delle barriere architettoniche, fornendo un termine temporale per la modifica dei medesimi: "I comuni adeguano i propri regolamenti edilizi alle disposizioni dì cui all'articolo 27 della citata legge n. 118 del 1971, all'articolo 2 del citato regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1978 (abrogato e sostituito dal DPR 503/96), alla citata legge n. 13 del 1989, e successive

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modificazioni, e al citato decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236 entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Scaduto tale termine, le norme dei regolamenti edilizi comunali contrastanti con le Disposizioni del presente articolo perdono efficacia.

Ulteriori indicazioni sono fornite nel DPR 503/96, nel quale all'art. 3 - Aree edificabili - non si fa più solo riferimento all'adozione di specifici Piani dì eliminazione delle barriere architettoniche, ma a tutti gli strumenti urbanistici in generale:

"Nell'elaborazione degli strumenti urbanistici le aree destinate a servizi pubblici sono scelte preferendo quelle che assicurano la progettazione di edifici e spazi privi di barriere architettoniche".

Con questa affermazione, il legislatore sembra voler incidere a monte sul problema dell'accessibilità, partendo dalle zonizzazioni dei Piani Regolatori Generali delle città, ratificando che la scelta delle aree da dedicare a servizi pubblici, debba tener conto della possibilità di realizzare spazi pedonali in piano ed edifici accessibili, in considerazione anche della particolare situazione orografica del suolo italiano.

Con riferimento agli spazi pedonali, l'art. 4 del DPR 503/96 seguita:

“I progetti relativi agli spazi pubblici e alle opere di urbanizzazione a prevalente fruizione pedonale devono prevedere almeno un percorso accessibile in grado di consentire con l'utilizzo di impianti di sollevamento ove necessario, l'uso dei

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servizi, le relazioni sociali e la fruizione ambientale anche alle persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. Si applicano, per quanto riguarda le caratteristiche del suddetto percorso, le norme contenute ai punti 4.2.l., 4.2.2. e 8.2.l., 8.2.2. del decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236, e, per quanto riguarda le caratteristiche degli eventuali impianti di sollevamento, le norme contenute ai punti 4.1.12., 4.1.13. e 8.1.12., 8.1.13. dello stesso decreto, con le successive prescrizioni elaborate dall'ISPESL e dall'UNI in conformità alla normativa comunitaria".

Quesarticolo definisce i criteri generali d'intervento relativi agli spazi pubblici e alle opere di urbanizzazione a prevalente fruizione pedonale (piazze, percorsi, aree verdi, ecc.). Segnala la necessità di realizzare itinerari accessibili, che consentano anche alle persone a mobilità ridotta o con problemi sensoriali l'uso dei servizi, le relazioni sociali e la fruizione ambientale". Nel perseguire questa irrinunciabile finalità, si considerano tutte le alternative possibili di superamento dei dislivelli (rampe, "impianti di sollevamento" quali ascensori, piattaforme elevatrici, ecc.).

All'art. 82 comma 8 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, ribadisce:

“I piani di cui all'articolo 32, comma 2 1, della legge n. 41 del 1986, sono modificati con integrazioni relative all'accessibilità degli spazi urbani, con particolare riferimento all'individuazione e alla realizzazione di percorsi accessibili, all'installazione di semafori acustici per non vedenti, alla rimozione della segnaletica installata in modo da ostacolare la circolazione delle persone

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handicappate", riprendendo l'art. 24, comma 9, della legge 104/92.

Il comma 9, invece, richiama il comma 11 dell'art. 24 della legge 104/92, relativamente ai regolamenti edilizi:

“I comuni adeguano i propri regolamenti edilizi alle disposizioni di cui all'articolo 27 della citata legge n. 118 del 1971, all'articolo 2 del citato regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1978 (abrogato e sostituito dal DPR 503/96), alle disposizioni di cui alla sezione prima del presente capo, e al citato decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236. Le norme dei regolamenti edilizi comunali contrastanti con le disposizioni del presente articolo perdono efficacia".

1.6 Norma Regionale Toscana per il PEBA

Alcune Regioni hanno legiferato a carattere locale fornendo indicazioni specifiche sull'adozione del PEBA, ed, in certi casi, hanno formulato i contenuti degli stessi Piani. Le informazioni che seguono non hanno la pretesa di essere esaustive sulle emanazioni regionali, ma chiariscono l'atteggiamento propositivo che alcune Regioni italiane hanno nei confronti dei Piani per l'eliminazione delle barriere architettoniche.

La Regione Toscana, con LR 9 settembre 1991, n. 47, all'art. 9 - Programmi

comunali di intervento - recita:

1. I Comuni predispongono programmi operativi di intervento per l'abbattimento delle barriere architettoniche anche avvalendosi degli strumenti previsti dalla normativa regionale in materia di recupero e qualificazione dei sistemi insediativi

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(comma così sostituito con LR 20 marzo 2000, n. 34, art. 10)

2. Gli Enti e le Società pubbliche che svolgono servizi aperti al pubblico predispongono un programma di adeguamento alle disposizioni della presente legge sui beni immobili di loro proprietà.

3. Tale programma deve fissare scadenze temporali per la sua attuazione e indicare le modalità di reperimento dei mezzi finanziari occorrenti.

4. Il programma di cui al secondo e terzo comma viene inoltrato al Sindaco per la predisposizione dei programmi di cui al primo comma.

5. 1 programmi di cui ai precedenti commi sono costituiti dai seguenti elaborati: - rilievo di spazi, strutture ed edifici, sia pubblici che privati, aperti al pubblico,

riguardante la situazione su tutto il territorio rispetto all'accessibilità, fruibilità e sicurezza di detti luoghi;

- relazione che illustra le azioni da realizzare nei vari settori di cui all'art. 2,definisce le priorità d'intervento in riferimento alla disponibilità finanziari ed ai programmi di intervento nei settori stessi nonché alle indicazioni con tenute nelle disposizioni di cui al primo comma dell'art. 3;

- schede tecniche riferite ai singoli interventi con l'indicazione dell'entità delle opere e dei relativi costi, nonché dei tempi previsti per la realizzazione degli stessi;

- relazione finanziaria contenente, tra l'altro, l'indicazione dei modi con i qua li si intende far fronte alle spese.

6. Per l'elaborazione dei programmi di intervento per l'abbattimento delle barriere architettoniche i Comuni possono avvalersi della collaborazione delle Associazioni di tutela delle persone con handicap più rappresentati ve operanti sul

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territorio (comma aggiunto con LR 20 marzo 2000, n. 34 art. 10).

1.7 Integrazione del PEBA con gli altri Piani Urbanistici

Il 'Piano Integrato per gli Spazi Urbani" (PISU) in alcuni ambiti territoriali specifici, come nella Regione Lombardia, comprende e predispone il Piano Eliminazione Barriere Architettoniche (PEBA, ai sensi del comma 9 dell'art. 24 della legge 5 febbraio 1992, n. 104). Tuttavia non c'è una vera e propria integrazione tra il citato articolo di legge riferito agli spazi urbani e il contenuto del comma 21 dell'art. 32 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, in cui viene indicato con il termine PEBA il piano per eliminare le barriere architettoniche negli immobili di proprietà degli Enti Pubblici (Comuni, Province, USL, ATER - ex IACP, Poste, ecc ... ).

Il PISU costituisce, pertanto, un piano per rimuovere le barriere architettoniche dai marciapiedi, prevedendo un miglioramento dell'accessibilità degli spazi urbani.

Al di là delle diverse definizioni, separate o integrate, dei Piani per gli edifici e per gli spazi esterni, PEBA e PISU, che possono emergere dai citati articoli, ciò che sicuramente più interessa ai fini della presente trattazione è l'integrazione tra uno strumento per programmare l'eliminazione delle barriere architettoniche e gli altri strumenti di programmazione, dai Piani Urbani del traffico ai diversi Piani e Programmi Urbanistici Attuativi.

Si deve infatti considerare che il Piano Urbano del traffico rappresenta l'occasione non solo per affrontare le esigenze di riordino della rete viaria comunale, ma anche per progettare e realizzare una città più equilibrata, confortevole e

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Risulta, pertanto, importante la sincronia tra il PUT e il PEBA (PISU) poiché possono essere fuse insieme due previsioni in un'unica fase attuativa.

Analogamente, nella redazione di un Piano Regolatore Generale o di un Piano Particolareggiato, secondo quanto previsto nell'art. 3 - Aree edificabili -del DPR 503/96, si deve tener conto che le aree destinate a servizi pubblici devono essere scelte preferendo quelle che assicurano la progettazione di edifici e di spazi privi di barriere architettoniche, rispettando quella sinergia che vuole gli spazi per la collettività collocati su superfici con migliori caratteristiche orografiche, evitando di dover ricorrere ai ripari successivamente, quando le complicazioni sono difficilmente recuperabili nella realizzazione degli immobili o nella definizione degli spazi esterni di pertinenza.

1.8 Norme nazionali per il finanziamento di opere finalizzate

all'eliminazione delle barriere architettoniche

Il citato art. 32 della legge 41/86, fornisce indicazioni precise, essendo una legge finanziaria dello Stato italiano, anche sulla non finanziabilità di opere che non siano conformi alle norme sull'eliminazione delle barriere architettoniche:

art 20. Non possono essere approvati progetti di costruzione o ristrutturazione di opere pubbliche che non siano conformi alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384 (abrogato e sostituito dal DPR 503/96), in materia di superamento delle barriere architettoniche. Non possono altresì essere erogati dallo Stato o da altri enti pubblici contributi o agevolazioni per la realizzazione di progetti in contrasto con le norme di cui al medesimo

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decreto. (omissis)

art 23. Nell'ambito della complessiva somma che in ciascun anno la Cassa depositi e prestiti mette a disposizione degli enti locali, per la contrazione di mutui con finalità di investimento, una quota pari all'1 per cento è destinata ai prestiti finalizzati ad interventi di ristrutturazione e rinnovamento in attuazione della normativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384 (leggasi oggi DPR 503/96). Per gli anni successivi la quota percentuale è elevata al due per cento.

Art 24. A decorrere dall'anno 1986, una quota pari al 5 per cento dello stanziamento iscritto al capitolo n. 8405 dello stato di previsione del Ministero dei lavori pubblici deve essere destinata ad interventi di ristrutturazione ed adeguamento in attuazione della normativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384 (leggasi oggi DPR 503/96). La quota predetta è iscritta in apposito capitolo dello stato di previsione del medesimo Ministero con contestuale riduzione dello stanziamento del richiamato capitolo n. 8405.

L'art. 24 della legge 104/92 riprende quanto definito con la legge 41/86:

5. Nel caso di opere pubbliche, fermi restando il divieto di finanziamento di cui all'articolo 32, comma 20, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, e l'obbligo della dichiarazione del progettista, l'accertamento di conformità alla normativa vigente in materia di eliminazione delle barriere architettoniche spetta

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all'Amministrazione competente, che ne dà atto in sede di approvazione del progetto. (omissis) 8. Il Comitato per l'edilizia residenziale (CER), di cui all'articolo 3 della legge 5 agosto 1978, n. 457, fermo restando il divieto di finanziamento di cui all'articolo 32, comma 20, della citata legge n. 41 del 1986, dispone che una quota dei fondi per la realizzazione di opere di urbanizzazione e per interventi di recupero sia utilizzata per la eliminazione delle barriere architettoniche negli insediamenti di edilizia residenziale pubblica realizzati prima della data di entrata in vigore della presente legge.

(omissis)

10. Nell'ambito della complessiva somma che in ciascun anno la Cassa depositi e prestiti concede agli enti locali per la contrazione di mutui con finalità di investimento, una quota almeno pari al 2 per cento è destinata ai prestiti finalizzati ad interventi di ristrutturazione e recupero in attuazione delle norme di cui al regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica27aprile1978,n. 384 (abrogato e sostituito dal DPR 503/96)".

1.9 Richiamo sui finanziamenti previsti in alcune norme regionali

Ciascuna Regione ha, in merito alla finanziabilità dell'eliminazione delle barriere architettoniche, legiferato con apposite norme, che, se non rispettate rendono illegittimi gli stessi bilanci.

La Regione Toscana con legge 9 settembre 1991, n. 47 e successive modificazioni ed integrazioni, ai comini 6 e 7 dell'art. 9 - Programmi comunali di intervento -

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articolo, i Comuni destinano il 10% dei proventi annuali derivanti dalle concessioni edilizie di cui all'art. 3 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 e dalle sanzioni in materia urbanistica ed edilizia - ivi comprese le somme introitate ai sensi dell'art. 37 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e della LR 7 maggio 1985 n. 51, nonché dalle sanzioni amministrative pecuniarie derivanti da inosservanza di norme relative al diritto di libero accesso in spazi pubblici riservati ai portatori di handicap motori e sensoriali.

Art. 7. La concessione di contributi regionali per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, è vincolata all'inclusione nei programmi di cui al presente articolo delle opere e degli interventi riferiti al campo d'applicazione della presente legge."

1.10 Principi generali del PEBA

Molti centri urbani, anche quando hanno affrontato e risolto problemi locali di abbattimento delle barriere architettoniche in qualche edificio pubblico o in segmenti limitati di strade e marciapiedi, presentano ancora, per le persone con disabilità, situazioni generali disagevoli. Spesso ci sono percorsi di notevole estensione senza che sia previsto alcun luogo di sosta, talvolta risulta difficile se non impossibile fruire dei servizi comuni, anche quando dotati di rampa (o nei casi peggiori di servoscala) per una scarsa attenzione al problema dello spazio esterno al manufatto architettonico. Anche i mezzi del trasporto pubblico risultano difficilmente utilizzabili da persone anziane, per esempio, per l'affaticamento dovuto all'attesa ed al tragitto per raggiungere la fermata.

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situazioni di pericolo, di disagio o di affaticamento. In questo senso appare anche appropriato l'ampliamento del concetto di "barriere architettoniche" presente nel DPR 503/96, riferito non soltanto alle categorie svantaggiate, ma a chiunque, estendendolo a situazioni ambientali che riguardano in modo generalizzato tutta la popolazione.

Un problema comune a tutti i cittadini diviene, dunque, quello del comfort ambientale della città, nella quale il problema maggiore sembra essere rappresentato dalla difficoltà di utilizzare strutture e servizi, benché accessibili, per mancanza di collegamento tra di esse.

In tal senso la grande novità del PEBA è quella di non considerare più la città come una sommatoria di "isole" accessibili, ma come un insieme di funzioni e di servizi che si svolgono in spazi chiusi o aperti al servizio dell'uomo "pedone", inteso come entità autonoma, che si sposta attraverso un nastro di percorrenza ideale ed ininterrotto per passare da una situazione all'altra.

L:accessibilità, dunque, non va intesa come elemento episodico nello spazio urbano, ma come "sistema" diffuso e complesso, per il comfort ambientale, per la mobilità agevole sul territorio; un sistema che consenta a ciascuno di svolgere le attività desiderate utilizzando tutte le proprie energie potenziali, anche quando limitate e/o residue.

Accessibilità urbana, quindi, come potenziamento del comfort ambientale e della "qualità della vita", intesa come rapporto tra obiettivi e scelte che si vogliono perseguire ed energie fisiche e psichiche necessarie per il raggiungimento dello scopo.

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dimensione culturale riguardo alle scelte individuali, per ciò che attiene alle attività produttive, ma anche a quelle di relazione e del tempo libero.

In questa sua accezione più ampia si deve collocare il PEBA, concepito come uno strumento per progettare "percorsi urbani ed edifici accessibili", favorendo l'eliminazione delle barriere architettoniche in maniera integrata e programmatica all'interno di un'intera città.

1.11 Obiettivi e finalità del PEBA

Il Piano di eliminazione delle barriere architettoniche (PEBA) è uno strumento urbanistico definibile come "piano di settore". Tale strumento, quindi, consente di operare all'interno della realtà urbana, non più attraverso episodici e frammentari progetti, ma disponendo un quadro ordinato ed omogeneo di interventi, in modo da minimizzare l'impatto sulla scena urbana e razionalizzare le risorse.

Oggetto di interesse del PEBA è il piano orizzontale del percorso e la fruizione

degli edifici pubblici o privati aperti al pubblico di rilevante interesse sociale.

L’ambito primario deputato allo spostamento pedonale è il marciapiede: spazio, generalmente rialzato rispetto alla sede viabile, che risulta spesso usurpato dai pali della segnaletica, dalla presenza dei cassonetti per l’immondizia e soprattutto dal parcheggio selvaggio dei cieli e motocicli. Quand'anche fossero ben raccordati alla sede stradale per consentire l'attraversamento, i marciapiedi difficilmente sono, poi, concepiti in modo unitario come un nastro continuo che consente una fruizione razionale dello spazio.

Gli edifici sono, invece, gli ambiti deputati agli incontri, all'istruzione, alla cultura, alla cura della salute, alle relazioni sociali e alla residenzialità.

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marciapiede, che deve essere raccordata mediante diversi sistemi di collegamento verticale (scale, rampe, ascensori) e raccordata, rispetto al percorso del pedone, con opportuna segnaletica per i disabili visivi.

Il Piano deve orientare la scelta e la disposizione di tutti quei dispositivi che possono permettere di superare un ostacolo, facilitare un attraversamento, segnalare un salto di quota, rendere scorrevole un passaggio, consentire una sosta, entrare ed uscire da un edificio, circolare liberamente all'interno di esso, il tutto in un sistema coerente di interventi. In senso più ampio il Piano per l'eliminazione delle barriere architettoniche deve tendere al recupero del percorso pedonale come un sistema di offerte di utilizzo (sosta, movimento, fermata, informazione, ecc.), e alla fruizione degli edifici come sistema di servizi (istruzione, cultura, sanità, amministrazione, commercio), che riducano la fatica e l'impossibilità di utilizzo dei servizi stessi.

Il Piano per l'eliminazione delle barriere architettoniche (PEBA) deve presentare, nello specifico, alcuni obiettivi fondamentali:

- il recupero funzionale di alcuni tracciati urbani a prevalente fruizione pedonale (Percorsi urbani accessibili) disseminati di barriere fisiche consolidatesi nel tempo;

- l'individuazione di modalità operative che consentano la corretta progettazione del piano orizzontale degli interventi futuri nell'intera città;

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nuovi contemplino le esigenze di una utenza ampliata.

1.12 Struttura del piano

La struttura del PEBA può essere sinteticamente divisa in una prima fase di analisi ed una seconda di progetto, che contengano al loro interno un'ulteriore articolazione:

Analisi

1. individuazione delle strutture pubbliche e dei percorsi da rendere accessibili; 2. rilevazione delle barriere architettoniche.

Progetto

3. definizione delle opere di adeguamento; 4. preventivo sommario;

5. programma degli interventi.

La parte di analisi comprende l'elenco delle strutture e dei percorsi che devono essere oggetto d'intervento, nonché gli elaborati e le schede di rilievo dell'accessibilità. La parte di progetto definisce le categorie di adeguamento, comprende elaborati e schemi d'individuazione strategica degli obiettivi ed elaborati più puntuali contenenti le prescrizioni del Piano, corredate dalle Norme tecniche di attuazione dello stesso.

Si devono, quindi, prevedere i costi sommari di adeguamento che consentano di determinare il programma degli interventi, che possono essere attuati mediante lotti successivi, ma nell'alveo di una visione d'intervento globale.

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dei percorsi e della forma urbana;

- Analisi delle caratteristiche socio-strutturali, e della distribuzione dei servizi sul territorio;

- Analisi del grado di accessibilità delle principali strutture di interesse collettivo e del loro rapporto con lo spazio esterno e con i percorsi di collegamento pedonali. Nel progetto in esame è stata trattata come struttura di interesse collettivo il Palazzetto dello sport.

In primo luogo è stata indagata la "struttura urbana" del Comune in esame, con i suoi principali nuclei collegati dal trasporto pubblico urbano, i percorsi a maggiore fruizione pedonale, le aree verdi, nonché le principali strutture di interesse collettivo (edifici pubblici o privati aperti al pubblico soggetti alla vigente normativa in materia di eliminazione di barriere architettoniche).

Successivamente, attraverso delle appropriate schede di rilievo dell'accessibilità urbana1, è stata effettuata una ricognizione sistematica dell'intero territorio

comunale, individuando per le strade di maggiore interesse pedonale la tipologia del percorso, la pendenza, la presenza di raccordi con il piano stradale, il tipo di attraversamento, la presenza di ostacoli, ecc. Attraverso una seconda scheda fotografica possono essere visualizzati i tipi di barriere architettoniche strada per strada.

Analoga scheda di rilievo2 è stata prodotta anche per l’edificio pubblico in esame, ovvero il palazzetto dello sport; in questo caso i parametri di valutazione sono connessi al tipo di ingresso, al sistema di collegamento orizzontale e verticale, alla presenza di servizi igienici accessibili.

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L'insieme delle schede fornisce un monitoraggio completo del grado di accessibilità urbana della città o dell'ambito urbano in esame.

Successivamente sono stati elaborati dei grafici che riassumano in planimetrie, in scala 1:2.500, tutte le indicazione relative al rilievo dell'accessibilità contenute nelle schede.

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Figura 7: Tavola tipologie dei percorsi

1.13 Metodologia e criteri di intervento

Le operazioni di rilievo consentono di passare alla fase di progettazione del Piano, in cui risulta determinante, per l'ambito urbano, individuare una serie di superfici a prevalente sviluppo lineare, come i "Percorsi pedonali protetti", e una serie di aree puntuali, come i “Poli urbani", dislocati lungo le principali direttrici individuate.

I percorsi pedonali protetti o primari" collegano tra loro i "Poli" d'aggregazione urbana; mentre, intercalati tra due o più "Poli" successivi, devono essere previsti dei "Nodi”, concepiti come spazi per la fermata intermedia di importanza minore. Nei “Poli urbani”, dovrebbero essere localizzati i servizi e le attrezzature di interesse collettivo, i dispositivi di servizio, gli elementi di arredo urbano per la

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sosta dei pedoni: panchina per la sosta, cabina telefonica, parcheggio riservato, pannello informativo, rastrelliera portabicicletta, ecc.

Percorsi pedonali protetti, poli, nodi, percorso del trasporto pubblico, edifici di interesse collettivo, aree residenziali per le quali non sono previsti interventi puntuali, devono tutti essere indicati in appositi elaborati, sui quali, mediante opportune simbologie grafiche vengono richiamate delle specifiche "categorie d'intervento".

1.14 Categorie d'intervento

Elaborati di dettaglio, in scala 1:1000, contengono le prescrizioni più puntuali del Piano. Trattandosi di un piano urbanistico bisogna individuare sul territorio situazioni alle quali poter dare prescrizioni programmatiche omogenee. In generale le "categorie d'intervento" sono schemi tipologici utili per risolvere problemi di fruibilità ambientale, applicabili a casi analoghi di percorso pedonale, definiscono i tipi di attrezzature da prevedere nei poli o nodi aggregativi lungo il percorso, stabiliscono gli interventi relativi ai singoli edifici.

Per quanto riguarda i tipi di percorso, nelle Norme Tecniche di Attuazione si descrivono le prestazioni richieste nell'intervento progettuale futuro, dando diverse conformazioni e caratteristiche dimensionali dell'ambito deputato al flusso dei pedoni.

Per i percorsi pedonali protetti possono essere individuate le seguenti tipologie: • "percorso con sfalsamento di piano", ovvero con marciapiede "a sezione costante" - si prevede un adeguamento della sezione del marciapiede almeno agli standard minimi per il passaggio della sedia a ruote. Vengono inoltre richieste

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cromatica dello sfalsamento;

• "percorso con sfalsamento di piano a sezione variabile" - si prevede la possibilità di utilizzare anche la parte più ampia del marciapiede per l'alloggiamento delle attrezzature e delle aree di sosta. Quando possibile le sezioni più ampie del marciapiede vanno organizzate per fasce longitudinali: una per il percorso pedonale, una per la segnaletica, la sosta e la collocazione delle attrezzature;

• "percorso a livello", ovvero quello nel quale non c'è soluzione di continuità tra viabilità carrabile e pedonale, il Piano deve prescrive nelle Norme tecniche gli standard prestazionali minimi, e la separazione dei flussi con elementi "dissuasori".

Nelle Norme tecniche vengono, inoltre, precisati tutti i requisiti degli attraversamenti e le modalità di realizzazione delle rampe di raccordo con il piano stradale nei casi di sfalsamento di piano.

Nei punti d'interesse notevole (attraversamenti pedonali, aree di sosta, fermate dei mezzi di trasporto pubblico, ecc.) dei percorsi pedonali il piano definisce le modalità di realizzazione dei segnali tattili per disabili visivi o altre soluzioni previste per l'abbattimento delle barriere sensoriali.

Per le aree di interesse collettivo, ovvero per i "Poli" e per i "Nodi", si devono indicare i dispositivi di servizio minimi da allocare per garantire una confortevole fruizione delle strutture pubbliche da parte dei pedoni.

Negli edifici di interesse collettivo, ovvero il palazzetto dello sport nel nostro caso in esame, devono essere indicate quelle categorie d'intervento necessarie all'accessibilità, quali:

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• la realizzazione di un sistema di collegamento verticale in prossimità dell'entrata (rampa, piattaforma elevatrice, servoscala);

• l'adeguamento dell'apertura delle porte (luce netta minima 80 cm, ante con movimentazione automatica - comandata da cellula fotoelettrica, o a battente); • la possibilità di un'agevole circolazione orizzontale interna, garantita anche da accorgimenti a favore dei disabili visivi e uditivi;

• sistemi di collegamento verticale interni (ascensori, scale, piattaforme elevatrici);

• presenza di servizi igienici adeguati alle esigenze dei disabili motori e sensoriali; • presenza di un adeguato sistema d'esodo.

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1.15 Preventivo sommario

Già nella fase di stesura di un PEBA sarebbe opportuno fare una programmazione degli interventi ed una previsione di costi da poter inserire nel bilancio futuro della Pubblica Amministrazione. Risulta abbastanza difficile fornire in astratto una stima sommaria degli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, perché ogni Comune possiede un proprio capitolato, le cui voci hanno prezzi anche molto diversi da regione a regione; gli stessi materiali utilizzati variano a secondo della qualità dei prodotti impiegati (più o meno costosi), dei luoghi e delle tradizioni costruttive.

Individuati gli interventi e moltiplicati per i costi unitari determinati, viene stabilito il preventivo sommario degli interventi.

La trattazione dei costi non è argomento di questa tesi.

1.16 Programma degli interventi

Il programma degli interventi viene stabilito in funzione delle esigenze di utilizzazione dei servizi da parte delle persone con esigenze speciali, e delle disponibilità economiche dell'Amministrazione, che in questo modo stabilisce le proprie priorità d'intervento.

Nel nostro caso è stato programmato l’intervento sulla via Picchi, ovvero la strada che permette l’accesso al palazzetto dello sport.

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2. Accessibilità dell’ambiente urbano

L'eliminazione delle barriere architettoniche sensoriali nello spazio urbano rappresenta uno dei punti più difficili da affrontare per i tecnici, per l'articolazione delle problematiche connesse alla progettazione in esterno, dove più soggetti operano con diverse finalità e per la difficoltà di integrare gli interventi sul piano orizzontale con quelli connessi alla fruizione delle attrezzature, dei servizi, dei mezzi di trasporto e degli edifici di interesse pubblico. Sullo stesso luogo spesso coesistono gli interventi di diversi uffici comunali, per la manutenzione delle strade e dei marciapiedi, per i trasporti, per il verde, insieme con altri diversi soggetti che si occupano dei sottoservizi, della segnaletica informativa e stradale, della cartellonistica pubblicitaria, dell'arredo urbano, con i soggetti privati che occupano porzioni di suolo con attività commerciali varie.

Si cerca, di seguito, di dare un quadro generale dei problemi, senza avere la pretesa dell'esaustività, ma cercando di superare la convinzione che per mettere "a norma" un progetto o un intervento anche solo di manutenzione dello spazio esterno, basta raccordare le testate dei marciapiedi al piano stradale con degli scivoli.

E’ chiaro che la rampa è spesso l'elemento più evidente di un progetto atto a favorire l'accessibilità, ma se non è opportunamente collocata e non integrata con altri interventi, rischia di non risolvere alcun problema per i disabili motori stessi. Per i non vedenti la rampa può risultare addirittura un problema se non è opportunamente segnalata con pavimentazione tattile differenziata, in modo da evitare che si trovino inavvertitamente nella sede stradale, mentre il gradino costituisce oltretutto un miglior riferimento per valutare la direzione

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dell'attraversamento.

I tecnici che intervengono sul piano orizzontale del marciapiede devono sviluppare un doppio livello di lettura: la prima relativa alle esigenze connesse alle diverse condizioni soggettive degli individui, la seconda relativa alla fruibilità piena dello spazio esterno con tutti i servizi e le attrezzature di cui deve essere dotato.

Si consideri, per esempio, la difficoltà per una persona anziana di percorrere lunghi tratti di strada senza trovare una panchina per effettuare una sosta; o, si pensi, agli oggetti di arredo urbano inaccessibili e posti disordinatamente sul marciapiede, in modo da creare addirittura un ostacolo pericoloso; oppure alle pavimentazioni sconnesse, che rendono disagevole il percorso. Sono tutti elementi non secondari nel progetto delle aree pedonali ai fini di una fruizione piena dello spazio esterno.

Il primo concetto chiave da tener presente nella progettazione dei percorsi pedonali è quello della continuità del piano orizzontale, che deve essere pensato come un luogo confortevole e sicuro per chiunque, pedone, si muova lungo un tragitto e deve consentire di passare da una situazione ad un'altra in piena e totale libertà e autonomia, a prescindere dalla propria condizione fisica soggettiva, utilizzando le proprie energie potenziali residue.

Superando il concetto di accessibilità fatta per punti ed interventi isolati e considerando la città come un sistema complesso dove si svolgono attività sociali di relazione, come luogo di scambio tra diversi sistemi di trasporto, luogo che consente di passare da una attività ad un'altra, si pongono modi nuovi di approccio al problema. Il quartiere, l'isolato o semplicemente il tratto di marciapiede oggetto

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dell'intervento, devono essere inseriti in un quadro di considerazioni più generali che riguardano l'accessibilità per il pedone, con una attenzione particolare alle utenze più svantaggiate. La città contemporanea è pensata essenzialmente per il traffico veicolare, pertanto, riconsiderare l'uomo pedone che si muove in sicurezza sul marciapiede, che usufruisce dei mezzi di trasporto pubblico, che accede ai servizi, significa pensare complessivamente ad una strategia che restituisca spazi non veicolari ai cittadini, che contemperi esigenze, che integri funzioni, che crei relazioni, con l'obiettivo di fornire le stesse opportunità a chiunque.

2.1 Caratteristiche morfologiche del piano orizzontale

Aspetti dimensionali.

L’art. 4 del DPR 503/96, relativamente agli spazi "Spazi pedonali", recita:

“I progetti relativi agli spazi pubblici e alle opere di urbanizzazione a prevalente fruizione pedonale devono prevedere almeno un percorso accessibile in grado di consentire con l'utilizzo di impianti di sollevamento ove necessario, l'uso dei servizi, le relazioni sociali e la fruizione ambientale anche alle persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale."

Per quanto riguarda le caratteristiche del percorso pedonale il DM 236/89 si esprime in maniera ancora più ampia e dettagliata, innanzitutto de finendo, per la fruizione del marciapiede o del percorso, parametri dimensionali atti a favorire i movimenti della sedia a ruote:

I percorsi devono presentare un andamento quanto più possibile semplice e regolare in relazione alle principali direttrici di accesso ed essere privi di strozzature, arredi, ostacoli di qualsiasi natura che riducano la larghezza utile di

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garantire la mobilità nonché, in punti non eccessivamente distanti fra loro, anche l'inversione di marcia da parte di una persona su sedia a ruote." (DM 236/89 art. 4.2. 1).

‘’Il percorso pedonale deve avere una larghezza minima di 90 cm ed avere, per consentire l'inversione di marcia da parte di persona su sedia a ruote, allargamenti del percorso, da realizzare almeno in piano, ogni 10 m di sviluppo lineare. Qualsiasi cambio di direzione rispetto al percorso rettilineo deve avvenire in piano; ove sia indispensabile effettuare svolte ortogonali al verso di marcia, la zona interessata alla svolta, per almeno 1,70 m su ciascun lato a partire dal vertice più esterno, deve risultare in piano e priva di qualsiasi interruzione." (DM 236/89, art. 8.2. 1).

Sezione longitudinale/pendenza trasversale

La sezione longitudinale del percorso deve essere continua e priva di salti di quota non raccordati:

"La pendenza longitudinale non deve superare di norma il 5%; ove ciò non sia possibile, sono ammesse pendenze superiori, purché realizzate in conformità a quanto previsto al punto 8. l. 11. Per pendenze del 5% è necessario prevedere un ripiano orizzontale di sosta, di profondità di almeno 1,50 m, ogni 15 m di lunghezza del percorso- per pendenze superiori tale lunghezza deve proporzionalmente ridursi fino alla misura di 10 m per una pendenza dell'8%." (DM 236/89 art. 8.2. l.)

(omissis) "Ogni qualvolta il percorso pedonale si raccorda con il livello stradale, o è interrotto da un passo carrabile, devono predisporsi rampe di pendenza

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contenuta e raccordate in maniera continua col piano carrabile, che consentano il passaggio di una sedia a ruote." (DM 236/89 art. 4.2. L)

Bisogna naturalmente avere buon senso nell'applicazione della norma e studiare le soluzioni più idonee al luogo. La presenza, per esempio, di due passi carrabili a distanza ravvicinata, lungo un percorso che già presenta numerosi raccordi e rampe, può essere meglio risolta evitando la parte rialzata tra gli stessi, che costringe la sedia a ruote ad un saliscendi eccessivamente ravvicinato. Lo stesso può accadere nelle isole salvagente degli attraversamenti, dove talora, in spazi troppo ridotti, è preferibile tagliare l'isola con un percorso in piano, disponendo un segnale tattile a delimitare la stessa rispetto alla zona carrabile.

Tutte le linee di confine fra zona pedonale e zona carrabile, qualora non siano contrassegnate da un gradino, vanno munite di un segnale tattile posto a 40/60 cm dalla carreggiata, per evitare che i disabili visivi vi si inoltrino inavvertitamente. Anche la necessaria preoccupazione di smaltire le acque meteoriche dal marciapiede, non deve fare eccedere nella pendenza trasversale del piano del percorso, essendo sufficiente l’l % per assolvere a detta funzione, senza che la stessa possa divenire fonte di disagio per gli utilizzatori di sedia a ruote. Tuttavia c'è un parametro ancora più importante da tenere sotto controllo, che riguarda la sommatoria delle due pendenze opposte costituite dal piano dello scivolo di raccordo e da quello della strada, incurvata a schiena d'asino per lo smaltimento delle acque:

“La pendenza trasversale massima ammissibile è dell'1%. In presenza di contropendenze al termine di un percorso inclinato o di un raccordo tra percorso e livello stradale, la somma delle due pendenze rispetto al piano orizzontale deve

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essere inferiore al 22%. " (DM 236/89 art. 8.2. 1.)

Sezione trasversale dei percorso.

La progettazione del piano orizzontale nello spazio urbano deve prendere in considerazione l'intero sistema costituito dalla carreggiata stradale, dai marciapiedi o percorsi pedonali a livello e dagli attraversamento, considerando tutti i movimenti che la persona con disabilità può compiere, parallelamente all'asse stradale o trasversalmente allo stesso. Bisogna, inoltre, considerare i diversi modi in cui l'individuo si sposta lungo i percorsi, a piedi (camminando o su una sedia a ruote), in bicicletta, con autovettura, come passeggero su mezzi di trasporto pubblico.

Prendendo in esame la sezione trasversale, si potranno dare tre casi diversi:

percorso pedonale su marciapiede (piano sfalsato rispetto alla sede stradale), con larghezza tale da consentire la realizzazione di funzioni diverse connesse allo spazio esterno;

- percorso pedonale su marciapiede (piano sfalsato rispetto alla sede stradale), con

larghezza costante minima per il passaggio dei pedoni 0,90 < L > 1,50;

- percorso a livello della sede stradale, con cordolo separatore.

a) Nel primo caso il requisito del comfort e della sicurezza può essere garantito separando opportunamente le fasce funzionali: quella deputata al passaggio da quella per la sosta, il verde, l'arredo urbano e le attrezzature. Nello schema riportato in figura 8 la realizzazione di una fascia deputata al verde ed alle attrezzature (pali dell'illuminazione, cestini portarifiuti, rastrelliere portabiciclette,

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etc.), consente di creare un filtro rispetto al traffico veicolare, proteggendo il pedone e liberando completamente il percorso dagli ostacoli. Quando la sezione del marciapiede lo consente, ovvero quando sono presenti ulteriori allargamenti della sezione trasversale, si possono creare zone di sosta meglio strutturate lungo il percorso. In tali circostanze è necessario indirizzare i non vedenti verso la fascia lasciata libera per il passaggio, qualora siano presenti nella fascia interna adiacente agli edifici degli ingombri permanenti, tavolini dei bar ed oggetti che possano costituire intralcio.

b) Nel caso in cui la sezione del marciapiede è piuttosto stretta, bisogna comunque garantire la dimensione minima per il passaggio della sedia a ruote di 0,90 m, assicurando sul percorso adeguati slarghi (min 1,50 m) ed avere poi cura di utilizzare gli allargamenti del percorso stesso per inserire i necessari elementi di arredo urbano, i servizi e le attrezzature.

c) Nei percorsi a livello, invece, è opportuno predisporre dei cordoli separatori, che inibiscano l'invasione del percorso pedonale da parte degli automobilisti, tenendo comunque separato il traffico veicolare da quello pedonale. Si deve, comunque, avere attenzione, nel disporre i cordoli, a non creare ostacoli non intercettabili dai non vedenti mediante il bastone bianco, pertanto sono da evitare catene sospese a dissuasori o cordoli con lunghe discontinuità. E' del tutto inefficace la delimitazione della zona pedonale mediante una striscia bianca, non percepibile da chi non vede; al suo posto può essere installata una fascia larga 40 cm e recante le calotte sferiche che in tutto il mondo costituiscono il segnale di

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pericolo per i non vedenti.

2.2 Percorsi accessibili ai disabili visivi in ambiente urbano

Principi generali

Il DPR 503/96 al già citato art. 4 sottolinea la necessità di rendere accessibili i percorsi urbani "alle persone con impedita capacità motoria e sensoriale".

Per i disabili motori l'accessibilità del percorso è garantita dal dimensionamento degli spazi e dalle caratteristiche morfologiche e metrico-qualitative del piano orizzontale, così come la fruibilità dei servizi è resa possibile da una progettazione che consideri aspetti ergonomici di un'utenza ampliata.

Per venire incontro, invece, alle esigenze dei disabili visivi bisogna comprendere prima bene come si muove autonomamente un non vedente utilizzando i sensi vicarianti e quali possono essere le barriere "percettive". La principale necessità del non vedente/ipovedente è quella di avere un ausilio per orientarsi nello spazio mediante informazioni non visive e/o mediante l'accentuazione e la ridondanza di quelle visive per gli ipovedenti. In questo caso le barriere non sono costituite dai dislivelli o dalle scale, che anzi consentono di misurare con maggiore precisione i movimenti e valutare il perpendicolo rispetto al ciglio, ma piuttosto da oggetti sporgenti non individuabili con il bastone bianco, da spazi vasti nei quali mancano riferimenti di alcun tipo ed indizi acustici e tattili, che possano favorire la comprensione dello spazio. Fondamentalmente in ambiente urbano il disabile visivo si muove utilizzando le guide naturali, confidando anche in una preventiva, se pure grossolana, conoscenza dell'itinerario da compiere.

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Le guide naturali

Per "guida naturale" si intende in un'accezione generale, una particolare conformazione dei luoghi, tale da consentire al disabile visivo di orientarsi e di proseguire la sua marcia senza bisogno di altre indicazioni. Un classico esempio può essere rappresentato da un muro continuo di un edificio prospiciente il marciapiede, che non presenti rientranze o sporgenze e che non sia interrotto da ostacoli fissi o pericoli. In una tale situazione il cieco cammina basandosi sull'indizio acustico del traffico parallelo (se presente) e/o sulla riflessione dei suoni operata dal muro; il bastone bianco tenuto obliquamente in avanti, viene utilizzato con movimento pendolare per sondare la presenza di eventuali ostacoli. Anche un muretto basso, il cordolo di un'aiuola o una siepe, se continui, possono costituire una guida naturale e possono offrire, da soli, un ottimo sistema di riferimento per la mobilità autonoma del disabile visivo, senza alcuna integrazione di guide artificiali.

Le guide artificiali

Si tratta di sistemi di orientamento e guida realizzati mediante pavimentazioni differenziate, recanti codicitattili.

Le informazioni vengono fornite al disabile visivo attraverso quattro differenti canali:

- il senso tattile plantare o più esattamente il senso cinestesico, più complesso del precedente: si riferisce a tutte le sensazioni provocate dai movimenti dei muscoli durante la normale attività motoria;

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alla mano;

- il senso dell'udito, stimolato dalla risposta acustica del materiale sotto la sollecitazione della punta del bastone bianco e della suola delle scarpe; a tal fine il materiale utilizzato per realizzare i segnali tattili deve avere caratteristiche fisiche ben differenti dall'intorno;

- la percezione visiva del contrasto di luminanza (ovvero contrasto fra chiaro e scuro) della guida artificiale rispetto al pavimento nel quale è inserita (per gli ipovedenti).

In particolare la conformazione dei rilievi della superficie della pavimentazione speciale deve essere ben individuabile dal disabile visivo, senza

però creare disagio nel passarci sopra o essere una barriera fisica per nessuno.

Percorsi tattili e segnali tattili

E’ necessario distinguere preliminarmente il concetto di percorso tattile da quello di segnale tattile.

A) I percorsi tattili devono essere installati negli spazi ampi, esterni o interni, nei quali è ragionevole offrire al disabile visivo una serie limitata di scelte, in considerazione degli immediati possibili obiettivi che può essere utile raggiungere. Ciò avviene all'interno di una stazione ferroviaria, di un aeroporto o di un ufficio pubblico o aperto al pubblico, ma anche in un ampio piazzale pedonale, dal quale è possibile imboccare un certo numero di strade. 1 percorsi tattili sono costituiti da elementi modulari di pavimentazione a rilievo che forniscono informazioni di tipo direzionale e avvertimenti "situazionali" (presenza di un pericolo, di un incrocio, di una svolta, di un servizio, necessità di procedere

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con cautela).

Il disabile visivo segue il percorso avvertendo sotto i piedi il dislivello parallelo al suo senso di marcia, costituito dai canaletti, ricevendo conferma ad ogni passo della corretta direzione da lui tenuta; infatti se così non fosse sentirebbe che il dislivello non corre lungo l'asse del proprio piede, ma è obliquo rispetto ad esso e sarebbe indotto correggere subito la direzione di marcia. Un'altra modalità per seguire il percorso consiste nello spazzolare i canaletti con il bastone mosso a descrivere un arco davanti a sé, o nell'infilare la punta del bastone in un canaletto, utilizzandolo come un binario. Di qui la necessità che i canaletti abbiano dimensioni ben precise e uno spigolo abbastanza vivo.

B) Segnali tattili. Nella maggior parte delle situazioni urbane esterne, il disabile visivo trova nella continuità delle pareti degli edifici una valida guida naturale. In questi casi egli ha bisogno soltanto di segnali tattili che gli indichino, ad esempio, in quale punto del marciapiede si trova la palina della fermata dell'autobus o il palo semaforico per l'attraversamento, ovvero che gli segnalino l'ingresso di un ufficio pubblico, di un ambulatorio, ecc. Negli esempi ora enunciati, il segnale sarà costituito da uno sbarramento del marciapiede mediante i canaletti del codice rettilineo, dal muro fino al bordo del marciapiede, accanto alla palina o al palo semaforico; nel caso dell'indicazione di un portone o altro ingresso, il medesimo sbarramento sarà posto al centro dell'accesso e terminerà al bordo del marciapiede con un codice di arresto/pericolo, per far comprendere che non si tratta di un attraversamento pedonale. Un altro segnale tattile molto importante è quello costituito dal codice di pericolo valicabile, che deve essere posto su ogni rampa che si raccordi alla sede stradale, 40 cm prima dell'inizio di questa, per avvisare il

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non vedente che sta per impegnare una zona pericolosa. Qualora poi nel marciapiede si aprano scalinate in discesa i cui lati non sono protetti da ringhiere, ciò va segnalato con il codice di arresto/pericolo, costituito da una striscia di calotte sferiche profonda almeno 40 cm, che precede di 60 cm il punto pericoloso.

Sistemi informativi

Possono essere tattili o di tipo elettronico e fornire quindi informazioni percepibili con il tatto manuale o con l'udito.

I primi sono costituiti da mappe a rilievo che rappresentano, in modo schematico e comprensibile al tatto, una pianta dello spazio nel quale ci si muove, con le didascalie scritte in braille e in caratteri alfa numerici, utilizzando particolari

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essere leggibili sia dai ciechi che dagli ipovedenti, i quali possono utilizzare, a seconda delle situazioni, sia il tatto che il residuo visivo. Tali mappe risultano peraltro utili anche ai normovedenti, come segnaletica tradizionale e wayfinding. Altre indicazioni tattili possono essere contenute in cartellini posti, ad esempio, sulle paline delle fermate dei mezzi di trasporto per indicare le linee che effettuano la fermata in quel punto.

I sistemi informativi elettronici possono essere costituiti da un trasmettitore e da un ricevitore in dotazione al disabile visivo, con il quale quest’ultimo riceve messaggi vocali che indicano il luogo in cui ci si trova o che forniscono informazioni anche più dettagliate. Le informazioni vocali possono anche provenire direttamente dal punto di interesse a mezzo di altoparlante, attivabile mediante pressioni di un apposito pulsante, in modo da essere fornite soltanto su richiesta dell'interessato. In tal modo le informazioni sono disponibili anche per chi non possiede il ricevitore (ciechi provenienti da altre città, ma anche persone anziane o chi ha dimenticato a casa gli occhiali). Un esempio di tale sistema può essere costituito dai display a messaggio fisso o variabile, collegati ad un emettitore vocale, posti alle fermate dei mezzi di trasporto.

I sistemi informativi, per la loro natura, vanno utilizzati ad integrazione e non in sostituzione dei sistemi di guida tattile.

Criteri progettuali in ambiente urbano

Nelle aree esterne la progettazione di un percorso accessibile ai non vedenti segue criteri ben diversi dai progetti per gli spazi chiusi (stazioni, aeroporti, ecc.). Infatti, se nel caso di ambienti interni con un'articolazione di funzioni particolare

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la guida artificiale deve diramarsi come un nastro continuo che conduce dall'ingresso ai vari servizi specifici, che si possono fruire in quello spazio (biglietteria, banchina, ufficio informazioni, bagni, ecc. in una stazione ferroviaria, per esempio), nello spazio urbano e i movimenti della persona non vedente non sono tutti prevedibili e non possono tutti essere vincolati dalla guida artificiale. D'altra parte sarebbe inopportuno e diseconomico disporre di un nastro continuo, che si muove lungo tutti marciapiedi della città senza portare un vantaggio obiettivo per gli utenti cui è destinato. La guida artificiale, quindi, deve essere opportunamente integrata alle guide naturali già presenti nell'ambiente urbano ed il progettista dovrà partire da una corretta valutazione delle medesime, per andarsi a riallacciare alle stesse nelle situazioni critiche. In generale, vanno segnalati gli attraversamenti, (che sono un evento eccezionale lungo un percorso, che consente di passare trasversalmente dall'altra parte della strada o proseguire lungo il verso di percorrenza tagliando un flusso di autovetture), le fermate degli autobus, i servizi igienici pubblici, ì punti di informazione e tutti quei servizi che possono avere rilevanza. Un segno molto ricorrente, pertanto, può essere quello dello "sbarramento" trasversale del codice di direzione rettilinea, che favorisce un cambio di direzione, per raggiungere uno scivolo, un palo semaforico, una palina dell'autobus, ecc.

2.3 Attraversamenti pedonali

Caratteristiche generali

Lungo i percorsi pedonali, all'incrocio tra gli isolati, trasversalmente rispetto alla sezione stradale, occorre prevedere opportuni attraversamenti stradali.

Figura

Figura 1: Principali dati antropometrici
Figura 2: Persona su sedia a ruote
Figura 4: Situazioni che presentano ostacoli o impedimenti fisici
Figura 5: Situazioni che costituiscono &#34;Barriere Percettive&#34;
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