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2 Fattori economici e sociali.

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2 Fattori economici e sociali.

2.1 Fattori economici di mutamento dello scenario agricolo contemporaneo.

Con la riforma della Politica Agricola Comunitaria (PAC), in vigore per il periodo 2007-2013, si ridurranno sensibilmente gli aiuti al settore agricolo. Non è da escludere che al termine di questo periodo gli aiuti possano scomparire definitivamente, prospettando scenari di grande indeterminatezza nelle scelte degli imprenditori. Il processo che ha portato al cambiamento della PAC, parte già nel 1992, ma le modifiche apportate si sono dimostrate insufficienti per garantire una adeguata remunerazione dei produttori, in particolare perché nel frattempo è cambiata la composizione stessa dell’Unione Europea che si è allargata a 25 Stati membri (27 dall’1 gennaio 2007). Inoltre i contenuti della PAC, oggi, devono tener conto di nuove esigenze e priorità come il rispetto del territorio e l’accesso al mercato europeo delle produzioni agricole dei Paesi terzi oramai già affermati con organizzati processi commerciali.

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La crisi dell’agricoltura è determinata da più fattori: i costi di produzione sono aumentati a fronte di un consumo che si diversifica in un ventaglio di proposte commerciali estere con prezzi inferiori e riguarda ormai anche i prodotti ortofrutticoli; all’interno della filiera ci sono troppi passaggi che determinano una lievitazione del prezzo finale del prodotto, in alcuni casi non giustificabili.

Per ovviare ci vorrebbero accordi interprofessionali tra le varie categorie coinvolte: i produttori, i trasportatori, i trasformatori, in modo da rendere trasparente la filiera e garantire a tutti il giusto reddito.

Costi alti e mancanza di controllo della filiera non sono però sufficienti a determinare una crisi così profonda quale sta affrontando il comparto agricolo nazionale.

Ci sono anche problemi che riguardano più in generale la redditività delle produzioni agricole: le coltivazioni estensive, come la cerealicoltura e la bieticoltura, non pagano più.

Figura 7, fonte:Regione Toscana archivio fotografico

Vero è che l’agricoltura da molti anni è una realtà assistita da cospicui finanziamenti europei, è altrettanto vero che il

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dibattito in corso, che demonizza la politica dei contributi, appare inadeguato, poiché l’agricoltura non è un’attività che vive di soli sussidi, non è soltanto produzioni di alimenti, ma è molto di più: un insieme di attività che vanno dalle produzioni alimentari, alla cura e tutela del paesaggio agrario e dell’ambiente. Non è pensabile che si abbandonino al loro destino la gestione e la manutenzione del territorio e tutta una serie di produzioni strategiche per il nostro Paese. Detto questo, bisogna prendere atto che, da una parte, le colture tradizionali non danno più sufficiente reddito, perché i prezzi di mercato non riescono a coprire interamente i costi sostenuti agli imprenditori, e dall’altra si stanno realizzando alcune riforme comunitarie come quelle dello zucchero, che tagliano drasticamente la nostra produzione, attuate anche per garantire ai Paesi terzi che si affacciano ai mercati globali, di concorrere con quote di produzione proprie.

Inoltre, il nostro costo del lavoro e l’allargamento dell’Europa a 25 e poi a 27, sono fattori che ci portano a non essere più competitivi.

Tuttavia nei prossimi sette anni della programmazione dello sviluppo rurale, l’agricoltura potrà ancora beneficiare di un sostegno che consentirà alle istituzioni e al mondo dell’associazionismo di costruire nuove prospettive.

2.2 La situazione in Toscana.

"Agricoltura in Toscana - sono parole dell'assessore Susanna Cenni, alla conferenza dell’agricoltura e dello sviluppo rurale, tenutosi a Firenze 14 dicembre 2006 - significa non solo produzione di alimenti ma anche ospitalità turistica, gestione del territorio e dell'ambiente, significa alimentazione all'insegna della qualità e della

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tipicità, significa rispondere alle esigenze della società moderna in termini di qualità della vita e di inclusione sociale. La competizione con i Paesi emergenti non potrà basarsi solo sui prezzi e sulla produttività fisica: non ci sono né le condizioni naturali né tanto meno quelle strutturali per attuarla. La nostra sfida è quella di perseguire una competitività che scelga la diversità biologica e culturale rispetto all'omogeneizzazione, l'agroecologia rispetto all'abuso della chimica, la qualità rispetto alla quantità, la diversificazione rispetto alla specializzazione. E' con questa attenzione, alla qualità e alla tipicità su scala locale, che possiamo affrontare e superare le sfide di un mercato globalizzato".

Sono quattro, per Susanna Cenni, i capisaldi capaci di sostenere la ricerca della competitività per la Toscana: 1)qualità delle produzioni, 2)politiche di filiera, 3) multifunzionalità e diversificazione, 4)innovazione. Ed è su questi punti di fondo che, sarà necessario confrontarsi per giungere a un patto condiviso fra tutti gli attori del sistema. Qualità innanzitutto. Anzi di più: 'qualità globale', perché, oggi non bastano più le sole caratteristiche organolettiche a definire la qualità di un prodotto, occorre anche che chi lo ha prodotto abbia rispettato l'ambiente, abbia seguito basilari norme etiche e sociali sul lavoro e mantenuto uno stretto legame col territorio. "Un prodotto di qualità deve essere non solo buono ma anche pulito e giusto", riprendendo una definizione del presidente di Slow Food Carlo Petrini.

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Oggi per vincere la sfida dei mercati, la qualità è una condizione necessaria ma non più sufficiente: in una realtà caratterizzata da aziende di piccole e piccolissime dimensioni (di media 8,8 ha per azienda) si impone uno sforzo di raccordo tra i soggetti e all'interno della catena produttiva, al fine di raccordare l'offerta.

"Oggi, continua l’assessore Cenni, salvo rari esempi, i legami fra i vari soggetti delle varie filiere sono deboli e spesso vi sono situazioni conflittuali. Non ce lo possiamo permettere. Sarebbe auspicabile creare sinergie ed intese che portino benefici a tutti, privilegiare il finanziamento di quegli interventi che propongono progetti e strategie condivise". E' così, che si possono aprire nuovi spazi su mercati oggi preclusi a molti piccoli produttori (anche attraverso la grande distribuzione). Rafforzamento delle filiere dunque o, come nuova chance, accorciamento delle stesse attraverso il potenziamento e la messa in rete di iniziative per la riduzione dei passaggi dei prodotti, dai mercati rionali, agli spacci aziendali, gruppi di acquisto (il progetto cosiddetto di 'filiera corta').

L'innovazione può aprire nuove strade allargando le attività delle aziende agricole. Ecco il quarto punto: la diversificazione, cioè la possibilità per l'imprenditore agricolo di avere nuove fonti di reddito e di migliorare la vivibilità del proprio spazio rurale attraverso il varo di nuove attività volte anche non soltanto alla tradizionale produzione di prodotti alimentari.”

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problematiche sociali dei soggetti a bassa contrattualità

Il “ritorno “ dei pazienti dall’ospedale psichiatrico alle comunità di provenienza le obbliga a farsi carico di un problema nuovo e sancisce un principio fondamentale: la comunità non può più allontanare o nascondere chi soffre di disturbi psichici ma deve prendersene cura all’interno del proprio contesto di vita. Quindi ridefinire l’organizzazione dei servizi, e creare strutture in grado di rispondere in modo adeguato a questi nuovi bisogni di integrazione. Il decentramento dei servizi a livello territoriale è sempre stato vissuto come una risorsa ed un diritto del cittadino: si apre una fase di forte impegno e collaborazione tra Enti locali e Servizi socio-sanitari.

Il nuovo approccio al disagio mentale non prevede solo la messa in discussione dei luoghi, ma anche del metodo e degli obiettivi.

Alcune di queste persone, così come i giovani che in questi anni sono presi in carico dal Dipartimento di Salute Mentale., hanno risorse ed aspettative per una migliore qualità della vita che non si esaudiscono con il contenimento del disturbo psichico o con una maggiore capacità di accoglienza di tipo abitativo.

Nella definizione delle azioni di tutela della salute mentale cresce l’importanza di servizi come la socio-riabilitazione, complementari ed alternativi al tradizionale modello psichiatrico: il disturbo psichico non ci pone più, solo di fronte ad una persona “malata” per cui si prevede un intervento di cura finalizzato al contenimento del sintomo o alla rimozione della causa; ma si parla di componente ecologica, ambientale e sociale della malattia.

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La sofferenza psichica, produce una sorta di spirale viziosa che comporta una graduale perdita di competenze, relazioni e ruoli che determinano l’esclusione sociale dal proprio contesto di vita (stigma).

La persona deve quindi essere oggetto di un progetto individualizzato attento ai bisogni, alle problematiche, alle risorse ed alle aspettative soggettive.

Si lavora sul contenimento della sofferenza, sulla rimozione delle cause, ma anche sul recupero di abilità e sullo sviluppo di competenze ed autonomie, da un intervento di tipo contenitivo-assistenziale del disagio ad uno riabilitativo formativo.

In tempi di contrazione della spesa sociale e sanitaria, talvolta, le attività di prevenzione, promozione del benessere e socio-riabilitazione , vengono rappresentate come “lussi” o ancora come tributi a convinzioni ideologiche, ma in realtà, se esiste un lusso che le comunità locali non possono permettersi, sotto ogni profilo compreso quello economico, è proprio quello di non dar luogo a programmi territoriali di integrazione.

Le attività che si intende proporre, si sviluppano sulla lettura degli interessi, delle motivazioni e delle attitudini individuali, per cui sono il mezzo e non il fine della riabilitazione: attraverso la pratica di diverse attività si possono risalire i vari gradini della consapevolezza psicologica e dell’integrazione mentale.

Spesso però la crescita individuale ottenuta con i progetti individuali all’interno dei servizi trovava difficoltà ad essere riconosciuta, accettata e sostenuta dai contesti familiari e sociali di appartenenza.

Uno dei rischi che si corre è che il cambiamento sia vissuto come rischioso e minaccioso e non come opportunità.

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Diventa qui determinante il lavoro con le famiglie e con il contesto di vita della persona, perché accolgano, riconoscano e sostengano il progetto e non si sentano minacciati, giudicati o messi in discussione nel loro ruolo. Nel contesto di una società lacerata da profonde contraddizioni e tensioni, la questione lavoro assume sempre più una decisiva valenza rispetto alla determinazione della integrazione–esclusione nei meccanismi sociali, alla prevenzione e/o al recupero di fenomeni di erranza, emarginazione ed esclusione.

La concretizzazione di progetti di inserimenti lavorativo di persone a bassa contrattualità sociale, deve collocarsi all’interno di un insieme di azioni coerenti alla creazione di opportunità di sviluppo della comunità.

Il legame sempre più stretto tra i servizi ed il territorio porta alla conseguente definizione di progetti di riabilitazione ed inclusione sociale che si caratterizzano sempre di più come interventi di promozione del benessere piuttosto che di cura della patologia.

La risposta al disagio, nelle sue articolazioni possibili, sta nella capacità della comunità di promuovere empowerment.

Le persone sono divenute oggetto delle politiche e dei servizi sociali.

L’obiettivo finale nei percorsi di socio–riabilitazione è quello di riuscire a sentirsi attori nelle politiche del territorio, assumere quindi il ruolo di persona-cittadino, con un forte senso di appartenenza, coinvolti e partecipi alle scelte ed ai bisogni della comunità.

Il lavoro permette di acquisire potere contrattuale a livello sociale e quindi di divenire potenziali attori delle politiche e dei servizi.

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Il Welfare locale si fonda sull’identità e l’appartenenza del cittadino alla e nella comunità locale.

Essere soci di una polisportiva o di una impresa sociale permette alla persona, nelle sue forme di rappresentanza, di partecipare al tavolo dove si discutono le politiche di quella stessa comunità nella quale l’individuo vive e si riconosce. Comunità, cittadinanza, diritti, sono termini che si influenzano reciprocamente: lo sviluppo dell’uno presuppone lo sviluppo dell’altro, alimentando significati e valori che dovrebbero fondare la convivenza civile ed il Welfare.

2.3.1 Perché ci si ammala di depressione ?

In medicina lo studio delle varie malattie si è sempre basato sulla individuazione delle cause e sulla ricerca dei rimedi specifici per combatterle. Per fare questo è fondamentale osservare e descrivere le alterazioni strutturali dell'organo colpito e le alterazioni delle sue funzioni. Se questo è stato relativamente semplice per organi ed apparati per i quali si ha una buona conoscenza della struttura e della funzione perché possono essere studiati direttamente (ad esempio cuore, polmoni, reni ecc.), non lo é altrettanto per il cervello. Solo negli ultimi anni infatti, grazie allo sviluppo di tecniche sofisticate che visualizzano le strutture cerebrali e ne studiano i complessi meccanismi, si é cominciato ad ipotizzare alcuni modelli che possono spiegare le cause delle malattie psichiatriche in termini biologici.

I modelli che da sempre si sono contrapposti sono quello "biologico", derivato dalla tradizione medica e neurologica, e che ha sempre considerato i disturbi psichici delle malattie

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in analogia alle malattie mediche, e quello "psicologico" che si rifà più a fattori introspettivi e di sviluppo soggettivo.  Secondo il modello "biologico" il comportamento, i pensieri e

le emozioni sono determinati dalle strutture cerebrali e dalla loro modalità di funzionare (fisiologia nervosa e ruolo dei vari neurotrasmettitori).

 Secondo il modello "psicologico" ciò che determina il nostro comportamento, i nostri pensieri e le nostre emozioni sono fattori psicologici, vale a dire l'apprendimento da figure significative, le interazioni sociali, l'elaborazione soggettiva dell'esperienza e cosi via.

Man mano che le conoscenze sono andate aumentando sia in ambito biologico che in ambito psicologico il divario tra questi due modelli si è reso ancora più evidente.

È indubbio che nelle malattie psichiatriche siano stati individuati fattori causali sia di tipo biologico che di tipo psicologico. A seconda del tipo di disturbo, risultano prevalenti gli uni o gli altri. Il fatto importante da rilevare è che questi due tipi di fattori interagiscono continuamente. Qualsiasi fenomeno psichico infatti induce modificazioni biologiche rilevabili a livello cerebrale e, al contrario, modificazioni della struttura o delle funzioni del cervello inducono modificazioni psicologiche. È molto più utile e costruttivo considerare entrambi i determinanti per una maggiore comprensione del paziente e dell'esordio e dello sviluppo del suo disturbo.

2.3.2 Quali fasce di età sono più colpite dalla depressione?

La depressione, anche se con caratteristiche specifiche e diversi livelli di gravità, può presentarsi in qualsiasi fascia

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d'età. Vi sono tuttavia dei periodi particolari o delle fasi di vita specifiche in cui un soggetto ha una maggiore probabilità di sviluppare un disturbo depressivo.

Le fasi di vita più a rischio sono quelle in cui si verificano dei cambiamenti più o meno profondi rispetto ad un periodo precedente, cambiamenti che in genere implicano un riadattamento della persona e del suo ruolo a qualsiasi livello, nei rapporti affettivi, sociali o lavorativi. Queste fasi sono rappresentate dall'adolescenza, dalla prima età adulta, dalla cosiddetta fase di "mezza età" e dalla fase di passaggio verso la vecchiaia.

Le prime due (adolescenza e prima età adulta) rappresentano delle delicate fasi di transizione tra situazioni precedenti relativamente stabili (fanciullezza e giovinezza), in cui i ruoli sono generalmente ben definiti e in cui sono presenti delle figure di riferimento (genitori, professori, coetanei), e situazioni successive (giovinezza ed età adulta) in cui sono richiesti livelli di autonomia e di responsabilità sicuramente più elevati. Un tale passaggio, che implica una esposizione al mondo esterno ed un continuo confronto con gli altri, può provocare delle crisi di adattamento che in genere sono fisiologiche e transitorie ma che talvolta possono presentarsi come dei veri e propri quadri depressivi. Le altre due fasi a rischio, la cosiddetta "fase di mezza età" e il passaggio verso la vecchiaia, rappresentano anch'esse, per ragioni diverse, due periodi di cambiamento in cui il soggetto fa un bilancio complessivo di ciò che ha realizzato nel periodo precedente (prima e seconda fase adulta) e si dispone ad affrontare un nuovo ruolo nei rapporti sia affettivi che sociali.

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Anche queste due fasi, che richiedono un riadattamento interno del soggetto, possono rappresentare dei periodi in cui si ha l'esordio di un disturbo depressivo o il ripetersi di episodi che si sono manifestati in precedenza. Spesso la depressione che si manifesta in ognuna di queste fasi possiede dei caratteri propri e distintivi che riflettono in genere le modalità con cui viene affrontata la richiesta di "cambiamento". Nei quadri depressivi delle fasce di età più giovani, ad esempio, possono prevalere componenti di irritabilità, labilità emotiva, aggressività e tendenza ad ampie oscillazioni dell'umore. Nelle fasce d'età più avanzate possono prevalere invece quadri depressivi con ansia, rallentamento motorio, senso di incapacità o di colpa e paure di tipo ipocondriaco.

2.3.3 Quali sono i sintomi della depressione?

La depressione si può presentare con diversi sintomi e con varie combinazioni di essi. I sintomi principali sono la tristezza, il senso di abbattimento e l'incapacità di provare emozioni piacevoli. A questo in genere si associano la perdita dell'interesse per le attività abituali e l'incapacità a prendere qualsiasi iniziativa o decisione. Il paziente è distaccato da ciò che lo circonda (familiari, amici, lavoro), si ritira progressivamente da ogni occupazione e sembra indifferente anche di fronte a situazioni o eventi che normalmente gli davano gioia. In realtà questa apparente indifferenza è fonte di sofferenza interna per il fatto di non riuscire più a provare sentimenti ed emozioni. Il paziente depresso non prende più decisioni, tutto gli sembra problematico o non risolvibile e progressivamente sviluppa un senso di incapacità e di inadeguatezza personale. In genere si sente in colpa perché non riesce più a svolgere i

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propri compiti e si considera l'unico responsabile di eventuali problemi familiari. Molto spesso parla di gravi difficoltà economiche che la famiglia si è trovata ad affrontare per causa sua. Talvolta non esistono reali problemi economici e le convinzioni errate del paziente assumono la connotazione di veri e propri deliri di rovina. Ad una osservazione esterna il depresso grave appare affaticato, mostra un rallentamento di tutti i movimenti, il viso è triste o indifferente e difficilmente cambia espressione. I colloqui spontanei con chi gli sta accanto divengono rari e, se gli vengono rivolte domande dirette, risponde brevemente. Altre volte invece appare agitato, irrequieto, si muove o cammina continuamente manifestando ansia e tensione. Spesso accusa difficoltà di concentrazione e di memoria, disturbi del sonno, riduzione dell'appetito, disturbi gastrointestinali, perdita del desiderio o del piacere sessuale. Il paziente diventa triste, scoraggiato, senza speranza, si disinteressa di ciò che lo circonda e interrompe le attività abituali (lavoro, studio, impegni casalinghi ecc.). Se continua ad occuparsene, afferma di non riuscire a farlo più come quando stava bene o di farlo con estrema fatica. Il paziente lamenta infatti riduzione della propria energia fisica, difficoltà nel pensare, nel concentrarsi e nel prendere decisioni. Per questo sviluppa progressivamente la convinzione di non valere, di essere incapace e inadeguato, e prova sentimenti di colpa nei confronti dei propri familiari. Quando lo stato depressivo raggiunge una certa gravità il paziente si ritira da ogni attività, si isola dagli amici, trascorre la maggior parte del tempo a letto, non cura più il proprio aspetto o la propria igiene personale. L'appetito è generalmente ridotto, il paziente mangia poco o non mangia affatto e dimagrisce talvolta in maniera evidente. Altre volte le abitudini

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alimentari diventano irregolari, il paziente mangia poco o soltanto particolari tipi di alimenti, non rispetta i pasti principali o mangia frequentemente. Talvolta l'appetito aumenta ed il paziente consuma in particolare cibi dolci. Le alterazioni del sonno possono essere varie: in genere il paziente dorme meno e si sveglia molto presto (insonnia terminale), altre volte ha difficoltà ad addormentarsi (insonnia iniziale) o ha frequenti risvegli durante la notte. In altri casi, invece, il bisogno di sonno e il tempo trascorso a letto sono nettamente aumentati. Alcuni pazienti dormono molto durante il giorno e restano svegli durante la notte (inversione del ritmo sonno-veglia). Le abitudini sessuali generalmente si riducono per la perdita progressiva dell'interesse, del desiderio e del piacere sessuale. Questi sintomi rappresentano le manifestazioni più frequenti della depressione che però si può presentare con un'ampia varietà di forme cliniche e di livelli di gravità.

2.3.4. Quali sono i sintomi dell'ansia?

L'ansia può manifestarsi attraverso sintomi psichici e sintomi somatici.

I sintomi psichici sono caratterizzati da sensazioni di pericolo o di minaccia: il paziente percepisce il timore o la paura di qualcosa di indefinito, ha la sensazione che stia per succedere qualcosa di negativo. Questo dà luogo a preoccupazioni immotivate riguardo ogni settore della propria vita: preoccupazioni per la salute, per il futuro, per il lavoro o per le persone care determinano uno stato di continua apprensione. Generalmente il soggetto ansioso accusa difficoltà di concentrazione e un vago senso di "testa vuota" o di "confusione" che rendono difficoltosa la

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sua applicazione alle abituali attività. Spesso quindi vi è una riduzione delle capacità prestazionali (il paziente non si sente efficiente e produttivo come al solito) e con facilità compare un senso di affaticamento. In genere questi pazienti manifestano eccessive reazioni di allarme (spavento e apprensione in occasione di stimoli improvvisi) o una facile irritabilità anche in risposta a sollecitazioni di lieve entità.

I sintomi somatici possono investire ogni sistema o apparato. Spesso si manifestano sintomi cardiovascolari come tachicardia, palpitazioni, extrasistoli, variazioni dei valori della pressione arteriosa e dolori al torace o in sede precordiale. Talvolta il paziente accusa disturbi respiratori con improvvise sensazioni di soffocamento o di mancanza del respiro. Molto frequenti sono i disturbi gastrointestinali che si manifestano con stitichezza, diarrea, nausea, vomito, bruciore o dolore gastrico. I disturbi somatici più frequenti sono i sintomi cosiddetti "neurovegetativi" quali sudorazione, sensazioni di freddo o di caldo, bocca secca, senso di vertigine o di sbandamento. I pazienti ansiosi riferiscono quasi sempre disturbi del sonno con difficoltà di addormentamento o risvegli frequenti durante la notte e disturbi dell'alimentazione sia con riduzione che con aumento dell'appetito.

2.3.5. I farmaci antidepressivi possono "togliere la lucidità"?

Nel caso abbastanza frequente delle "depressioni ansiose", la scelta da parte dello specialista del farmaco corretto permette una riduzione contemporanea sia dell'ansia che

della depressione.

Può comunque accadere, in alcuni casi, che dopo la somministrazione delle prime dosi di un farmaco

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antidepressivo si verifichi l'effetto temuto dal paziente: eccessiva sedazione, sonnolenza e riduzione della "lucidità mentale". Questo può accadere quando il farmaco non è stato adeguatamente scelto in funzione della "personalità premorbosa" del paziente, del tipo di depressione di cui soffre e della sua storia clinica.

Questi effetti iniziali tendono a ridursi progressivamente entro le prime settimane di trattamento. In ogni caso possono essere eliminati se lo specialista sostituisce il farmaco prescritto con un altro farmaco con differenti meccanismi di azione.

2.3.6 Chi è il medico più adatto a curare la depressione?

Lo specialista psichiatra è il medico a cui è affidata la cura della depressione.

È suo compito una diagnosi precisa (tipo di depressione) e decidere quale tipo di intervento è necessario (farmacologico o psicoterapeutico) in funzione della diagnosi e delle eventuali cause della depressione.

È suo compito informare il paziente delle possibilità di cura, del possibile decorso della malattia, dei motivi della scelta di un particolare tipo di terapia.

Lo specialista psichiatra può prescrivere farmaci antidepressivi, può impostare un programma di psicoterapia ed effettuarla personalmente decidendo eventualmente un trattamento combinato di farmacoterapia e psicoterapia.

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In alcuni casi particolari può decidere di affidare il compito di una psicoterapia ad altri psichiatri specializzati in questo campo. Esiste anche la figura dello psicologo. Mentre lo specialista psichiatra si è laureato in medicina ed ha poi seguito un corso di specializzazione in psichiatria di quattro anni, lo psicologo è laureato in psicologia e può essere abilitato, in condizioni particolari (seguendo specifiche formazioni), ad effettuare psicoterapie. Il neurologo è un medico specialista nella diagnosi e nella terapia delle malattie organiche (fisiche) del cervello: ad esempio malattie vascolari, malattie degenerative, tumori cerebrali ecc. La sua consultazione può essere utile o addirittura necessaria quando si sospetta che una depressione possa essere causata da malattie cerebrali 2.4. Altri Disturbi di personalità

2.4.1. Il borderline

Un tempo, il termine borderline veniva usato dagli psicologi per indicare una vasta gamma di patologie poco chiare che, per via delle manifestazioni, non erano classificabili come psicotiche ma, data la gravità, non erano neppure nevrosi. La parola borderline era utilizzabile per etichettare qualsiasi malattia mentale poco chiara e difficile da curare! Sono caratterialmente molto difficili, danno l’impressione di vivere per instaurare una relazione esclusiva con una persona. Mettono sempre alla prova gli altri, per capire se si possono fidare, col risultato di stancare e allontanare i conoscenti. Il loro partner è amato e odiato, osannato e denigrato, adorato ed insultato a seconda dei momenti: non è certo semplice avere una fidanzata di questo tipo! Queste donne sono terrorizzate dall’idea di essere abbandonate

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dalla persona che amano perché, nonostante il rapporto burrascoso, sono molto dipendenti dall’altro. Se, per qualche motivo (anche immaginato) temono di essere lasciate, la paura della solitudine le può portare a dei comportamenti dimostrativi autolesivi, come tagliarsi, bruciarsi, graffiarsi. In momenti di stress possono addirittura perdere il contatto con la realtà e vivere brevi episodi psicotici.

2.4.2. Il dipendente

Tutti quanti dipendiamo da qualcuno o da qualcosa. L’assoluta autonomia è soltanto un mito, ma essere estremamente dipendenti dagli altri è considerato patologico, infatti esiste una vera e propria diagnosi psicologica di disturbo di personalità dipendente.

Il dipendente è colui che non può stare da solo perché non sa prendersi cura di sé. Non si tratta di una persona "incapace", ma terrorizzata dalla solitudine. Il dipendente per tutta la vita ha sempre vissuto al fianco di una figura di riferimento a cui delegare la propria esistenza. Questa caratteristica era già presente dall’infanzia.

2.4.3. il narcisista

Il termine narcisista si usa comunemente per indicare chi ha un eccesso di amore proprio. Un po’ di narcisismo è salutare per chiunque: il privilegiare le proprie esigenze rispetto a quelle altrui, l’agire per trarre un vantaggio personale, il sentirsi ammirati non può che fare bene. La differenza tra narcisismo sano e narcisismo patologico è però difficile da identificare: uno stesso comportamento

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può essere considerato sano in una persona ma patologico in un’altra, a seconda dell’età e della cultura di appartenenza.

In genere, in giovane età è abbastanza normale il volere primeggiare, il volere essere più belli dei coetanei, possedere oggetti originali ed invidiabili perché in questo modo è più facile essere accettati e avere successo. La nostra società, inoltre, non facilita molto le cose, proponendo modelli con tratti narcisisti (belli, di successo, determinati ed egoisti) e premiando chi ad essi si avvicina (non è detto che raggiungere questo traguardo equivalga all’essere felici). In culture come questa diventa perciò difficile distinguere il narcisismo sano da quello patologico, una buona autostima da una gonfiata (quella di chi, nonostante molte prove contrarie, continua a ritenersi una persona eccellente ed invidiabile).

2.4.4. Lo schizoide

e persone schizoidi sono quegli individui che stanno sempre da soli, sia a lavoro che nella vita privata. Appaiono molto freddi e distaccati nei rapporti con gli altri, completamente autosufficienti, non fanno trasparire alcune emozioni. Questo atteggiamento di apparente disprezzo per l’umanità, l’assenza di empatia, li può, in casi estremi, fare diventare degli emarginati sociali.

Sembrano stare bene in solitudine, prediligono impegnarsi in attività autonome. Non sono certo adatti al lavoro di

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squadra, i loro hobbies prediletti sono attività quali il modellismo, passeggiate solitarie, lettura: qualunque cosa si faccia stando lontani dal resto del mondo. Non hanno amici, non hanno piacere a fare parte di un gruppo, nemmeno di una famiglia. Date le premesse, non traggono alcuna soddisfazione dalla vita di coppia, sono single con un apparente disinteresse anche per il sesso.

Chi li conosce può provare pena per la loro condizione, e cercare di contattarli per farli uscire dall’isolamento. Questi tentativi risultano però vani, perché gli schizoidi non danno all’altro nessun rimando positivo per i loro sforzi. È difficile avere a che fare con loro perché sembrano un po’ infastiditi dall’avere gente intorno, non si sa di cosa discorrere con loro, sono indifferenti a critiche o lodi.

Gli schizoidi sono persone che in realtà soffrono per la loro condizione, ma è come se temessero a tal punto di essere bruciati da qualunque tipo di relazione che a titolo preventivo ne fuggono. Si sentono incapaci di dare amore, di potere offrire qualcosa, temono di provocare dolore a causa della loro inadeguatezza. Sembra che la loro personalità abbia origine già nell’infanzia, nella relazione con genitori poco affettuosi, distaccati, da cui non si sono sentiti amati a sufficienza. La loro vita è dominata da un circolo vizioso, in cui la paura li allontana dalle relazioni, il non relazionarsi conferma che sono persone inadeguate.

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