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5.1 Clone 5ND3 5. DISCUSSIONE

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5. DISCUSSIONE

I risultati ottenuti hanno mostrato che 48 h dopo l’acquisizione del condizionamento contestuale alla paura si osserva, a livello delle strutture corticali e sottocorticali della porzione medio-temporale del cervello di ratto, una modulazione della trascrizione di vari geni tra cui: amfifisina (clone 5ND3), caspasi 3 (clone 5VD6), P53 (clone 5VF8) e statmina (clone 7NB6).

5.1 Clone 5ND3

La sequenza del clone 5ND3 ha mostrato un elevata omologia di sequenza con il gene codificante per la proteina amfifisina.

Tale proteina è stata identificata per la prima volta in seguito a

immunoscreening della libreria λgt11 del cervello di pollo utizzando anticorpi specifici per proteine sinaptiche del cervello di pollo (Lichte, Veh, Meyer and Kilimann, 1992). La famiglia delle proteine amfifisine è conservata lungo la scala filogenetica dal lievito all’Uomo e presenta tre distinti domini strutturali: un dominio BAR (Bin-Amphiphysin-Rvs) (Elliott, Sakamuro, Basu, Du, Wunner, Staller, Gaubatz, Zhang, Prochownik, Eilers and Prendergast, 1999) all’estremità N-terminale, che permette il legame ai fosfolipidi acidi (Farsad, Ringstad, Takei, Floyd, Rose and De Camilli, 2001) e il passaggio da omo a eterodimero (Ramjaun, Philie, de Heuvel and McPherson, 1999); un dominio centrale variabile; e un dominio Src homology 3 (SH3) all’estremità carbossiterminale che interagisce con la dinamina 1 e la sinaptoianina 1

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(Lichte, Veh, Meyer and Kilimann, 1992; Bauer, Urdaci, Aigle and Crouzet, 1993; David, McPherson, Mundigl and de Camilli, 1996; McPherson, Garcia, Slepnev, David, Zhang, Grabs, Sossin, Bauerfeind, Nemoto and De Camilli, 1996). Analisi strutturali hanno dimostrato che il dominio BAR presenta la struttura di dimero a forma di banana, costituito da monomeri ciascuno composto da tre -eliche avvolte a spirale e orientati antiparallelamente. La curvatura del dimero è dovuta alla modalità di interazione dei monomeri, in particolare agli avvolgimenti delle -eliche 2 e 3. Residui basici presenti nella superficie concava e nelle due estremità del dimero risultano critici per l’ancoraggio dell’amfifisina alla membrana (Peter, Kent, Mills, Vallis, Butler, Evans and McMahon, 2004) (Fig.15).

La porzione N-terminale della amfifisina presenta, oltre al dominio BAR, anche una corta -elica anfipatica e una regione ad alta basicità

Fig.15: Struttura

tridimensionale dell’amfifisina (proteina a

dominio BAR) di

Drosophila. In viola e

verde i due monomeri associati in orientamento

antiparallelo (da Peter, Kent, Mills, Vallis, Butler,

Evans and McMahon, 2004).

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con un alto contenuto di residui di glicina, prolina, alanina, serina e treonina (Lichte, Veh, Meyer and Kilimann, 1992). Questa regione basica è predisposta ad assumere un ripiegamento come struttura secondaria.

Le proteine a dominio BAR sono implicate in una straordinaria varietà di processi cellulari che comprendono la fusione e il riciclaggio delle vescicole sinaptiche nei neuroni, l’endocitosi, la regolazione dell’actina del citoscheletro, il controllo trascrizionale, la fusione tra cellule, la trasduzione del segnale, l’apoptosi, la fusione di vescicole secretorie, la differenziazione tessutale, il flusso ionico attraverso membrane, la soppressione tumorale, la fusione dei mioblasti nello sviluppo muscolare e sono importanti anche nei processi di apprendimento e memoria (Sakamuro, Elliot, Wechsler Reya and Prendergast, 1996; Sivadon, Bauer, Aigle and Crouzet, 1995).

Due isoforme dell’amfifisina, amfifisina 1 e 2, sono state ritrovate nei mammiferi. L’amfifisina 1 è espressa soprattutto a livello del cervello (De Camilli, Thomas, Cofiell, Folli, Lichte, Piccolo, Meinck, Austoni, Fassetta, Bottazzo, Bates, Cartlidge, Solimena and Kilimann, 1993). L’amfifisina 2 si esprime sotto forma di diverse isoforme derivanti da

splicing alternativo soprattutto nel cervello e nel muscolo scheletrico

(Butler, David, Ochoa, Freyberg, Daniell, Grabs, Cremona and De Camilli, 1997). Le isoforme neuronali predominanti dell’amfifisina 2 formano, a livello del terminale presinaptico, eterodimeri con l’amfifisina 1 (David, McPherson, Mundigl and De Camilli, 1996; Lichte, Veh, Meyer and Kilimann, 1992; Ramjaun, Micheva, Bouchlet

and McPherson, 1997).

L’amfifisina, in generale, si co-localizza insieme alla dinamina 1 soprattuto nel terminale presinaptico, ma entrambe le proteine, si

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ritrovano anche diffuse nel citoplasma dei neuroni (David, McPherson, Mundigl and De Camilli, 1996). L’amfifisina è costitutivamente fosforilata nei neuroni a riposo, ma viene rapidamente defosforilata non appena la terminazione nervosa si depolarizza ed avviene l’esocitosi delle vescicole sinaptiche. L’amfifisina sembra svolgere un ruolo essenziale nell’endocitosi delle vescicole sinaptiche nei neuroni ma non nell’esocitosi. Microiniezioni di frammenti di amfifisina hanno permesso di individuare i suoi principali target molecolari quali la dinamina, l’AP-2 e la clatrina. In particolare, le interazioni con la dinamina risultano essere importanti anche per l’endocitosi in cellule di altri distretti tissutali come quello muscolare, polmonare, nei testicoli e nei fibroblasti (Ren, Vajjhala, Lee, Winsor and Munn, 2006).

Il ruolo fisiologico svolto dall’amfifisina nella endocitosi cellulare è stato ulteriormente avvalorato da studi su topi knock-out (KO) per il gene codificante tale proteina. Questi topi risultano privi della proteina amfifisina ma non presentano anormalità anatomiche o di sviluppo, sono fisicamente robusti e si riproducono con una progenie vitale. Presentano, tuttavia, severi disturbi nell’apprendimento rispetto ai topi wild-type. Risulta chiaro che l’amfifisina è importante per diversi aspetti delle funzioni cerebrali che riguardano in particolare l’apprendimento (Di Paolo, Sankaranarayanan, Wenk, Daniell, Perucco, Caldarone, Flavell, Picciotto, Ryan, Cremona and De Camilli, 2002). Nonostante i deficit nel riciclaggio delle vescicole sinaptiche, i topi KO per l’amfifisina 1 hanno un sistema nervoso sano. Per valutarne la funzionalità cerebrale superiore sono stati eseguiti test comportamentali. In primo luogo è stata valutata la capacità di apprendimento spaziale tramite il Morris water

maze task. Il Morris water maze task rappresenta uno degli approcci

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spaziale. Tale test è basato sulle strategie sviluppate dagli animali per esplorare l'ambiente e sfuggire all'acqua con il minimo sforzo nuotando verso la piattaforma di salvataggio nel più breve tragitto possibile. É emerso un progressivo miglioramento delle prestazioni in tutti gli animali wild-type tranne che nei topi KO per l’amfisina che rilevano, invece, un sorprendente deficit di apprendimento (Di Paolo, Sankaranarayanan, Wenk, Daniell, Perucco, Caldarone, Flavell, Picciotto, Ryan, Cremona and De Camilli, 2002).

Dopo il test della piattaforma nascosta, i topi di entrambi i gruppi sono stati fatti nuotare liberamente per 60 s dopo la rimozione della piattaforma (transfer test). I topi wild-type trascorrono molto più tempo nel quadrante in cui la piattaforma era stata originariamente situata rispetto ai topi mutanti. Inoltre il numero di attraversamenti dell’area occupata precedentemente dalla piattaforma risulta significativamente più basso nei topi KO rispetto al wild-type. Nessuna differenza nella lunghezza del cammino è stata osservata tra i due genotipi, il che indica che la capacità di nuoto non è ridotta in topi KO. Per escludere eventuali differenze di acuità visiva, di attività locomotoria, o di motivazione, i topi dei due gruppi sono stati addestrati a raggiungere una piattaforma posta sopra la superficie dell'acqua e contrassegnata da una bandiera ben visibile (visible platform test). Il tempo necessario al raggiungimento della piattaforma è stato registrato per 4 giorni. Durante questo tempo, le prestazioni dei topi di entrambi i genotipi risultano migliorate, anche se in modo minore nel caso dei topi mutanti. Questi risultati suggeriscono fortemente che i topi KO per l’amfifisina 1 mostrano deficit di apprendimento non attribuibili all’ambiente in cui i test di apprendimento sono stati eseguiti. Per valutare se altre forme di apprendimento sono ridotte in questi topi mutanti, Di Paolo e collaborari

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hanno eseguito test di paura sia condizionata di tipo classico (sonoro) che contestuale. Nei topi KO per l’amfifisina, a distanza di un giorno dal condizionamento classico sonoro, il freezing risulta minore rispetto ai controlli wild-type. Al contrario, la risposta di paura al contesto è paragonabile per entrambi i genotipi. Nel complesso, questi dati indicano che i topi KO per l’amfifisina mostrano grandi deficit di apprendimento non di tipo spaziale.

Gli esperimenti descritti dimostrano che l’amfifisina può essere ampiamente coinvolta nella funzionalità sinaptica di specifici circuiti neuronali alla base dell’apprendimento, attivate dal condizionamento alla paura. Inoltre esperimenti di Sawada e collaboratori (Sawada, Morinobu, Tsuji, Kawano, Watanabe, Suenaga, Takahashi, Yamawaki and Nishida, 2004) hanno dimostrato che ratti anziani sottoposti a stimoli stressanti presentano down-regulation di amfifisina 1 nell’ippocampo ciò è messo in rapporto alle alterazioni della memoria negli anziani in seguito allo stress.

Dai risultati ottenuti in questa tesi sperimentale si evince una diminuzione dell’espressione del gene codificante per l’amfifisina a 48 ore di distanza dal CFC. Come ampliamente descritto nell’introduzione, il paradigma di condizionamento da noi utilizzato produce modificazioni della LTP ippocampale permanenti nel tempo. LTP richiede una continua attivazione della funzionalità sinaptica sia durante la fase di formazione, rilascio ed endocitosi delle vescicole sinaptiche. L’amfifisina è proprio attiva durante la fase di endocitosi delle vescicole sinaptiche. Pertanto è possibile affermare che, per il mantenimento della LTP alla base della memoria a lungo termine indotta da CFC, sia necessaria una maggiore efficacia della funzionalità sinaptica ottenibile anche grazie ad una riduzione dell’endocitosi delle vescicole sinaptiche a

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livello del terminale presinaptico. In tale meccanismo molecolare la modulazione negativa del gene per la proteina amfifisina risulta avere un ruolo chiave per il mantenimento di forme di plasticità sinaptica LTP-dipendenti anche durante il CFC.

5.2 Clone 5VD6

La sequenza del clone 5VD6 ha mostrato un elevata omologia di sequenza con il gene codificante per la proteina caspasi 3.

Tutte le caspasi rappresentano il cuore della messa in opera del “macchinario apoptotico”. L’apoptosi rappresenta un meccanismo importante nel mantenimento dell’omeostasi cellulare sia durante lo sviluppo che in risposta a stimoli esterni (Jacobson, Weil and Raff, 1997). Le proteine caspasi sono un gruppo di proteasi, caratterizzate da un aminoacido cisteina nel sito attivo, che hanno la capacità di tagliare altre proteine dopo un residuo di acido aspartico (Fig.16). Il nome deriva dalle caratteristiche della proteina: C come cisteina nel centro reattivo; ASP come acido aspartico riconosciuto come sito di taglio nell’ambito di

una sequenza amminoacidica; ASI come tutti gli enzimi litici.

Fig.16: La struttura

del complesso di Caspasi 3 con un fenil-propil-chetone inibitore creata utilizzando i dati della Banca Dati Proteine (PPB: 1RHK) e resi disponibili utilizzando PyMOL.

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Le caspasi sono state classificate in tre gruppi, in base alla sequenza bersaglio (Gorman, Orrenius and Ceccatelli, 1998; Strasser, O'Connor

and Dixit, 2000) ed al ruolo fisiologico (Fuentes-Prior and Salvesen

2004):

Gruppo I (caspasi attivatrici di citochine): comprende le caspasi 1, 4, -5, -11, -12, -13, -14 ICE-simili, coinvolte in processi infiammatori ed apoptotici, le quali sono sono specifiche per la sequenza Trp-Glu-Hist-Asp.

-Gruppo II (caspasi iniziatrici dell'apoptosi): comprende le caspasi -6, -8, -9, -10 direttamente coinvolte nel processo apoptotico con specificità per sequenze X-Glu-Hist-Asp/ X-Glu-Thr-Asp.

-Gruppo III (caspasi effettrici dell'apoptosi): comprende le caspasi -2, -3, -7, CED-3-simili, direttamente coinvolte nel processo apoptotico, specifiche per sequenze Asp-Glu-X-Asp.

Recentemente, nei mammiferi è stata identificata anche la caspasi-15, che sembra essere implicata nell’attivazione di caspasi-3 (Eckhart, Ballaun, Uthman, Kittel, Stichenwirth, Buchberger, Fischer, Sipos and Tschachler, 2005).

Le caspasi iniziatrici, una volta attivate, tagliano le forme inattive delle caspasi effettrici attivandole. Le caspasi effettrici a loro volta tagliano specifici substrati proteici dando inizio al processo apoptotico. Le caspasi sono regolate a livello post-traduzionale così da essere velocemente attivate. Sono inizialmente sintetizzate in una forma inattiva di “pro-caspasi” costituita da un pro-dominio, un’unità minore e un’unità maggiore. Le caspasi iniziatrici posseggono un pro-dominio molto più lungo di quello delle caspasi effettrici. La cascata di attivazione delle caspasi può essere indotta da vari fattori: le caspasi 3 e 7 sono attivate dal granzima B rilasciato dai linfociti T citotossici; le caspasi 8 e 10 da

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recettori di morte (death receptors) come il fattore di necrosi tumorale (TNF); la caspasi 9 è attivata dagli apoptosomi regolati dal citocromo C rilasciato dal mitocondrio. Una volta attivata, questa cascata innesca un

feed-back positivo che assicura che l’apoptosi sia portata a termine. La

caspasi 9, una volta attivata dall’apoptosoma (via mitocondriale), taglia e attiva la caspasi 3 la quale, oltre a tagliare le sue proteine bersaglio, taglia altre caspasi 9 attivandole, le quali a loro volta attivano ulteriori caspasi 3 in una lunga sequenza.

Durante lo sviluppo neuronale vanno incontro a morte due tipi di popolazioni cellulari: i precursori delle cellule neurali e i neuroni postmitotici. La caspasi 3, insieme alla caspasi 9, risultano molecole essenziali per l’apoptosi dei precursori delle cellule neurali. Infatti, topi privi di queste due caspasi, mostrano gravi malformazioni del sistema nervoso e muoiono poco dopo la nascita (Kuida, Zheng, Na, Kuan, Yang, Karasuyama, Rakic and Flavell, 1996; Kuida, Haydar, Kuan, Gu, Taya, Karasuyama, Su, Rakic and Flavell,1998; Troy and Salvesen, 2002).

Studi in vivo e in vitro hanno evidenziato che la caspasi 3 è attiva anche nel sistema nervoso di ratti adulti. Infatti Gulyaeva e collaboratori hanno dimostrato che inibitori della caspasi 3 sono in grado di bloccare l’LTP in fettine di ippocampo, attribuendo un’importante funzione di questo enzima nella neuroplasticità (Gulyaeva, Kudryashov and Kudryashova, 2003). In vivo è stato dimostrato che infusioni intraippocampali di inibitori della caspasi 3 nei ratti, hanno portato ad una diminuzione significativa della memoria spaziale nel test Morris water maze task provando così che la caspasi 3 gioca un ruolo fondamentale nei processi mnemonici (Dash, Blum and Moore, 2000).

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Analisi di tessuti umani post-mortem hanno rilevato l’attività delle caspasi 3 anche in seguito a malattie neurodegenerative quali la malattia di Alzheimer, la sclerosi laterale amiotrofica, il morbo di Parkinson e l’ischemia. Tuttavia le analisi post-mortem dei tessuti presentano numerose limitazioni dovute allo stadio di avanzamento della malattia al momento della morte del paziente, al tempo intercorso tra la morte e l’analisi dei tessuti prelevati e alla disponibilità di un appropriato tessuto di controllo. Pertanto l’approccio sperimentale più adeguato, per individuare le caspasi responsabili della morte neuronale in seguito a patologie neurodegenerative, risulta essere l’utilizzo di modelli sperimentali in vivo o in vitro.

I nostri risultati dimostrano che in seguito a CFC la trascrizione del gene codificante per la caspasi 3 aumenta. Questa particolare forma di apprendimento alla paura, quindi, potrebbe innescare meccanismi apoptotici per favorire aspetti fondamentali per il consolidamento della memoria a lungo termine quali la crescita dei coni neuronali per favorire uno sprouting delle terminazioni assonali e il processo di formazione di nuove connessioni sinaptiche.

5.3 Clone 5VF8

La sequenza del clone 5VF8 ha mostrato un elevata omologia di sequenza con il gene codificante per la proteina p53.

La p53 è una fosfoproteina nucleare, che in risposta a danni a carico del DNA, rallenta la progressione del ciclo cellulare attraverso il meccanismo dell’apoptosi. Nell’Uomo tale proteina è codificata dal gene

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ratto sul cromosoma 10. La p53 è un fattore di trascrizione che regola il ciclo cellulare e ricopre la funzione di soppressore tumorale. La sua funzione è particolarmente importante negli organismi pluricellulari per sopprimere i tumori nascenti. E’ stata infatti descritta come il “guardiano del genoma” riferendosi al suo ruolo di preservazione della stabilità attraverso la prevenzione delle mutazioni (Strachan and Read, 2004). Deve il suo nome alla semplice massa molecolare: pesa 53 kDa. La p53 umana è una proteina di 393 aminoacidi in cui possono essere distinti tre domini: un dominio N-terminale detto dominio di trascrizione-attivato (TAD), che attiva altri fattori di trascrizione; un dominio centrale detto dominio legante il DNA ovvero il DNA-binding core domain (DBD), che contiene ioni zinco e residui di arginina; un residuo C-terminale chiamato dominio di omo-oligomerizzazione (OD).

Quando la proteina p53 viene attivata si organizza in tetrameri che si legano al DNA e attivano o inibiscono geni target. Questa organizzazione tetramerica aumenta fortemente la sua attività in vivo (Fig.17) (Johnstone, Ruefli and Lowe, 2002).

Fig.17: Rappresentazione

tetramerica della proteina p53 (rappresentata in rosa e giallo) svolge la sua funzione legando il DNA (rappresentato in verde e azzurro).

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La proteina p53 interviene in molti meccanismi anti-tumorali mediante diversi meccanismi: può attivare la riparazione del DNA danneggiato, può mantenere il ciclo cellulare fermo nel punto di regolazione G1/S,

controllando in questo modo il danno sul DNA, o, nel caso in cui il danno al DNA sia irreparabile, può dare inizio al fenomeno

dell’apoptosi. Nelle cellule normali p53 è solitamente inattiva, la sua attivazione viene indotta dopo gli effetti di vari agenti cancerogeni come raggi ultravioletti, oncogeni, virus e farmaci o altre sostanze che

danneggiano il DNA. Quando i due alleli del gene TP53 sono entrambi mutati o deleti, l’attività di soppressione tumorale è drasticamente

ridotta. Individui che ereditano solo un allele funzionante del TP53 sono suscettibili della mutazione all'allele normale in qualsiasi cellula

dell'organismo e pertanto sono soggetti a manifestare tumori familiari differenti con esordio precoce (sindrome di Li-Fraumeni). Infatti in più del 50% dei tumori umani è stata rilevata una mutazione o una delezione del gene TP53.

Nonostante la funzione apoptotica del gene p53 sia associata principalmente al suo fondamentale ruolo antitumorale, mostra un’azione importante anche a livello del normale turn-over cellulare. Nei mammiferi il sistema nervoso si sviluppa dalle cellule staminali embrionali, le quali hanno la capacità di autorigenerarsi e differenziarsi in neuroni e cellule gliali. Benché la maggior parte dei neuroni siano generati prima della nascita, risulta ormai bene accettata l’ipotesi che il cervello sia in grado di protrarre tale capacità, anche in età adulta. Nel cervello dei mammiferi la neurogenesi persiste in due aree: nella zona subventricolare dei ventricoli laterali e nella zona subgranulare del giro dentato dell’ippocampo (Altman and Bayer, 1990; Corotto, Henegar and Maruniak, 1993). Questi neuroni di nuova generazione vanno ad

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integrarsi con quelli già presenti nei circuiti neuronali del bulbo olfattivo e del giro dentato (Kempermann, Wiskott and Gage, 2004), processo ritenuto importante per la discriminazione degli odori e per l’apprendimento e la memoria (Gould, Beylin, Tanapat, Reeves and Shors, 1999; Brown, Cooper-Kuhn, Kempermann, Van Praag, Winkler, Gage and Kuhn, 2003). La continua produzione di neuroni nel cervello dell’adulto è un processo che richiede un fine bilanciamento tra la proliferazione e il differenziamento cellulare da un lato e la morte cellulare tramite apoptosi dall’altro. Questo è necessario per mantenere le appropriate dimensioni e l’integrità funzionale e strutturale delle aree bersaglio così da mantenere un continuo rinnovamento neuronale.

Dal nostro studio risulta che l’apprendimento alla paura modula positivamente il gene della p53 nelle regioni mediotemporali del cervello di ratto. Vista la sua implicazione nel meccanismo omeostatico della proliferazione cellulare possiamo ipotizzare che, durante i processi di apprendimento, tale turn-over sia accentuato nella zona subgranulare del giro dentato dell’ippocampo, area compresa nella sezione medio-temporale sulla quale abbiamo estratto il materiale per le nostre analisi. È stato stimato che decine di migliaia di nuovi neuroni sono generati giornalmente nella zona subgrunulare (Biebl, Cooper, Winkler and Kuhn, 2000) e quindi la modulazione positiva del gene può essere evidenziata nelle 48 ore del nostro condizionamento. Possiamo così considerare un possibile coinvolgimento di p53 nel processo di formazione di nuove reti neuronali indispensabili nei processi di apprendimento e memoria.

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5.4 Clone 7NB6

La sequenza del clone 7NB6 ha mostrato un elevata omologia di sequenza con il gene codificante per la proteina statmina.

La proteina statmina è una fosfoproteina regolatoria citosolica (Hanash, Strahler, Kuick, Chu and Nichols, 1988) che interagisce con gli eterodimeri di tubulina impedendo la formazione dei microtubuli (Curmi, Andersen, Lachkar, Gavet, Karsenti, Knossow and Sobel, 1997). Nello stato fosforilato è coinvolta nella dinamicità dei microtubuli regolandone sia la sintesi che la degradazione (Belmont and Mitchison, 1996).

La statmina non ha una struttura tridimensionale definita benché contenga tre regioni distinte: una regione N-terminale (N: 1-44), una regione ad alta tendenza a formare -elica (H1: 45-89, elica 1) e una regione con bassa tendenza a formare -elica (H2: 90-142, elica 2). L’intera proteina e la combinazione di H1 e H2 inibiscono la polimerizzazione della tubulina, mentre la combinazione di H1 con la porzione N-terminale risulta meno efficiente. Nessuna delle tre regioni prese singolarmente risulta funzionale, anche se tutte vanno ad interagire con l’ tubulina. La statmina si lega a livello dell’elica 10 dell’ -tubulina, la regione coinvolta nelle interazioni longitudinali dei microtubuli, isolando l’eterodimero e la sua possibilità di formare legami tra due eterodimeri di tubulina. Quando manca della porzione N-terminale, la statmina si lega invece alla molecola di -tubulina sulla cima dell’eterodimero, impedendone la polimerizzazione (Fig.18) (Wallon, Rappsilber, Mann and Serrano, 2000).

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Fig.18: Modello dell’interazione della statmina con l’ -tubulina. (A): La forma troncata

della statmina si lega all’ -tubulina di un solo eterodimero. L’elica 1 della statmina (H1, in rosso) si lega all’ -tubulina in una regione coinvolta nei contatti laterali tra i filamenti. L’elica 2 della statmina (H2, in blu) si lega all’incirca all’elica 10 dell’ -tubulina. (B): Per la

molecola completa della statmina i legami dell’H1 all’ -tubulina cambiano. L’H1 si lega vicino al sito opposto dell’elica 10 dell’ -tubulina, in modo che due eterodimeri possano essere connessi ad una molecola di statmina (tratto da Wallon, Rappsilber, Mann and Serrano, 2000).

I topi KO per la statmina non mostrano apprendimento alla paura (Shumyatsky, Malleret, Shin, Takizawa, Tully, Tsvetkov, Zakharenko, Joseph, Vronskaya, Yin, Schubart, Kandel and Bolshakov, 2005). La proteina statmina è presente, oltre al nucleo laterale, anche nel nucleo basolaterale (BLA) e basomediale (BMA). Il nucleo laterale dell’amigdala è il principale punto di convergenza delle informazioni provenienti da US e CS durante il condizionamento alla paura. Inoltre il profilo dell’espressione della statmina riflette l’anatomia dei circuiti neurali della paura e tramite l’analisi comparativa dei circuiti neurali di

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US e CS è stato visto che alcuni dei circuiti di US sono sovrapposti o collocati in prossimità di quelli di CS (Lanuza, Nader and Le Doux, 2004). Per iniziare a valutare la funzione della statmina nell’amigdala, sono state esaminate le conseguenze della sua soppressione sulla formazione dei microtubuli. Topi KO per la statmina si sviluppano normalmente e non presentano nessuna anomalia anatomica nel corpo, compreso il cervello (Shubart, Yu, Amat, Wang, Hoffmann and Hendelmann, 1996), ma la quantità di -tubulina nei microtubuli risulta aumentata del 50% in topi mutanti KO rispetto ai loro controlli

wild-type, mentre la quantità di Gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi

(G3PDH) rimane uguale in entrambi i campioni. L'aumento del livello di tubulina polimerizzata suggerisce che la quantità di tubulina libera possa essere regolata negativamente in questi topi KO e questo porta i microtubuli a rimanere più a lungo nella forma assemblata (Westermann

and Weber, 2003). Per analizzare i possibili effetti dell’aumentata

stabilità dei microtubuli sulla funzione cerebrale dei topi KO per la statmina, è stato prima esaminato se tali microtubuli e questa proteina fossero presenti nelle sinapsi e nelle spine dendritiche. È stato trovato che entrambi si riscontravano in quelle isolate dai cervelli di topi

wild-tipe (Gavet, El Messari, Ozon and Sobel, 2002; Kaech, Parmar,

Roelandse, Bornmann and Matus, 2001; van Rossum, Kuhse and Betz, 1999). Recenti studi evidenziano l’importanza della funzione dei microtubuli nella plasticità sinaptica anche in Drosophila (Ruiz-Canada, Ashley, Moeckel-Cole, Drier, Yin and Budnik, 2004). Nel cervello dei mammiferi i microtubuli probabilmente sono coinvolti nell’attività sinaptica trasportando diverse molecole e organelli in prossimità delle sinapsi (Hirokawa and Takemura, 2005). Tali trasporti utilizzano infatti filamenti di actina (localizzati nelle sinapsi) e microtubuli (localizzati

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negli assoni, nei dendridi e forse nelle sinapsi in quantità limitate) (Shumyatsky, Malleret, Shin, Takizawa, Tully, Tsvetkov, Zakharenko, Joseph, Vronskaya, Yin, Schubart, Kandel and Bolshakov, 2005). Questi studi forniscono la prova che la statmina è una proteina necessaria per l’espressione della paura innata e per la formazione della memoria alla paura.

Nella mia tesi sperimentale abbiamo riscontrato un aumento dell’espressione del gene codificante per la statmina a 48 ore di distanza dal CFC nelle regioni medio-temporali del cervello di ratto. Questo nostro risultato incrementa la conoscenza sulle funzioni di questa proteina a livello del sistema nervoso dei roditori attribuendole una funzione cruciale nei fenomeni di plasticità sinaptica alla base del consolidamento della memoria a lungo termine indotta dalla paura al contesto.

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