• Non ci sono risultati.

1 Motivazioni ed obbiettivi della tesi 1

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "1 Motivazioni ed obbiettivi della tesi 1"

Copied!
12
0
0

Testo completo

(1)

1

1

Motivazioni ed obbiettivi della tesi

1.1 Introduzione

Lo studio effettuato negli ultimi cinquant’anni sulla propulsione elettrica, la maturazione avvenuta negli ultimi anni di e la costante ricerca per l’innovazione tale tecnologia hanno rivoluzionato il concetto di missione spaziale e ha cambiato la filo-sofia di progetto dei satelliti. Infatti, grazie al un minore consumo di propellente ri-spetto alla propulsione chimica, dovuto a un impulso specifico molto superiore, si può arrivare a sensibili riduzioni di massa di propellente e di conseguenza comples-siva o, guardando la questione da un altro punto di vista, ciò permette la possibilità di aumentare il carico utile.

D’altra parte la propulsione elettrica può, dato l’ampio ventaglio di spinte tra cui il progettista può scegliere, dai limiti del µN fino a centinaia di mN, adattarsi ad una grande varietà di missioni. Fino ad ora l’utilizzo di questo tipo di apparati era li-mitato a missioni quali il North-South Station keeping, mantenimento della stazione in direzione Nord-Sud, per satelliti in orbita Geostazionaria, satelliti in cui la potenza prodotta è comunque enorme e la richiesta di spinta molto bassa, e praticamente ine-sistente nella regione delle orbite LEO (Low Earth Orbit, Orbita Terrestre Bassa); data la necessità di un utilizzo troppo ripetuto ed un elevato consumo di potenza elet-trica ad essi veniva preferito l’utilizzo della propulsione chimica. L’aumento dei ren-dimenti registrato in questi ultimi anni, accoppiato alla diminuzione di potenza elet-trica necessaria ed ad un elevato impulso specifico rendono, al giorno d’oggi, questi propulsori interessanti anche per missioni a bassa quota.

Ultima considerazione riguarda i lanciatori presenti sul mercato. Numerosi sono i vettori che si propongono di mandare carichi utili più o meno pesanti in vari livelli di orbite con costi più o meno contenuti. A livello Europeo la famiglia più fa-mosa è sicuramente quella di Ariane. Lanciatore pensato per spedire carichi princi-palmente in orbita geostazionaria per cui molto grande e costoso, non indicato per l’immissione di veicoli spaziali in orbite LEO, se non come carichi secondari, di di

(2)

dimensioni molto ridotte, imbarcati nello spazio lasciato libero da più grandi carichi principali.

E’ dalla necessità di un lanciatore che immetta piccoli carichi paganti, tra i 300 ed i 200 kg, principalmente per ragioni scientifiche e di osservazione della Terra in orbite basse che in questi ulti anni è stato progettato il lanciatore VEGA. Lanciato-re che affronterà il primo volo nel 2006 e che si propone di inseriLanciato-re in orbita satelliti più facilmente, velocemente ed economicamente.

I costi sono stati mantenuti minimi dall’utilizzo di tecnologie a basso costo e dall’introduzione di una sinergia ottimizzata con le strutture utilizzate per i lanciatori Ariane. Vega è stato disegnato come un lanciatore singolo a tre stadi e, a differenza di molti altri piccoli lanciatori, sarà in grado di piazzare in orbita carichi multipli. Ul-teriore spinta all’utilizzo di questa soluzione, per il mercato spaziale italiano, è poli-tica, in quanto l’appaltatore principale del programma è l’Italia, tramite ASI (Agen-zia Spa(Agen-ziale Italiana) e FIAT Avio, con una partecipazione del 65%.

In questa tesi si è cercato di utilizzare le precedenti analisi sul panorama del mercato spaziale del giorno d’oggi per arrivare ad un progetto preliminare di una missione satellitare che possa essere di particolare interesse.

Il procedimento di lavoro che è stato seguito è rappresentato schematicamente in figura 1.1.1.

figura 1.1.1 Schema del lavoro svolto

Nei primi due capitoli vengono analizzati gli obiettivi della tesi, presentando-ne il contesto e le motivazioni principali, ed i requisiti sulla missiopresentando-ne che se presentando-ne deri-vano. Il terzo fornisce una breve descrizione sui principi base dell’Astrodinamica u-sata nell’analisi orbitale condotta nel capitolo quarto. Successivamente, avendo de-terminato un orbita ben definita, si passa ad una valutazione delle caratteristiche principali dei vari sottosistemi. I risultati quindi ottenuti vanno a confluire nel capito-lo finale dove viene esposta la descrizione generale del satellite ottenuto, le conclu-sioni finali e le eventuali considerazioni sugli sviluppi futuri.

Requisiti di missione

Analisi e scelta

dell’orbita Analisi dei sottosistemi Definizione configurazione

Budget configurazione

(3)

1.2 Cenni storici sull’osservazione della terra

L’osservazione della terra appare già durante la Seconda Guerra Mondiale in quelle che erano operazioni di ricognizione tattica e sorveglianza. Anche durante la guerra in Vietnam venne utilizzato con successo il CIR (Color Infrared) per distin-guere edifici militari mimetizzati tra la vegetazione. Da queste prime applicazioni si è subito dedotto che le potenzialità dei sistemi utilizzati potevano essere notevolmen-te miglioranotevolmen-te se si fosse passato ad un uso più ampio dello spettro della radiazione e-lettromagnetica.

Agli inizi la disponibilità di calcolatori in grado di elaborare i dati ottenuti era molto scarsa per cui si preferiva utilizzare pellicole fotografiche che venivano recu-perate, e quindi analizzate, solo quando il satellite veniva riportato a Terra. Nei pri-mi anni ’70 appare un sensore che utilizza quattro bande di acquisizione immagini, il Multispectral Scanner (MSS), o scanditore multispettrale, che viene usato a bordo dell’Earth Resources Technology Satellite-A (ERTS-A) ribattezzato poi Landsat 1 dalla NASA, il primo satellite ad usare un sensore multispettrali; questo fu il primo di una serie di satelliti destinati all’osservazione globale della Terra eseguite ad in-tervalli di tempo. Questo sensore era in grado di coprire tre regioni (blu, verde ed una che comprendeva rosso e vicino infrarosso); i più moderni sensori iperspettrali ope-rano, invece, su tutta la banda compresa tra l’ultravioletto e l’estremo infrarosso. Il Landsat 1 fu lanciato nel luglio del 1972 e terminò le sue operazioni nel gennaio del 1978: Il secondo della serie fu lanciato nel gennaio del 1975. Altri 4 versioni del sa-tellite Landsat furono lanciati tra il 1978 ed 1999 (Landsat 3, 4, 5, e 7 rispettivamen-te). Il Landsat 5 è andato oltre i suoi limiti di vita riuscendo a coprire, in parte, la perdita del Landsat 6 che fallì l’acquisizione dell’orbita nell’ottobre del 1993. L’ultima versione, ancora operativa, il Landsat 7, fu lanciato nell’aprile del 1999. Nel Landsat 7 appaiono sostanziali miglioramenti grazie dell’ Enhanced Thematic Mapper Plus (ETM+) che produce dati su sei bande spettrali, con una risoluzione di circa 28 metri, dati nel pancromatico, con una risoluzione di circa 15 metri, e dati nel lontano infrarosso, ad una risoluzione pari a 60 metri. La NASA gestì le operazioni dei Landsat nei primi anni ’80 mentre a partire dal 1985 il sistema viene commercia-lizzato e l’utilizzo viene passato a Earth Observation Satellite Company (EOSAT). Nel campo Europeo il primo satellite di un certo rilievo nel campo dell’osservazione della Terra fu il Francese SPOT (Satellite Pour L’Observation de la Terre). Lo SPOT porta a bordo due sensori, gli High Resoluttion Visible (HRV), che permettono di operare su tre bande spettrali (verde, blu ed una che comprende rosso e vicino in-frarosso) od in pancromatico. SPOT 4 è l’ultimo satellite della serie in cui è stata

(4)

ag-giunta un ulteriore banda di acquisizione che permette di avere risoluzioni di circa 20 metri nell’infrarosso e 10 metri in pancromatico. I sensori dello SPOT sono capaci di scandire 27° a partire dalla direzione del Nadir permettendo quindi una ripetizione temporale di acquisizione su una particolare località tra i due ed i ventisei giorni a seconda della zona osservata.

A partire dalla metà degli anni ottanta partono anche in India alcuni progetti per lo sviluppo di piattaforme per osservazione terrestre che conducono al lancio, nel 1988, dell’ Indian Remote Sensing Satellite (IRS). L’IRS-1A fu lanciato nel 1988, che fu seguito, nel 1991, da un secondo identico satellite l’ IRS-1B. Entrambi i satel-lite montano dei sensori che offrono prestazioni paragonabili a quelle della serie Landsat. Nel dicembre del 1995, fu lanciato l’ IRS-1C, con notevoli migliorie nelle prestazioni che portarono ad eseguire acquisizioni in pancromatico a risoluzioni di circa 5. Nel settembre del 1997 fu lanciato l’IRS-1D che rappresenta oggigiorno il sistema di punta dell’industria aerospaziale Indiana.

Nel 1995 fu lanciato anche il RADARSAT da parte del Canada che è stato il primo sistema equipaggiato con un avanzato Synthetic Aperture Radar (SAR).

Il primo sistema interamente Europeo, l’ERS-1, fu lanciato nel luglio del 1991, subito seguito dall’ ERS-2 nell’aprile del 1995. L’ ERS imbarca come carico pagante un SAR a microonde il cui utilizzo è prevalentemente volto all’analisi dello stato dei bacini marini e dei ghiacciai.

1.3 Stato attuale e tendenza della tecnologia spaziale.

Sin dagli albori dell’attività spaziale è stata manifestata una certa tendenza al-la progettazione e alal-la costruzione di satelliti sempre più grandi e complessi, concet-tualmente e tecnologicamente. Le principali cause di questa tendenza sono da ricer-care in:

• tendenza a realizzare progetti sempre più ambiziosi con cui aumenta-vano proporzionalmente le dimensioni dei satelliti;

• costruzione di lanciatori sempre più potenti, in grado quindi di portare in orbita oggetti sempre più voluminosi e pesanti;

• grossi investimenti da parte di enti governativi o privati in programmi di ricerca spaziale, soprattutto per ragioni politiche o militari.

Nei primi anni ’90, però, le mutate condizioni politiche dovute alla fine della Guerra Fredda, hanno portato a sostanziali tagli nella spesa spaziali, soprattutto da parte di quello che era stato fin a quel momento il maggior investitore in campo

(5)

mondiale, la NASA, creandosi in seguito un effetto domino che ha portato ad un ri-dimensionamento dei programmi della maggior parte delle agenzie spaziali interna-zionali, seguendo le direttive impartite da Dan Golden (il nuovo amministratore capo della NASA) che potevano essere riassunte nel motto “più velocemente, meglio ,e più sicuramente”. I nuovi programmi, dopo iniziali difficoltà, cominciarono a dare i loro frutti e aprirono nuovi scenari per la ricerca spaziale soprattutto nello sviluppo dei cosiddetti small satellites1.

Da questo momento in poi appaiono due tendenze parallele: per quanto ri-guarda i satelliti commerciali a crescere sempre di più; per ciò che concerne gli altri satelliti a diminuire in dimensioni come si può evincere dalla figura 1.3.1 e dalla figura 1.3.2

figura 1.3.1 Tendenza per i satelliti commerciali

1 Molti termini sono stati usati per descrivere le varie classi di satelliti, ma la classificazione più

adot-tata consiste nel distinguerli per quanto riguarda la loro massa. Il termine small satellites, piccoli satel-liti, copre tutti i satelliti con massa complessiva inferiore a 500 kg. Possono a loro volta essere distinti in mini satelliti quando la massa è compresa tra i 100 e i 500 kg, in micro satelliti quando è compresa tra 10 e i 100 kg, nano satelliti tra 1 e 10 kg, i pico satelliti tra 0.1 e 1 kg e infine femto satelliti con masse intorno ai 100 grammi.

(6)

figura 1.3.2 Tendenza per i veicoli spaziali non pilotati della NASA

Mentre i satellite per le telecomunicazioni sono praticamente obbligati a cre-scere, per gli altri satelliti si è aperta quindi un alternativa di sviluppo chiamata “bas-so costo/bas“bas-so rischio” che consiste nel rimpiazzare i satelliti più grandi e complessi con un numero maggiore di satelliti più piccoli ma più sicuri, riducendo così i rischi economici. La realizzazione di satelliti più piccoli, dotati quindi di minore strumen-tazione e vita utile più breve, ha portato allo sviluppo e all’implemenstrumen-tazione di reti multisatellitari in cui ogni elemento è importante ma non indispensabile agli scopi della missione; ciò vuol dire che, in caso di malfunzionamento di uno dei satelliti, quest’ultimo può essere rimpiazzato da un altro membro della costellazione o even-tualmente da un satellite appositamente lanciato. Di conseguenza, quella che a prima impressione, sembrava una soluzione antieconomica, dividere un grosso satellite in numerosi piccoli lanciati in gruppi, si è trasformata in un punto di forza in quanto si deve notare che una fetta abbastanza consistente dei costi di una missione (tradizio-nalmente intorno al 15-20% del costo totale) è dovuta alle assicurazioni che vengono stipulate per ogni missione, che grazie a questa soluzione, dato che diminuiscono i rischi, si riducono sensibilmente.

Questa filosofia di progettazione viene accompagnata dalla richiesta che la piattaforma sia multimissione, ovvero dove ogni satellite venga progettato per la più ampia gamma di missioni possibili. Ciò comporta che, invece di progettare il miglior satellite per una determinata missione, si scelga una versione non propriamente otti-mizzata, ma dotata di più funzionalità.

(7)

Tutte queste riduzioni nei costi hanno portato, quindi, a nuove opportunità di mercato, ad un incremento sostanziale del bacino di potenziali acquirenti del prodot-to finale e ad un incremenprodot-to delle società interessate nella progettazione di mini sa-telliti. Ciò ha causato una specie di globalizzazione spaziale grazie al quale enti mol-to diversi tra loro, come università e società private, appartenenti a realtà politiche molto diverse tra loro, possono collaborare economicamente e scientificamente nella ricerca spaziale2.

Il grafico in figura 1.3.3, basato su dati presi tra gli anni 1980 e 1999, mostra la distribuzione percentuale dei clienti interessati ai programmi spaziali; è interessan-te notare la fetta del 10% costituita dalle università, percentuale che continua a cre-scere. 5% 5% 35% 38% 17% University Amateurs Military Government Commercial

figura 1.3.3 Principali clienti delle missioni spaziali

Al momento, l’espansione dei minisatelliti è collegata alla capacità di lancio dei moderni razzi-vettori, intesa soprattutto come capacità di sfruttare il lancio di grossi satelliti convenzionali. I limiti maggiori sono imposti dalla scarsità di lanciato-ri dedicati, a basso costo, e dall’intlanciato-rinseca difficoltà di implementare a bordo le po-tenze richieste dai vari sottosistemi, che risultano essere ancora troppo esose.

Lo stato attuale della ricerca tecnologica attraverso lo sviluppo di nuovi lan-ciatori medio piccoli, come l’ Europeo VEGA, delle nanotecnologie, di strutture multifunzionali (MFS), di sistemi microelettromeccanici (MEMS), sembrano dare nuovo impulso alla presentazione di nuovi progetti nel breve periodo.

2 Come esempio si può prendere la Disaster Monitoring Constellation (DMC) che consiste in una

piattaforma multisatellite, costituita da cinque satellite pesanti circa 100 kg, che verrà realizzata e sfruttata da cinque paesi: Algeria, Gran Bretagna, Cina, Nigeria e Tailandia. Da questa configurazio-ne, il cui costo stimato è di circa 56 milioni di dollari ci si aspettano prestazioni paragonabili a quelle di un satellite singolo dal costo di 300 milioni di dollari.

(8)

1.4 Breve storia e tendenza attuale della propulsione elettrica

L’anno 1903 può essere assunto come punto iniziale della moderna astronau-tica e missilisastronau-tica, proprio quando Konstantin Eduardovich Tsiolkovsky pubblicò l’articolo “Investigation of Universal Space by means of Reactive Devices” dando così un nuovo punto di riferimento nell’astronautica moderna.

Nel suddetto articolo venivano presentate le leggi matematiche fondamentali, inclusa la ben nota formula di Tsiolkovsky, grazie alle quali si poteva evincere la grossa dipendenza delle prestazioni missilistiche dalla velocità di espulsione del pro-pellente; infatti fu stabilito rigorosamente che, a parità di carico utile a bordo, la mas-sa totale del sistema poteva essere aumentata arbitrariamente se, contemporaneamen-te, veniva aumentata la velocità di scarico. Precisamente otto anni dopo, nel 1911, sempre Tsiolkovsky introdusse il concetto di propulsione elettrica (EP) per risponde-re alle richieste di velocità di scarico semprisponde-re più elevate. Partirono così le prime ana-lisi teoriche e sviluppi del problema, ma solo nel 1917 si arrivò al brevetto di un pri-mo acceleratore di ioni per la propulsione grazie a Robert Hutching Goddard (figura 1.4.1). Contributi importanti arrivarono anche da parte di Yuri V. Kondratyuk, che per primo mise in relazione l’affinità tra la EP e la capacità di generare potenza tra-mite la radiazione solare, e Hermann Julius Oberth. Dopo una prima fase, caratteriz-zata da ricerche teoriche perlopiù condotte a livello personale lo sviluppo della pro-pulsione elettrica subì un grosso rallentamento nella prima metà del ‘900 tranne al-cuni casi sporadici, tra cui vale la pena ricordare lo sviluppo, da parte di Valentin Pe-trovich Glushko, per conto del programma spaziale Sovietico, di un modello di pro-pulsore elettrotermico realizzato con finalità esclusivamente spaziali. Esclusi quindi questi casi, la maggior parte degli studi condotti da Tsiolkovsky cadde nel dimentica-toio e tranne alcuni cultori del genere, come Oberth, che realizzò una vera e propria bibbia a riguardo, nessuno se ne interessò più. Infatti, all’inizio della conquista dello spazio, il problema maggiore non era quello di controllare il satellite nella sua orbita, ma piuttosto essere in grado di lanciarlo; per queste ragioni, e anche perché c’era scarso interesse da parte degli enti militari nello sviluppo di propulsori a bassa spinta, si favorì lo studio e lo sviluppo di razzi chimici. Inoltre, per la tecnologia di quel tempo, era molto difficile realizzare camere a vuoto con cui eseguire validi test sulla propulsione elettrica, al contrario di quanto accadeva con i razzi chimici che poteva-no essere testati nell’atmosfera ordinaria. A questo va aggiunto, infine, la scarsa ca-pacità di implementare le elevate potenze elettriche richieste dalle EP. Tutte queste problematiche furono già intese dallo stesso Tsiolkovsky che dicendo: “dovremo metter da parte questi sogni per un po’ ed occuparci dei più prosaici esplosivi”,

(9)

de-scrisse l’immaturità tecnologica di tali studi. D’altra parte questi sforzi personali, che si perdevano in quella che era realtà scientifica altamente frammentata tra i vari pae-si, erano orientati verso applicazioni, come i trasferimenti interplanetari, che erano aldilà di ogni reale fattibilità e molto lontane dalle necessità del momento; infatti si noti come non è presente in quegli anni nessuno studio volto ad utilizzare la EP per “normali” satelliti in orbita terrestre.

La maggior parte della ricerca, fino agli anni ’50, venne indirizzata a miglio-rare le prestazioni della propulsione chimica; nel 1957, in piena Guerra Fredda, l’Unione Sovietica mise in orbita il primo satellite artificiale, lo Sputnik 1, per cui gli Stati Uniti, sentendosi minacciati militarmente, decisero di ampliare i finanziamenti alla NASA per lo sviluppo del Progetto Corona. Il clima così instauratosi permise uno sviluppo molto rapido in molti campi scientifici, tra cui quelli strettamente ine-renti con la EP, come la fisica quantistica e l’elettronica. Tutto ciò condusse ad una ripresa degli studi sulla propulsione elettrica insieme con studi volti ad ottenere mag-giori potenze nello spazio.

A partire dagli anni ’60 fiorirono negli Stati Uniti studi e test sulla EP che conducono nel 1960 al programma SERT (Space Electric Rocket Test) per dimostra-re la fattibilità dei motori a ioni grazie al quale fu lanciato il SERT I, che fu il primo satellite ad usare una tale tecnologia, e più tardi, nel ’70, al lancio del SERT II che dimostrò la capacità di sopravvivenza del motore in orbita per circa 6 mesi.

Dall’altra parte del mondo nella metà degli anni ’70 , nell’ Unione Sovietica, partivano invece i primi studi sui propulsori ad effetto Hall e sui propulsori a plasma pulsante.

Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 partirono, a seguito dello scioglimento dell’Unione Sovietica, le prime collaborazioni tra gli USA e la Russia, insieme al Giappone e all’Europa, che condussero la EP in una nuova era tecnologi-ca; nel 1994 fu lanciato il primo satellite commerciale che usava un sistema di pro-pulsore a ioni per le manovre di controllo orbitale. Il cambiamento epocale arrivò pe-rò il 24 ottobre 1998 quando fu lanciato dalla NASA il Deep Space 1, satellite dimo-stratore in cui vennero testati dodici nuovi componenti ad alto rischio, tra cui un si-stema propulsivo a ioni per l’intero controllo della missione.

A partire da questo punto in poi le maggiori agenzie spaziali cominciarono a sviluppare missioni completamente dotate di EP, come la NASA che sta tuttora prparando tre nuovi motori a ioni per la missione DAWN prevista per il 2006 per e-splorare Cerere e Vesta, due tra i più importanti asteroidi. Nel 2003 l’ESA sfruttò proprio i motori a ioni, denominati RIT-10 e T5, del suo satellite Artemis per permet-tere a quest’ultimo di raggiungere l’orbita nominale prevista, con un trasferimento di 18 mesi, che non era stata acquisita inizialmente per problemi seguiti al lancio. Il

(10)

27/28 settembre 2003 sempre l’ESA lanciò il satellite SMART 1, dotato di propulsori ad effetto Hall, destinato all’esplorazione della Luna.

L’ESA è tra l’altro molto attiva nello sviluppo dei propulsori FEEP (Field Emission EP) in collaborazione con Alta/Centrospazio per la missione CNES. Da parte del Giappone gli sforzi tecnologici sono sfociati nel lancio nel marzo del 2003 del satellite MUSES-C che cercherà di raggiungere un asteroide grazie al suo motore a ioni MECR (microwave electron cyclotron resonance).

In conclusione al giorno d’oggi la EP, soprannominata un tempo “il principe in attesa” ha cominciato a coprire un ruolo crescente e importante in tutte le numero-se iniziative spaziali.

figura 1.4.1 Un secolo di tecnologia

a sinistra: il primo schema di Goddard di un propulsore elettrostatico a destra: il motore FEEP sviluppato presso il CentroSpazio

1.5 Scopo della tesi

Partendo dalle considerazioni sin qui effettuate emerge che, fino ad ora, tran-ne alcutran-ne eccezioni, non è stata presa con sufficiente consideraziotran-ne la possibilità di accoppiare le funzionalità richieste dall’osservazione della terra con le potenzialità delle nuove filosofie microsatellitari. Se a ciò aggiungiamo che nel campo della pro-pulsione elettrica sono stati raggiunti sufficienti standard di prestazioni e di affidabi-lità provata, possiamo renderci conto come possa aprirsi un nuovo universo di mis-sioni spaziali costituite da mismis-sioni a bassa quota realizzate da satelliti relativamente piccoli.

E’ opportuno notare che le missioni per l’osservazione della terra preceden-temente descritte sono tutte missioni dove il satellite è posto in un orbita eliosincro-na; l’utilizzo di questo tipo di orbita porta numerosi vantaggi per quanto riguarda

(11)

l’operazione di acquisizione in quanto questa viene eseguita sempre alla stessa ora del giorno, e quindi con le medesime condizioni di illuminazione. D’altra parte però queste orbite sono caratterizzate dall’avere grosse inclinazioni (circa 90°) e quote di volo relativamente elevate (circa 600 km), ciò comporta che i satelliti sono pratica-mente in grado di “vedere” la quasi totalità della sfera terrestre, cosa che da una parte rende la missione globale più che locale, ma che dall’altra parte rende relativamente elevati i tempi intercorrenti tra un’osservazione e la successiva. Inoltre le elevate quote associate con le orbite eliosincrone comportano lanciatori di maggiori dimen-sioni e che imbarchino maggiori quantità di propellente, cosa che si traduce in costi maggiori dell’intera missione.

L’idea di base della presente tesi è quella di minimizzare i costi andando ad operare a quote più basse rimanendo però ad uno standard di prestazioni paragonabi-le a quello delparagonabi-le missioni esistenti. La scelta di non utilizzare orbite eliosincrone ren-de fattibile la realizzazione di missioni ren-dedicate a zone specifiche con tempi di rivisi-tazione molto minori; inoltre, sin da ora, possiamo ipotizzare che, realizzando una costellazione piuttosto che un singolo satellite, si può “emulare” la possibilità di ese-guire rilevazioni con le medesime condizioni di illuminazione.

Ma i vantaggi non sembrano finire qui in quanto è presumibile che i sistemi dedicati all’osservazione e alla comunicazione siano molto meno esosi in termini di potenza e massa, vista la minore distanza che li separa dalla terra, o da un altro punto di vista è possibile ottenere prestazioni sensibilmente migliori rispetto alle altre mis-sioni a parità di strumentazione imbarcata . Lo svantaggio delle orbite LEO sta nella maggiore resistenza aerodinamica che il satellite incontra lungo la sua orbita e nella minore capacità visiva dei sensori, intesa come capacità di osservazione di zone più o meno ampie del globo terrestre. Il primo problema può essere risolto grazie all’utilizzo della propulsione elettrica che ci permette di avere spinte propulsive dello stesso ordine di grandezza delle forze resistive incontrate, abbattendo le richieste di propellente da imbarcare rispetto ai propulsori di altra natura, cambiando al contem-po la filosofia di progetto del satellite in quanto generano spinta sfruttando contem-potenza elettrica piuttosto che quantità di propellente. Inoltre l’utilizzo di tali propulsori im-plica che le correzioni orbitali vengano eseguite con manovre dette a bassa spinta, le quali comportano l’accensione del sistema per lunghi periodi e, quindi, lunghi tratti dell’orbita, a differenza dei sistemi tradizionali con cui la manovra si avvicina molto di più ad uno sparo impulsivo, ciò comporta sostanzialmente un differente approccio analitico al problema del mantenimento orbitale.

Adottata quindi un’ orbita LEO, per quanto riguarda il secondo problema di cui si è appena discusso, si cercherà di dimostrare come l’abbattimento della quota operativa del satellite non vada ad abbattere in maniera significativa la capacità visi-va dei sensori

(12)

Il lavoro svolto nella presente tesi punta all’analisi ed al progetto preliminare di una soluzione alternativa al problema dell’osservazione della terra attraverso l’adozione di una filosofia di progetto nettamente diversa da quella tradizionale, cer-cando comunque di dimostrarne la fattibilità attraverso l’utilizzo di tecnologie dispo-nibili sul mercato.

Lo scopo principale non è, quindi, quello di realizzare un sistema che sia mi-gliore di quelli presenti sul mercato, ma piuttosto realizzarne uno alternativo, con prestazioni paragonabili agli altri e che presenti, però, dei costi totali di missione in-feriori, sempre tenendo ben presente che,in linea di massima, con un utilizzo di tec-nologie sufficientemente comuni, il costo della missione è direttamente proporziona-le alproporziona-le dimensioni del progetto, intese sia come dimensioni materiali del sistema sia come complessità dell’intero sistema.

Si possono riassumere gli scopi della presente tesi possono nei seguenti punti: • Valutare la possibilità di realizzare una missione multisatellitare a

bassa quota per massimizzarne le prestazioni in termini di qualità del prodotto finale (vedi capitolo 4 e 5).

• Studiare la possibilità di acquisire l’orbita LEO e di mantenerla utiliz-zando la propulsione elettrica,e definirne quindi i parametri orbitali (vedi capitolo 4 e 7).

• Analizzare la possibilità di usare il lanciatore VEGA e, nel caso si tratti di una costellazione, verificare se sia possibile eseguire un unico lancio per inserire l’intera piattaforma (vedi capitolo 4).

• Fornire in sintesi un budget di massa,dimensioni e potenza necessari per il satellite, da utilizzare per successive analisi della missione e per fasi progettuali più avanzate (capitolo finale).

Figura

figura  1.1.1 Schema del lavoro svolto
figura  1.3.1 Tendenza per i satelliti commerciali
figura  1.3.2 Tendenza per i veicoli spaziali non pilotati della NASA
figura  1.3.3 Principali clienti delle missioni spaziali
+2

Riferimenti

Documenti correlati

Il Consiglio Federale inviò una lettera ufficiale alla Presidenza, accusandola di stare illegalmente riducendo i poteri delle regioni, 47 anche a fronte del progressivo

Il Viaggiatore non ha comunque diritto al risarcimento dell'eventuale maggior danno, allorché l'annullamento del viaggio dipenda dal mancato raggiungimento del numero minimo

Fu definita Guerra Fredda la contrapposizione che venne a crearsi alla fine della Seconda Guerra Mondiale tra due blocchi internazionali: gli Stati Uniti (NATO), e

 NUOVA ATTENZIONE PER ITA  NUOVO APPREZZAMENTO DELL’UNICO CAPITALE ITA CHE LA SCONFITTA NON AVESSE COMPLETAMENTE DISSIPATO = QUELLO GEO-POLITICO : ITA ESSENZIALE PER IL

- D’ALTRA PARTE, VERO CHE GLI USA HANNO UNA IMPELLENTE NECESSITà DI ESPANDERSI, X EVITARE UNA CRISI ECONOMICA, MA Ciò NON IMPLICA PER FORZA UNA POLITICA VOLTA A MINARE LA

14 مهتيقرتو ةلااوملا زومر نم نيلعافلا نيمعادلا ةأفاكمل ةليسو ةيلحملا تاباختنلاا عارصلا للاخ ماظنلل نيلاوم اوّلظ نيذلا كئلوأ ةأفاكمل

Il mondo degli ukiyoe si suddivide in stampe e dipinti. I dipinti sono dei manoscritti, prodotti affascinanti della mano dell’artista e dunque considerati di inestimabile valore ed

LISTA DELLE FIGURE LISTA DELLE TABELLE LISTA DELLE COSTANTI LISTA DEI SIMBOLI LATINI LISTA DEI SIMBOLI