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Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Padova

Università Ca’ Foscari Venezia

Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari

Corso di Laurea Magistrale Interateneo in

Musica e Arti Performative

Classe LM-45

Tesi di Laurea

Relatore

Chiar.mo Prof. Sergio Durante Correlatore

Chiar.ma Prof.ssa Adriana Guarnieri

Laureando Fabio Dal Corobbo n° matr.1104613 / LMMAP

«Ebben? Ne andrò lontana»

La voce, la scena, il repertorio:

l’eredità di Maria Callas tra passato e futuro

«Well… I will go far away»

The Voice, the Performing Art, the Repertoire:

Maria Callas’ Legacy between Past and Future

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Indice

Indice... 3

Introduzione ... 5

1. Alle origini del Mito ... 15

1.1. I natali senza data, il mistero del nome, il fenomeno vocale e i primi modelli ... 18

1.2. Nella patria dei miti... 27

1.3. Un’allieva «musicale e musicista»... 34

1.4. L’eredità greca e la seconda delusione americana ... 50

1.5. La voce complessa di Maria Callas... 61

1.5.1. Osservazioni di carattere generale ... 62

1.5.2. L’estensione vocale... 63

1.5.3. La grana della voce ... 68

1.5.4. Sicut in cute et intus: le ragioni del precoce declino... 73

2. Nel Paese del melodramma: tra le guerre, prima e dopo ... 77

2.1. Compositori e titoli: la cosiddetta crisi dell’opera del primo Novecento ... 84

2.1.1. Venezia e il Gran Teatro La Fenice ... 91

2.1.2. Milano e il Teatro alla Scala ... 102

2.1.3. Torino e il Teatro Regio... 108

2.1.4. Da Firenze a Napoli, via Roma: stagioni e festival... 115

2.2. Teorie e dibattiti intorno all’opera in Italia nel primo Novecento ... 124

2.3. La nascita della regia nel teatro musicale ... 131

2.3.1. L’opera in scena prima dell’avvento del regista ... 135

2.3.2. Direttori d’orchestra e direttori di scena ... 138

2.3.3. I registi all’opera ... 140

2.4. Il debutto italiano di Maria Callas all’Arena di Verona... 145

3. La voce che egual non ha e il suo repertorio... 155

3.1. Il prediletto Bellini ... 160

3.2. Un trittico per Donizetti e uno per Rossini ... 180

3.3. La Callas in coturni: Cherubini, Spontini, Gluck e Haydn ... 207

3.4. Maria Callas e il Cigno di Busseto: dal Nabucco all’Aida ... 237

3.4.1. Da Abigaille a Lady Macbeth ... 249

3.4.2. Due vittime dell’amore ... 264

3.4.3. Violetta per sempre ... 274

3.4.4. Elena di Sicilia ... 291

3.4.5. Il Verdi della Stolz: dal Ballo in maschera all’Aida... 297

3.5. Nel segno di Puccini ... 319

3.6. Wagner in italiano (e tutto il resto) ... 357

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3.6.2. Maria Callas e Arrigo Boito:

dall’ugola di Gioconda al delirio di Margherita... 367

3.6.3. Poco Mozart, ma quasi Verdi... 379

3.6.4. Il Verismo prudente di Maria Callas... 382

3.6.5. La sibilla di Gallia e quella di Spagna ... 389

4. Con scenica scienza… ... 395

4.1. Maria Callas e i suoi cinquantadue direttori d’orchestra ... 403

4.1.1. Callas-Serafin: sodalizio intermittente... 405

4.1.2. I direttori “amici”: Bernstein, Rescigno e Prêtre ... 410

4.1.3. Osservazioni conclusive... 414

4.2. Il realismo astratto dell’arte scenica di Maria Callas... 417

4.2.1. La Diva, la Divina, il Mito... 424

4.2.2. Maria Callas musa di Visconti ... 431

4.2.3. Sacerdotesse, maghe e regine: il realismo astratto di Maria Callas ... 449

5. Come l’araba fenice ... 463

5.1. Tra Pisa, Grado, Aleppo e la Cappadocia per il film di Pasolini (1969) ... 470

5.2. Le lezioni alla Juilliard School di New York... 483

5.3. Una imbarazzante ricomparsa? ... 511

5.4. Il dopo Callas ... 519

5.4.1. Documentari, film e avventure televisive ... 525

5.4.2. La Callas di carta e le carte di Maria Callas ... 532

5.4.3. «Ebben? Ne andrò lontana»: un tema con sette variazioni… per non concludere ... 554

Appendice discografica... 563

1. Registrazioni in studio di opere complete... 563

2. Registrazioni in studio di singole arie... 566

3. Registrazioni dal vivo di opere complete o di concerti (Warner Classics)... 569

4. Elenco delle rappresentazioni e dei concerti di cui rimangono registrazioni dal vivo ... 571

Riferimenti bibliografici ... 581

1. Dizionari, enciclopedie, storie della musica e del teatro, guide discografiche, cronologie teatrali ... 581

2. Monografie specifiche... 582

3. Altri volumi... 587

4. Saggi in rivista, capitoli in volume, articoli e testimonianze ... 592

5. Libri fotografici... 599

6. Cataloghi di mostre e aste ... 600

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Introduzione

Dove cessa la lingua comincia la Musica, ha detto il fantastico Hoffman. E sicuramente la musica è una cosa troppo grande per poterne parlare. Ma si può servirla sempre, invece, e sempre rispettarla con umiltà. Cantare, per me, non è un atto d’orgoglio, ma solo un tentativo d’elevazione verso quei cieli dove tutto è armonia.1

In «Morte e resurrezione del belcanto», capitolo conclusivo di un saggio che, pubblicato per la prima volta all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, è ancora oggi uno strumento fondamentale per la conoscenza e la comprensione della storia della vocalità, Rodolfo Celletti scrive:

Buon canto per quanto riguarda i compositori romantici e belcanto per quanto riguarda i preromantici rinacquero, è noto, non per azione di musicologi, storici dell’opera, critici o direttori d’orchestra, ma per l’avvento di una cantante: Maria Callas. Il sovvertimento di valutazioni storiche, di repertorio, di tecnica, di gusto interpretativo messo in moto dalla Callas è tuttora in atto. Fu una rivoluzione musicologica ancor più che vocale.2

Leonardo Bragaglia, alle pagine 22 e 28 del saggio pubblicato «nel trigesimo della scomparsa della più grande cantante-attrice del secolo ventesimo»,3 cita – nel tentativo di riassumere in una formula le caratteristiche dell’arte di Maria Callas – l’espressione ossimorica «soprano drammatico d’agilità»:

Il 1953 è l’anno dei miracoli. Due interpretazioni che hanno fatto epoca e diametralmente opposte: Lucia di Lammermoor (febbraio) e Medea (maggio). Il culmine del vocalismo virtuosistico applicato alla tragedia della “Sposa di Lammermoor”, e, d’altra parte, l’autentica

1 Trascrizione dal fac-simile del manoscritto originale contenuto nel cofanetto prodotto in soli 1.500 esemplari in

occasione della mostra parigina Maria Callas. Una femme, una voix, un mythe, 27 marzo – 28 giugno 1998, Salle Saint-Jean – Hôtel de Ville de Paris, Paris, Association pour le Promotion des Arts, 1998.

2 RODOLFO CELLETTI, Storia del belcanto, Firenze, La Nuova Italia, 1996, p. 225 (nuova edizione ampliata: la prima

edizione è del 1983).

3 LEONARDO BRAGAGLIA, L’arte dello stupore. «Omaggio a Maria Callas», Roma, Bulzoni, 1977, p. 17. La nuova

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tragedia greca, quella che aveva indicato ai fiorentini la strada per riproporre il “recitar cantando” della tragedia greca, in Medea.

Su questo doppio binario – leggero e tragico, più che drammatico – ella continuerà vittoriosamente fino a fondere mirabilmente tutte le esperienze in quella restaurazione per la quale sarà paragonata solo a Maria Felicita Malibran e a Giuditta Pasta: alla reinvenzione del «soprano drammatico d’agilità».

Ma Medea è veramente una storica tappa e non soltanto nella carriera della cantate: è un punto fermo, il massimo grado di quanto possa l’interpretazione. Alla umana Norma, alla sinistra Lady Macbeth (perversa ma sempre di una umanissima perversione) fa riscontro la disumana Medea. «La sua capacità di trasfigurarsi in Medea – scrisse Confalonieri – sembra quasi un fatto ipnotico, una specie di sortilegio». «Essa è penetrata nel più chiuso recesso del canto di Medea». Confalonieri cita, e non a caso, il nome della Schroeder Devrient, grandissima Medea, ammirata da Wagner. 4

Parlare di «sovvertimento» e «rivoluzione musicologica» (Celletti) o alludere a un «anno dei miracoli» (Bragaglia), che peraltro non fu né il primo né l’unico5 nella breve carriera6 del soprano greco-americano, lascia intuire la statura mitica dell’interprete.7 Scrive infatti Jean-Jacques

4 LEONARDO BRAGAGLIA, L’arte dello stupore…, cit., pp. 27-28.

5 Si veda, per esempio, MICHELE GIRARDI, FRANCO ROSSI, Il Teatro La Fenice. Cronologia degli spettacoli

1938-1993, Venezia, Albrizzi di Marsilio, 1992, pp. 56 e 58. Nella stagione 1948-49, in gennaio, Maria Callas, con la direzione musicale del proprio mentore Tullio Serafin e la regia di Augusto Cardi, interpreta alla Fenice sia La Valkiria di Wagner che I puritani di Bellini, opere che, secondo le tradizioni da lei sovvertite, non si adattano alla vocalità di un’unica interprete. La dichiarazione rilasciata da Maria Callas al «New York Post» il 26 luglio 1957 è riportata in CRISTINA GASTEL CHIARELLI, Maria Callas. Vita immagini parole musica, Venezia, Marsilio, 1981, p. 33: «Nel 1948

aprii la stagione di Firenze con Norma, fui operata all’appendice, dovevo cantare il ruolo di Brunilde nella Valchiria e non mi ero ancora rimessa in salute. Lessi a vista I Puritani e imparai il ruolo in pochi giorni».

6 Tra le varie esistenti, particolarmente accurata è la Cronologia delle interpretazioni contenuta alle pp. 245-257 del

volume di ATTILA CSAMPAI, Callas, Milano, Rizzoli, 1994 (ed. originale: Munich, 1993). Per quanto i saggi in

Conservatorio e le prime recite ateniesi risalgano alla fine degli anni Trenta (il 2 aprile 1939 Maria Callas è Santuzza nella Cavalleria rusticana allestita nel Teatro Olimpia di Atene), la carriera vera e propria ha inizio con La Gioconda del 2 agosto 1947 all’Arena di Verona e si conclude con la Tosca del 5 luglio 1965 al Covent Garden di Londra. I 47 concerti della tournée di commiato (10 aprile 1973 – 11 novembre 1974), di cui esistono documentazioni audio e video, non si possono ascrivere pleno iure alla carriera artistica di Maria Callas, perché la voce è ormai stanca e spezzata, malferma nell’intonazione e poco espressiva. Scrive un anonimo recensore del «Corriere d’Informazione» del 26 ottobre 1973, a proposito di un concerto tenuto ad Amburgo: «La Callas dopo otto anni di silenzio appariva incerta e come intimorita […]. In effetti la Callas, che indossava un lungo abito verde con perle al collo e alle orecchie, ha avuto qua e là qualche esitazione. Alla fine Liz Taylor che si era fatta riservare sette posti in terza fila si è alzata in piedi e si è diretta applaudendo verso la diva» (CRISTINA GASTEL CHIARELLI, Maria Callas…, cit., p. 212). Se si considera che dal

novembre 1959 le apparizioni del soprano cominciano a diradarsi (8 recite soltanto nel 1960, 6 nel 1961, 8 nel 1962, 5 nel 1963, 15 nel 1964 e 18 nel 1965: cfr. ATTILA CSAMPAI, Callas, cit., pp. 254-255) e che anche l’avvio della carriera

italiana non è dei più facili (9 recite soltanto nel 1947: cfr. ivi, p. 246), il percorso artistico davvero significativo di Maria Callas si svolge in meno di tredici anni, manifestandosi i primi segnali di declino già nel 1955 (o addirittura nel 1954). Scrive infatti Rodolfo Celletti (Il Teatro d’opera in disco 1950-1987, Milano, Rizzoli, 19883, p. 995), a proposito

del Rigoletto discografico del ’55, dopo aver precisato che la parte di Gilda necessita di un timbro dolce e pastoso e di abbandoni estatico-elegiaci: «La Callas, accostandosi a un personaggio del genere con una voce e un temperamento grifagni, riuscì a tratti a trovare l’espressione giusta. Ma non era più la Callas della Cetra 1952» (l’incisione Cetra è una ripresa dal vivo, molto fortunosa, di una recita di Rigoletto diretta da Umberto Mugnai a Città del Messico). Sulle «amare gocce dei ricordi» delle sempre più rare apparizioni in pubblico degli anni Sessanta interviene anche ALESSANDRO DURANTI, Il melomane domestico. Maria Callas e altri scritti sull’opera, Vicenza, Ronzani, 2017, p. 48.

7 Al riguardo sono significativi i titoli di alcune pubblicazioni: gli autori francesi amano anteporre al cognome

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Roussel a pagina 19 del saggio introduttivo del suo volume fotografico plurilingue di ampio formato:

Callas, un mito, no… Callas, il mito! Adulata o detestata, Maria Callas non ha mai lasciato chiunque indifferente. Aveva tutto da imparare, l’ha fatto ed è in questo che risiede il suo genio. Maria Callas voleva essere la prima e ha saputo diventarla, dando all’arte lirica una nuova dimensione. Dopo di lei, nessuno sopporterebbe di vedere una prosperosa matrona impersonare Norma, Medea o Violetta, irrigidita in mezzo al palcoscenico, con gesti stereotipati e pose ampollose, anche se avesse la migliore voce del mondo!8

Significativo, nel tentativo di spiegare le ragioni del “mito Callas”, il riferimento alle qualità di attrice prima che di vocalista. E se Giulio Confalonieri rimanda a Wihelmine Schröder-Devrient (1804-1860), lo fa in quanto il soprano di Amburgo fu attrice, figlia d’arte,9 prima che cantante, essendo sua madre la celebre Sophie Schröder (1781-1868), ossia «la più grande attrice tragica del suo tempo».10 Da parte nostra osserveremo che è fin troppo facile collegare la celebrata Violetta Valéry della Callas alla Marguerite Gautier che segnò uno dei culmini nelle interpretazioni di Sarah Bernhardt (1844-1923), la quale aveva «la padronanza delle tecniche della recitazione»11 così come la Callas possedeva perfettamente le tecniche del canto.12 Con la Callas trasfigurata della metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, dimagrita13 ed educata alla scuola di Luchino Visconti,14 la più

Guandalini, a dieci anni dalla scomparsa del soprano: Callas. L’ultima diva. Analisi di un fenomeno, con prefazione di Giorgio Gualerzi (Torino, Edizioni Eda, 1987). Il volume di Nadia Stancioff, sia nell’originale inglese che nella traduzione italiana curata da Ilaria Arcà, usa – assolutizzandolo – il nome di battesimo perché un personaggio mitico non ha bisogno, per essere identificato, del cognome, che verrà pertanto confinato nel sottotitolo: Maria. Ritratto della Callas, Roma, Giulio Perrone Editore, 2007. Maria Callas, tuttavia, pur essendosi tanto adoperata per la costruzione del proprio personaggio, avvertì, fin dalla metà degli anni Cinquanta, il peso della fama e la responsabilità che ne derivava. A carriera pressoché conclusa, il 31 ottobre 1971, la Divina rilasciò a un giornalista del «The New York Times», John Gruen, la dichiarazione riportata come epigrafe iniziale nel volume biografico di Nadia Stancioff: «Non mi piace essere chiamata ‘La Divina’… Io sono Maria Callas. Semplicemente una donna» (p. 7). Infine, la traduzione greca del libro di Nadia Stancioff, pubblicata ad Atene nel 2008 dall’editore Zacharopoulos, riprende il titolo del film Callas forever di Franco Zeffirelli (2002): ΜΑΡΙΑ ΚΑΛΛΑΣ για πάντα (Maria Callas per sempre), definitiva conferma che di un mito si

tratta.

8 JEAN-JACQUES HANINE-ROUSSEL, Callas unica, New York, Carnot, 2002, p. 19.

9 Cfr. AA.VV., Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti diretto da Alberto Basso. Le

Biografie, Torino, UTET, 1985-1988 (rist. 1994), vol. VII, p. 58 col. 2.

10 OSCAR G. BROCKETT, Storia del teatro, a cura di Claudio Vicentini, Venezia, Marsilio, 201413, p. 403.

11 Ivi, p. 451.

12 Cfr. RODOLFO CELLETTI, Storia del belcanto, cit., p. 19. Non solo Sarah Bernhardt, ma anche Eleonora Duse,

un’altra Divina (cfr. ANNAMARIA CECCONI, Una Violetta moderna con lo sguardo verso Margherita: Gemma Bellincioni ed Eleonora Duse, in Voci e anime, corpi e scritture. Atti del Convegno internazionale su Eleonora Duse, a cura di Maria Ida Biggi e Paolo Puppa, Roma, Bulzoni, 2009, pp. 481-494: 483), ebbe uno strepitoso successo nella Signora dalle Camelie al Karltheater, come ricordato da LUIGI RASI, La Duse, a cura di Mirella Schino, Roma, Bulzoni,

1986, p. 59.

13 Per gli aneddoti e lo sfruttamento pubblicitario del dimagrimento della Divina da parte di un marchio di pasta

italiano, con le conseguenti vicende giudiziarie, cfr. DAVID LELAIT-HELO, Maria Callas. Vissi d’arte, vissi d’amore,

trad. dal francese di Sabrina Favaro, Torino, Lindau 2009, p. 145 (ed. orig. Maria Callas, Paris, Payot e Rivages, 1997), oppure G. BATTISTA MENEGHINI, Maria Callas mia moglie, a cura di Renzo Allegri, Milano, Rusconi, 1981, p. 206.

14 Tra Maria Callas e Luchino Visconti intercorse un rapporto professionale oltre che di stima e di affetto, come ben

chiarito in GIANDONATO CRICO, Maria Callas, Roma, Gremese, 2000, pp. 27-36. Scrive HENRY BACON, Visconti.

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famosa diva francese del tardo Ottocento condivideva la «figura sottile», «gli occhi neri», «la sottigliezza dei ritratti psicologici», ma soprattutto «la personalità magnetica».15 Le qualità ricordate resero la Bernhardt «l’immagine immortale della grande attrice»; le stesse qualità, congiunte a una vocalità molto particolare,16 resero Maria Callas l’icona della suprema cantante-attrice.

Nella nostra ricerca cercheremo di collocare nella corretta prospettiva storico-critica un itinerario artistico sicuramente eccezionale ma che, per essere valutato nelle proprie specificità più innovative, domanda una ricognizione relativa ai repertori e alle convenzioni esecutive italiane nella prima metà del Ventesimo secolo: in quell’orizzonte di attesa, all’indomani della seconda guerra mondiale, Maria Callas rivelò l’originalità del proprio talento. Tale studio sarà tuttavia rimandato al secondo capitolo del nostro lavoro.

Nel primo capitolo saranno invece indagati gli anni della prima formazione: ricostruire le relazioni della giovane Callas con ambienti sociali piuttosto degradati – il quartiere newyorkese di Astoria o le vie ateniesi nei pressi della malfamata piazza Omónia – aiuterà a valutare quanto il genio di Maria Callas debba alla personale tenacia e quanto alla formazione accademica, nel periodo ateniese. Si cercherà poi, nel terzo capitolo, di individuare le ragioni che condussero l’esordiente soprano a scelte di repertorio particolarmente interessanti e connotate anche nella riscoperta dell’antico (Gluck) o del desueto (Spontini, Cherubini, il Rossini serio di Armida e quello buffo del Turco in Italia, il Donizetti di Anna Bolena e Poliuto, il Bellini del Pirata). Talvolta lo studio comparato di esecuzioni dello stesso ruolo concertate e dirette da maestri differenti aiuterà non solo a distinguere l’apporto specifico dell’interprete rispetto alla ricezione di suggestioni

Sul tema si possono consultare le dichiarazioni di Visconti stesso riportate alle pp. 47-48 della rivista «Musicalia», a. I

(1992), n. 4 e i capitoli XIV e XV di GIOVANNI BATTISTA MENEGHINI, Maria Callas mia moglie, cit., pp. 170-195,

mentre il cap. XVI (pp. 196-205) del medesimo volume biografico tratta del primo incontro tra Maria Callas e Franco

Zeffirelli. Tuttavia le memorie di Giovanni Battista Meneghini, pubblicate a cura di Renzo Allegri, risultano fonte non del tutto esatta. Lo stesso Allegri, successivamente, nel volume intitolato La vera storia di Maria Callas (Milano, Mondadori, 1991), ripercorre la vicenda biografica del celebre soprano rivelando gli aspetti meno nobili della personalità di Meneghini. Le sezioni più interessanti dei due libri citati sono quelle che contengono la trascrizione delle lettere e dei biglietti inviati dalla cantante al marito: Maria Callas parla talvolta della propria e dell’altrui arte, formulando giudizi non di rado sagaci. Renzo Allegri intuisce l’importanza degli scritti del soprano (si vedano, per esempio, le lettere riportate alle pp. 64-65 o 76-77, oppure il biglietto di p. 81, che contiene inconsce reminiscenze librettistiche, e la lettera spedita da Udine di p. 89, ritratto di un’antidiva attenta ai dettagli più minuti, che riferisce il menù e commenta il conto pagato al ristorante) e raccoglie tutti i materiali in proprio possesso in un ulteriore volume mondadoriano (Maria Callas. Lettere d’amore, Milano, 2008), la lettura del quale richiama alla memoria, ma senza poterla equiparare, la scrittura emotiva e teatrale delle missive che Eleonora Duse indirizzava alla propria figlia. Se la relazione di Eleonora con Henriette «risulta complessa, stravagante, eccentrica», cosicché «i ruoli tendono inevitabilmente a scambiarsi» (MARIA IDA BIGGI, a cura di, Ma Pupa, Henriette. Le lettere di Eleonora Duse alla figlia

Enrichetta Bullough, Venezia, Marsilio, 2010, p. 303), lo stesso accade anche nel rapporto di Maria con Giovanni Battista, più padre che compagno e, in seguito, più manager che marito. Gli scritti, le interviste e i pensieri della Callas sono stati pubblicati anche a Roma dall’Editoriale Pantheon, nel 2008.

15 Per tutte e cinque le citazioni: OSCAR G. BROCKETT, Storia del teatro, cit., p. 451.

16 Scrive Rodolfo Celletti, recensendo La traviata incisa dalla Callas per la Cetra italiana nel 1952: «La sublime

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proposte da altri, ma anche lo svecchiamento – per il repertorio classico e protoromantico – rispetto alla prassi esecutiva impropriamente veristica in voga fino a quegli anni. Nel quarto capitolo, dopo un approfondimento sui cinquantadue “maestri” della Callas, l’analisi della “scenica scienza” porterà a confrontare realizzazioni registiche firmate da alcuni dei grandi maestri, dalla Traviata di Luchino Visconti a quella retrospettiva di Franco Zeffirelli. L’operazione sarà rischiosa, perché, come giustamente osserva Annamaria Cecconi, «il contatto tra teatrologia e musicologia dell’opera lirica non è certo tra i più assidui nelle discipline a carattere storico»17 e pertanto, essendo gli studi di drammaturgia comparata (tra teatro recitato e teatro cantato) poco frequenti, occorrerà chiarire che tipo di intertestualità i due codici spettacolari possano condividere e quali comparazioni risultino veramente significative trattando dei diversi ambiti delle arti performative. In altre parole si tratterà di capire se è davvero possibile «dare sostanza sul piano storico e critico a quella definizione, vaga e abusata, di cantante-attore che gli storici del teatro musicale e i critici musicali hanno impiegato in passato e impiegano ancora oggi assai spesso, quando si trovano davanti all’inspiegabile travolgente successo di pubblico di un’artista ritenuta priva di eccelse doti vocali».18 Se non che, pur non presentando i caratteri “edonistici” delle voci liriche comunemente considerate eccelse,19 l’organizzazione vocale di Maria Callas risulta, almeno fino al 1955, eccezionale per vari aspetti (estensione, volume, intonazione, agilità, correttezza del legato, caratteristiche timbriche e perfetta dizione) e pertanto, nel suo caso, il carisma e la credibilità dell’attrice non sostituiscono ma piuttosto integrano le qualità più specificamente musicali: anche di questi aspetti si darà conto, a tempo debito, mentre un apposito paragrafo (il quinto del primo capitolo) si concentrerà sulle caratteristiche dello strumento vocale del soprano greco-americano anche dal punto di vista tecnico, mettendo a profitto le moderne metodiche di indagine.

Il bilancio consuntivo sarà proposto nel quinto capitolo, al quale assegneremo un titolo («Come l’araba fenice») che invita a legare il nome della cantante greca a un’espressione coniata da Luciano di Samosata in riferimento al valore dell’opera storiografica del greco Tucidide, presentata come κτῆμα ἐς ἀεί, ossia «un guadagno destinato a durare per sempre». Una così solenne espressione è stata ripresa – con lieve variazione – e posta quale titolo sia della traduzione in neogreco del libro di Nadia Stancioff pubblicata ad Atene nel 2008 (ΜΑΡΙΑ ΚΑΛΛΑΣ για πάντα), sia

17 ANNAMARIA CECCONI, Una Violetta moderna con lo sguardo verso Margherita…, cit., p. 481 e passim (per le

successive osservazioni). 18 Ivi, pp. 483-484.

19 Cfr. DUILIO COURIR, Oltre la leggenda, in «Amadeus DVD», a. I (2006), n. 3, p. 8: tra le supreme cantanti del secolo

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del film Callas forever con il quale, nel 2002, Franco Zeffirelli volle offrire un tardivo omaggio di pura invenzione all’amica di un tempo. Prima della conclusione, tuttavia, metteremo a frutto le suggestioni e la metodologia di indagine di una disciplina di recente formazione, ossia la Critica musicoletteraria. Si tratterà di svolgere un’indagine inter artes, analizzando le caratteristiche di dipinti e testi letterari (romanzi, racconti e poesie) e teatrali più o meno liberamente ricavati – tanto gli uni quanto gli altri – dalla biografia, oppure ispirati dai tratti più affascinanti e misteriosi della personalità e delle interpretazioni della grande artista grecoamericana. L’interesse di tale indagine è stato intuito, in prossimità del quarantennale della morte, da Paolo Puppa, autore di un breve saggio contenuto nel volume miscellaneo Mille e una Callas curato da Luca Aversano e Jacopo Pellegrini,20 ma in larga misura la ricerca è ancora da svolgere. Senza la pretesa di esaurirla, nella seconda parte del quinto capitolo cercheremo di abbozzarla nelle sue coordinate fondamentali.

Tornando al secondo capitolo del nostro studio, anticipiamo che, per rendere perspicuo il quadro su repertorio, convenzioni, riscoperte e novità nel teatro operistico italiano del primo Novecento, all’interno del quale avviene la «rivoluzione musicologica»21 di Maria Callas, converrà anche recuperare, in rapida sintesi, almeno le coordinate generali relative al sistema produttivo, alla diffusione e all’organizzazione delle stagioni d’opera in Italia, paese nel quale il soprano greco-americano giunse alla fama, scegliendo come repertorio di elezione proprio il nostro melodramma: le escursioni in ambito francese riguardarono singole arie22 e un solo ruolo completo, mai eseguito a teatro;23 Wagner – cantato tra l’altro in traduzione ritmica italiana24 – venne subito abbandonato;

20 Cfr. PAOLO PUPPA, Una voce di carta, in LUCA AVERSANO, JACOPO PELLEGRINI, a cura di, Mille e una Callas. Voci

e studi, Macerata, Quodlibet, 2016, pp. 423-439.

21 Per l’espressione di Rodolfo Celletti cfr. ID., Storia del belcanto, cit., p. 225.

22 Si veda, per esempio, nell’Appendice discografica, il contenuto dei recital EMI del 1961 e del 1963.

23 Secondo ALESSANDRO DURANTI, Il melomane domestico…, cit., p. 47, Maria Callas consegnò soltanto al disco il

ruolo di Carmen «che in teatro non volle mai cantare anche avendone una gran voglia, per non dover mostrare le caviglione, l’unica parte del corpo che non riuscì mai ad assottigliare». Commenta sempre Duranti, a p. 49: «Quanto a Carmen, volle inciderla completa nel 1964, con personalità sempre fosforica: la sua Carmen era una seduttrice tutta di testa, fredda e perversa, il sesso nudo e crudo (quello animalesco, niccianamente africano, di Leontyne Price insomma) non c’entrava niente, era tutta una questione di psiche. Una vendetta contro troppi che l’avevano sedotta e abbandonata? Nessun’altra cantante, magari tanto più fastosa vocalmente, è forse stata una Carmen tanto ‘personaggio’: magari distorto, magari sbagliato (una Carmen frigida, si scrisse, ovvero un controsenso), ma dalla coerenza spietata e dalla parola che incide a fuoco da parte di una diva al tramonto della voce, ma non certo del suo genio drammatico».

24 Rimandando al terzo capitolo l’analisi approfondita dei ruoli wagneriani interpretati in Italia nei primi anni di

carriera, basti qui riportare l’acuta osservazione di Duranti (ivi, pp. 21-22), secondo il quale nel ’49 oltre a Casta diva Maria Callas incise la morte di Isotta «a testimonianza di un bivio di fronte al quale evidentemente sostava perplessa […]. Avrebbe potuto essere anche Maria Kallas, ovvero la più grande di tutte nel repertorio tedesco invece che in quello romantico italiano. Per qualche anno fu infatti ancora Brunilde ed Elvira, Isotta e Norma, Kundry e Medea. Se poi si risale indietro, agli anni dell’apprendistato ateniese, la via tedesca sembrava la sua più naturale: nel suo paese d’origine la signorina Kalos […] aveva cantato Fidelio e Tiefland, oltre a Suppé e Millöcker (Bettelstudent)». Sul Wagner di Maria Callas interviene anche RODOLFO CELLETTI, La grana della voce. Opere, direttori, cantanti, Milano,

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Weber,25 Mozart26 e Beethoven27 furono raramente assaggiati, preferibilmente in sala di incisione. Inoltre, come acutamente osserva Alessandro Duranti, Maria Callas ci risparmiò «perfino quando le sue forze cominciarono a declinare28 […] la tristezza di sentirla cantare Mamma o, alla Scala, la

25 Commenta Duranti, a proposito del concerto londinese del 27 febbraio 1962: «Colpisce l’aria di Rezia dall’Oberon, uno dei sesti gradi più impervi che un soprano possa scalare. Con questa stessa aria la giovane Callas si era presentata tanti (magari non tantissimi) anni prima alla maestra Elvira De Hidalgo, come per farle capire di che pasta era fatta… La canta in inglese (cioè in lingua originale), con veemenza e superba sicurezza» (Il melomane domestico…, cit., p. 49). L’aria fu anche incisa per la EMI, nel corso delle sedute di registrazione che si succedettero a Londra tra il luglio 1960 e l’aprile 1962: la Philharmonia Orchestra era diretta da Antonino Tonini. Il periodo era critico: Maria Callas non era soddisfatta né della tenuta né dell’omogeneità del suono, per cui solo nel dicembre 1963 si giunse, passando la bacchetta a Nicola Rescigno, all’incisione ufficiale approvata dalla cantante (tuttavia, un paio di note rimangono «sour», acide, come dice John Ardoin). Rispetto ai tentativi dei primi anni sessanta, nel ‘63 Maria Callas caratterizzò al meglio lo stile declamatorio di questa impegnativa pagina scritta da Weber in inglese, originariamente, e formata da una serie di ariosi collegati da recitativi che vengono da lei affrontati in modo eroico, quasi wagneriano (cfr. JOHN ARDOIN,

The Callas Legacy. The Complete Guide to Her Recordings on Compact Disc, Portland/Oregon, Amadeus Press, 19954,

pp. 164-167 e, per l’analisi dell’incisione del 1963, p. 176).

26 L’unico ruolo mozartiano integralmente interpretato alla Scala è quello di Costanza nel Ratto dal serraglio (aprile

1952). Del Don Giovanni vengono consegnate al disco tre arie: «Mi tradì», «Non mi dir», «Or sai che l’onore» (EMI

1963). Di «Non mi dir» esiste anche una duplice prova di registrazione che risale al 1953: non fu all’epoca pubblicata e rimase nei nastri con la voce dell’ingegnere del suono che dà, in apertura, le indicazioni tecniche. Nel 1953 la cantante disponeva della totalità dei propri mezzi espressivi: le due versioni del medesimo pezzo sono utili per comprendere come in pochi minuti, nel corso di un’unica seduta di registrazione, la cantante fosse in grado di mettere a segno raffinati dettagli interpretativi. Questi preziosi documenti sono stati pubblicati nella raccolta del cofanetto Complete Studio Recordings 1949-69 della EMI (69 CD, più un CD-rom contenente tutti i libretti). Delle Nozze di Figaro rimane

solo «Porgi amor» nella registrazione EMI 1963 che, giustamente, John Ardoin considera soltanto un abbozzo (l’aggettivo «sketchy» indica infatti qualcosa di sommario, vago o impreciso: cfr. The Callas Legacy…, cit., p. 176), ma non tanto per ragioni di declino vocale, quanto piuttosto perché la cantante era poco propensa a identificarsi con coloro che riflettono sulle offese subite, anziché dare libero sfogo al proprio furore. Inoltre «Callas sensed the contradiction here between the gentle nature of the music and the Countess’ loss» (ibidem), ragione per la quale, contrariamente al solito, interpreta senza convinzione e in modo piuttosto inerte un’aria che sembra non appartenerle.

27 «È in commercio una registrazione amatoriale di una prova, una seduta di allenamento vocale […] effettuata al

teatro degli Champs-Elysées il 3 marzo 1976, quando anche il triste capitolo della rentrée con Di Stefano si era consumato, ma non la patetica speranza in un incipit vita nova. La Callas, accompagnata dal piano di Jeffey Tate, prova il beethoveniano ‘Ah! perfido’, ma la registrazione si interrompe su una frase agghiacciante e ormai profetica a tempi ravvicinati: “Io d’affanno morirò”» (ALESSANDRO DURANTI, Il melomane domestico…, cit., pp. 51-52). L’incisione EMI

del 1963 conferma l’indole filologica di Maria Callas, che segue accuratamente le sette indicazioni di agogica previste da Beethoven per la prima parte del recitativo. Molto belli i suoni della cantilena «Per pietà, non dirmi addio»: i fiati sono ben controllati, fluide le duine ascendenti sulle quali vengono intonate le parole «d’affanno morirò». Notevole e solo apparentemente scontata l’idea di accentuare la prima sillaba di «morirò»: il successivo diminuendo è la perfetta traduzione fonosimbolica del senso del testo. In quest’aria, che è quasi il riverbero musicale dell’odi et amo di catulliana memoria, Maria Callas, anche negli anni dell’irreversibile declino, esprime pienamente i due sentimenti contrastanti e, successivamente, comunica alla perfezione l’idea del venir meno di un cuore stanco (John Ardoin a p. 176 di The Callas Legacy, cit., parla di «a sense of ebbing life, of a fainting heart» e commenta: «It was always there, implanted by Beethoven; Callas uncovered it»). Ciò che rende preziose le interpretazioni di Maria Callas è probabilmente, come sottolinea Ardoin (il suo più devoto, ammirato ma anche severo esegeta) la capacità di illuminare dettagli da sempre contenuti nella partitura, ma mai evidenziati da altri, prima che la sua istintiva musicalità li facesse apparire ovvi e naturali.

28 Maria Callas nasce nel 1923; se i primi segnali di cedimento della voce si ravvisano a partire dal 1954-1955 (cfr.

RODOLFO CELLETTI, Il Teatro d’opera in disco, cit., p. 997) saremmo tentati di parlare di declino precoce. In realtà spesso le voci complesse sono anche fragili. Giuseppina Strepponi, seconda moglie di Giuseppe Verdi, concluse la propria carriera a trentun anni di età (nel 1846), ma gravi segnali di declino vennero rilevati già a partire dal 1844 (cfr. GAIA SERVADIO, Traviata. Vita di Giuseppina Strepponi, Milano, Rizzoli, 1994, passim). Dell’ormai avanzato e

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‘bela madunina’[…] e basterebbe questo ad avviare una pratica di beatificazione».29 A proposito di un concerto a Dallas, a fine novembre 1957, sempre Duranti scrive: «Il programma era il più oneroso che potesse concepire una diva che nei suoi recital non inflisse mai agli ascoltatori una patacca di Parisotti o, peggio, un canto delle terre natali (quelli greci devono essere anche più terrificanti delle canzoni maori della Te Kanawa): grande scena di Violetta dal primo atto, pazzia di Elvira, finale di Anna Bolena, aria di sortita di Lady Macbeth, di nuovo le torture di Costanza […]. Tutto prodigioso».30

Concludendo l’introduzione, osserveremo che, per Massimo Mila, a «fare gli Italiani»31 avevano cominciato Rossini, Bellini e Donizetti ma, a fronte del giocoso cinismo rossiniano o dell’appassionato eroismo belliniano e donizettiano, l’apporto decisivo per l’edificazione dell’Italiano moderno venne da Giuseppe Verdi. Nel giubileo del 1913, a cento anni dalla nascita del Bussetano, furono dunque inaugurate con l’Aida diretta da Tullio Serafin le stagioni liriche nell’anfiteatro veronese dove, trentaquattro anni più tardi, sarebbe avvenuto, sempre sotto la direzione del maestro di Rottanova di Cavarzere, il debutto italiano di Maria Callas,32 destinata a diventare dal 1951 al 1958 la regina della Scala, della quale il suo nome era profeticamente l’anagramma.33

Il teatro milanese più di ogni altro è legato alla fortuna del musicista-vate dell’Unità d’Italia. Non un compositore, ma la voce di un soprano grecoamericano naturalizzato italiano accompagnerà la ricostruzione dell’Italia postbellica in cerca di sollievo e alimenterà rigurgiti risorgimentali, rivalità, tifoserie e confronti paragonabili a quelli che, nel ciclismo di quegli stessi anni, suscitarono Gino Bartali e Fausto Coppi. L’opera era da tempo l’unico genere teatrale amato in Italia: Maria Callas divenne, negli anni Cinquanta, il simbolo dell’opera italiana.

29 ALESSANDRO DURANTI, Il melomane domestico…, cit., p. 45.

30 Ivi, p. 43. In realtà, l’entusiastica affermazione di Duranti va temperata perché, come chiariremo nel primo capitolo,

almeno in una occasione (proprio durante il concerto d’esordio ad Atene di lunedì 4 luglio 1938, allorché erano in corso le celebrazioni per l’American Independence Day) Maria Callas eseguì, così recita la versione inglese del programma, «Greek and American songs» (cfr. NICHOLAS PETSALIS-DIOMIDIS, The Unknown Callas. The Greek Years, Portland, Oregon, Amadeus Press, 2001, p. 131, dove è riportata copia fotografica della locandina del concerto).

31 Com’è noto, la celebre frase «L’Italia è fatta; adesso bisogna fare gli Italiani» fu pronunciata da Massimo d’Azeglio

come monito affinché non ci si illudesse troppo sulla portata concreta del provvedimento legislativo che dichiarava la nuova nazione ufficialmente costituita e riconosciuta nel novero degli Stati europei. La realtà nazionale infatti si doveva edificare non soltanto attraverso i decreti e le leggi, ma principalmente nelle coscienze degli uomini.

32 Le stagioni operistiche areniane non possono vantare i prestigiosi primati di altri teatri italiani ed esteri, ma per

Verona è ancora oggi motivo di orgoglio avere ospitato il debutto italiano di Maria Callas, come rivela la breve cronistoria degli spettacoli lirici nell’anfiteatro pubblicata in occasione del primo centenario: cfr. GIOVANNI VILLANI, Il potere dell’opera. 1913-2013. Cent’anni di lirica all’Arena di Verona, Verona, Scripta, 2013, pp. 38-40; in appendice, alle pagine 173-176 viene riportato un documento (del quale torneremo a parlare nel secondo capitolo) contenente circostanziate informazioni sui fatti che portarono al debutto italiano della cantante.

33 Osserva JACQUES LORCEY, Maria Callas, Paris, PAC éditions, 1977, p. 41: «Madame Kalogeropoulos [si tratta di

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Forse anche il mistero della sua voce e del precoce declino alimentarono il mito, facendo consumare la Callas nel fuoco di Prometeo. Di questo e dei suoi quattro traumi parla Mario Pasi:

Senza saperlo, ella impersonò – in un ordine temporale del tutto sconvolto – il secolo di Prometeo, ovvero il rapporto fra la ribellione e la punizione. Quando restò sola con la sua ombra, si aggiunse alla schiera degli spiriti segnati dalla alienazione. Si rivelò anche nella modesta sostanza di una donna incapace di difendersi: l’attesa della chiamata della pendola d’argento la colse in un museo di ricordi e in una situazione umana che avrebbe potuto “salvare” solo se avesse avuto la forza di tornare fra la gente comune che si nutre del piccolo quotidiano. La Callas, in realtà, non aveva radici, ed era sempre alla ricerca di una appartenenza. Aveva cominciato male la sua vita: greca, americana di nascita, italiana per matrimonio e perché adottata dalla Scala, si era presentata come il brutto anatroccolo di Andersen che poi sarebbe diventato un cigno maestoso. Aveva conosciuto la povertà e le difficoltà della guerra, ne aveva vissuto l’immoralità: eppure era cresciuta come un’artista, benché non possedesse il dono della bellezza. Primo trauma: la paura di essere una cantante pesante, senza grazia…34

Per ovviare a questo limite e alimentare la fiaba che la vide protagonista, in pochi anni raggiunse vari traguardi. Divenne bella e magra, indossò abiti alla moda, raggiunse una gloria senza eguali e – lei che inconsciamente stava già emulando le grandi dive del passato teatrale prossimo e remoto – divenne nel teatro d’opera l’alter ego dell’attrice cinematografica che, a suo giudizio, impersonava l’eleganza, Audrey Hepburn, la protagonista di Colazione da Tiffany. In questo modo, per Mario Pasi, l’inesausta sete di perfezione portò Maria Callas ad avvicinarsi al trono di Giove:

Poiché credeva davvero nell’arte, e nella sua arte, non scese a compromessi con il destino. E tutto parve andar nel verso giusto, nella combinazione fra un canto sempre più difficile e una mondanità trionfante, finché non fu abbandonata da Aristotele Onassis, il tycoon [il magnate] per il quale aveva lasciato il marito Pigmalione, Giovan Battista Meneghini.

Secondo trauma: Pier Luigi Pizzi […] sostiene che la Callas morì quando Onassis, che non era proprio un animo delicato, si sbarazzò di lei per passare a Jackie Kennedy. In quel momento ella fu sola come i vecchi della canzone di Brel, che vanno dal letto alla finestra, dalla finestra alla poltrona, mentre la pendola d’argento ripete il suo terribile tic-tac. […] Nella Callas si era rotto il meccanismo della vita, e non c’era orologiaio capace di aggiustarlo. Troppo delicati erano gli ingranaggi, troppo forte l’avvoltoio del Dio, troppo insidiose le presenze ombrose che popolavano la sua casa. «La Voce, dov’era la Voce?». Il terzo trauma è, per Pasi, la sequenza degli amori sbagliati. Ma a questo punto è certo che

[…] la Callas aveva sentito la vertigine di tante altezze raggiunte e aveva creduto nella suprema Trasfigurazione. Si era moltiplicata nei suoi personaggi, e in essi aveva fondato una città immaginaria. Quarto trauma: gli abitanti di quella città erano talmente piccoli da sfuggire ai suoi sguardi. Mentre gli esperti si impegnavano a definire la magica estensione

34 MARIO PASI, Si consumò nel fuoco di Prometeo, in «Musica & Arte». Quaderni del Museo Teatrale alla Scala, n. 4

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della sua voce, mentre i critici, nella maggior parte dei casi, si mostravano meno aperti all’emozione di quanto non lo fosse il pubblico, la Callas volava altissima con le sue eroine, con i suoi miti, con le sue disperazioni. Sapeva di musica ed era così artista da potersi permettere, in buona fede, anche le peggiori nequizie. Ma la donna che cenava coi Principi, che possedeva il più grande potere contrattuale possibile, che si riteneva dalla parte del giusto in ogni occasione era spesso una stanca signora con il mal de vivre. […] La Callas era della stirpe dei Senzaterra, non aveva madre ed era stata tradita dai suoi Giasoni. I suoi figli erano le grandi protagoniste delle sue opere e lei, morendo o lasciandosi morire, li portò con sé, ultima Medea, non nel luogo difeso da Caronte ma là dove danzano gli spiriti beati. Di qui, l’eternità.35

Il mito abita al di fuori del tempo ed è pertanto eterno e forse anche lontano; i suoi personaggi non sono come tutti noi: restano per sempre giovani, non conoscono declino progressivo ma, casomai, soltanto la caduta precipitosa di Icaro.36 Se la leggenda di Maria Callas viene alimentata sia dagli aspetti noti che dai tratti meno conosciuti della sua vicenda artistica e biografica, dalla nascita alla morte ante diem, dagli amori infelici alla maternità negata, dai trionfi al precoce ritiro dalle scene, oggi, a quarant’anni dalla morte, si può valutare la sua arte in maniera più serena e oggettiva, senza negare che pure il mito possiede la propria verità.

All’indomani della sua morte ci si accorge che il bilancio più equilibrato era già stato proposto da Leonardo Bragaglia e oggi non serve modificarlo. Basandosi anche sull’autorevole giudizio di altri37 e mettendo a frutto la propria capacità esegetica, anziché confondere la figura di Maria Callas tra le nebbie dell’agiografia, Bragaglia la riconsegnava alla storia, scrivendo: «Ora i lanci di fiori, le grida rauche dei suoi fans, i litigi pro e contro sono finiti; finite le code interminabili ai botteghini, finiti i trionfi passeggeri di una sera: la Callas dopo essere entrata nel mito, nella leggenda, è entrata nella storia della Musica».

35 Neppure sulla «magica estensione della sua voce» c’è un accordo perfetto e si continuerà a dibattere, così come si

continuerà a discutere sulla data di nascita, sugli eventi relativi all’improvviso decesso a Parigi, sulle cause del repentino dimagrimento, sul fantomatico figlio e sui rapporti con Onassis dopo la presunta separazione a causa delle nozze con la vedova Kennedy. Anche le qualità originarie della voce restano un mistero: è o non è lei la bambina che canta in una incisione radiofonica degli anni Trenta? La voce naturale della Callas, al di là del magistero tecnico, era originariamente ampia e potente in basso (come dichiara la sua maestra) oppure in alto (come vorrebbero alcuni esperti, in primis Celletti)? Il mito si alimenta di misteri.

36 Cfr. NICHOLAS GAGE, Fuoco greco, trad. di Gian M. Giughese, Milano, Sperling & Kupfer, 2001, p. 279.

37 Cfr. LEONARDO BRAGAGLIA, L’arte dello stupore…, cit., p. 55 (anche per il passo riportato in seguito). Vengono

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1. Alle origini del Mito

Nelle nostre storie della musica deve esserci un errore cronologico: sicuramente Puccini conosceva Maria Callas quando ha scritto la Tosca. È lei! Non soltanto Floria Tosca si addice talmente alla sua voce

che riuscirà a cantarla anche quando non ne avrà più, ma il carattere ardente, irrazionale, appassionato e più che femminile dell’una si confonde con l’identico carattere dell’altra.1

L’indagine sugli anni in cui Maria Callas apprese l’arte del canto aiuta a capire quali elementi, in parte reali e in parte fantastici, alimentino, oggi come ieri, la mitologia che la riguarda.

Tra le biografie del soprano grecoamericano particolarmente analitica, documentata e circoscritta agli anni greci, costruita in maniera scientifica e non puramente divulgativa, è quella firmata da Nikos Petsalis-Diomidis,2 purtroppo mai tradotta in italiano, ma disponibile nella versione francese curata da Anne-Fleur Clément e da Jeanne Roques-Tesson3 e nell’edizione inglese, tradotta dall’autore stesso che si firma, in questo caso, per esteso Nicholas Petsalis-Diomidis.4 L’edizione greca originale è un volume di 994 pagine che, terminata la ricostruzione biografica, in una serie di Appendici,5 dà conto del repertorio e della cronologia delle interpretazioni di Maria Callas negli anni “greci” 1938-1945 e traccia in seguito una rapida ma utile storia delle rappresentazioni operistiche in Grecia dal 1837 al 1939, facendo comprendere in quale contesto culturale si collochi Maria Callas nella propria terra di origine. Lo studio si conclude con un ricco apparato di note che cita tutte le fonti, sia orali che scritte, compulsate dall’autore. Seguono gli indici analitici. Alla scelta metodologica di Petsalis-Diomidis deve molto la stesura del secondo capitolo della nostra ricerca, che si propone di individuare l’esatta posizione di Maria Callas all’interno del panorama musicale italiano all’indomani del secondo conflitto mondiale. L’edizione francese della biografia di riferimento relativa a questa sezione della nostra indagine

1 ERIC-EMMANUEL SCHMITT, La rivale. Un racconto su Maria Callas, trad. it. di Alberto Bracci Testasecca, Roma,

Edizioni e/o, p. 74.

2 NIKOS PETSALIS-DIOMIDIS, Η άγνωστη Καλλας [«Callas sconosciuta»], Atene, Edizioni Kastanioti, 1998.

3 NICOLAS PETSALIS-DIOMIDIS, La Callas inconnue, traduit du grec par Anne-Fleur Clément et Jeanne

Roques-Tesson, s.l. [Mesnil-sur-L’Estrée], Plon, 2002.

4 NICOLAS PETSALIS-DIOMIDIS, The Unknown Callas. The Greek Years, Portland, Oregon, Amadeus Press, 2001.

Nicholas Petsalis-Diomidis, terminati gli studi di giurisprudenza ad Atene, si è laureato in Storia alla London School of Economics e al Birkbeck College.

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elimina l’appendice relativa alla storia del teatro d’opera tra Otto e Novecento in Grecia e anticipa le note al testo rispetto alla cronologia relativa a Prestations et Répertoire. Invariato, nella sostanza, l’apparato iconografico. Semplificate sia le appendici che l’iconografia nell’edizione inglese.

La ricostruzione biografica da noi proposta terrà conto, per gli anni greci, sia del saggio citato che del volume di ampio formato curato da Bruno Tosi per l’Associazione Culturale Maria Callas,6 che ha il pregio di contenere, accanto a varie testimonianze (non prive di inesattezze),7 l’unica autobiografia del soprano grecoamericano, ossia «il memoriale che illustra la prima parte della vita di Maria Callas e termina, più o meno, alla vigilia della storica crociera della cantante sul panfilo di Onassis».8 Dettate ad Anita Pensotti e da lei revisionate sotto il profilo linguistico e formale, queste pagine furono pubblicate a puntate nel settimanale di ampia divulgazione «Oggi» nel 1957 e conservano la versione ufficiale di vari capitoli della vita della cantante.9 Va da sé che queste memorie sono condizionate dall’intento apologetico programmatico10 e dalle inesattezze tipiche

6 BRUNO TOSI, Giovane Callas, Associazione culturale “Maria Callas”, Padova, Industria Grafica Chinchio, 1997. 7 Imprecisioni, errori, informazioni contrastanti e omissioni rendono ancora oggi inestricabili le questioni sollevate da

vari capitoli della biografia di Maria Callas, dai primi agli ultimi anni della sua vita. Purtroppo la bibliografia disponibile è vasta, ma disomogenea, sia sul piano dell’attendibilità che del rigore scientifico, spesso destinata alla divulgazione e non all’accurato esame critico dei fatti. Il libro di Renzo Allegri, per esempio, enfaticamente intitolato La vera storia di Maria Callas (Milano, Mondadori, 1991) non dedica nessuna delle sue 271 pagine alla ricognizione o alla citazione delle fonti disponibili e utilizzate. Spesso l’autore – giornalista e non musicologo di professione, estraneo ai metodi della ricerca scientifica, ancorché pluripremiato – riporta materiali da lui consultati come fonti primarie ma, se si confrontano le trascrizioni da lui curate con le fotografie degli stessi materiali riportate in altre fonti, si nota che Allegri interviene (senza dichiararlo) e corregge, allontanandosi dall’edizione diplomatica del testo. Ancora, l’autore che dedica le pagine da 31 a 42 del libro in esame agli anni dei quali si occupa questa sezione del nostro studio, fa riferimento a una intervista che Elvira De Hidalgo avrebbe rilasciato a lui medesimo: verità (ma allora perché di tale intervista non si forniscono le coordinate cronologiche?) o comodo espediente per poter utilizzare fonti secondarie (l’intervista non aggiunge infatti nulla a ciò che già sappiamo da altre pubblicazioni più accurate sotto il profilo metodologico) interpolandole a piacere? Il libro di Allegri esce nel 1991, Elvira de Hidalgo, morta a Milano il 21 gennaio 1980, può avergli concesso una intervista, anche se, come testimonia chi ebbe modo di conoscerla da vicino, «da quella signora che era, non parlava mai della sua celeberrima allieva» (RODOLFO CELLETTI, La grana della voce.

Opere, direttori e cantanti, Milano, Baldini&Castoldi, 2000, p. 299). Quando il libro di Allegri fu pubblicato, De Hidalgo non poté confermare né correggere eventuali alterazioni del contenuto originario dell’intervista. Anche Meneghini, il marito veronese della Callas, non poté più contestare quello che l’autore gli attribuisce, cambiando magari versione rispetto a quella contenuta nel volume Maria Callas mia moglie edito, a Milano, da Rusconi nel settembre 1981. Di quest’ultimo libro, pubblicato postumo ma firmato da G. B. Meneghini (morto intanto a Desenzano del Garda il 21 gennaio di quello stesso anno), Renzo Allegri si assunse all’epoca la curatela. Qualcosa non liquet, ma occorre prudenza. La nostra scelta metodologica sarà la seguente: delle pubblicazioni di Renzo Allegri (alle due già citate se ne aggiungeranno altrettante, in modo da formare una tetralogia: Maria Callas. Lettere d’amore, Milano, Mondadori, 2008; RENZO e ROBERTO ALLEGRI, Callas by Callas, Milano, Mondadori, 1997) e di altre consimili si terrà conto solo per le trascrizioni di documenti non pubblicati altrove ed eventualmente si darà credito solo alle affermazioni suffragate anche da altri, più attendibili studi.

8 ANITA PENSOTTI, Maria Callas, in BRUNO TOSI, Giovane Callas, cit., pp. 27-39: 31, col. 1.

9 Cfr. MARIA CALLAS, I miei primi trent’anni, in BRUNO TOSI, Giovane Callas, cit., pp. 41-106 (con ampi inserti

fotografici).

10 «Detesto parlare di me stessa […] lasciando sempre parlare gli altri liberamente sul mio conto, convinta di avere a

che fare con gente intelligente, buona e generosa. Purtroppo, però, a furia di lasciar parlare gli altri, mi trovo ad essere al centro di innumerevoli pettegolezzi che stanno facendo il giro del mondo. Ed è proprio per correggere tante inesattezze che mi decido ora, benché con riluttanza, a chiarire i punti più importanti della mia vita privata e della mia carriera di artista. Questo racconto – dunque – non ha alcuna pretesa e tanto meno – Dio me ne guardi – alcuna intenzione polemica. Questo racconto chiede di essere seguito con lo stesso animo con cui l’ho dettato»: MARIA

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della tradizione orale, a maggior ragione se la psicologia di chi narra è tendenzialmente manichea11 e così complessa da avere una «innata e straordinaria capacità di sdoppiarsi senza nemmeno averne coscienza».12 Per la carriera italiana e internazionale le fonti disponibili sono numerose ma di attendibilità e valore discontinui. Tra quelle che risultano imprescindibili anche per l’indagine relativa agli anni della formazione di Maria Callas dobbiamo citare il Dizionario critico-biografico dei cantanti,13 il documentato saggio di Henry Wisneski, utile ai fini del superamento della visione agiografica,14 e le monografie di Michael Scott,15 Leonardo Bragaglia16 e Gina Guandalini.17

A dieci anni dalla morte – stando alle ricerche di quest’ultima – erano già ventinove, in otto lingue, i libri dedicati a Maria Callas, oltre al catalogo di una mostra, a tre numeri speciali di periodici e a centinaia di articoli:

In questo fiume (di inchiostro) molto è il fango e scarse sono le pagliuzze d’oro: la sbavante agiografia, la santificazione acritica, o al contrario il pettegolezzo velenoso, la mitomania di segno opposto ne compongono la maggior parte. Morta la “divina”, si è sentita la necessità di rinnegare il mito dell’arpìa egocentrica e bizzosa per dichiarare che in realtà la Callas era un agnello, una donna dolcissima. Non è venuto in mente che la verità sta nel mezzo; proprio come, dopo la fine della Monroe, ci si affannò a proclamare che non di oca si era trattato, ma di un’intellettuale nutrita di Joyce e Tennessee Williams.18

A quarant’anni dalla morte, la bibliografia disponibile si è arricchita anche sul piano qualitativo: avremo modo di riferirci, a seconda dei temi trattati, ai contributi di molti; qui basti citare, per ora,

11 Ivi, p. 45, col. 1: «Perfino da bambina non mi piacevano le vie di mezzo: mia madre voleva che diventassi una

cantante e io ero ben felice di assecondarla; ma solo a patto di poter essere un giorno una grande cantante. O tutto o niente: in questo non sono certo cambiata, con il passare degli anni».

12 ANITA PENSOTTI, Maria Callas in BRUNO TOSI, Giovane Callas, cit., p 31, col. 2.

13 Si tratta del Dizionario critico-biografico dei cantanti a cura del Centro-Studi Enciclopedia dello Spettacolo,

condiretto da Francesco Savio ed Elena Povoledo, Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1964: la voce Callas, alle colonne 110-115, è firmata da Rodolfo Celletti.

14 HENRY WISNESKI, Maria Callas. The Art Behind the Legend. With Performance Annals 1947-1974 by Arthur

Germond, London, Robert Hale & Comp., 1975. A tempo debito sarà indicata la bibliografia che integra la fondamentale cronologia della carriera di Maria Callas curata da Arthur Germond per il volume di Wisneski.

15 MICHAEL SCOTT, Maria Meneghini Callas, London, Simon & Schuster, 1991. Per l’autore i tre più grandi cantanti

d’opera del Ventesimo secolo – due uomini e una donna: un basso, un tenore e una donna alla quale appartiene tutta la gamma dei suoni concessi alla voce femminile – sono accumunati dalla stessa iniziale del cognome (Caruso, Chaliapin e Callas, p. 1). Dopo un breve capitolo sugli anni della formazione (pp. 5-30), viene adottato il criterio annalistico: a ciascun anno o biennio della carriera di Maria Callas, dal 1947 al 1959, si dedicano uno, due (per gli anni 1951, 1953, 1956, 1957, 1958) o addirittura tre capitoli (1954, l’akmé) di un saggio che si segnala tra i tanti anche per l’accurata «Chronology of Performances and Recordings» (pp. 250-279) e per la bibliografia (pp. 297-298).

16 LEONARDO BRAGAGLIA, L’arte dello stupore. Omaggio a Maria Callas¸ Roma, Bulzoni, 1977. In questa prima

edizione, la terza parte della monografia, intitolata Documentazioni (pp. 59-81, cui si aggiunge l’appendice iconografica contenente 32 immagini accuratamente selezionate), rinuncia alla pretesa dell’esaustività e si limita alla Cronologia delle principali esecuzioni callasiane (1938-1974).

17 Il volumetto di GINA GUANDALINI, Callas. L’ultima diva, pref. di Giorgio Gualerzi, Torino, Edizioni Eda, 1987 è

prezioso perché offre un’accurata silloge della critica e riproduce articoli e saggi di giornalisti, musicologi e intellettuali sia italiani che stranieri (Teodoro Celli, Fedele D’Amico, Desmond Shawe-Taylor, Guido Pannain, Mario Praz, Ettore Paratore, Emilio Radius, Harold Rosenthal, Piero Treves, Renè Leibowitz ed altri). Riporta inoltre la preziosa intervista rilasciata da Maria Callas a Derek Prouse e pubblicata nella rivista «The Sunday Times» del 19, 27 marzo e 2 aprile 1961 (pp. 148-159).

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la preziosa miscellanea a cura di Luca Aversano e Jacopo Pellegrini, che unisce alle testimonianze studi su questioni particolari e di dettaglio firmati da specialisti dei diversi settori e contiene una bibliografia scelta e ragionata oggi imprescindibile.19

1.1. I natali senza data, il mistero del nome, il fenomeno vocale e i primi modelli

Come ogni mito, in quanto evocazione dell’origine e della struttura primordiale dell’universo, tende a collocarsi al di fuori del tempo, così l’esatta data di nascita di Maria Callas resta avvolta nel mistero e tanti altri aspetti della sua infanzia e formazione sono raccontati in maniere differenti da lei stessa, dalla madre-nemica, dalla sorella e dai vari biografi: 20

Maria Callas nasce nel dicembre del 1923 al Flower Hospital di New York, ora clinica della Quinta Avenue. Ancora incerto resta il giorno esatto della sua nascita, il registro dell’anagrafe porta come data il 3, il suo passaporto il 2, mentre secondo le notizie rilasciate dalla madre la data esatta sarebbe il 4. Maria preferì scegliere come data ufficiale per il suo compleanno quest’ultima sottolineando scherzosamente che essendo il giorno di Santa Barbara, patrona dell’artiglieria, alla sua protezione faceva risalire il proprio spirito di conquista.21

19 LUCA AVERSANO – JACOPO PELLEGRINI, a cura di, Mille e una Callas. Voci e studi, Macerata, Quodlibet Studio,

2016. La ricca bibliografia ragionata è alle pp. 601-615. Al contrario, l’articolo firmato da Daniela De Paolis, La Callas e i libri, «Musicalia», a. I (1992), n. 4, p. 75, si limita alla bibliografia in lingua italiana pubblicata entro il 1992 e la

esamina con criteri a nostro avviso troppo indulgenti.

20 Le incertezze e le testimonianze contrastanti riguardano anche gli anni della maturità. Per esempio, la ricostruzione

del rapporto Callas-Onassis offerta da Gaetano Afeltra – nell’articolo intitolato Una vita tra sofferenza e infelicità, «Musicalia», a. I (1992), n. 4, pp. 41-43 – è in totale contrasto con quanto vari biografi scrivono successivamente e in particolare con la cronologia dei fatti e con la conclusione della vicenda proposte nel volume Greek Fire di Nicholas Gage, tradotto in italiano da Gian M. Giughese e pubblicato da Sperling & Kupfer nel 2001. Un altro esempio riguarda la querelle sul prodigioso dimagrimento che spinse i coniugi Meneghini a denunciare l’azienda di alimenti Pantanella, che aveva come presidente il nipote di papa Pacelli, Pio XII, perché si avvalse del nome della Callas per farsi pubblicità (cfr. GIOVANNI BATTISTA MENEGHINI, Maria Callas mia moglie, a cura di Renzo Allegri, Milano, Rusconi, 1981: alle variazioni di peso, alla dieta e alla passione culinaria della “Divina” sono dedicate le pp. 108-110, inoltre l’intero cap. 17, intitolato Da balena a farfalla, pp. 206-215; sul caso giudiziario e sull’incontro con Pio XII, che, dopo aver parlato

del Parsifal wagneriano interpretato in italiano da Maria Callas, avrebbe auspicato la rapida risoluzione del processo «in modo che il Papa sia lasciato in pace» cfr. p. 223). Il mito, avvalorato da Anita Pensotti (in BRUNO TOSI, Giovane Callas, cit., p. 29, col. 2), vuole che l’artefice del memorabile prodigio sia stato «un voracissimo verme solitario inghiottito, con ferrea determinazione e ammirevole volontà, da Maria in una coppa di champagne». Per avvalorare la propria testimonianza Anita Pensotti aggiunge: «Maria Callas e il commendator Meneghini non ebbero mai nessuna esitazione nel confessarmi la verità. Nei mesi in cui frequentai a Milano la loro casa, in via Buonarroti, nel quartiere residenziale di San Siro, la Callas, dopo la drastica fase dimagrante, seguiva ancora rigorosamente gli ordini dei medici per ciò che riguardava il “mantenimento”» (ibidem). Se non che proprio il marito della cantante smentisce, anzi ribalta la tesi della “tenia”: non fu il parassita diffuso tra persone abituate a mangiare carne cruda a procurare il prodigioso dimagrimento, ma l’espulsione dello stesso e la sua definitiva eliminazione garantita dai farmaci prescritti dal dottor Gerardo De Marco. «In un paio di giorni Maria si liberò […]. Scoprì che qualcosa in lei stava cambiando con una velocità impressionante. […] In una settimana aveva perduto tre chili di peso. Cos’era accaduto? Con l’aiuto del medico arrivammo alla conclusione che quel cambiamento era dovuto alla scomparsa della tenia. Mentre questo parassita nella maggior parte delle persone provoca dimagrimento, in Maria operava l’effetto contrario. Eliminato il parassita, Maria cominciò a dimagrire» (GIOVANNI BATTISTA MENEGHINI, Maria Callas mia moglie, cit., pp. 211-212). Su questo come

su tanti altri aspetti della biografia e dell’arte della cantante non si potrà più fare luce in maniera oggettiva. Ciò che interessa oggi lo studioso è il fatto che una primadonna del canto non considerasse più sufficiente costruire il personaggio in virtù delle capacità vocali, ma avvertisse il bisogno di acquisire le physique du rôle, dimostrando di intendere il teatro musicale come teatro tout court.

21 CRISTINA GASTEL CHIARELLI, Maria Callas. Vita immagini parole musica, Venezia, Marsilio, 1981, p. 9. Cfr. pure,

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Il dubbio sulla data di nascita pare dovuto al fatto che, morto a tre anni il secondogenito Vasily durante un’epidemia di tifo, Evangelia Dimitriadou, che avrebbe preferito un terzo figlio maschio, avendo compreso di aver dato alla luce una bambina, non volle vederla, mentre il marito George Kalogeropoulos non si premurò di registrarla all’anagrafe e, per evitare possibili complicazioni, alterò in seguito la data di nascita (spostandola dal 2 al 4 per giustificare il ritardo).22

Il nome d’arte – in realtà scelto dal padre, in una data imprecisabile compresa tra il dicembre 1923 e il luglio 1928, quindi dopo l’arrivo della famiglia negli Stati Uniti, per il fatto che il cognome originario Kalogeropoulos risultava «imprononçable en Amérique»23 – accorcia anche la lunga serie dei nomi di battesimo: Anna Maria Sofia Cecilia24 Kalogeropoulou. È quest’ultima (con il cognome al genitivo, perché riferito a una donna) la forma corretta del nome greco originario della Callas.25 Ma, come tutti i personaggi mitici, la Callas viene identificata da un nome unico che funge da senhal e che può essere, a seconda delle circostanze, o il cognome accorciato con l’articolo determinativo (la Callas, appunto)26 o l’appellativo “La Divina”27 o, tra i melomani più devoti, “la Maria”,28 utilizzando in maniera assoluta e quasi religiosa il secondo dei suoi nomi di battesimo.

proposito della nascita a New York: «I miti-Callas sono duri a morire. Le guide turistiche greche ancora oggi indicano il villaggio del Peloponneso “in cui è nata la Callas”, mentre il certificato di nascita ha stabilito che è nata il 2 dicembre 1923 a New York». Il villaggio è quello di Meligala dove i Kalogeropoulos abitano dal 1916 (data del matrimonio) al 1923: quando si trasferiscono a New York (sbarcano il 2 agosto 1923), Evangelia è incinta da cinque mesi. Vasily, nato nel ’20, è morto da pochi mesi; la primogenita, Jakinthy, è nata nel giugno 1917 (cfr. CRISTINA GASTEL CHIARELLI, Maria Callas. Vita immagini parole musica, cit., p. 9).

22 «Cuando ella [cioè Maria] llegó al mundo su familia esperaba con entusiasmo que fuera un varón que pudiera

reemplazar de algún modo la trágica pérdida del hijo de tres años que había muerto […]. Así que cuando le dijeron a su madre que se trataba de una niña, ni siquiera quiso verla»: ANA RIERA, Maria Callas, la diva que revolucionó el mundo de la ópera, in EAD., Mujeres que nacieron diferentes, Barcelona, Redbook Ediciones, 2015, pp. 13-28: 15. GINA

GUANDALINI, Maria Callas. Gli anni giovanili, Roma, Curcio Musica, 2007, p. 12, informa che Vasily morì di

meningite l’anno precedente (1922) e che lo stato mentale di Elmina Evangelia Dimitriadou peggiorò fino a rendere insopportabile l’esistenza quotidiana al marito e alla figlia maggiore, Jakinthy (1917-2004).

23 JACQUES LORCEY, Maria Callas, Paris, PAC éditions, 1977, pp. 38 e 41. Ana Riera (Maria Callas, la diva…, cit.,

p.16) indica invece in maniera generica il 1929 come anno a partire dal quale la famiglia Kalogeropoulos adotta il nuovo cognome Callas. In realtà gli impronunciabili cognomi degli emigrati europei – osserva GINA GUANDALINI,

Maria Callas. Gli anni giovanili, cit., pp. 13-14 – venivano abitualmente semplificati dagli impiegati dell’anagrafe americana, che registrarono Maria come Kalos, figlia di George e Litza Demes.

24 Per la successione dei nomi registrati, tre anni dopo la nascita, nell’atto di battesimo, nella chiesa ortodossa di New

York, cfr. CRISTINA GASTEL CHIARELLI, Maria Callas. Vita immagini parole musica, cit., pp. 9-10.

25 Il cognome viene riportato esattamente dal The New Grove Dictionary of Music and Musicians. Second edition edited by Stanley Sadie, executive editor John Tyrrell, vol. IV, Oxford, Oxford University Press, 2001, p. 836 col. 2, mentre tanto Celletti, nel già citato Dizionario critico-biografico dei cantanti, quanto il Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti diretto da Alberto Basso. Le Biografie, volumi II, Torino, UTET, 1985-1988

(rist. 1994), p. 72 col. 1, utilizzano la forma Kalogeropoulos, appropriata per i maschi della famiglia. GINA

GUANDALINI, Callas. L’ultima diva, cit., p. 14 riporta il cognome originario adottando la grafia fonetica «Kaloieropùlu». Ovviamente sono sempre corrette grafia e forma dei nomi greci nelle tre edizioni (greca, inglese e francese) del ponderoso saggio di Niko Petsalis-Diomidis.

26 Significativamente il volume biografico di Claude Dufresne edito da Perrin nel 1990 si intitola La Callas, come

pure si intitola Die Callas la traduzione in tedesco del libro di Arianna Stassinopoulos (Hamburg, Hoffmann und Campe, 1981).

27 Lo stesso epiteto fu utilizzato per Eleonora Duse (cfr., per tutti, ANNAMARIA CECCONI, Una Violetta moderna con

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