Loscrignoscomodo deidiaridiTrentin
A 10 anni dalla scomparsa pubblicate le pagine che hanno accompagnato i sei anni da leader Cgil
C
ome aprire unoscrigno: prezioso, quanto scomodo.
E’ questa la pri- ma sensazione che si pro- va leggendo le oltre cin- quecento pagine dei diari di Bruno Trentin, recente- mente pubblicate da Ediesse, a dieci anni dalla scomparsa del grande in- tellettuale ed ex segreta- rio Cgil.
Uno scrigno ricco anche di momenti intimi e sem- plici, come quando il sin- dacalista si accorge delle piante germogliate nel suo ritiro di Amelia, in cui racconta della fuga dal temporale che sorprende lui e Marie (la moglie Mar- celle Padovani) in Corsi- ca, in cui sospende le sue, spesso amare, riflessioni sulla politica e sul sindaca- to o magari sulla natura del marxismo, per raccon- tare di una puntata fuga- ce a Sperlonga. Senza di- menticare, ovviamente, le innumerevoli arrampi- cate in montagna, parten- do dalla base di San Candi- do, che sarà anche il luo- go della sua rovinosa ca- duta in bicicletta che ne determinerà la lunga ago- nia e poi la morte.
La pubblicazione dei Dia- ri, curata con grande meti- colosità e passione da Igi- no Ariemma, racchiude, integralmente e senza ta- gli, le ruvide e affascinanti pagine che accompagna- no Trentin durante la gui- da della Cgil, come segre- tario generale, durante sei anni decisivi e turbino- si sul piano nazionale ed internazionale: dal 1988 al 1994.
Si tratta solo di una parte dei manoscritti conserva- ti, che vanno dal 1977 all’agosto del 2006 (il mo- mento dell’incidente), con l’esclusione del perio- do 1999-2001, poiché il quaderno che conteneva gli scritti di questi due an- ni fu rubato a Trentin mentre era in viaggio a Pa- rigi.
Il periodo pubblicato ac- compagna gli anni della caduta del comunismo nei paesi dell’Est e, conse- guentemente, del crollo e della frantumazione del Pci e della fine, tormenta- ta, viscosa, illusoria, della nostra Prima Repubblica.
Marcelle Marie Padovanì tratteggia, nella sua bre- ve introduzione al testo, gli “anni più difficili” del marito, l’acuta solitudi-
ne, accompagnata da tre crisi: politica (all’interno e all’esterno del sindaca- to) esistenziale (con de- pressioni ricorrenti), di coppia (poi risolta positi- vamente).
Ma nei diari, come scrive Padovanì, c’è anche, in un contrasto deflagrante e affascinante, la gioia di vivere, l’esistere nell’ar - rampicare, un amore sconfinato per la lettura (e, a giudicare dalla mole dei diari, anche per la scrittura) di questo “inte - llettuale sindacalista”, come lo definisce Ariem- ma.
Nelle pagine di Trentin ci sono i momenti topici del- la “concertazione” e i tormentati accordi del lu- glio del 1992 e del 1993, ci sono viaggi di lavoro e di vita, alcuni poetici e pro- fondissimi, come quelli in Messico ed in Sud Africa, e ci sono domande molto attuali, come quelle scrit- te a se stesso nel settem- bre del 1990: “Quale partecipazione? Quali rap- porti fra la democrazia economica e l’umanizza - zione del lavoro? Quale politica dei redditi: con la centralizzazione e la mo- netizzazione della contrat- tazione collettiva o con una politica fiscale mano- vrata? Quale contrattazio- ne collettiva: su quale con- tenuti e dove? Quale il
rapporto tra la difesa e la promozione del godimen- to dei diritti individuali e la contrattazione colletti- va? Quale periodicità del- la contrattazione naziona- le ? Quale riforma istitu- zionale? E al servizio di quale governo dell’eco - nomia? Quale il posto dell’umanizzazione del la- voro e della riconversione ecologica nella politica economica dello Stato?”
Trentin anticipa e riflette sulle trasformazioni tec- nologiche, le collega, spes- so amaramente, con la perdita di potere dei lavo- ratori rispetto al governo dell’organizzazione del la- voro. Dai temi del lavoro passa spesso alla riflessio- ne sulle diverse nature, di- verse vie del socialismo:
sono le pagine che accom- pagnano, in particolare, il massacro di Piazza Tienan- men, con il suo rifiuto en- demico della via autorita- ria e totalitaria che soffo- ca la libertà e la democra- zia, innanzitutto del lavo- ro, e il domandarsi come agire per far vivere, inve- ce, “la via libertaria del socialismo, del primato della liberazione del lavo- ro come nucleo creativo della democrazia”.
Come già accennato, vi è poi tutto il tema della ri- flessione, amara e tor- mentata, sul sindacato co- me soggetto politico, la
cui pulsione identitaria ri- siede nella concretezza del progetto e del pro- gramma: quel sindacato dei diritti spesso, anche recentemente, non ben compreso e misconosciu- to, con eccessiva leggerez- za e superficialità.
Il complesso delle variega- tissime, a volte davvero sorprendenti letture di Trentin, puntigliosamen- te annotate nel diario, è un tesoro immenso per ri- costruire il suo percorso intellettuale e, si direbbe, etico esistenziale, non so- lo per i saggi, ma anche per le novelle, i romanzi, i racconti, citati spesso in francese.
Uno scrigno da cui attinge- re, anche criticamente, così come, non è mai tem- po perduto ripercorrere il solco di un uomo assolu- tamente unico nel panora- ma politico e sindacale ita- liano ed europeo.
Un’Europa, quella federa- ta e sociale, che Trentin
“ha nel sangue”, che de- sidera costruire concreta- mente (e per questo dedi- ca alle burocrazie euro- pee, anche sindacali, af- fondi durissimi) e che, co- me gran parte dei veri co- struttori dell’Europa, ha maturato dentro di sé, va- licando i confini, pratican- do la Resistenza, inseg- uendo le orme di un gran- de padre: Silvio Trentin.
Gli spunti dei diari sono tantissimi: a partire dalla provocazione, anche per il pensiero di matrice cri- stiana, dei riferimenti, molto profondi, esigenti, riconoscenti, al personali- smo francese.
Sul sindacato ci sono pagi- ne dure e al tempo stesso ancora oggi attuali e inter- roganti, come la sua riso- luta distanza dagli “sc - immiottamenti dei partiti politici”, magari con la promozione di iniziative anche in campo legislati- vo, che possono minare l’autonomia dei soggetti sociali e far rischiare deri- ve corporative.
E’ molto interessante, in tempi come quelli di oggi di disintermediazione ostentata, la sua riflessio- ne su: “nuove regole che contengano nuovi diritti e nuovi doveri” sulla rap- presentatività, sulla de- mocraticità interna, sulle iniziative e il radicamento nella società in rapporto ai corpi intermedi.
Appare tuttora illuminan- te la polemica trentiniana sull’errore sindacale di soffermarsi solo sugli aspetti quantitativi e “sa - larialisti” della contratta- zione collettiva, senza oc- cuparsi sufficientemente della remunerazione del- la flessibilità, della forma- zione permanente (altra sua grande e antica intui-
zione), della professionali- tà, dell’organizzazione del lavoro. Aspetti di quel- la “libertà che viene pri- ma” che è il fulcro del messaggio del Trentin di questi e dei successivi an- ni.
La veemenza delle pagine dei diari è riservata ad un sindacato (a partire dalla Cgil) e ad una politica (a partire dal PCI) che man- tengono senso e valore so- lo se protesi ad un proget- to, pur non ideologico, di società e che, invece, Trentin, all’apice almeno apparente della sua in- fluenza sulla scena italia- na, vede, con grande sof- ferenza e rabbia, troppo spesso limitati alle strate- gie e alle tattiche per l’ac - cesso e la gestione del po- tere per il potere, in una tragica autoreferenziali- tà.
Il sindacalista, nella sua ri- flessione sulla sinistra e sul comunismo, è poi mol- to duro con il moderati- smo falsamente riformi- sta, ma anche con le “litu - rgie del movimenti- smo”, in particolare di quelle che predicano la
“liberazione dal lavoro e non nel, attraverso, il lavo- ro”.
Si interroga, a cavallo tra anni ottanta e novanta, sulla “crisi del conflitto di classe” e sul “succe - sso culturale e politico”
della restaurazione libera- le e conservatrice e dise- gna il profilo dei “nuovi diritti” come condizione culturale, conoscitiva, progettuale di un necessa- rio cambio di paradigma.
E’ difficile concordare pie- namente con Igino Ariem- ma, quando, in conclusio- ne del suo breve saggio in- troduttivo, ci parla dei dia- ri come di pagine preva- lentemente di speranza.
Quello che traspare, in realtà, è un non contenu- to tormento, una mai sod- disfatta ricerca, un rigore a volte debordante, an- che su se stessi. Sta pro- prio qui la profondità, la preziosità, l’autenticità scomoda di queste pagi- ne: anche i giudizi che ap- paiono a volte livorosi e non sempre giustificati, si inseriscono in questo con- testo: la ricerca di un’au - torealizzazione della per- sona nella società che è percorso mai finito e mai soddisfatto di liberazio- ne. Un percorso, è vero, non privo di temporanei
“disorientamenti d’az - zurro” e che termina, al- meno nei diari pubblicati, con uno sguardo al cielo tra i monti: un tempo che tiene e che, almeno per un momento, ci lascia l’immagine finale di un Trentin: “più sereno, più fiducioso”.
Con questa provvisoria pacatezza, le pagine, solo per ora, si chiudono.
Francesco Lauria
? 4