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DI TERZA MISSIONE DELL'UNIVERSITÀ CON SOGGETTI ESTERNI

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA

Dottorato di ricerca in

LAVORO, SVILUPPO, INNOVAZIONE

Ciclo XXXI

LE ATTIVITÀ COLLABORATIVE

DI TERZA MISSIONE DELL'UNIVERSITÀ CON SOGGETTI ESTERNI

Tre prospettive d’analisi per comprendere come la collaborazione tra università, cittadini e imprese

trasforma il rapporto tra scienza e società

Candidata: ALESSANDRA CATANEO

Relatore (Tutor): Prof. GIANLUCA MARCHI

Eventuale Correlatore (Co-Tutor): Prof. TOMMASO FABBRI Coordinatore del Corso di Dottorato: Prof.ssa TINDARA ADABBO

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*Executive Summary

Conoscenza e innovazione sono considerate nelle società moderne fonti di crescita e benessere. In questo scenario, le università, centri secolari di produzione della conoscenza, sono divenute organizzazioni cruciali: ad esse si chiede un contributo concreto per lo sviluppo economico e sociale dei territori in cui operano. Nell’interazione con i soggetti esterni le università hanno la necessità e talvolta l’urgenza di mettere in campo strategie e strumenti che permettano loro di governare i flussi e gli scambi di conoscenza di cui sono produttrici e depositarie. Solo operando in modo mirato e organizzato le università possono concretamente offrire come istituzioni sociali, un valore aggiunto ai contesti in cui sono presenti, assolvendo in questo modo al loro mandato.

L’obiettivo dei lavori di ricerca presentati è stato quello di indagare due ambiti di terza missione, quello della ricerca collaborativa e quello di recente istituzionalizzazione del public engagement of science, accomunati entrambi da una forte trasversalità e dall’eterogeneità delle pratiche innovative e di trasformazione della conoscenza che si attivano al loro interno. In entrambi questi campi di terza missione, l’interazione tra università e agenti esterni all’accademia assume molteplici possibilità di realizzazione.

I primi due lavori affrontano problematiche concettuali che riguardano la partecipazione pubblica alla scienza e che coinvolgono, nel rapporto con le università, i cittadini in prima persona. Con un focus specifico sull’elemento dell’indeterminatezza della nozione di public engagement of science, la ricerca ha prodotto una definizione più puntuale del concetto che ne è alla base; ha individuato i fattori primari che attualmente rallentano i processi di istituzionalizzazione di questo ambito di interazione scienza – società nelle università e ha contestualmente indicato possibili soluzioni. In una prospettiva strategico-organizzativa e di management, è stato utilizzato il frame analitico della produttività dei servizi, partendo dall’assunto che una migliore produttività dei servizi non solo sia indice di un migliore uso di risorse pubbliche, ma il presupposto di pratiche innovative realmente capaci di attivare processi di sviluppo economico, sociale e culturale.

Nell’ultimo lavoro qualitativo e di tipo descrittivo, l’aspetto della prossimità geografica tra università e soggetti economici, già ampiamente indagato dalla letteratura scientifica U-I, è stato utilizzato come paradigma per verificare la coerenza delle strategie di posizionamento di un’università di medio- piccole dimensioni con la strategia di innovazione del sistema di RIS di cui è parte attiva.

I risultati emersi da ciascuna delle ricerche confermano la necessità per queste istituzioni di operare secondo i principi del management dell’innovazione e di adottare una strategia mirata e integrata all’interno delle specifiche missioni e tra le missioni stesse.

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*Executive Summary

Knowledge and innovation are considered in modern societies sources of growth and well-being. In this scenario, universities, secular centres of knowledge production, have become crucial organizations: they are asked to make a concrete contribution to the economic and social development of the territories in which they operate. In interacting with external parties, universities have the need and sometimes the urgency, to put in place strategies and tools that allow them to govern flows and exchanges of knowledge that they they produce. Only by operating in a targeted and organized way the universities as social institutions can concretely offer an added value to the contexts in which they are present, thus fulfilling their mandate.

The aim of the research work presented is to investigate two areas of the university third mission, the collaborative research field and the public engagement of science field, recently instituted. This sectors are characterized by strong transversally as well as heterogeneity of innovative practices and knowledge transformation. In both these third-mission fields, the interaction between universities and external agents assumes multiple possibilities and realizations.

The first two presented works deal with conceptual issues concerning public participation in science that affects the citizens in the first person. Through a specific focus on the element of the indeterminacy of the notion of public engagement of science, the research has produced a more precise definition of the underlying concept; furthermore it has identified the primary factors that currently slow down the processes of institutionalization of this sphere of science-society interaction in the universities and at the same time it indicated possible solutions. Into a strategical and organizational management perspective, the analytical frame of service productivity has been used.

The starting assumption was that a better productivity of services is not only an indicator of a better use of public resources, but it measures the real possibility to transform innovative practices in economic, social and cultural process development.

In the last qualitative and descriptive study, the aspect of geographical proximity between universities and economic subjects, already widely investigated by the scientific literature U-I, was used as a paradigm to verify the existence of coherence between the positioning strategies of a medium size university and the innovation strategy of the RIS system of which it is an active part.

The research findings confirm the need for modern universities to operate according to innovation management perspective and to adopt a targeted and integrated strategy within specific fields into each missions and among each mission itself.

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Paper n. 1

IL PUBLIC ENGAGEMENT OF SCIENCE

TRA ISTITUZIONALIZZAZIONE E INDETERMINATEZZA:

UN’ANALISI EMPIRICA E TEORICA

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*Indice

1. Introduzione: il PEs tra istituzionalizzazione e indeterminatezza

2. Indeterminatezza del concetto di PEs: gap & domanda di ricerca

3. Il metodo di ricerca

4. Analisi empirica

4.1 Parte storica

4.1.1.Fase di incubazione: dalla preistoria alla storia

4.1.2.Prima fase: avvio dell’istituzionalizzazione e individuazione di un primo piano attuativo per il PEs

4.1.3.Seconda fase: rafforzamento dell’istituzionalizzazione e individuazione di un secondo piano attuativo per il PEs

4.2 Parte filosofica: le basi filosofiche della partecipazione pubblica nella scienza 4.3 Discussione dei risultati dell’analisi empirica

5. Analisi teorica: le tipologie di PEs

6. Discussione dei risultati di ricerca

7. Conclusioni

*List of figures and tables

* Riferimenti bibliografici

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*Abstract

* Purpose – Lo scopo del paper è quello di contribuire a risolvere l’indeterminatezza che caratterizza la nozione di public engagement of science (PEs) e sviluppare attraverso il lavoro di ricerca una definizione del concetto di PEs dettagliata e scientificamente fondata. Si vuole così supportare il vivace dibattito che si sta sviluppando intorno a questo nuovo filone di ricerca.

* Design/methodology/approach – La ricerca affronta un problema di ordine concettuale applicato a un costrutto sociale per natura dinamico e poliedrico quale è il PEs. Lo studio adotta l’approccio epistemologico della razionalità intenzionale e assume l’interdipendenza tra teoria e pratica come schema paradigmatico per condurre l’analisi dei dati.

* Findings – I risultati sono ottenuti con un metodo sperimentale basato su un’analisi empirica costruita con dati documentali filosofico-storiografici e su un’analisi teorica condotta sulla letteratura scientifica. I risultati consistono in elementi definitori di base, su cui è costruita da ultimo una definizione di PEs scientificamente fondata, e sull’individuazione di 3 modelli interattivi di PEs.

* Research limitations/implications – Un’estensione dell’analisi empirica con dati sulle basi ideologiche del PEs sarebbe d’aiuto per comprendere appieno come forme di partecipazione pubblica alla scienza possano rafforzare e maggiormente legittimare le istituzioni universitarie.

* Practical implications – Lo studio concorre a informare il dibattito pubblico in atto negli atenei sul PEs offrendo loro una base di conoscenza nuova, utile a una sua più rapida istituzionalizzazione, ovvero alla formulazione di politiche, regolamenti e framework startegico-organizzativi sul PEs.

* Originality/value – Il lavoro fornisce una risposta alla necessità di elaborare pratiche partecipative nella scienza basate su una definizione di PEs, maggiormente condivisa e fondata su un’ontologia più chiara e robusta. La metodologia proposta risolve in modo innovativo il problema conoscitivo affrontato.

* Keywords – public engagement of science, universities, citizens, scholars, knowledge exchange and co-creation, interactive participation models, public participation

* Paper type – Research paper

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“La scienza per trasformare deve diventare immaginario condiviso da tutti.”,

(V. R. Albertini, Memex)

1. Introduzione: il PEs tra istituzionalizzazione e indeterminatezza

L’espressione “Public Engagement” può essere ricondotta all’ampio dominio della partecipazione pubblica, in riferimento a una tendenza oggi formalmente diffusa a livello internazionale, in cui i cittadini sono coinvolti direttamente nelle questioni e nelle decisioni su temi di interesse collettivo (Rowe e Frewer, 2005). In tal senso, il public engagement fa parte di uno scenario vasto e articolato dove le manifestazioni di partecipazione pubblica assumono forme e caratteristiche diverse in base al grado di formalizzazione che esprimono e al grado di incisività che attuano sui processi connessi al tema pubblico che è al centro della loro azione.

Il principio partecipativo si è manifestato come fatto nuovo in tutti i comparti produttivi, così che oggi fenomeni come la user innovation, il crowfunding o il volontariato sociale sono diventati fenomeni ordinari nelle società moderne.

Dagli anni Settanta in avanti, la partecipazione pubblica come fatto in sé si è espansa fuori dagli ambiti in cui era tradizionalmente confinata: partiti politici, sindacati e chiese. Nella prospettiva della scienza politica, secondo Allegretti (2011), queste forme di partecipazione semplice, sono ancora subordinate ai meccanismi del potere politico e amministrativo, mentre le nuove forme partecipative esprimono invece gradi di intensità più significativi e rappresentano un salto di qualità rispetto alle prime perché pretendono di entrare nel merito dell’attività istituzionale stessa.

Anche nel settore pubblico, l’istanza partecipativa si è espressa in varie forme e in diversi campi di pratica. In particolare, il public engagement, ha trovato uno spazio crescente di sviluppo in una specifica compagine delle istituzioni pubbliche, quella degli istituti di ricerca e di alta formazione, le università, in cui è attualmente al centro di un graduale ma sistematico processi di istituzionalizzazione (Fig. 1).

Perciò, sebbene non si possa parlare di vera e propria ‘diffusione’ e sarebbe più preciso parlare di ‘disseminazione’ (Allegretti, 2011) di pratiche partecipative formalizzate all’interno delle università, la crescente affermazione del tema del public engagement nella scienza fa si che esista oggi un interesse alto, a livello dell'Unione Europea, sul coinvolgimento dei cittadini nelle attività di ricerca e innovazione. Sull’entità del fenomeno, alcuni studi (Hennen & Pfersdorf, 2015) hanno esaminato la diffusione di azioni di public engagement of science nel mondo e hanno rilevato nel contesto comunitario una sua maggiore diffusione nei paesi dell'Europa occidentale rispetto ai paesi dell'Europa centrale e orientale. Mentre, a livello internazionale, sono stati osservati sistemi istituzionali per il public engagement già avanzati in Nord America e in Canada e casi più sporadici in Africa e in Asia.

Secondo quanto teorizzato da sociologi come Powell e Di Maggio (1991), il termine istituzionalizzazione indica un processo organizzativo di cristallizzazione e codificazione di flussi di senso presenti nella vita culturale di una società, i quali diventando istituzione perdono in larga parte il loro carattere di dinamicità acquisendo così una forma stabile e generalmente riconosciuta.

L’istituzionalizzazione del public engagement of science pone subito un punto rilevante: i processi di coinvolgimento del pubblico ruotano tutti attorno alla conoscenza e l’università in queste attività, ha un ruolo di promotore e di coordinamento, di sponsor, che permettono di parlare esplicitamente di public engagement dell’università, anche quando l’università raccoglie istanze di attivazione del public engagement di tipo bottom up piuttosto che top down e include nei processi partecipativi altri soggetti istituzionali.

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Nonostante l’individuazione di queste coordinate primarie, l’istituto del public engagement appare tuttavia ancora poco solido e non chiaramente definito, come molti studi al riguardo si limitano a osservare.

Su questo Rowe e Frewer (2005), tra i più importanti teorici del public engagement, argomentano chiaramente come la crescente riflessione ha certamente contribuito all’affermazione del tema del public engagement, ma in taluni casi ha creato confusione e non ha facilitato acquisizioni importanti e necessarie sui suoi aspetti fondativi.

Questa ricerca si propone come uno studio di impianto storico, teorico e concettuale. In particolare, si riallaccia agli studi che, affrontando aspetti specifici del public engagement nella scienze, hanno contestualmente rilevato una debolezza di fondo della nozione stessa che è alla base dei fenomeni partecipativi legati alla conoscenza (solo di recente Reed et al., 2018b).

Ulteriormente cerca di arricchire la riflessione, ancora contenuta, sul fenomeno che ha colto nel dato storico ed evolutivo una chiave di lettura utile a una sua migliore comprensione (Gonalves e Castro, 2009; Van Est, 2011)

Lo studio si focalizza quindi sul gap dell’indeterminatezza del concetto di public engagement nella scienza e si pone l’obiettivo di sviluppare una teorizzazione che contribuisca a una nozione più puntuale e chiara del fenomeno.

La ricerca trova ragione nell’assunto che l’indeterminatezza del concetto di public engagement of science condizioni negativamente i processi stessi della sua istituzionalizzazione, rallentandoli, rendendoli meno solidi e infine meno efficaci.

Questo effetto a sua volta rischia di frenare o di deviare i processi evolutivi generali che interessano le università nel passaggio integrato dalla terza alla quarta missione (Akolgo- Azupogo et al., 2018) e in particolare dell’Entrepreneurial university (Clark, 1998; Rothaermel et al. 2007) alla Civic university (Goddard, 2008). Soprattutto, una mancata comprensione puntuale del fenomeno partecipativo in ambito accademico, rischia di limitare il contributo primario che queste istituzioni

secolari dedite alla produzione di conoscenza, ancora oggi (Godin &

Gingras, 2000) , nei diversi contesti nazionali di un mondo globalizzato, offrono a ciò che nel frattempo è divenuta la knowledge economy and society (European Commission, 2003). Non a caso le università in Europa, sono considerate istituzioni essenziali per l’innovazione, lo sviluppo e la crescita (European Commission 2005 e 2016).

Nel lavoro di analisi, dimostro che l’indeterminatezza della nozione di public engagement of science è rintracciabile, con diverse caratteristiche, in ciascuno dei processi di istituzionalizzazione nei diversi contesti nazionali in cui questi

si stanno realizzando.

Successivamente strutturo un doppio impianto analitico di tipo documentale al fine di individuare elementi teorici primari

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che possono concorrere a una migliore definizione della partecipazione pubblica nella scienza e abbassare l’indeterminatezza del concetto allo stato attuale dell’arte.

Nello specifico, attraverso l’analisi dell’evoluzione storica del fenomeno del public engagement nella scienza e la ricostruzione del pensiero che ha posto gli antecedenti teorici e ideologici del public engagement è possibile: 1) individuare i due livelli su cui si attuano le pratiche partecipative, il livello della governance che richiama la vision della R&I: codici, norme, valori della scienza e il livello del processo scientifico di costruzione, trasmissione e uso della conoscenza; 2) ricostruire il processo che ha portato alla conformazione che, gradualmente, il fenomeno è andato assumendo fino a diventare oggetto di istituzionalizzazione.

L’analisi della letteratura scientifica elaborata sul public engagement permette invece: 1) di comprendere le ragioni dell’indeterminatezza di questo concetto e soprattutto; 2) di individuare ideal-tipi di public engagement dall’analisi dei casi studio descritti sulle pratiche di public engagement of science. Sugli ideal-tipi di public engagement è possibile teorizzare altrettanti modelli partecipativi che le università possono mettere in campo.

Nella sezione 2 viene elaborata un’analisi dell’indeterminatezza delle nozione di public engagement of science a partire dalle definizioni istituzionali formalizzate sul public engagement of Science in Europa. Nella sezione 3 vengono dichiarati i presupposti epistemologici su cui si sviluppa questo studio e descritta la metodologia di ricerca utilizzata. Nella sezione 4 e nella sezione 5, sono presentati i risultati dell’indagine storica e filosofica sul public engagement.

Mentre nella sezione 6 sono presentati e organizzati i richiami alla letteratura scientifica sull’argomento. I risultati dell’indagine qui sono dati proprio dalla lettura critica che emerge dalla riorganizzazione di quanto prodotto dal dibattito scientifico sul tema oggetto di studio.

Nella sezione 7 sono discussi i risultati. Seguono le conclusioni e le considerazioni su possibili estensioni di questa ricerca.

2. Indeterminatezza del concetto di PEs: gap & domanda di ricerca

I richiami all’indeterminatezza del concetto di PEs sono disponibili in abbondanza sia sulla letteratura scientifica, sia sulla letteratura grigia, sia sui report governativi che ne trattano (European Commission, 2015a). Tuttavia nella maggioranza dei casi questo problema di ordine principalmente concettuale è solo citato, senza che sia analizzato nelle sue ragioni fondanti e senza quindi che venga spiegato in dettaglio.

Rowe e Frewer (2005) argomentano chiaramente come la crescente riflessione ha contribuito all’affermazione del tema del public engagement, ma in taluni casi ha creato confusione e non ha facilitato acquisizioni importanti e necessarie sui suoi aspetti fondativi. Molti studi rilevano infatti che i concetti chiave del dominio della partecipazione pubblica non hanno chiari confini e i ricercatori divergono su ampiezza del campo e sull’uso non standardizzato di espressioni equivalenti riguardanti il public engagement, a volte usati come sinonimi, qualche volta inclusi nel concetto come sue sottocategorie (Reed et al. 2018).

Di recente, sul problema dell’indeterminatezza del concetto che permane anche in un regime di graduale, ma sistematica istituzionalizzazione delle pratiche partecipative dentro e fuori dall’accademia (Allegretti, 2011), De Bortoli (2017) scrive: “Resta l’esigenza di lavorare su una definizione maggiormente condivisa, su un’ontologia più chiara e robusta che tenga conto dei principali caratteri considerati fondanti delle iniziative di public engagement”.

Così, sebbene esperienze significative sul public engagement delle università siano segnalate sempre più frequentemente (Grau et al., 2017 for GUNI; EUA Annual Conference 2018), lo sviluppo del public engagement resta problematico su vari fronti.

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Permane intanto un basso consenso su come monitorare e in definitiva governare e gestire, anche in termini organizzativi, questo fenomeno, in modo da poter stabilire chiaramente il rendimento delle esperienze di public engagement of science. La valutazione dell’impatto di queste pratiche è fondamentale per lo sviluppo stesso del fenomeno: in primis è necessario per correggere le stasi e i riflussi derivanti soprattutto dalla cattiva realizzazione del PEs e per evitare la ripetizione e la fossilizzazione sui casi di insuccesso; in secondo luogo per valutare l’andamento e gli effetti del singolo processo (auto valutazione interna); in terzo luogo, in particolare, per arrivare a valutare le conseguenze che il coinvolgimento dei cittadini nella scienza determina in termini di

‘capitale sociale’ (Allegretti, 2011) sui contesti geografici in cui le università attuano la loro azione istituzionale (mission 1, 2, 3), sempre più spesso non sono solo locali e regionali.

Attualmente, il public engagement of science presenta segni di debolezza (see for example Cooke and Kothari 2001; Horst, 2010), in alcune realtà non si è mai sviluppato (Mejlgaard, 2012) e in alcuni casi guadagna le perplessità, se non la contrarietà, degli scienziati stessi (Jasanoff, 2003; Wynne, 2007; Chilvers, 2008; Saurugger, 2010). Nel merito è ancora poco studiata la qualità delle esperienze dialogiche tra cittadini e scienziati (ad esempio nel public engagement consultivo), e non sono ancora stati definiti indicatori chiari per misurare il reale successo delle iniziative di coinvolgimento dei cittadini. Anche i dati raccolti nel tempo (Eurobarometr ad es.) che testimoniano una metamorfosi dell’interesse e dell’attitudine dei cittadini verso le questioni legate alla conoscenza, sono ancora poco analizzati.

Se prendiamo come punto fermo della riflessione il dato dell’istituzionalizzazione del public engagement e consideriamo quindi solo definizioni di public engagement fornite da organismi governativi o para governativi, è possibile far emergere il tratto dell’indeterminatezza da un’analisi testuale delle definizioni stesse. La Tabella 1b riporta alcune delle più diffuse definizioni ufficiali di public engagement pubblicate dalla Commissione Europea o da singoli stati europei in senso cronologico, cioè dal 2006, anno in cui l’espressione public engagement viene ufficialmente utilizzata per la prima volta, al 2015. L’analisi utilizza poi un set di elementi definitori di base Tabella 1a normalmente utilizzati per descrivere fenomeni e oggetti.

Applicando questi elementi definitori di base alle diverse definizioni istituzionali considerate, l’analisi, volta per volta, individua elementi di indeterminatezza che caratterizzano come tale la nozione di public engagement of science.

Defining

Elements From general to particular INPUT campo tematico > argomento WHO? soggetto istituzionale > persone

WHAT? entità

WHERE? luoghi

WHEN? tempo > momento WHY? finalità > spiegazioni ACTIVITY azioni

OUTPUT risultato primario > spill-overs

Tab. 1a: Matrix of defining elements Source: Authors’ conceptualization

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Tab. 1b {Part 1}: Textual analysis of official definitions of PEs published in Europe from 2006 to 2015.

Source: Authors’ conceptualization

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Tab. 1b {Part 2}: Textual analysis of official definitions of PEs published in Europe from 2006 to 2015.

Source: Authors’ conceptualization

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Tab. 1b {Part 3} : Textual analysis of official definitions of PEs published in Europe from 2006 to 2015.

Source: Authors’ conceptualization

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Dall’analisi condotta tramite gli elementi definitori è possibile notare che le definizioni sul public engagement si caratterizzano per la presenza di esempi offerti tramite la formula dell’elenco;

quindi generalmente seguono il pattern concettuale del ‘come’, della similitudine, in alternativa a quello dell’‘ente’ che definisce invece un fenomeno come entità. Inoltre, il fatto che gli esempi rispondano a un criterio esplicativo e non di omogeneità conferisce alle descrizioni per elenchi contenute nelle definizioni, un carattere di frammentarietà.

Se si analizzano le singole definizioni utilizzando come criteri valutativi del ‘livello di chiarezza definitoria’:

1. Presenza / Assenza degli otto criteri definitori;

2. Livello di chiarezza della definizione con riferimento ai canoni generico – dettagliato;

3. Grado di collegamento tra gli elementi definitori in riferimento al grado di unitarietà della definizione complessiva;

è possibile osservare veri e propri ‘gap’ definitori. Nessuna delle definizioni ufficiali fornisce tutti gli elementi definitori di base. Il grado di dettaglio che dal generale va al particolare non è quasi mai utilizzato e comunque non viene seguito in modo sistematico. Infine, i collegamenti tra i vari elementi sono scarsi o non espliciti.

Questi punti possono spiegare quindi almeno in parte la questione dell’indeterminatezza del concetto di public engagement. Tuttavia, ulteriormente, possono essere considerati a livello analitico anche alcuni elementi di ambiguità:

* l’uso ricorrente del concetto di moltitudine: il public engagement è descritto come un fenomeno multimodale o multi-activity;

* l’uso di modi verbali che indicano ‘possibilità’ tra più alternative;

* l’uso di aggettivi qualificativi come un ‘buon’ public engagement in opposizione a un

‘cattivo’ public engagement, dove spesso il definire per opposizione (buono vs cattivo) genera di per sé indeterminatezza perché riferito a uno solo dei due termini di paragone e non ad entrambi.

Inoltre sebbene il concetto di public engagement venga associato in molte delle definizioni a una nozione di moltitudine e di eterogeneità, solo una minoranza delle definizioni indica il public engagement, coerentemente con questo tratto tipico, come un processo e nessuna in particolare fornisce sue possibili connotazioni temporali. Infine in nessuna definizione viene chiaramente specificato cosa si intende per ‘public’ e cosa si intende per ‘engagement’.

Ad oggi, nonostante il tratto dell’indeterminatezza della nozione di public engagement resti uno dei gap più importanti nella comprensione del fenomeno nel suo complesso, soprattutto considerando il processo di istituzionalizzazione che lo interessa, proponiamo quella che segue come una delle definizioni tra le più avanzate sul public engagement attualmente in circolazione.

Nel report europeo sugli indicatori di RRI (European Commission, 2015a) il public engagement è definito1 come:

L’impegno a fornire quel sostegno, quelle opportunità e quelle competenze capaci di rendere possibile la partecipazione dei cittadini al dibattito sui temi della R&I, non escludendo da questo processo la possibilità che essi stessi forniscano un proprio contributo a monte o a valle del processo scientifico. […] Meritano attenzione le forme più intense di PE, in cui scienziati e cittadini operano come pari nella produzione, nella valutazione e nella governance della scienza. […] Il PE è anche un elemento chiave delle politiche europee di R&I della scienza (EC, 2015a).

1 We might define PE as a societal commitment to provide encouragement, opportunities and competences in order to empower citizens to participate in debates around R & I, with potential feedback and feed-forward for the scientific process. Deeper forms of engagement in science and technology, where citizens are peers in the knowledge production, assessment and governance processes, also deserve attention. This is described through non-equivalent expressions of different degrees of agency — such as citizen science, science in transition, do-it-yourself, fablabs, hacker spaces, maker spaces, etc. — many supported by the digital culture. PE is also a key element in R & I policies in the EU (7).

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Nel contesto europeo si adotta quindi una visione olistica di public engagement, in cui l’azione di informazione in ottica di capacity building, il dialogo e forme di collaborazione più fattiva sui temi della conoscenza, sono ritenuti tutti passaggi fondamentali e ineludibili per consentire una reale partecipazione delle società ai temi della conoscenza e delle sue applicazioni innovative.

L'impegno pubblico corrisponde al bisogno di stabilire un dialogo tra gli scienziati e il pubblico, di porre domande, di esprimere opinioni, aspettative e valori da parte dei cittadini e dei diversi attori per far sì che le loro istanze, in questo caso riferite allo sviluppo della scienza e della tecnologia, siano prese in considerazione dai decisori. Il public engagement riconosce il tema dell’opportunità a un'effettiva partecipazione dei cittadini al processo scientifico e considera la partecipazione come un diritto e un dovere democratico (EC, 2015a).

Come è possibile osservare nell’analisi, nonostante le definizioni vengano articolate in modo sempre più preciso, la difficoltà ad arrivare ancora a una definizione omnicomprensiva delle varie espressioni del public engagement, unanimemente riconosciuta, può avere diverse cause ed essere legata a questioni terminologiche. In parte essa può essere ricondotta alla commistione che spesso nei contributi scientifici sul public engagement viene fatta tra il livello teorico (public engagement come categoria concettuale) e quello della prassi (public engagement come attività) (Reed, 2018), o tra la dimensione storico-culturale del fenomeno e quella empirica. Un ulteriore elemento di complessità poi può essere rintracciato nel fatto che sotto la dicitura omnicomprensiva di public engagement – anche quando intesa esclusivamente nella sua accezione empirica – esistano vari campi di pratica e al loro interno diversi tipi di attività (ad es. nel campo di pratica della deliberative public engagement of science si realizzano attività diverse come: standing panels, focus groups, citizens' juries/panels, consensus conferences, stakeholder dialogues, internet dialogues) (Carpini, 2004). Questo punto nel PEs è particolarmente critico. L’elemento della varietà infatti non è ‘statico’, ma ‘dinamico’ nel senso che le diverse pratiche di public engagement rappresentano anche diversi stadi evolutivi del fenomeno ‘public engagement’, i suoi diversi livelli di maturazione considerando il fenomeno in chiave evolutiva. A ciò si aggiunge che i diversi campi di pratica coesistono e spesso si integrano generando forme miste o composte di public engagement. Queste ibridazioni e combinazioni di idealtipi che rappresentano simultaneamente diversi gradi di maturazione e intensità del fenomeno, rendono bene la sua complessità e spiegano chiaramente l’estrema eterogeneità e versatilità delle forme assunte dal public engagement in congegni o esperienze anche significativamente diverse tra loro (Allegretti, 2011). Tale dato di fatto spiega in maniera sufficientemente soddisfacente l’origine dell’indeterminatezza del PEs e mette in guardia rispetto a prospettive di ricerca sul public engagement come costruzione sociale, che muovono da un approccio epistemologico del tutto positivista, che male si adatta alla dimensione di continua metamorfosi connaturata nei fenomeni sociali e culturali benché oggettivamente riconoscibili in quanto tali. In conclusione, ciò che emerge è un problema di ordine generale che possiamo così concettualizzare: si tende a trattare e definire un fenomeno multidimensionale, qual è il public engagement, come fosse un fenomeno monodimensionale. Questo avviene o facendo coincidere quella che è solo una sua articolazione con il fenomeno nel suo complesso o argomentandolo in termini complessivi senza specificare la sua conformazione ‘genetica’ per articolazioni. Entrambi questi procedimenti possono essere posti alla base della generale ambiguità e indeterminatezza che caratterizzano le riflessioni sul public engagement. Questo studio assume la seguente domanda di ricerca: come le evidenze finora acquisite su un piano teorico e su un piano empirico sul tema del public engagement of science possono contribuire ad ridurre l’indeterminatezza del concetto che ne è alla base, permettendo di arrivare a una definizione del PEs sufficientemente solida e rigorosa da un punto di vista scientifico?

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3. Il Metodo di ricerca

Secondo la prospettiva assunta da questo studio, anticipata nel precedente paragrafo, il public engagement è una costruzione sociale non statica, condizionata da diverse variabili. Data la natura del fenomeno, la ricerca usa una concezione epistemologica processuale, che si sviluppa secondo spiegazioni condizionali e interpretative e un orientamento nomologico, che tende verso generalizzazioni empiriche di portata spazio-temporale limitata (Weber, 1922 a, b). Secondo questa prospettiva le condizioni ‘accidentali’, cioè casuali, sono distinte dalle condizioni oggettive da cui il public engagement si origina. L’intento qui è, quindi, quello di ricostruire le motivazioni e le azioni che determinano i fatti e le loro conseguenze trovando in questi elementi condizioni ‘adeguate’ (oggettive) a spiegare il fenomeno. Secondo questa modalità epistemologica, sia che la ricerca utilizzi dati qualitativi o dati quantitativi, conoscere le azioni umane e le loro conseguenze e inquadrarle entro un profilo di regolarità, permette: la comprensione razionale del senso (benché soggettivamente intenzionato), l’imputazione causale e, infine, la definizione di tipi ideali, che è lo scopo ultimo di questo studio nell’intento di abbassare il livello di indeterminatezza presente nella nozione di public engagement of science.

Il metodo qui adottato è un procedimento che muove dalla concezione che l’agire sociale si determini in modo razionale rispetto allo scopo per cui si realizza e che tiene conto in definitiva della logica dell’agente e di quella di sistema, in un’ottica processuale che si focalizza non su uno dei due componenti presi singolarmente, ma sul fenomeno, nel suo incedere dinamico, che li ricomprende entrambi. La spiegazione interpretativa crea infine le relazioni causali e dà loro scientificità attraverso il controllo delle ipotesi, effettuato tramite il metodo di indagine scelto.

Entro questa prospettiva di ricerca processuale viene infine dato peso all’individuazione delle fasi temporali, i momenti di passaggio da una fase all’altra, le relazioni tra le diverse fasi, la struttura stessa che assume il processo.

In termini metodologici, per la natura concettuale della domanda di ricerca, secondo l’impostazione gnoseologica appena illustrata, questo studio si qualifica come un lavoro qualitativo, (Denzin & Lincoln, 1994; Mayan, 2016) basato interamente sull’uso di dati qualitativi, documentali, di natura non numerica. L’indagine adotta come costrutti centrali le nozioni di pratica e teoria. La ricerca sviluppa su questi due concetti, posti tra loro in relazione e concepiti in modo integrato, un metodo di ricerca sperimentale. L’intreccio tra teoria e pratica costituisce il paradigma (Guba, 1990) che è alla base di questa ricerca.

La dimensione storico-filosofica del fenomeno del public engagement viene qui inquadrata come terreno empirico della ricerca. Gli eventi e gli sviluppi che storicamente, dai primi anni Settanta in poi, hanno portato in Europa, il public engagement of science, a configurarsi come un nuovo fenomeno nella società moderna, sono cioè qui assunti come pratiche empiriche.

I fatti che storicamente hanno progressivamente segnato la nascita e quindi lo sviluppo del PEs rappresentano infatti anche esperienze pratiche, che hanno determinato la crescita graduale del fenomeno non solo in Europa (Hennen & Pfersdorf, 2015) . I fatti storici, così concepiti, trovano motivazione (razionalità intenzionale) tanto in esigenze contingenti e strumentali, legate alle peculiarità dei contesti in cui queste avevano luogo (ad esempio la necessità di risolvere le controversie venutesi a creare dopo i due conflitti mondiali intorno agli avanzamenti della scienza e della tecnologia tra decisori e cittadini) quanto in principi e valori che possono essere fatti risalire alla Grecia classica, come alcuni studi sono riusciti a dimostrare (Allegretti, 2010b).

Assumere la storia recente come terreno empirico e i fatti che hanno determinato la configurazione di un fenomeno come pratiche empiriche, permette un’osservazione non limitata dalla contingenza; ma avvalorata dalla dimensione storica e dallo spessore temporale che questa è in grado di conferire all’osservazione.

La riflessione scientifica sul public engagement di tipo teorico invece, rappresenta naturalmente il livello teorico della metodologia sperimentale messa a punto per questo studio.

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Metaforicamente, la teoria fornisce alla pratica ‘lenti di ingrandimento’, cioè ausili tramite cui facilitare una lettura condizionale-interpretativa. Pratica e teoria nei fenomeni sociali si intrecciano e si influenzano a vicenda.

Allegretti (2011) spiega bene che la teoria ha valore nel momento in cui costituisce ‘il quadro giustificatorio dell’esperienza’ e allo stesso tempo una spinta alla sua ulteriore diffusione (si pensi qui alla riflessione habermasiana). Ma poiché è la pratica al centro della realtà e dell’attenzione in quanto azione concreta e determinata, la teoria assume nei suoi riguardi anche un valore strumentale oltre che teoretico. Attraverso la funzione di analisi e di sintesi, il dibattito scientifico sul public engagement of science ha messo in luce valori, limiti, potenzialità dell’interazione tra scienza e cittadini.

Partendo dagli assunti metodologici appena illustrati, questa ricerca sul PEs si sviluppa su due piani. Il primo focus è sul piano empirico, quello del dato storico-filosofico che ha caratterizzato come tale il fenomeno, sin dalla sua nascita recente, negli anni Settanta. A questo livello sono utilizzati paper scientifici, documenti e report istituzionali che inquadrano il public engagement da un punto di vista storico e come oggetto di riflessione critico-filosofica.

Il secondo focus è sulle elaborazioni di tipo più concettuale prodotte dalla riflessione scientifica, qui inquadrata come livello d’analisi teorica a corredo del livello empirico. Su questo livello le fonti sono ugualmente documentali, ma ricomprendono piuttosto articoli scientifici e letteratura grigia caratterizzati da elaborazione teorica e critico-riflessiva sul PEs.

L’idea alla base di questo procedimento metodologico è che entrambi i piani, pratico e teorico, contengano elementi significativi di conoscenza sul public engagement of science, che debitamente integrati e interpretati (Denzin & Lincoln, 1994; Gummesson, 2003) , possono fornire una risposta scientificamente fondata alla domanda di ricerca qui presa in considerazione.

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4. Analisi empirica

Entro la prospettiva epistemologica qui percorsa, l’analisi storica, assunta come livello empirico della ricerca, è di fondamentale importanza perché permette di inquadrare il fenomeno del public engagement of science come processo e di individuare al suo interno fasi temporali e momenti di passaggio da una fase all’altra, le relazioni tra le diverse fasi, la struttura stessa che il processo ha assunto. In questo studio l’analisi storica del PEs può essere richiamata e ricostruita utilizzando una precisa prospettiva spazio spazio-temporale di osservazione. A un livello spaziale questa si circoscrive al contesto Europeo. Inizialmente, secondo le evidenze raccolte dallo studio di Van Est (2011), il richiamo degli avvenimenti che hanno segnato la configurazione del public engagement of science come fenomeno, si focalizza su due contesti nazionali, quello Inglese e quello Olandese. Questi due paesi infatti, sono stati i ‘laboratori nazionali’ che in Europa hanno sperimentato e praticato per primi il public engagement of science in modo sistematico e significativo. Successivamente, l’analisi abbandona la prospettiva di contesto nazionale e ricostruisce il fenomeno, ormai entrato in una fase di vera e propria istituzionalizzazione, entro il contesto comunitario arrivando fino ad anni recenti. Su un piano temporale, l’analisi storica qui proposta identifica tre diverse fasi di sviluppo per il public engagement of science in Europa, solo due delle quali ascrivibili al processo storico.

L’individuazione delle fasi storiche che gradualmente portano all’istituzionalizzazione del public engagement all’interno delle HEIs, oltre a permettere una migliore e più solida comprensione del fenomeno rispetto a una sua conoscenza generica, ai fini dell’analisi, permette di individuare i due livelli attuativi del public engagement of science. Questa evidenza rappresenta un primo risultato ai fini degli obiettivi di questa ricerca.

La seconda parte di questa prima sezione comprende l’analisi del pensiero filosofico che è alla base del public engagement of science. Questa sezione permette di chiarire quali sono i principi su cui poggia il PEs e quali sono i fini dell’attività di PEs.

4.1 Parte storica

4.1.1.Fase di incubazione: dalla preistoria alla storia (1995-2000)

Dopo la seconda guerra mondiale le università sono state messe al centro del dibatto sviluppatosi via via sui rapporti tra scienza e società e nella riflessione più specifica su come i cittadini dovessero e potessero essere resi parte attiva nei processi di avanzamento della conoscenza. In particolare nella seconda parte del ‘900, il nuovo rapporto pervasivo tra scienza, tecnologia ed economia diventa un tema cruciale.

La sua rilevanza emergeva ad esempio in discorsi politici in cui si faceva riferimento alla “nuova complessa fase della civiltà tecnologica" o quando, a proposito del mercato del lavoro industriale, si iniziò a parlare sempre più spesso del fabbisogno di "lavoratori con competenze tecnologiche" (Durant J. et al., 2000). Il carattere pervasivo delle innovazioni tecnologiche e scientifiche che entrarono, dopo gli anni ’50, a tutto campo nelle società occidentali, fu talmente intenso che già prima degli anni Settanta negli USA, e agli inizi degli anni Settanta in Inghilterra presero a diffondersi azioni volte a ‘spiegare’ alle persone comuni quelli che erano gli avanzamenti tecnologici in atto, in modo da tamponare le prese di distanza e il disorientamento generale che la forte spinta tecnologica suscitò a livello collettivo.

La spinta e insieme la necessità, di ‘informare’, di rendere noti gli avanzamenti della scienza e della tecnologia, prendono corpo in Europa a partire dagli anni Settanta, in particolare in due paesi, in Olanda e in Inghilterra (Van Est, 2011) .

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In Olanda, il dibattito su larga scala prende piede intorno alla scelta governativa, nel 1973, di estendere l’uso della potenza nucleare. Tra il 1977 e il 1979 il paese è segnato infatti da dimostrazioni anti-nucleari di massa. Sulla scia di questo forte contrasto il governo tenne, tra il 1981 e il 1984, un dibattito pubblico proprio sulle scelte di politica energetica da compiere (Broad Societal Discussion around Energy Policy – BMD). Questo servì a mitigare le controversie, ma non le risolse. Fu infatti per i fatti di Chernobyl del 1986 che il governo olandese sospese l’espansione dei programmi sul nucleare e non per aver preso in considerazione la posizione della società civile su quel tema. Su scala minore, negli stessi anni venne condotta poi una discussione pubblica sull’ingegneria genetica e sulla micro-elettronica a cui presero parte solo gruppi di esperti. Queste due esperienze portarono il Ministero della Scienza e dell’Educazione olandese a discutere su come includere il ‘public’, la società civile, nel processo di formazione delle opinioni prima e decisionale poi, riguardante temi di scienza e tecnologia.

Nel 1984 questo portò alla pubblicazione di un documento politico in cui veniva affermato il principio per cui scienza e tecnologia dovevano essere ambiti integrati nella società e non suoi apparati isolati e sconosciuti. Nel 1986 vennero istituite quindi due agenzie governative, una preposta alla diffusione delle informazioni su scienza e tecnologia e l’altra atta invece a valutare la tecnologia (Rathenau Institute). Questa azione affermava indirettamente che il principio espresso appena due anni prima dovesse realizzarsi secondo un modello duale, dove informazione e scelta pubblica su scienza e tecnologia erano complementari e andavano di pari passo. Questo modus in Olanda, fu implementato in una concezione generale secondo cui la partecipazione sulle scelte di politica scientifica era un processo allargato a più parti sociali e volto essenzialmente ad evitare controversie.

Successivamente, agenzie di vigilanza e controllo tecnologiche furono istituite nella seconda metà degli anni Ottanta anche in Danimarca, dove furono concepite all’interno di un processo partecipativo aperto, e in Germania e Inghilterra dove furono invece concepite come

‘componenti’ tecniche nel normale processo di analisi politica.

In Inghilterra, il dibattito aperto su scienza e società si sviluppò in modo decisivo dopo la nascita, nel 1978, del primo bambino concepito tramite fecondazione in vitro (IVF). Questo fatto portò a un dibatto nella società inglese che in dodici anni produsse una tra le migliori leggi in materia (The Human Fertilization and Embryology Act, 1990) e la nascita di un organismo di vigilanza in materia di Fecondazione ed Embriologia. (The Human Fertilization and Embryology Authority – HFEA). In questo scenario, l’attenzione generale formatasi da qualche anno attorno al tema dei rapporti tra scienza e società, si formalizzò nel programma Public understanding of Science (PUS) del 1985, pubblicato dalla Royal Society inglese.

Questo documento, come un anno prima già accaduto in Olanda, pose all’ordine del giorno la necessità di un dialogo tra scienziati e cittadini sugli avanzamenti della scienza basato su azioni di ‘scientific literacy’ (acculturazione scientifica) e "scientific culture’ (cultura scientifica), ovvero di informazione ed educazione da parte della comunità scientifica verso i cittadini comuni, azioni che avrebbero dovuto stimolare tra questi, un ‘naturale’ apprezzamento dei progressi tecnologici. La presa di posizione della Royal Society esprimeva la preoccupazione sulla mancanza di consapevolezza e sulla scarsa conoscenza e comprensione da parte dei cittadini delle questioni poste dalla scienza a ritmi sempre più incalzanti. Si parlò al proposito di deficit model, espressione che indicava lacune generalizzate e diffuse nella popolazione, che dovevano essere colmate con azioni di ‘evangelizzazione alla scienza’, cioè azioni diffuse di informazione e di acculturazione delle masse (Gonalves e Castro, 2009) . Nel 1993, con la pubblicazione del documento Realizing our potential (HMSO 1993) , il governo inglese adotta ufficialmente il programma PUS e conferma in questo modo la scelta di una logica e di un modello in cui il processo comunicativo di informazione ed educazione dei cittadini ‘ignoranti’

sulla scienza era unidirezionale e top down.

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Il comune sentire sulla necessità di ripensare la relazione tra scienziati e cittadini, che all’incirca negli stessi anni, in Inghilterra e in Olanda, entra prima nel discorso pubblico come tema nuovo e poi nel dibattito governativo, come materia su cui iniziare a legiferare, venne rafforzato da eventi come l’esplosione di Chernobyl e, sempre nel 1986, l’inizio dello scandalo della mucca pazza (BSE – encefalopatia spongiforme bovina) che si protrasse per anni. Questi fatti diedero vita a una serie di manifestazioni di massa ‘anti-scientifiche’, ad esempio contro le modificazioni genetiche alimentari, che da un lato esprimevano l’istanza di partecipazione dei cittadini – facendone emergere la portata e il potenziale eversivo – e dall’altro esacerbavano la scena pubblica. Forse va rintracciato anche nella necessità di organizzare e di rendere in qualche modo più incisiva l’espressione della volontà popolare, che nei primi anni Novanta hanno luogo i primi tentativi partecipativi in forma organizzata. In Danimarca nel 1993 si organizza appunto la prima consensus-conference, e nel 1994 in Inghilterra il Museo scientifico di Londra sperimenta lo stesso format per aprire una discussione pubblica sulla biotecnologia vegetale. Un tentativo simile si registra anche in Olanda dove nel 1993, a un anno dalla creazione del primo bovino transgenico Hermann, si parla di modificazione genetica animale. La sequenza di occasioni pubbliche di confronto si protrae anche negli anni successivi su temi nuovi come le nanotecnologie e già considerati, come quello del cibo geneticamente modificato. Nel 2001 in Olanda si apre il dibattito ‘Eten en Genen’ e nel 2002 in Inghilterra il GM Nation? debate.

In questi anni, nei paesi in cui il dibattito sulle questioni partecipative connesse alla scienza viene gradualmente maturando, la discussione si arricchisce di un nuovo livello problematico, quello dell’etica, che si aggiunge al livello già considerato delle implicazioni, sociali e legali, degli avanzamenti tecnologici non responsabili o non condivisi. Altri elementi nuovi nel confronto riguardano poi ad esempio la composizione del pubblico: ci si chiede se è quanto la discussione deve essere ampia, quali e quanti soggetti ne debbano fare parte. La commercializzazione della scienza e la nuova partnership università-industria rendeva la scienza un fattore non più

‘inconfutabile’ a priori e rendeva necessario verificare la posizione degli esperti. Ma anche per le parti sociali, garanti di ampie fette di società, emerse che erano passibili di rappresentare interessi specifici e ristretti. Queste condizioni inquinavano di fatto i tentativi di discussione pubblica avviati dai governi e in Olanda, indussero il parlamento a ‘liberalizzare’ del tutto il dibattito sulle questioni etiche legate alla scienza aprendolo di fatto anche ai cittadini comuni, non esperti, ma in compenso non condizionati nell’immediato da fattori secondari e dotati comunque di una loro propria razionalità. Con ciò l’Olanda segna una sostanziale differenziazione dell’esperienza europea rispetto a quella americana, da cui pure aveva tratto spunto e dove però la discussione etica era rimasta ristretta a un gruppo di esperti (Van Est, 2011). Soprattutto gli aspetti fallimentari o problematici presenti nelle esperienze inglesi e olandesi mettono in luce la natura eterogenea dell’entità ‘public’: una costruzione politica, sociale e geografica, piuttosto che un’entità astratta e omogenea.

Il successo solo a metà dei dibattiti pubblici olandesi sulla clonazione (1998–1999), sul trapianto eterologo (2000–2001), sul cibo geneticamente modificato (2001–2002), mise in luce anche un altro aspetto, quello della dimensione temporale dei processi partecipativi. Le critiche più forti vennero proprio dal fatto che spesso i dibattiti si svolgevano o terminavano quando le decisioni e le politiche erano già definite. E’ da qui che, anche in Europa, si sviluppa la consapevolezza sulla necessità di un public engagement ‘upstream’, a monte delle decisioni sulla scienza.

E’ in Inghilterra che verso la fine degli anni Novanta tuttavia prende il via una nuova fase di formalizzazione e conseguentemente di istituzionalizzazione di un tema, quello dei rapporti tra scienza e società, che ha ormai preso piede e si è affermato sulla scena pubblica.

Proprio nel contesto anglosassone, infatti, ben presto l’ottimismo nella scienza riposto nell’alfabetizzazione dei cittadini, venne meno. Fu evidente fu la debolezza della visione top- down alla base del PUS e della concezione semplicistica in cui la scienza e la tecnologia fornivano le migliori soluzioni ai problemi della natura e della società e in cui era sufficiente

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informare ed educare un pubblico ‘ignorante’, seguendo un processo lineare che si sviluppava sul modello di ‘deficit cognitivo of science communication’(deficit model) e sulla riduzione della distanza tra ‘specialisti’ e ‘non specialisti’.

Nei primi anni ’90, autori come Ziman (1991) Wynne (1992) scardinano questa visione. Wynne mette in risalto l'effetto – inizialmente non considerato – dell’interazione insito nella comunicazione stessa della scienza. In seguito, autori come Evans e Durant, (1995) e Pardo (2004) hanno spiegato come certamente sussistevano relazioni tra conoscenza (di un problema ndr) e attitudine (verso quel problema ndr), ma che tali nessi erano molto più sofisticati e complessi di quanto previsto dal modello lineare adottato nella fase di popularization della scienza. Inoltre, dai primi sondaggi, effettuati negli anni Settanta, dell’Eurobarometro sull'opinione pubblica della scienza e della tecnologia, emergeva come elemento rilevante, anche la profonda e radicale eterogeneità del pubblico che con la scienza si confrontava. Queste osservazioni portano alcuni autori a teorizzare un public understanding of science critico o interpretativo, basato non sul ‘deficit model’, ma sul contextual model (Europen Commission, 2015) di impianto non teorico in senso astratto, ma che tenesse conto della realtà locale, oltre che sociale e culturale in cui veniva realizzato (Wynne 1995, Micheal 2002, Gonçalves & Cstro, 2009) .

Matura così un nuovo approccio, più riflessivo e più consapevole, sia verso la trasmissione della conoscenza, sia verso la non uniformità del pubblico, nella consapevolezza sempre più evidente che la conoscenza è riconosciuta e appresa da soggetti non neutri, ma condizionati da fattori culturali, sociali e territoriali (Michael, 1998). E’ quindi nell’avvio di una nuova traiettoria, che si realizza il passaggio da un modello pedagogico a un modello dialogico dell'interfaccia scienza- società, e che può dirsi conclusa la fase di ‘gestazione’ del fenomeno della partecipazione pubblica alla scienza nelle linee si formalizzate, ma ancora non centrate ed individuate che furono del public understanding of science. L’obiettivo della popularization della scienza da cui trasse origine, e il fatto che questo passaggio non sperimentò mai autenticamente modelli di interazione bidirezionale, suggeriscono oggi, anche alla luce della nuova fase di istituzionalizzazione del PEs all’interno delle HEIs, di considerare il PUS piuttosto la fase

‘preistorica’ di un fenomeno che ha poi proseguito il suo sviluppo con una diversa conformazione e su differenti principi istitutivi.

Questo primo passaggio, benché non possa essere considerato una fase storica propriamente data del PEs ‘moderno’, resta comunque fondamentale per gli esiti a cui arriva:

1) la necessità assodata e ineludibile di uno scambio tra scienza e società;

2) l’impossibilità di poterla realizzare con semplici azioni di scientific literacy dei non esperti.

Nel 2000 la relazione della House of Lord intitolata “Science and Society” osservava:

‘‘a new humility on the part of science in the face of public attitudes, and a new assertiveness on the part of the public’’ (House of Lords 2000 —paragraph 5.1).

In questo modo veniva confermata la necessità di un dialogo tra cittadini e scienziati posta sul tavolo dalla Royal Society quindici anni prima, ma diversamente da allora questo principio veniva riaffermato secondo un nuovo paradigma in cui il coinvolgimento dei cittadini sui temi e sulle decisioni della scienza andava fondato sulla base di un dialogo bidirezionale tra esperti e non esperti di conoscenza scientifica. La relazione governativa della House of Lord licenziava di fatto il PUS come obsoleto e nel 2002 il COPUS (Committee for the Public Understanding of Science) fu sciolto dai suoi stessi fondatori, tra cui la stessa Royal Society, con il riconoscimento di un nuovo scenario, più ampio e complesso, dei rapporti tra scienza e società (Bucchi, 2008) . Si parla ora di Public dialogue of science (PES) che ebbe una sua prima concretizzazione in programmi come “Sciencewise”.

Le ulteriori implicazioni di questo nuovo corso si ebbero poi quando nel 2008, alcuni organismi pubblici e privati di finanziamento dell’HE (UK Research Councils, Higher Education Funding

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Councils and the Wellcome Trust) promuovono un cambiamento culturale nel modo in cui le università entrano in relazione con il pubblico (HEFCE), finanziando il progetto ‘Beacons for Public Engagement’ (2008-2012) ; e creando un’agenzia nazionale per il public engagement : il National Co-ordinating Centre for Public Engagement (NCCPE).

Il progetto Beacons coinvolge università e organizzazioni della società civile in sei iniziative- pilota con lo scopo di formalizzare e radicare il public engagement come un’attività valorizzata e riconosciuta nell’istruzione superiore del Regno Unito a tutti i livelli. Il centro NCCPE viene invece istituito con il compito di incoraggiare le università a impegnarsi nella e con la società in modi mutuamente benefici e a sostenerle in questo loro impegno. Nel 2010 con il Concordat for Engaging the Public with Research (Research Councils UK et al., 2010), enti finanziatori della ricerca e diverse associazioni inglesi riconoscono pubblicamente l’importanza del Public Engagement nel contribuire a massimizzare l’impatto sociale ed economico della ricerca.

4.1.2. Prima fase: avvio dell’istituzionalizzazione e individuazione di un primo piano attuativo per il PEs (2000-2012)

In Europa, già nel quinto programma quadro di ricerca (FP5, 1998-2002) viene inserita la linea di ricerca "Sensibilizzazione alla scienza e alla tecnologia2".

Il 2001 poi è l’anno in cui entra in vigore la Convenzione di Aarhus sull’ambiente, sottoscritta da vari paesi nel 1998. Questo trattato internazionale segna un punto di svolta nella storia della cittadinanza attiva perché riconosce ai cittadini e in generale alla società civile, diversi diritti per il libero accesso all’informazione e alla partecipazione nella definizione di norme e disposizioni da parte delle pubbliche autorità. Il trattato viene recepito in Europa nel 20033 e pur con un focus specifico sulle questioni ambientali la direttiva European Directive 2003/35/EC dichiara chiaramente:

(3) Effective public participation in the taking of decisions enables the public to express, and the decision-maker to take account of, opinions and concerns which may be relevant to those decisions, thereby increasing the accountability and transparency of the decision-making process and contributing to public awareness of environmental issues and support for the decisions taken.

(4) Participation, including participation by associations, organizations and groups, in particular non-governmental organizations promoting environmental protection, should accordingly be fostered, including inter alia by promoting environmental education of the public.

Sempre nel 2001, viene pubblicato anche il Libro Bianco della governance (EC 2001a) in cui si suggerisce di istituire forme più democratiche e partecipate di governo, di ‘aprire’ il processo di costruzione delle politiche al fine di renderlo, più inclusivo e credibile agli occhi di spesso cittadini spesso distaccati e sfiduciati verso le istituzioni. Vengono affermati i principi di apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza.

In questo nuovo quadro di riferimento la relazione tra scienza e società è considerata una dimensione cruciale. Sempre nel 2001, l’Unione Europea pubblica il documento "Piano d'azione per la scienza e la società" e istituisce un gruppo di lavoro per la “Democratizzazione della competenza e la creazione di sistemi di riferimento scientifico”.

I principi discussi e definiti dal gruppo di lavoro, riguardano in generale la democratizzazione dell’expertise e l’istituzione di una sistema di revisione del metodo di selezione delle expertise nei processi politici, la definizione di nuove linee guida per la scelta degli esperti secondo una logica in grado di garantire un’ampia gamma di punti di vista e pareri tecnici, oltre a prevedere

2 Fifth Framework Research Programme - Raising awareness of science and technology research line.

3 European Directive 2003/35/EC

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la promozione di una partecipazione consapevole (informata) della società nella costruzione delle politiche attraverso l’uso di pratiche partecipative come le giurie di cittadini e le consensus conferences. Gradualmente, in questo iter, i bisogni e le richieste dei cittadini entrano a far parte dell’agenda politica conquistando parte dello spazio occupato sino ad allora prevalentemente dalle istanze dello sviluppo tecnologico ed economico. Si tenta così un cambio di paradigma che dal consenso rispetto ai rischi connessi alla conoscenza si sposta sul principio di una governance innovativa della scienza (Felt & Wynne, 2007; Chilvers, 2013) .

Il Settimo programma quadro per la ricerca4 FP7, (2007-2013) con il programma Scienza nella Società, promuove un approccio sempre più riflessivo sul tema. Il public engagement è oggetto di vari progetti finanziati dalla Commissione europea5 che gradualmente mette a disposizione su questo tema sempre più finanziamenti.

Nel 2007, durante la conferenza per la presidenza portoghese viene dedicata una sezione ad hoc sulla Scienza nella società e aperto un dibattito sul futuro della scienza e della tecnologia in Europa (European Commission, 2007). Questa occasione diventa un momento importante, intanto perché ribadisce l’imprescindibilità di un rapporto aperto e attivo tra scienza e cittadini, in secondo luogo l’evento ufficializza apertamente una dimensione europea per il fenomeno del PEs, in terzo luogo l’evento permette di fare una prima ricognizione e un primo bilancio della fase dialogica del public engagement, di individuare i limiti delle esperienze realizzate e infine di indicare le nuove sfide, per questo ambito, a livello comunitario.

L’esigenza messa in luce in questa fase storica è quella di innalzare il livello del confronto pubblico, focalizzato ancora prevalentemente sui rischi connessi alla scienza e di bilanciarlo concentrando l’attenzione anche su altri aspetti cruciali, legati invece soprattutto ai valori, alle visioni e agli interessi connessi con le scelte e le pratiche della scienza. Questo passaggio segna anche la riammissione degli scienziati sociali nel public engagement of science esclusi dal dibattito dopo che per anni questo si era focalizzato unicamente sugli aspetti prevalentemente tecnologici (Chilvers, 2013) .

Già alla fine del primo decennio degli anni Duemila, si afferma chiaramente l’esigenza di un public engagement ‘upstream’, di una partecipazione alla scienza che venga avviata in stadi precoci nello sviluppo di una nuova conoscenza o tecnologia, in modo che il suo sviluppo possa realmente essere costruito su esigenze dettate dall’interesse collettivo piuttosto che unicamente sulla base di condizionamenti politici, economici e sociali. Inoltre, secondo i nuovi orientamenti che in occasione della conferenza portoghese vennero semplicemente anticipati rispetto ai documenti europei che riprenderanno i temi posti negli anni successivi, il ruolo dei cittadini nella governance della scienza deve attivarsi sin dalle fasi iniziali dei processi decisionali e coinvolgerli direttamente anche sui temi della vision e della mission.

4.1.3.Seconda fase: rafforzamento dell’istituzionalizzazione e individuazione di un secondo piano attuativo per il PEs (2012 - ongoing)

Nel 2012 la Commissione Europa pubblica Responsible Research and Innovation (RRI) (European Commission, 2012b) . Secondo le linee guida contenute nel documento, una RRI è condizionata dalla governance della conoscenza. Questa dovrebbe essere costruita – e realizzarsi – tenendo conto di alcuni principi: l’inclusività (inclusive RRI), rendendo la ricerca un processo inclusivo tra diversi stakeholder, la capacità di prevedere possibili rischi e conseguenze dell’applicazione della conoscenza (anticipatory RRI), la riflessività (reflexive RRI) soprattutto in riferimento al ruolo sociale della conoscenza e la reattività (responsive RRI) ovvero la capacità di essere pronti e flessibili a modificare i processi di R&I in base ai valori pubblici. Il public

4 Seventh Framework Programme for Research and Technological Development (FP7, 2007-2013)

5 List of EU supported Public Engagement projects and initiatives (link).

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