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Destreggiarsi Una lettura dell amministrazione militare italiana della Dalmazia

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Destreggiarsi

Una lettura dell’amministrazione militare italiana della Dalmazia 1918-1920

Raoul Pupo

La Dalmazia costituì per l’Italia uno dei nodi della Conferenza della pace di Parigi e la sua mancata ri­

soluzionecontribuìpoderosamente adalimentare il mito dellavittoriamutilata”. Tuttavia,l’occupa­

zionedella regione vennegestita in qualche modo

alrisparmio.Infatti, l’ampiezza— forse più ap­

parenteche reale — delleambizioni, alle qualila presenza militaredell’Italia sullasponda orientale dell’Adriatico avrebbe dovuto attribuire sostanza, si accompagnava alla consapevolezza che ladispo­ nibilità di uomini, mezzi e financovolontàpolitica, sucui realmente l’Italiapotevafarconto per af­ frontare l’impresa, eraimpari alla bisogna. Per di più, le risorse militari comunquemobilitatee stan­

ziate inDalmaziafinironoper trasformarsi esse stessein unproblema, quandol’ammutinamento dannunziano rischiò di estendersi lungo la costa dalmata, con un effetto probabilmentedirompente sulle relazioni italojugoslave.

L’articolo esaminalespecificità della situazione dalmata rispetto aquella esistente nelle altre pro­

vince ex austriacheoccupatedalle truppe italiane nella prospettiva dellannessione, per passarepoi ad analizzare puntualmenteicaratteri dellammini­

strazionemilitare italiana ein particolare le scelte compiute dal governatore della Dalmazia,ammira­

glio Millo. Una speciale attenzione viene inque­ stambitodedicata alla politicascolastica eairap­

porti fortementeconflittuali con la Chiesa locale.

Dalmatia representedfor Italyone ofthe keyissues at thèParis peaceconference and its non-solution served greatly tofuel thè myth of thè“mutilated victory”. The occupation of thè region was how- ever conducted rather thriftily. The high ambitions, moreostensible than reai, which appeared tojusti- fy thè Italianmilitary presence onthè eastern coast

ofthe Adriatic Sea,were in factassociatedwiththè consciousnessthat thè available forces in troops, means and, perhaps, even politicai will — which Italy couldcount on in ordertotakeup this task werenot equalto thè purpose. Moreover,thè military resourcessomehow mobilizedand de- ployed in Dalmatia ended up by posing a problem in themselves, when thè mutiny of DAnnunzioand his followersrisked to spread over thè Dalmatian coasts, with a likely disruptiveimpact on thèItali- an-Yugoslavrelations.

This essay examines thè peculiaritiesof thè Dal­

matiancaseas compared with thè situation ex- istingin thè remaining former Austrianprovinces occupied bythè Italian armyin view of their an- nexation.There follows an accurateanalysisofthe distinctive features ofthe Italian militaryadminis- tration and inparticular of thè decisionstakenby thè Governar of Dalmatia, admiralMillo.Under thisrespect, specialattention is paid to thèschool policy and to thè highly conflictual relations with thè locai Church.

Italia contemporanea”, settembre-dicembre 2009, n. 256-257

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Raoul Pupo

Alla fine di novembre del 1918 il presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, bom­

bardato da notizie allarmanti provenienti dalla Dalmazia, scrisse al capo di Stato maggiore della marina, ammiraglio Paolo Tahon di Revel, per suggerire che, fino a quando non fosse stato possibile raccogliere una quantità sufficiente di truppe, nei rapporti con le autorità filojugoslave costituite in tutti i centri della regione i coman­

di italiani incaricati di far rispettare le condizio­

ni di armistizio avrebbero dovuto “destreggiar­

si” e attendere tempi migliori1. Un consiglio di tal genere, che può essere considerato soltanto come un’ovvia manifestazione di buon senso, si presta in realtà assai bene — per l’autorevolez­

za della fonte e per l’imbarazzo che esprime — a simboleggiare uno dei caratteri distintivi del­

l’occupazione italiana della Dalmazia dopo la prima guerra mondiale: infatti, l’ampiezza — forse più apparente che reale — delle ambizioni cui la presenza militare italiana sulla sponda orientale dell’Adriatico doveva dare sostanza, si accompagnava alla consapevolezza che le ri­

sorse di uomini, mezzi e financo volontà politi­

ca, di cui l’Italia realmente disponeva per af­

frontare le difficoltà dell’impresa, erano al­

quanto impari alla bisogna.

1II presidentedelConsiglio al capodiStato maggiore della marina, 23novembre 1918,inMinisterodellamarina. Uf­

ficiodel capodi Stato maggiore. Ufficiostorico,Le occupazioni adriatiche, Roma,Tip. dell’ufficio delCapo di sta­ to maggiore, 1932,p.114.

2 Sullosvolgimentodelle trattative dipace si vedano,ampiamente,Luciano Monzali, ItalianidiDalmazia, 1914-1924, Roma, Le Lettere, 2007;RobertoVivarelli, Il dopoguerra in Italia el'avventodel fascismo (1918-1922), 1. Dalla fine della guerra all’impresa di Fiume, Napoli, Nella sede dellTstituto[italiano per gli studistorici], 1967, pp.342-384.

Così, sebbene la Dalmazia costituisse per l’Italia uno dei nodi della Conferenza della pa­

ce — la cui mancata risoluzione alimentò po­

derosamente il mito della vittoria mutilata, esponendo la regione all’onda più estrema del nazionalismo italiano, rappresentata dall’im­

presa dannunziana —, la sua occupazione ven­

ne gestita in qualche modo ‘al risparmio’, con una carenza di mezzi e prospettive tale da far trapelare la scarsa convinzione dei vertici e dello stesso apparato dello Stato (sempre, s’in­

tende, con l’eccezione della marina) riguardo

alla validità di quelle rivendicazioni su cui pu­

re, a Parigi, il ministro degli Esteri Sidney Sen­

nino si impuntava con una caparbietà tale da impressionare il presidente Vittorio Emanuele Orlando, ma non certo gli alleati2. Infine, le ri­

sorse militari comunque reperite e stanziate in Dalmazia finirono per trasformarsi esse stesse in un problema, quando l’ammutinamento dan­

nunziano rischiò di estendersi lungo la costa orientale adriatica e le autorità italiane dovette­

ro nuovamente “destreggiarsi” per mantenere il controllo della situazione.

Per molti aspetti, la situazione nei territori dalmati compresi entro la linea di armistizio ap­

pariva del tutto simile a quella prodottasi nelle altre regioni che il patto di Londra aveva asse­

gnato all’Italia e che erano state occupate dalle truppe italiane in forza delle decisioni del Co­

mando supremo interalleato del 31 ottobre 1918.

Analoghe erano le direttive generali imparti­

te dal governo e dal Comando supremo, che prevedevano l’instaurazione di un pieno ed esclusivo controllo del territorio finalizzato non solo a evitare la formazione di contropoteri av­

versi all’annessione all’Italia, ma anche a orien­

tare la società locale in senso favorevole agli in­

teressi italiani. Analoghi erano anche i limiti posti all’azione delle autorità occupanti, deri­

vanti dalla natura provvisoria e puramente mili­

tare dell’occupazione di territori appartenenti ancora a un’altra entità statale — la pur disciol­

ta Austria-Ungheria — la cui legislazione e le cui istituzioni andavano mantenute fino a quan­

do la Conferenza della pace non avesse deciso la sorte dei territori occupati. In tal senso, Presi­

denza del Consiglio e Comando supremo si espressero in termini assai espliciti nell’indica­

re ai comandi locali i vincoli posti al loro agire sia dalle clausole armistiziali e dalle convenzio­

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ni intemazionali sia dagli interessi politico-di­

plomatici dell’Italia, in una fase in cui il traccia­

to delle nuove frontiere era ancora oggetto di discussione3. Si trattava comunque di limiti che potevano venir in qualche misura aggirati da comandanti di forte personalità, determinati a far buon uso degli ampi poteri a loro conferiti.

Il mantenimento dello stato di guerra, che in Dalmazia si prolungò sino all’entrata in vigore del trattato di Rapallo, consentiva infatti alle autorità militari di emettere bandi aventi effica­

cia superiore a qualsiasi norma vigente nel pae­

se occupato; tali bandi, pur non potendo in al­

cun modo modificare la legislazione austriaca, consentivano però di operare in alcuni casi in deroga a essa, secondo le opportunità e le ne­

cessità determinate dalla situazione4.

3Circolare della Presidenza del Consiglio,“Amministrazione deiterritori exaustro-ungarici. Criterifondamentali”, 19 novembre 1918, inArchivio centrale dello Stato [d’orain poi ACS], Ministero della guerra, Comando supremo [d’ora in poiComando supremo], b.930, fase. 4, sfasc. 1.Lacircolare venne illustratadal sottocapo di Stato maggio­

re PietroBadoglio, nella lettera riservatissimaai governatori, ai comandi d’armata e dicorpo d’armata,ecc., 29no­

vembre1918, in ACS, Comandosupremo, b. 788,fase.Istruzioni politiche per i territorioccupati.

4 EsterCapuzzo,Dal nessoasburgico allasovranità italiana.Legislazione e amministrazione a Trentoe Trieste, Mi­

lano, Giuffrè,1992;Ead., Dall'Austria allItalia. Aspetti istituzionali e problemi normativi nella storia di una frontie­

ra, Roma,La Fenice,1996.

5 Relativitàdell’importanza di alcuni possessi, promemoriaallegatoallalettera del capo diStato maggiore dellama­

rina, Paolo Thaon di Revel, a Sonnino,16 dicembre1918, inSidney Sennino,Carteggio 1916-1922,Roma-Bari, La- terza, 1975,doc.338.

6Olindo Malagodi, Conversazionisullaguerra, Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi,1960, pp. 503 sg.

Indubbiamente significative, peraltro, erano le peculiarità della situazione dalmata. Nella Venezia Tridentina e in quella Giulia le autori­

tà italiane potevano giovarsi di alcune condi­

zioni decisamente favorevoli: a parte i margini orientali della penisola istriana, l’annessione delle due regioni non era seriamente in discus­

sione; i territori occupati costituivano un’evi­

dente priorità strategica per la sicurezza della penisola e i comandi disponevano in zona di forze militari largamente sufficienti a fronteg­

giare qualsiasi evenienza, vale a dire rispettiva­

mente una e due intere armate reduci dal trion­

fo di Vittorio Veneto. Inoltre, all’interno del­

l’articolata società locale, la componente italia­

na era assai nutrita, tanto che in alcune aree, come il Trentino, costituiva praticamente la

quasi totalità della popolazione, e in altre, co­

me a Trieste e in Istria, rivestiva un ruolo chia­

ramente egemone.

In Dalmazia invece, vista l’evoluzione dei rapporti diplomatici fra l’Italia e le altre grandi potenze, la possibilità di annettere i territori in­

dicati dal patto di Londra si rivelò ben presto assai aleatoria. D’altra parte, anche l’interesse strategico della costa dalmata era assai circo­

scritto: ad apprezzarlo era esclusivamente la marina5, che però sopravvalutava largamente la minaccia che il neocostituito Stato jugoslavo avrebbe potuto portare al dominio italiano sul­

l’Adriatico, tanto più che dietro la Serbia non si allungava più l’ombra della potenza russa.

Del tutto opposte erano invece le valutazioni dell’esercito, preoccupato della palese indifen­

dibilità della Dalmazia6.

Fintantoché le forze armate italiane manten­

nero mobilitata una gran massa di truppe, so­

stanzialmente fino all’estate del 1919, la fragi­

lità militare della situazione dalmata non costi­

tuì un grave problema. Le direttive del Coman­

do supremo del marzo 1919, volte a fronteg­

giare un eventuale attacco jugoslavo — consi­

derato probabile qualora la Conferenza della pace avesse accolto le richieste italiane —, pre­

vedevano una devastante offensiva lungo la di­

rettrice Lubiana-Zagabria-Ogulin e affidavano alle truppe di stanza in Dalmazia il compito di estendere l’occupazione anche a Spalato, nella certezza che gli jugoslavi sarebbero stati già abbastanza impegnati a far fronte all’attacco principale contro il cuore del paese per poter

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dedicare attenzione alla costa7. Quando però le esigenze della smobilitazione cominciarono a farsi pressanti, ai tempi del governo di France­

sco Saverio Nitti, le direttive cambiarono radi­

calmente. La previsione di reazioni sempre più blande a eventuali iniziative jugoslave sulla fronte giuba si accompagnò infatti alla pianifi­

cazione di una ritirata generale dalla Dalmazia, dove l’occupazione si sarebbe dovuta rapida­

mente ridurre alla difesa delle sole teste d’im­

barco di Zara e Sebenico8.

7 Per una più articolata analisi dei piani militari italiani mi permetto di rinviare al mio LaDalmazia elammiraglio,

“Qualestoria”, 2009, n.1, pp. 5-35. Si vedano comunque i telegrammi delmaresciallo Diaz (presso la delegazione per la pace a Parigi, Sezione militare) a Badoglio, 22 aprile 1919, edi Diaz alComando supremo, 20 aprile 1919, entram­

bi in Ufficiostorico dello Stato maggioredell’esercito, Archivio [d’ora in poiAUSSME],fondoF3. Carteggio sussidia­ rio prima guerramondiale [dora in poi F3], b. 208, fase. 4; nonché Comandosupremo, Ufficio operazioni, “Schema di progetto per eventuali operazioni offensive contro gli jugoslavi”, 26 marzo 1919,in AUSSME, F3,b. 208, fase. 10.

8Sivedaal riguardoil “pianoViora”, 11 ottobre1919;e, per le fasi successive, si vedano in particolaredispaccio di Badoglio aMillo, 9 agosto 1920; dispacciodel generale Taranto aMillo, 23 agosto 1920; dispaccio di Badoglioa Mil­

lo eTaranto,13settembre1920:tutti in AUSSME, F3,b.163,fase. 2.

9 Perquanto riguarda Knine gli scontricon i serbi, si vedano i rapporti del governatore alcapodi Statomaggiore del­ la marina,30e31 dicembre1919, in Ufficio storico della marina militare. Archivio[d’ora in poi AUSMM],Raccol­

te di base [d’ora in poi Raccolte di base], cart. 1178; per l’occupazione di Selve (Silba),si veda Ministero della mari­

na.Ufficio del capo di Stato maggiore. Ufficio storico, Le occupazioni adriatiche,cit., pp. 337 sg.

10Ministero della marina.Ufficio del capo diStato maggiore.Ufficiostorico,Leoccupazioni adriatiche, cit., pp. 293-304.

11 Ministero della marina. Ufficiodel capo di Stato maggiore.Ufficio storico, Le occupazioni adriatiche, cit., pp. 222-238.

Quanto agli equilibri tra le diverse compo­

nenti nazionali, in Dalmazia essi apparivano completamente sbilanciati a favore degli slavi.

Con la sola eccezione di Zara, la popolazione italiana era oramai ridotta a un ruolo affatto marginale rispetto a quello nettamente preva­

lente dei croati, fieramente avversi all’annes­

sione all’Italia. Le conseguenze si videro sin dalla fase delle prime occupazioni. Mentre nel­

la Venezia Giulia, nonostante varie difficoltà nell’applicazione delle condizioni armistiziali, entro il 19 novembre la linea di armistizio ven­

ne ovunque raggiunta, in Dalmazia il medesi­

mo obiettivo venne conseguito soltanto il 20 febbraio dell’anno successivo, dopo alcune scaramucce con le truppe serbe nei pressi di Knin9. Manifestazioni di entusiasmo per lo sbarco degli italiani si ebbero solo a Zara, al­

trove la popolazione, in larghissima maggio­

ranza croata, si mostrò indifferente o palese­

mente contraria all’occupazione italiana10. A Sebenico, addirittura, l’ostilità della popolazio­

ne e le voci di possibili attacchi indussero il co­

mandante delle unità italiane giunte nel porto a mantenere le truppe a bordo e a rinviare la pre­

sa di possesso della città: essa avvenne solo il 9, dopo l’arrivo del contrammiraglio Leopoldo Notarbartolo — nominato commissario prov­

visorio della Dalmazia — accompagnato da al­

tre unità navali e terrestri, e dopo delicate trat­

tative con gli esponenti filojugoslavi11. Quel giorno stesso Notarbartolo proclamò, a nome dell’Intesa e degli Stati Uniti, l’occupazione, da parte dell’Italia, della Dalmazia fino capo Planka, occupazione che però rimase sulla car­

ta vista la scarsità delle forze disponibili.

La situazione migliorò lentamente dopo la nomina a governatore della Dalmazia e delle isole dalmate e curzolane dell’ammiraglio En­

rico Millo: la sua designazione premiava un comandante di prestigio, politicamente ben in­

trodotto e vicinissimo al capo di Stato maggio­

re della marina Paolo Thaon di Revel, di cui condivideva il giudizio in merito alla necessità assoluta delle annessioni dalmate per la sicu­

rezza strategica italiana. Anche Millo comun­

que dovette stabilire il suo Comando su di una nave ormeggiata al porto di Sebenico, e soltan­

to alla fine del mese l’arrivo dall’Albania della brigata Savona consentì agli italiani di spinger­

si oltre la banchina senza dover farsi scortare

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dagli uomini di una milizia locale jugoslava12.

Nel frattempo a Zara, dove pure l’Italia conta­

va il maggior numero di sostenitori, il contram­

miraglio Notarbartolo venne preso a fucilate mentre passeggiava sulla riva13. Soltanto il successivo arrivo della 24a divisione potè con­

solidare davvero le posizioni italiane; ciò per­

mise finalmente di procedere alla progressiva occupazione dell’entroterra che era rimasto di fatto amministrato dai comitati nazionali jugo­

slavi dipendenti dal Governo provinciale prov­

visorio per la Dalmazia, insediatosi a Spalato il 30 ottobre e legato al Consiglio nazionale ju­

goslavo di Zagabria. La presenza di tali organi e, ancor più, i legami esistenti fra la parte della Dalmazia occupata e quella invece controllata dalle autorità jugoslave fecero sì che poteri estranei al territorio potessero cercare di condi­

zionarne la vita, sfidando le autorità italiane.

12 Rapporto del governatore alComando supremo,11 giugno 1919,in AUSMM,Raccolte di base, cart. 1414. Millo trasferì il suo Comandoa Zara nellaprimaveradel 1919,scontrandosi subito con i tentativi di ostruzionismodei fun­ zionari croati.

13 Rapporto del governatore al Comando supremo, 7dicembre1918, in AUSMM, Raccolte di base, cart. 1495.

14 Rapporto delgovernatore al capo di Stato maggiore della marina e relativi allegati, 21 novembre 1918, inAUSMM, Raccoltedibase, cart. 1495.

15 Rapportospeciale del Comando in capo militare marittimonellaDalmazia e nelle isole curzolane al capo diStato maggiore della marina, 11 febbraio 1919, inAUSMM, Raccolte dibase,cart. 1495.

16Rapporto riservato del governatore al ministro dellaMarina,20 gennaio 1919, in AUSMM, Raccoltedi base, cart.1763.

17 Si veda al riguardo la dettagliata documentazionepresente inAUSMM, Raccolte di base, cart. 1495,1765.

Per esempio, le autorità di Spalato cercarono, nella seconda metà del novembre 1918, di otte­

nere il giuramento di fedeltà allo Stato Shs (Drzava Slovencev, Hrvatov in Srbov, in slove­

no; Drzava Slovenaca, Hrvata i Srba, in serbo­

croato), Stato degli sloveni, dei croati e dei serbi, 29 ottobre-1° dicembre 1918) da parte di tutti gli impiegati pubblici della Dalmazia, minacciando Millo, qualora le autorità italiane non lo avesse­

ro consentito, di far trasferire oltre la Enea d’ar­

mistizio tutto il personale alle proprie dipenden­

ze14. Gli impiegati italiani si rifiutarono di pre­

star giuramento “fino alla decisione definitiva della Conferenza della pace”, e di conseguenza alcuni di loro, residenti nella zona amministrata dagli jugoslavi, vennero sospesi dall’incarico.

Allo stesso modo, la direzione delle ferrovie dal­

mate, avente sede a Spalato, riuscì a boicottare efficacemente il ripristino della linea Spalato- Sebenico-Perkovic-Knin, che correva sul territo­

rio occupato dalle truppe italiane, trasferendo il personale oltre la linea di armistizio e non effet­

tuando le riparazioni indispensabili15.

Ma, anche senza tener conto delle intromis­

sioni dall’esterno, il problema del funzionamen­

to e dell’affidabilità delle pubbliche amministra­

zioni si rivelò di ardua soluzione. Anche questa non era una condizione esclusiva della Dalma­

zia, ma qui la difficoltà fu più acuta, visti la scar­

sissima presenza di italiani nei pubblici impie­

ghi e i limitati strumenti a disposizione del go­

vernatore per fronteggiarla. Nonostante le reite­

rate richieste infatti, l’invio di personale ammi­

nistrativo dall’Italia procedette con il contagoc­

ce e per parecchi mesi Millo potè contare solo sul cavalier Ricci capo dell’ufficio affari civili e di fatto capo di gabinetto del governatore.

Fra le emergenze, assai preoccupante appar­

ve subito la situazione determinatasi in alcune amministrazioni di elevato valore strategico, come quella delle poste e telegrafi, tanto che Millo si convinse che gli jugoslavi avessero stabilito un vero e proprio servizio di censura postale, telegrafica e telefonica16. Chiese quin­

di che gli fosse inviato personale adeguato a consentire la riorganizzazione della direzione delle poste ex austriache e provvide nel frat­

tempo ad aprire tre uffici postali italiani. Ciò però contrastava palesemente con le norme d’armistizio, pertanto — nonostante l’ostruzio­

nismo del governatore — gli uffici postali ven­

nero chiusi dall’amministrazione postale e il personale trasferito a quelli ex austriaci17.

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Difficoltà ancor più serie vennero dalla ma­

gistratura, ai cui vertici si trovavano magistrati croati che ingaggiarono un serrato duello con il governatore18. La conseguenza fu che, per più di un anno, la diversità di orientamenti naziona­

li fra la magistratura e le autorità di pubblica si­

curezza rese quasi impossibile arrestare e con­

dannare chiunque fosse sospettato di reati aven­

ti risvolti politici. Per superare l’impasse, Mil­

lo, per un verso, si affidò ai bandi militari, in modo da estendere progressivamente il numero e il tipo dei reati ricadenti sotto la giurisdizione del Tribunale militare istituito a Zara il 7 di­

cembre 1918, fino a far assegnare a quest’ulti­

mo la competenza su tutti i reati connessi a qualsiasi comportamento vagamente ostile al­

l’Italia e agli italiani19. Sull’altro versante, nel giugno del 1920, arrivò alla resa dei conti con la parte filojugoslava della magistratura, stretta at­

torno alla Corte di appello di Zara20, la cui sede venne perquisita. I documenti ritrovati confer­

marono Millo nel suo sospetto che presso il tri­

bunale funzionasse un vero e proprio “centro di agitazione jugoslava”, tanto che egli si risolse a sospendere due giudici dalle loro funzioni e a fame confinare uno all’isola Grossa.

18 Rinvio in proposito al mio già citato LaDalmazia elammiraglio.

Bando del Governo della Dalmazia, 25dicembre 1918, n.17, inRaccolta bandi del Governo della Dalmazia e del­ leisoledalmatee curzolane, Zara,1920.

20 Rapporto delgovernatore, 28 giugno 1920, inAUSMM, Raccolte dibase, cart. 1536;rapporto del governatore,2 luglio 1920(con numerosi allegati), inACS,PresidenzadelConsiglio dei ministri, Ufficio centrale per lenuovepro­ vince [d’orainpoi, Uncp],b. 20.

21 Telegrammadel governatoreall’ufficiocentraleperle nuove province, 14agosto 1920, in ACS, Uncp, b.152. Ciò nonostante,nell’anno scolastico 1920-1921gli iscritti alginnasiocroato erano 432 (eranostati 493 nel 1918-1919 e 592 nel 1919-1920),mentrequelli al ginnasio italianosolo190: si veda GiovanniFerretti, La scuola nelle terre reden­

te. Relazione a S.E.il Ministro, FirenzeVallecchi, 1923, p. 290.

Un’altra amministrazione chiave era quella scolastica. Qui le difficoltà incontrate furono minori, perché un tessuto di istituzioni scolasti­

che italiane già esisteva e la politica del gover­

natore mirò a rafforzarlo. Negli intenti delle au­

torità non si trattava, è bene chiarirlo, di proce­

dere all’italianizzazione della scuola dalmata

— impraticabile sia per la situazione intema­

zionale sia per la realtà di una regione ad ampia maggioranza croata —, ma di realizzare un rie­

quilibrio rispetto a quelle che erano state perce­

pite dagli italiani di Dalmazia quali forzature compiute dall’amministrazione asburgica in fa­

vore della componente slava. Uno dei simboli di tale tendenza veniva individuato nel ginnasio superiore croato di Zara, creato nel 1897 in li­

nea con le trasformazioni sociali che in tutta l’area dalmata avevano visto la crescita del ceto medio croato, e che i patrioti italiani avevano invece subito inteso come uno strumento atto a favorire la penetrazione slava nelle città a pre­

valenza italiana. Facendo proprio tale giudizio, nell’estate del 1920 Millo proibì di frequentare il ginnasio croato a tutti coloro che non apparte­

nevano ai distretti di Zara e di Bencovac, ancor­

ché pertinenti a distretti dalmati al momento oc­

cupati e amministrati dall’Italia21. Non per que­

sto da parte della pubblica opinione italiana di Zara cessarono le pressioni — anche violente, come le devastazioni del 15 luglio 1920 — in favore della chiusura della scuola, pressioni che avrebbero trovato accoglimento alla fine del­

l’anno scolastico 1920-1921, dopo l’entrata in vigore del trattato di Rapallo, quando fu chiaro che la maggioranza delle famiglie degli allievi aveva optato per la cittadinanza jugoslava.

Quanto all’istruzione elementare, durante la guerra alcuni insegnanti di lingua italiana erano fuggiti in Italia o erano stati internati dalle auto­

rità austriache mentre, dopo l’occupazione ita­

liana, diversi maestri croati si trasferirono nel Regno Shs, in alcuni casi perché sospesi dal ser­

vizio in quanto imputati di attività antitaliane, in altri per evitare sanzioni forse non solo ammini­

strative che sarebbero state verosimilmente per la stessa ragione. Per colmare i vuoti, oltre a fa­

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‘Destreggiarsi’ 517

vorire il rientro dei rifugiati in Italia, le autorità applicarono gli stessi provvedimenti adottati in tutte le Nuove province: riammissione in servi­

zio delle donne che, secondo la legge provincia­

le austriaca, con il matrimonio erano considera­

te dimissionarie; assunzione di maestri fra gli italiani “redenti”; invio di alcuni insegnanti dal­

l’Italia; e, infine, utilizzo come insegnanti dei militari, ai quali venivano a tal fine assegnati il grado di sergente e una modesta indennità22. È facile comprendere come tali provvedimenti po­

tessero favorire la riattivazione delle scuole ita­

liane, ma non certo risolvere quella delle scuole croate. Sulle isole, pertanto, alcune scuole popo­

lari croate vennero accorpate, mentre in altre venne mutata la lingua di insegnamento23.

22 Per unapanoramica generale della politica scolasticaitaliana nelle Nuoveprovince, conparticolare riferimento alla situazione giuliana, siveda AdrianoAndri, GiulioMellinato, Scuola e confine. Leistituzionieducative della Venezia Giulia 1915-1945, Trieste,Istituto regionaleper lastoria del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, 1994.

23 Rapporto del governatore al Comando supremo, 4luglio1919, inAUSMM, Raccolte di base, cart. 1443P.

24 Si vedaal riguardo l’ampia documentazione presente in Ministero della marina. Ufficio delcapodi Statomaggio­

re. Ufficio storico, Le occupazioniadriatiche,cit.

25 Rapporto del governatore al Comando supremo (Affari civili), 5 dicembre 1918, in AUSMM, Raccolte dibase,cart. 1522.

26Si vedano al riguardo le numerose comunicazioniinviate dal governatorealla Presidenzadel Consiglio, in ACS, Ucnp, b. 125.Si vedanoanche lalettera dell’avvocato Luigi Pini,presidentedel Fascio nazionale italiano di Sebenico, a mon­

signor VincenzoSkarpa.15gennaio1920,elarispostadi monsignorSkarpa, 4febbraio 1920, in Archiviosegreto vati­ cano [d'orain poi ASV], Archivio della ex CongregazionedegliAffari Ecclesiastici Straordinari (oggiArchiviodella se­

conda sezione della segreteria diStato,Rapporticon glistati),Austria-Ungheria [d’ora inpoiAes,Austria-Ungheria], pos. 1406, fase. 559; monsignor Skarpa a don Federigo Sargolini, 22 aprile 1920, in ASV, Aes, Austria-Ungheria,pos.

1366,fase.547; Pini a destinatario ignoto,26 aprile1920, in ASV,Aes, Austria-Ungheria,pos. 1366,fase. 547; Gaetano DeLai, cardinale segretariodella Congregazione concistoriale, a monsignor Skarpa, 29 aprile 1920. in ASV, Aes,Au­ stria-Ungheria, pos. 1366, fase. 547;barone Carlo Monti, direttore generaledel Fondoper ilculto, a cardinalePietro Ga- sparri, segretario di Stato,12 marzo1920,in ASV, Aes, Austria-Ungheria, pos.1366, fase. 547.

27 Sivedano monsignor Pulisiéa Congregazioneconcistoriale.28 giugno 1920; Congregazioneconcistoriale a monsignor Skarpa, 28 aprile 1920, entrambe inASV, Aes, Austria-Ungheria, rispettivamente pos. 1383,fase. 549 e pos. 1366,fase.

547. Nella sualetteraPulisic lamentava l'inefficacia delleraccomandazioni da lui fatte pervenire a monsignor Skarpa, incui questultimo avevaravvisato l’intenzionedi “favorire le aspirazioni politichedel governoe degli italianofili sebenzani.

Un fattore essenziale per il consolidamento del controllo italiano e per l’orientamento della popolazione era costituito dall’atteggiamento della Chiesa locale. A differenza della Venezia Giulia, dove il clero era nazionalmente misto, in Dalmazia gli ufficiali italiani si resero conto, fin dai primi sbarchi, vuoi dell’ostilità dei sa­

cerdoti croati, vuoi dell’influenza da loro eser­

citata sugli abitanti dei territori occupati, an- ch’essi in stragrande maggioranza slavi24. Se dunque il clero secolare poteva venir global­

mente considerato “non amico”, quello regola­

re — fra il quale si distinguevano i francescani della provincia di San Girolamo — appariva agli occhi italiani decisamente “nemico”, for­

mato da “temibili sobillatori” e giudicato “irri­

ducibile a sentimenti di ragionevolezza”25.

Fortunatamente per le autorità, mancava al clero croato, nazionalmente assai passionale, una leadership altrettanto determinata. A Sebe- nico era vescovo monsignor Luca Pappafava, di sentimenti dichiaratamente austrocroati, ma po­

co combattivo e per giunta in attesa del trasferi­

mento, già disposto dal Vaticano, nella diocesi marginale di Lesina. La Santa sede naturalmen­

te attese che la situazione intemazionale si chia­

risse prima di provvedere alla nomina di un nuo­

vo vescovo e, nel frattempo, vicario capitolare venne eletto il canonico Vincenzo Skarpa, che si mise subito in urto con gli italiani del luogo abo­

lendo l’uso della lingua italiana nella predica­

zione e vietando ad alcuni cappellani militari italiani prima d’impartire l’istruzione religiosa nella scuole, poi di amministrare i sacramenti ai fedeli del ceto civile26. Riusciti vani i consigli alla prudenza inviati dal Vaticano, si arrivò allo scontro diretto, che ovviamente vide soccombe­

re il battagliero canonico27, prelevato dai carabi­

(8)

Raoul Pupo

nieri, condotto a Lesina28 e difeso solo formal­

mente dalla Santa sede, convinta anch’essa che monsignor Skarpa — definito senza mezzi ter­

mini “un fanatico croato che della religione fa uno strumento di propaganda per la lingua croa­

ta” — , in fondo, se l’era cercata”29.

28 Sivedala dettagliata documentazione al riguardo conservata in ACS,Ucnp, b.125, relativa sia ai rapporti dei cara­

binieri siaalla versione fornita dai canonici di Sebenico.

29Si vedano, per le proteste jugoslave, legazione del Regnodei serbi, croatiesloveni a segretario di Stato, 17maggio 1920;per la protesta della Santasede, cardinale Gasparri a barone Monti,10giugno 1920; per le considerazioni del­ laCongregazione concistoriale, cardinaleDe Lai acardinale Gasparri, 1 maggio 1920: tutti in ASV,Aes,Austria-Un- gheria, rispettivamente pos.1366, fase. 547; pos.1383, fase. 549; pos. 1366, fase. 547.

30 Governatore a Comando supremo,sd.,(ma prot. in arrivo 20428,25 giugno 1919), inAUSSME, fondo E3. Corpi di spedizione edi occupazione, b.163, fase. 4.

31 Siveda, allintemo dell’ampia documentazioneal riguardo, il rapporto del governatore alComando supremo,9 giugno 1919, inAUSMM,Raccolte di base, cart.1421.

32Rapporto del governatore alComando supremo, 14 dicembre 1918, inAUSMM, Raccolte dibase, cart.1495.

33 Rapporto delgovernatore al Comando supremo, 3 febbraio 1919, in AUSMM, Raccoltedi base,cart. 1414.

34 Nittiaicommissarigenerali civili di Trento e Trieste e al governatore della Dalmazia, 11 agosto 1919, in ACS, Ucnp, b. 143.

A Zara, invece, vescovo era monsignor Vinko Pulisié, che non nascondeva né i suoi sentimenti croati né il proprio attaccamento alla memoria degli Asburgo, ma era gravemente malato, in cattivi rapporti con gli altri vescovi dalmati e de­

sideroso soltanto di essere lasciato in pace, in at­

tesa dell'agognato collocamento a riposo. Ciò naturalmente, visti i tempi, non gli riuscì ed egli si ritrovò anzi sballottato tra le opposte forze che agitavano la sua diocesi. Con le autorità di occu­

pazione monsignor Pulisié cercò di tenere buoni rapporti e mostrò addirittura una certa arrende­

volezza nella composizione di alcuni incidenti, in cui erano coinvolti membri del clero diocesa­

no30. Tuttavia, nella primavera del 1919 il vesco­

vo si cacciò in un bel pasticcio, avendo prima concesso, poi ritirato, poi infine nuovamente confermato la propria firma a un elenco di croati di Dalmazia che la delegazione jugoslava alla conferenza di Parigi utilizzò a sostegno delle proprie rivendicazioni. Le furibonde polemiche seguite all’episodio sconvolsero il presule di cui il governatore chiese invano la testa; la condotta di monsignor Pulisié chiarì in ogni caso come egli non avesse certo la tempra del capopopolo e non costituisse, in fondo, alcun pericolo31.

Da parte sua, rispetto al clero il governatore cercò di seguire la via della diplomazia, così co­

me suggeritogli dal governo, ma non esitò a usare la mano pesante nei confronti dei suoi esponenti considerati irriducibili nemici del­

l’Italia. Così per esempio, dopo aver inizial­

mente deciso di spedire aH’internamento don Jure Biankini, uno dei leader del partito croato dalmata e deputato al parlamento di Belgrado, ci ripensò e si limitò ad allontanarlo oltre la li­

nea di armistizio32. Quanto ai francescani, quel­

li considerati più facinorosi vennero espulsi, mentre padre Lujo Marun, anziano conservato- re del museo di Knin e noto archeologo, venne richiamato pochi giorni dopo essere stato man­

dato in Italia perché l’esperienza vissuta nelle carceri di Ancona era stata sufficiente a fargli promettere di non occuparsi più di politica33.

I sacerdoti comunque rappresentarono solo una piccola parte dei soggetti colpiti dai prov­

vedimenti repressivi, che si concentrarono so­

prattutto nei primi tempi dell’occupazione, quando la scarsezza di mezzi e l’ostilità della grande maggioranza della popolazione rende­

vano incerta la dominazione italiana, e — co­

me scrisse a posteriori il presidente del Consi­

glio, Nitti — “conveniva, nei casi dubbi, ecce­

dere nelle persecuzioni anche in base a sem­

plici sospetti, spesso basati su denunce non sempre disinteressate”34. Difatti il governatore non esitò ad applicare la normativa austriaca

“che prevedeva l’internamento di singoli indi­

(9)

‘Destreggiarsi” 519

vidui o interi gruppi familiari ed era stata lar­

gamente praticata nel corso della guerra”35.

Alla metà di aprile, secondo Millo, gli interna­

ti erano 90 — “uno ogni 5.000 abitanti” — cui andavano aggiunti 4 espulsi e un confinato a Lagosta. Gli internati e confinati erano in ge­

nere impiegati pubblici del passato regime, persone che avevano occupato cariche pubbli­

che durante il periodo austriaco — come l’ex sindaco di Sebenico — ed esponenti del basso clero.

35 Rapporto del governatore alpresidentedel Consiglio, 11giugno1919, in AUSMM,Raccolte di base, cart.1414.

36 Nitti ai commissarigenerali civili di Trentoe Triestee al governatore dellaDalmazia, 11 agosto 1919, loc. cit. a nota 34.

37 Relazionedi Salata a onorevole GiuseppeGrassi, sottosegretario diStatoperlinterno, suicittadinidelle Nuove province internati nel regno, 27 dicembre 1919,inACS, Ucnp, b. 143.

38 Note al memoriale a firmadelgovernatore, presentato dalgovernoprovincialediSpalato, sd., in AUSMM, Raccol­ te dibase, cart.1495.

39Sulla situazione a Spalato siveda Giulio Menini, Passione Adriatica. Ricordi di Dalmazia 1918-1920, Bologna, Zanichelli, 1925, da integrare con l’amplissima documentazione conservatain AUSMM. Sugli incidenti dell’ 11 lu­

glio 1920si veda inparticolare, per laversione italiana, larelazione del capitano di corvetta Pierallini,con annessi verbali di deposizione dei marinai delMas, in AUSMM, Raccolte dibase, cart.1537; perla versione jugoslavasive­

da “NovoDoba”, 13luglio 1920; si veda inoltre Claudio Silvestri,Documenti americani suiFatti diSpalato”del lu­

glio 1920, “Il Movimento di liberazione in Italia, 1969, n.94, pp. 62 sg.

La situazione cominciò a cambiare nel corso dell’estate, sotto la spinta delle proteste della stampa intemazionale, che trovarono eco an­

che nel parlamento italiano. Nitti, preoccupato che la campagna di stampa potesse ulterior­

mente complicare i già difficili rapporti fra l’Italia e gli alleati, si risolse 1’ 11 agosto a invi­

tare i commissari civili di Trento e Trieste e il governatore della Dalmazia a

procederead una revisione deiprovvedimentipresi, riesaminandoli concriteri benevolie larghi, per revo­ carel’internamentoditutti coloro acarico dei quali non sussistonoprove seriee concretedi fatti gravi da renderne effettivamente pericolosoilritorno36.

L’operazione non dovette essere semplice se, in settembre, un appunto del ministero degli Este­

ri per il conte Carlo Sforza parlava ancora di 200 internati dalmati in Italia; in ogni caso, a fi­

ne dicembre, Francesco Salata comunicò al mi­

nistero dellTntemo che — a parte il caso di un paio di elementi giudicati da Millo troppo peri­

colosi per venir autorizzati a rientrare — il pro­

blema degli internati civili in Dalmazia poteva considerarsi risolto37.

Agli espulsi e internati ufficiali tuttavia, vanno aggiunte alcune altre centinaia di perso­

ne, slavi non originari della Dalmazia che si al­

lontanarono dai territori occupati perché entra­

ti in urto per vari motivi con le autorità italiane o perché queste ultime li avevano esplicita­

mente “invitati ad andarsene al loro paese na­

tio”38. Furono proprio questi profughi, concen­

tratisi a Spalato, i principali protagonisti degli incidenti a danno della cospicua componente italiana della popolazione locale, che avrebbe­

ro reso incandescente lo scontro nazionale a Spalato fino a tutto il 1920, con dirette e gravi ripercussioni sia sui rapporti italojugoslavi sia sulla stessa lotta politica in Italia: ne sono un esempio le uccisioni del comandante Tommaso Gulli e del motorista Aldo Rossi, nel luglio del 1920, da cui i fascisti giuliani avrebbero tratto l’occasione per dare alle fiamme i Narodni Dom di Trieste e Pola39.

Espulsioni e internamenti non costituivano però l’unico strumento repressivo nelle mani del governatore, ma solo il più estremo. Per esempio, la vigenza dello stato di guerra e la permanente validità della legislazione austriaca offrivano a Millo il destro di applicare la censu­

ra sulla stampa e di sequestrare le pubblicazioni ritenute pericolose. A censura erano sottoposte anche le comunicazioni postali e telegrafiche e, sebbene ai primi di luglio del 1919 i relativi provvedimenti fossero stati revocati per tutte le Nuove province, Millo ottenne che il controllo

(10)

Raoul Pupo

fosse mantenuto sulle comunicazioni dei priva­

ti con stati esteri40. La libertà di espressione co­

munque, se pur limitata, non fu negata e la stampa filojugoslava41 continuò le sue pubbli­

cazioni, anche se esposte al continuo rischio di sequestro. Parimenti venne rispettata la libertà di associazione, nel senso che le istituzioni po­

litiche e culturali filojugoslave continuarono, sia pure sotto stretto controllo, la loro attività.

Particolarmente presi di mira furono i Sokol, considerati dalle autorità centri organizzatori delle agitazioni antitaliane: di conseguenza, le sedi di Zara e Sebenico dapprima furono requi­

site per essere trasformate in comandi militari, poi — una volta trasferite in locali più angusti

— più volte perquisite, e il ritrovamento di armi e documenti compromettenti condusse all’arre­

sto di alcuni membri delle associazioni42.

40 Risposta all’interrogazione dell’onorevole Federzoni, 11novembre 1920, prot.4797=8/13 Gab.,inACS, Ucnp.

41La Voce dalmatica”, dal 1918 al 1921;La Dalmazia, pubblicatosolo peralcuni mesi del 1919, in veste bilingue unicamenteper ledizione di Sebenico. A partire dal 1921 sarebberostatipubblicati “L’Azione nazionale”, “L’Adria­ tico”, “Il Corriere di Zara”.

42 Governatore a comandante della regia nave Puglia aSpalato, 5 luglio 1920, in AUSMM,Raccoltedibase,cart. 1536.

43 Sui piani italiani di destabilizzazione del Regno Shs, si veda FrancescoCaccamo, Il sostegno allindipendentismo croato,“Nuova storiacontemporanea”, 2004, n. 6, pp. 23-56.

44 PaoloAlatri,Nitti, DAnnunzio e laquestione adriatica, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 327-330.

Complessivamente dunque, nonostante le evidenti difficoltà incontrate, il primo degli obiettivi che le autorità italiane si erano propo­

ste, quello del controllo del territorio, fu co­

munque raggiunto, fondamentalmente perché da parte jugoslava nessuna vera sfida venne lanciata alle forze di occupazione. La palese contrarietà dei croati all’occupazione italiana non prese la forma di una ribellione violenta, a differenza di quanto sarebbe accaduto durante la seconda guerra mondiale. Non esisteva in­

fatti un soggetto politico — come sarebbe stato il movimento di liberazione jugoslavo guidato da Tito — determinato a, e capace di, mobilita­

re frange crescenti di popolazione contro l’oc­

cupante e, soprattutto, di inserire eventuali atti di violenza all’interno di un progetto politico complessivo. Al contrario, il Regno Shs era in­

teressato a mantenere il contrasto con l’Italia sul piano diplomatico, considerata la buona ac­

coglienza che il punto di vista jugoslavo sem­

brava trovare presso le grandi potenze impe­

gnate nella Conferenza della pace, e soprattutto da parte degli Stati Uniti. Viceversa, il precipi­

tare di una crisi con l’Italia avrebbe potuto of­

frire al governo di Roma il destro di procedere con atti unilaterali di annessione o, addirittura, di colpire militarmente il nuovo e fragile Stato jugoslavo, in modo da cancellare qualsiasi sua opposizione alle richieste territoriali italiane e da metterne a rischio la stessa esistenza43.

L’unico momento di vera crisi del controllo esercitato dalle autorità militari sulla Dalmazia occupata fu generato da parte italiana, con l’impresa di D’Annunzio. L’avventura fiumana portò la situazione dalmata al limite della rottu­

ra, oscillante fra una possibile presa del potere da parte di D’Annunzio, che sbarcò a Zara il 14 novembre del 1919, e la ribellione dello stesso governatore che non solo si fece acclamare as­

sieme al poeta-soldato, ma diede pubblicamen­

te la sua parola che la Dalmazia, nei confini previsti dal patto di Londra, non sarebbe mai stata sgombrata44.

L’importanza del gesto di Millo è stata ampia­

mente sottolineata dalla storiografia, che vi ha scorto uno dei simboli del clima di sedizione mi­

litare — attraversato da ricorrenti voci di “pro­

nunciamenti” con registi illustri — vissuto dal paese in quegli anni e culminato nella benevola neutralità delle forze armate nei confronti del fa­

scismo. Certamente, l’esplicito sostegno presta­

to dal governatore a D’Annunzio, in antitesi alla politica estera del governo, contribuì poderosa­

mente a incrinare la credibilità delle istituzioni italiane, all’interno e all’estero, e offri una spon­

da importante all’impresa fiumana. Per di più Millo non si limitava a esprimere un atteggia­

(11)

“Destreggiarsi’ 521

mento largamente condiviso nelle forze armate, ma rivelava una concezione nuova, quasi con­

trattuale, della disciplina — praticata in ragione della capacità dell’autorità politica di raggiunge­

re gli obiettivi patriottici che infiammavano l’animo dei militari —, che aveva preso corpo nella fase finale del conflitto e che nel dopoguer­

ra non si era diffusa solamente tra i giovani uffi­

ciali imbevuti di arditismo e garibaldinismo, ma tra i vertici dell’esercito e della marina45.

45 Marco Mondini, La politicadellearmi, il ruolo dell’esercitonell’avvento del fascismo, Roma-Bari,Laterza,2006, in particolare alle pp. 42-41.

46 Non esiste per la marina uno studio simile a quello di Luigi Emilio Longo, Lesercito italiano e la questionefiuma­

na (1919-1921 ), Roma,Ussme, 1996.L’abbondante materiale conservato in AUSMM lo consentirebbe, come segna­ lato anche daL.Monzali,Italianidi Dalmazia, cit., pp. 149-150.

47 L. Monzali, Italiani di Dalmazia, cit., pp. 227-241.

48 L. Monzali,Italianidi Dalmazia, cit., pp.245-247.

Tuttavia, l’assenza di reazioni decise da par­

te dei vertici politici e militari italiani, non solo alle dichiarazioni del 14 novembre ma anche a precedenti manifestazioni di dissenso del go­

vernatore nei confronti delle scelte del governo, non va considerata unicamente un sintomo di debolezza, ma un segnale della più generale ambiguità delle autorità italiane nei confronti dell’impresa di Fiume. Nitti le era assolutamen­

te contrario, ma ciò non gli impedì di scorgere le opportunità di manovra che la nuova situa­

zione fiumana avrebbe potuto offrire alla diplo­

mazia italiana. Il numero dei reparti ammutina­

ti era basso, ma molti altri erano pronti a imitar­

li e la rete di solidarietà sulla quale i legionari potevano contare all’interno delle forze armate era amplissima46. La disponibilità delle truppe e dei loro comandanti a far fuoco sui ribelli era men che dubbia, e non vi era chi si azzardasse a metterla alla prova, con il rischio di innescare una rivolta generale. Soprattutto, D’Annunzio a Fiume non si sarebbe potuto mantenere senza il sostanziale appoggio che gli veniva dall’Italia, in forma occulta o palese e, nel consentirlo, lo Stato maggiore e il governo non furono meno efficaci del governatore della Dalmazia.

Quest’ultimo, se pur in maniera alquanto acrobatica, riuscì a gestire la crisi, mantenendo il comando delle forze italiane sulla sponda

orientale dell’Adriatico, inclusi i reparti di vo­

lontari dannunziani, e collaborando nel dissua­

dere D’Annunzio dal compiere nuove spedi­

zioni verso i territori dalmati non compresi dal patto di Londra o rientranti fra quelli che il go­

verno era disposto a cedere alla Jugoslavia in cambio di Fiume. Una volta concluso poi il trattato di Rapallo, il governatore ebbe il buon senso di rendersi conto che il principale fattore che aveva reso possibile il successo dell’im­

presa fiumana, e cioè il sostegno delle forze ar­

mate italiane, si era oramai dissolto; ciò lo con­

dusse a negare il proprio appoggio a eventuali mosse disperate di D’Annunzio47. La coerenza di Millo ne uscì irrimediabilmente distrutta, ma anche tale circostanza fece il gioco del governo che potè così senza difficoltà sostituire l’ormai screditato ammiraglio con un governatore civi­

le e un comandante militare assai più determi­

nati nel ricondurre all’obbedienza i reparti fiu­

mani presenti a Zara48.

Completamente mancato invece fu il secondo obiettivo dell’amministrazione militare, quello di orientare in misura significativa i dalmati ver­

so l’annessione all’Italia. In effetti si trattava di un traguardo impossibile vista l’articolazione nazionale della popolazione, e anche la propa­

ganda italiana ottenne fra gli slavi risultati assai limitati, nonostante il grande impegno profuso.

Motori dell’azione propagandistica italiana furono, anche in Dalmazia, gli uffici Ito (Infor­

mazioni, truppe, operanti), a proposito dei qua­

li va notato che — a differenza di quanto acca­

duto nella Venezia Giulia, dove il generale Carlo Petitti di Roreto si accorse ben presto delle esagerazioni contenute nei loro rapporti e cercò di ridimensionarne drasticamente le atti­

vità — Millo fece propria l’analisi allarmistica della situazione dalmata proposta dai servizi di

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informazione e inondò il Comando supremo e gli organi di governo di messaggi dai toni fo­

schi e drammatici, volti a motivare le azioni re­

pressive da lui condotte sul territorio, a solleci­

tare Presidenza del Consiglio e ministero degli Esteri ad assumere una politica più incisiva verso la Dalmazia e, possibilmente, a estendere l’occupazione anche oltre la linea di armistizio.

In ogni caso, gli strumenti di intervento messi in opera nei confronti della popolazione furono quelli tradizionali dell’infiltrazione e del sostegno alla stampa, alle associazioni e al­

le personalità “amiche”, ma anche quello del­

l’assistenza che, in una realtà fortemente pro­

vata da anni di guerra e miseria, assumeva un valore strategico per la costruzione del consen­

so. Di ciò le autorità italiane ebbero piena co­

scienza fin dai primi giorni del loro insedia­

mento; l’arrivo delle truppe italiane fu in gene­

re accompagnato dalla distribuzione di viveri e medicinali alla popolazione: un comportamen­

to in cui le motivazioni umanitarie si fondeva­

no dichiaratamente con quelle propagandisti­

che49. Anche gli esponenti locali croati ne era­

no consapevoli, e a più riprese cercarono di dissuadere gli abitanti dall’accettare l’assisten­

za fornita dai militari italiani, ma con scarso successo50. Uguali reazioni suscitò la creazio­

ne di un servizio capillare di refezione scolasti­

ca, avversato dai maestri e dal clero jugoslavo, ma di cui beneficiarono anche studenti residen­

ti oltre la linea di armistizio, che venivano in­

viati a studiare dai genitori nella zona di occu­

pazione italiana proprio a tale scopo. La situa­

zione, ben nota alle autorità, venne tollerata per

49 Si vedano, a mero titolo di esempio, ilrapporto del governatore al Comando supremo,2gennaio 1919; il rapporto del comandanteDifesa militaremarittima delle Curzolane, 10gennaio 1919;ilrapporto delgovernatore al capodi Stato maggiore della marina, sd., mapresumibilmentedei primi di febbraio 1919, tuttiin AUSMM, Raccoltedi base, cart. 1414.

50 II governatore alcapo di Statomaggiore della marina, 19 gennaio1919,in Archivio storico diplomaticodelMini­ stero degli affari esteri[d’ora inpoi ASMAE], fondo Conferenzadellapace, b. 20;rapportosulla situazione nelliso­

la diVeglia del tenente colonnello CornelioDal Molin al Comandoin capo Alto Adriatico, 22 settembre 1919, in AUSMM, Raccoltedi base, cart. 1411.

51 Rapporto del generale Tarantoalgovernatore, 24 aprile1919,in AUSMM, Raccolte di base, cart. 1454.

52Relazione anno 1919-1920dell’Ambulatorio dellaR.Marina a Sebenico, in AUSMM, Raccolte di base,cart. 1536.

propagandare oltre confine la “magnanimità delle truppe italiane”51.

Le autorità italiane si spesero senza rispar­

mio anche sul versante sanitario, riattivando le strutture del passato regime e aprendo numero­

si ambulatori anche nelle località più piccole e isolate; contribuirono così, in particolare, a ri­

durre in misura significativa i danni provocati dalla malaria. L'animus di tali interventi venne ben sintetizzato dal responsabile dell’ambula- torio della marina di Sebenico, che mise in luce come, in “un’opera che non dovesse essere so­

lo umanitaria ma politica”, egli non avesse esi­

tato a “sottomettersi a contatti né igienici né puliti [...] con i contadini croati sudici, fameli­

ci e malaticci” per convertire “l’odio in buon sentimento”52.

Lo stesso spirito animò anche i tentativi di far ripartire l’economia locale che però, nonostante gli sforzi profusi, non segnò un deciso rilancio perché gli interventi puntuali messi in atto dalle autorità italiane non potevano compensare gli effetti negativi più generali legati all’indetermi­

natezza dell’appartenenza statuale della Dalma­

zia, al blocco commerciale attuato dalle potenze alleate nei confronti dei territori ex austriaci e al mancato ragguaglio della corona alla lira.

La propaganda italiana, inizialmente, sembrò ottenere qualche risultato. A Scardona, per esempio, fra le truppe occupanti e la popolazio­

ne di nazionalità mista, si instaurò un rapporto positivo che il governatore pensò di sfruttare immediatamente per mostrare agli alleati quali sarebbero stati i veri sentimenti delle popolazio­

ni dalmate in vista di una possibile annessione

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