ANNO 158 GEN/MAR
N. 1 2022
ARCHIVIO STORICO RICORDI
EL NOST MILAN
VISION STRING QUARTET ANGELA HEWITT
MUSICA E MOTORI
PALAZZO CRESPI CHIAMATECI BAND NEL NOME DI BACH
Giornale della Società del Quartetto di Milano fondato nel 1864
ISSN 2724-4458
Registrazione al Tribunale di Milano n. 183 del 15 Dic. 2020 - Tribunale Ordinario di Milano Diffusione gratuita
ANNO 158 N. 1
Direttore responsabile: Biagio Scuderi
scuderi@quartettomilano.itRedazione: Valentina Crosetto
crosetto@quartettomilano.itEditore: Società del Quartetto di Milano Grafica: Elisa Barbarino
Stampa: AV PRESS SRL
Promozione / ADV: Cira Russo
promozione@quartettomilano.it Società del Quartetto di MilanoPalazzo Durini, via Durini 24, 20122 Milano + 39 02 795393
Società del Quartetto di Milano
Consiglio Direttivo
Ilaria Borletti Buitoni (Presidente) Maria Majno (Vicepresidente) Filippo Annunziata | Lodovico Barassi
Mario Bassani | Marco Bisceglia | Anna Calabro Gianluigi Chiodaroli | Liliana Konigsman Marco Magnifico Fracaro
Direttore Artistico Paolo Arcà
Comunicazione - Marketing Special projects - Quartetto OFF Biagio Scuderi
Crediti fotografici
© Uwe Arens (1, 9)
© Sander Stuart (10)
© Bernd Eberle (13)
quartettomilano.it
I N D I C E
PAG PAG PAG
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MU SI CA E M O TO RI FEN O MEN O TJEKN AV O RI A N CHI A M ATEC I B A ND NEL N O ME DI B A CH
RIP A RTI A M O D A LL A MU SI CA PA LA ZZ O C RESPI
BIAGIO SCUDERI EMMANUEL TJEKNAVORIAN VISION STRING QUARTET
WUNDERKAMMER ANGELA HEWITT EL NOST MILAN
Editoriale
Ripartiamo dalla musica
Nonostante la Pandemia non allenti la sua morsa la Società del Quartetto di Milano prosegue con fiducia la sua attività e offre al suo pubblico un calendario ricco di eventi per i prossimi tre mesi.
La Stagione in Sala Verdi riparte martedì 18 gennaio (ore 20.30) con il fenomeno dell’archetto Emmanuel Tjeknavorian in duo con il pianista Maximilian Kromer. In programma il sonatismo intimo e raffinato per violino e pianoforte di Mozart, Poulenc, Čajkovskij e Schumann. Secondo appuntamento il 25 gennaio con i King’s Singers per uno straordinario viaggio da Ravel ai Queen.
Nei mesi di febbraio e marzo altri 7 concerti con grandi star del circuito internazionale: vision string quartet, Alexander Kantorow, il Quartetto di Cremona, Paul Lewis, il Quartetto Emerson, Joshua Bell accompagnato da Shai Wosner e, in ultimo, Angela Hewitt.
Nei prossimi tre mesi valorizzeremo, inoltre, la nostra collaborazione con Intesa Sanpaolo (Main Sponsor della nostra Stagione) in occasione della mostra-evento Grand Tour. Sogno d’Italia da Venezia a Pompei, allestita fino al 27 marzo alle Gallerie d’Italia di Milano. Dal 14 gennaio al 4 marzo presenteremo infatti il ciclo di concerti La musica del Grand Tour, affidato al Quartetto Noûs e ispirato ai viaggi di formazione che Mozart, Mendelssohn e Čajkovskij compirono nel nostro “Bel Paese” fra Sette e Ottocento.
Il 22 gennaio, infine, prende avvio ila quinta edizione della rassegna Musica a Villa Necchi, cinque concerti pomeridiani realizzati in collaborazione con il FAI nella splendida cornice della storica residenza milanese.
Protagonisti i pianisti Mariangela Vacatello, Luca Buratto, Alessandro Taverna, il chitarrista Eugenio Della Chiara e il Quartetto Prometeo.
Ce n’è per tutti i gusti, vi aspettiamo!
di Biagio Scuderi
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L’app dove tutti trovano casa
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14 febbraio 2022 - ore 20
Orchestra del Teatro Mariinskij Valery Gergiev, direttore
Musiche di Cˇ ajkovskij
6 maggio 2022 - ore 20
West-Eastern Divan Orchestra
Daniel Barenboim, direttore Bedrˇich Smetana
Má vlast
8 e 9 settembre 2022 - ore 20
Sächsische Staatskapelle Dresden
Christian Thielemann, direttore
8 settembre 2022 - ore 20 Anton Bruckner
Sinfonia n. 5 in si bem. magg.
9 settembre 2022 - ore 20 Ludwig van Beethoven
Sinfonia n. 7 in la magg. op. 92 Sinfonia n. 8 in fa magg. op. 93 29 aprile 2022 - ore 20
Orchestre de Paris
Esa-Pekka Salonen, direttore
Maurice Ravel
Pavane pour une infante défunte Béla Bartók
Il Mandarino meraviglioso, suite da concerto (1919) Hector Berlioz
Symphonie fantastique (Épisode de la vie d’un artiste)
Si ringrazia
Milano per la Scala
e la Signora Aline Foriel-Destezet www.teatroallascala.org
2021- 2022
Orchestre ospiti
G&R associati - Foto Brescia-Amisano
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Le riviste di Casa Ricordi sono consultabili nella collezione digitale dell’Archivio Storico Ricordi digitalarchivioricordi.com
archivioricordi.com
MUSICA E MOTORI
WU NDER KA MMER
Nelle riviste edite da Ricordi non si parla solo di musica, ma anche di “motori”, soprattutto nei numeri di Musica e Musi- cisti (1902-1905) e Ars et Labor (1906-1912), dove fra spartiti omaggio e biografie di artisti entra una nuova star dell’epoca:
l’automobile. Paladino è il compositore Giacomo Puccini, che invia a Ricordi la fotografia di ogni suo nuovo acquisto perché la pubblichi sulla rivista, così nel numero di maggio del 1903 la sua Clément appare nella biografia a puntate del Maestro.
In Ars et Labor si aggiungono nel 1907 i primi servizi fotogra- fici della gran corsa automobilistica del Taunus e nel 1908 quelli della Targa Florio. Il lettore leggendo un reportage del 1907 rimane affascinato dalla resistenza del motore dell’Itala,
che attraversa l’Europa in lungo e in largo. Dalle stesse pagine può anche aggiornarsi sulle ultime novità del dopo Salone di Torino del 1908 e del X Salon di Parigi del 1907, nonché del- la milanese Mostra del ciclo e dell’automobile tenutasi a Milano negli stessi padiglioni della precedente Esposizione del Sem- pione del 1906. Accanto agli articoli ecco apparire le pubblici- tà: dalla Ditta Ricordi Sessa e C. - il fratello di Giulio, Giuseppe, aveva infatti una concessionaria di auto di lusso - alle Offici- ne De Luca Daimler. Non possono mancare infine le copertine a tema automobilistico, come quelle disegnate nel 1907 da Marcello Dudovich e l’anno seguente da Leopoldo Metlicovitz.
Copertina realizzata da Leopoldo Metlicovitz per il numero di settembre della rivista Ars et Labor (1908)
Copertina realizzata da Marcello Dudovich per il numero di settembre della rivista Ars et Labor (1907)
WUNDERKAMMER rarità dalle collezioni dell’Archivio Storico Ricordi
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FENOMENO
TJEKNAVORIAN
di Valentina Crosetto
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a quando, nel 2015, si è aggiudicato il premio per la migliore interpretazione del Concerto per vio- lino di Sibelius e il secondo premio al Concorso omonimo, il violinista Emmanuel Tjeknavorian è balzato all’attenzione internazionale varcan- do la soglia dei principali templi sacri della musica. Fenomeno dell’archetto lanciato in una carriera folgorante a soli 26 anni, si è distinto quale più giovane “Artist in residence” di sem- pre al Musikverein di Vienna. Nato nella capitale austriaca da genitori armeni, nel sangue ha il Dna di due imperi, ma anche l’eredità musicale della sua famiglia è degna di nota: il padre Loris, compositore e bacchetta di assoluto rilievo, lo ha avviato giovanissimo alla direzione d’orchestra assicurandogli un bril- lante avvenire non solo come virtuoso. Alla Società del Quar- tetto tornerà il 18 gennaio, dopo il debutto nel 2020, accanto al pianista Maximilian Kromer, suo connazionale e coetaneo, con un programma su musiche di Mozart, Schumann, Čajkov- skij, Poulenc, che spazia dal classicismo al Novecento.Maestro Tjeknavorian, lei ha iniziato a suonare il violino a 5 anni. Scelta spontanea o i suoi genitori, anche loro musicisti, l’hanno influenzata?
Non è stata una scelta scontata, i miei genitori non volevano che seguissi le loro orme. Ho una sorella, poco più grande di me, che non è musicista. Non so cosa mi abbia spinto a sceglie- re questo strumento, forse la mia testardaggine. Ricordo sol-
tanto che al mio quinto compleanno chiesi in regalo un violino.
Nel 2011 è divenuto allievo di Gerhard Schulz, ex membro del Quartetto Alban Berg, all’Università di Musica a Vienna.
Qual è stato il suo insegnamento più grande?
Una delle lezioni più importanti che ho imparato da Schulz è stata quella di dare sempre il massimo sul palcoscenico, non importa se suoni alla Scala o in una sala minore.
Nonostante sia nato e cresciuto in Austria, le radici della sua famiglia sono armene. Che peso hanno nella sua vita d’artista?
In superficie non hanno condizionato il mio modo di far mu- sica. Ho un’educazione viennese e come virtuoso appartengo alla nuova generazione della scuola occidentale. Ma dentro di me il richiamo della mia terra d’origine gioca un ruolo enorme, difficile da esprimere a parole.
Imbraccia un prezioso Stradivari “Cremona” del 1698.
Che cosa lo rende unico?
È una grande responsabilità e un immenso privilegio suonare uno strumento così antico. Sono tanti i violini costruiti dal ce- lebre liutaio cremonese che proprio in virtù della loro superba e inconfondibile voce richiedono all’interprete uno sforzo di
adattamento. Per fortuna, nel mio caso avviene il contrario.
Alle spalle, malgrado la giovane età, vanta un curriculum impressionante di esibizioni, premi e album. Qual è la sua definizione di successo?
Raggiungi il successo quando la tecnica ti consente di “parla- re” attraverso la musica.
Per un solista che colleziona collaborazioni con orchestre e direttori di fama mondiale che cosa rappresenta la musica da camera?
È la base del far musica, una sorta di conversazione privata che intrattengo con il pubblico. Cerco di avvicinarmi a quel tipo di intimità anche quando sono accompagnato da grandi orche- stre. In un certo senso, non c’è differenza fra le due esperienze.
Recentemente ha debuttato come direttore d’orchestra sul podio di compagini quali i Münchner Symphoniker e la Camerata Salzburg. Quanto ha contato l’esempio paterno?
Violino e bacchetta possono andare a braccetto?
Naturalmente, l’esempio di mio padre è stato decisivo: studio direzione con lui dal 2014 e intendo concentrarmi in futuro su questa strada. Ma la musica è una e si affronta allo stesso modo, che tu suoni il violino o diriga un’orchestra. La combi-
nazione di queste attività offre semmai un duplice vantaggio:
ti consente, da un lato, di approfondire le partiture che esegui con il tuo strumento, dall’altro, di stabilire una maggiore sin- tonia con gli archi, la cui sezione è di gran lunga la più ampia in orchestra.
Alla Società del Quartetto si esibirà accanto al pianista viennese Maximilian Kromer, altro giovane talento del concertismo internazionale. Com’è nato il vostro sodalizio?
Conosco Maximilian da quando eravamo adolescenti. Siamo diventati subito amici dentro e fuori dal palco. Abbiamo ini- ziato a collaborare nel 2014 e fino al 2020 abbiamo suonato in duo ricevendo vari premi. È fantastico esibirsi insieme con una sensazione di tale fraternità.
Eseguirete sonate di Mozart, Poulenc, Čajkovskij e Schumann. Che cosa le accomuna?
Non ci sono legami evidenti fra questi brani. Sappiamo che Čajkovskij ammirava Mozart e Schumann, ma il pubblico do- vrebbe ascoltarli senza un particolare approccio intellettuale.
Amo ogni singola battuta delle pagine che interpreteremo non tanto per il virtuosismo richiesto quanto per l’ampio orizzonte espressivo che manifestano, passando attraverso diversi stati d’animo, indagati a loro volta in ogni sfumatura.
Talento precoce e maturità folgorante il giovane violinista viennese di origine armena torna alla Società del Quartetto in duo con il pianista Maximilian Kromer
suo connazionale e coetaneo
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CHIAMATECI
BAND
A
lla Società del Quartetto ci aspettiamo un pubblico entusiasta, per favore non deludeteci! Ha le idee chiare il vision string quartet, prossimo al de- butto in Sala Verdi martedì 1° febbraio. Dal 2012 di stanza a Berlino, i quattro giovani strumen- tisti che lo compongono – Florian Willeitner e Daniel Stoll al violino, Sander Stuart alla viola e Leonard Dis- selhorst al violoncello – si sono affermati molto presto grazie alla singolare versatilità con cui affrontano tanto il repertorio quartettistico canonico quanto generi vicini ai gusti attuali, con arrangiamenti di brani pop e rock. Un cambio d’approc- cio alla logica del quartetto d’archi largamente apprezzato da pubblico e critica, che li ha portati a collaborare anche con il celebre coreografo John Neumeier e vari light designer, suo- nando in completa oscurità, alla ricerca di una dimensione creativa al passo coi tempi.Come è iniziata la vostra vita in quartetto?
Ci conosciamo da più di 20 anni, ma abbiamo iniziato a suona- re insieme dopo la fine degli studi a Berlino e Madrid. Abbiamo mosso i primi passi nel mondo del concertismo dopo aver fre- quentato varie masterclass, fra cui quella alla Fondazione Villa Musica Renania-Palatinato, da cui abbiamo ricevuto una bor- sa di studio. Siamo stati meno fortunati nella disciplina per cui ci siamo allenati di più: il calciobalilla! Ci sono voluti tre anni per strappare il trofeo del torneo locale al Quartetto Aris.
Scherzi a parte, il vostro è un palmarès di tutto rispetto.
Dopo i primi premi al Concorso Mendelssohn di Berlino nel 2016 come si è evoluto il vostro modo di far musica?
I concorsi sono un traguardo importante nella carriera di un quartetto d’archi: ti consentono di provare repertori diversi e di eseguirli in contesti di assoluto prestigio. Ma sono solo il primo passo. Non ti mostrano la via da percorrere, non ti con- sentono di esprimerti liberamente. Ecco perché, anche quan- do ci hanno offerto concerti in grandi serie per quartetto, ab- biamo preferito mantenere la nostra identità, affiancando al catalogo classico le nostre composizioni e sperimentando for- mat innovativi in festival anche minori.
Cosa vi ha spinto a partecipare a questi progetti?
Da bambini ci addormentavamo sempre ai concerti di musica
classica. Da quando suoniamo in quartetto, abbiamo sempre cercato di creare spettacoli che tenessero tutti svegli.
Considerate il quartetto d’archi classico un genere démodé?
Nient’affatto, è un grande onore poter suonare i capolavori della tradizione quartettistica. Ma ci sono così tante sonorità nuove da esplorare con questa formazione, in grado di trasfor- marla in una vera e propria band contemporanea, che sarebbe un peccato ignorarle.
Siete molto attivi anche sui social media…
Sì, condividiamo soprattutto video divertenti delle nostre per- formance. Il merito è di Sander, il nostro violista, che ha questa passione. Ma la nostra attività sui social è orientata alla qualità più che alla quantità.
In Sala Verdi eseguirete due capolavori della scrittura per archi. Perché li avete scelti?
Il Quartetto in sol maggiore di Dvořák è un omaggio festoso alla patria boema dell’autore, ai suoi paesaggi e alla sua natura multicolore. È un’oasi di pace rinvigorente. Il Quartetto op. 13 di Mendelssohn si confronta con l’eredità beethoveniana ma in modo altrettanto personale.
Ad eccezione del violoncellista, vi esibite sempre in piedi.
Sarà così anche a Milano?
Certamente. Talvolta, quando pubblico e artisti sono entram- bi seduti tutto risulta più faticoso. È molto meglio suonare in piedi perché non tieni bloccata metà del corpo. Naturalmente, se fossimo in orchestra non avremmo questa libertà di movi- mento.
Qual è il vostro rapporto con il pubblico più giovane?
Siamo giovani perciò facciamo del nostro meglio per condi- videre la passione per la musica da camera con i nostri coeta- nei. Ci piace sperimentare modi creativi per attirarli ai nostri concerti ma senza la collaborazione di promotori lungimiranti tutto ciò non sarebbe possibile.
V.C.
Al suo debutto in Sala Verdi
il funambolico vision string quartet ha rivoluzionato il quartetto d’archi
sperimentando nuove frontiere in un clima di libertà e spontaneità
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NEL NOME
DI BACH
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C
on Bach ho convissuto fin dalla nascita. Mio padre era organista e maestro del coro alla Cattedrale di Ottawa: da bambina trattenevo il fiato mentre ese- guiva la Fantasia e Fuga in sol minore o la Passa- caglia in do minore, sapendo che ci sarebbe stato un finale trionfante. Mia madre, pianista, mi ha insegnato a suonare sui suoi spartiti per clavicembalo all’età di tre anni e praticamente ho la sua musica nel sangue. La canade- se Angela Hewitt non fa mistero del suo rapporto viscerale con il Kantor di Lipsia, al quale ha consacrato gran parte della sua blasonata carriera di pianista con esecuzioni integrali, regi- strazioni e una miriade di progetti. L’ultimo, The Bach Odyssey, l’ha inaugurato nell’autunno del 2016: quattro anni (diventa- ti sei a causa dello stop imposto dalla pandemia) in giro per il mondo con l’intero corpus tastieristico bachiano. La tappa mi- lanese della sua mastodontica tournée, giunta quest’anno alle battute finali, spetta alla Società del Quartetto, dove tornerà martedì 29 marzo con la monumentale Ouverture francese, l’i- conico Concerto italiano e una scelta di brillanti miniature per clavicembalo, fra cui i 18 Piccoli preludi.Signora Hewitt, perché Bach è una presenza tanto importante nella sua vita?
Sono cresciuta ascoltando la sua musica in famiglia: ne ho sempre amato l’equilibrio costruttivo, la sapienza polifonica, la grandiosità dell’eloquenza. Ad affascinarmi da bambina era
soprattutto il suo repertorio sacro, che ho imparato a conosce- re cantando nel coro di mio padre. Dottrina e immediatezza espressiva sono i due poli attraverso cui Bach ha manifesta- to il suo spirito intimamente religioso. In seguito, mi ha ac- compagnato come un amico fedele nel corso della carriera: da quando, nel 1985, la vittoria al Concorso Bach di Toronto mi ha aperto le porte dei principali teatri al mondo, non ho più smes- so di suonarlo.
Il suo nome è spesso collegato a quello di un altro grande interprete bachiano, come lei canadese: Glenn Gould.
L’ha influenzata in qualche modo?
Non direi. Gould ha raggiunto vette elevatissime misurando- si con le Variazioni Goldberg ma, dopo mio padre, è stato il mio maestro di pianoforte Jean-Paul Sevilla a insegnarmi come mettere a nudo la trasparenza cristallina di Bach. Avevo 15 anni quando ascoltai le Variazioni nella sua interpretazione. L’anno successivo le eseguii per la prima volta in un concorso a Wa- shington: le studiai in sei mesi.
Pensa che le competizioni siano un “male necessario” per i giovani che vogliano intraprendere una carriera da virtuoso?
I concorsi sono molto cambiati rispetto a 50 anni fa. Oggi rap- presentano ancora un ottimo trampolino di lancio per l’avvio di una carriera da solista, ma non una tappa obbligata per farsi
strada. Di certo, offrono ai vincitori una visibilità impensabi- le prima dell’avvento di internet. Ai miei tempi, l’esposizione mediatica era decisamente più ridotta e per me hanno costitu- ito un’esperienza formativa utile. Naturalmente, anche allora le valutazioni delle giurie non erano imparziali.
Qual è il fil rouge sotteso alle pagine che ascolteremo in Sala Verdi?
In queste pagine al solista è affidato il compito di rendere in- tellegibile la musica di Bach: deve coglierne costantemente il flusso, rispettandone il carattere coreografico tipicamente barocco. Se nel Concerto italiano Bach assimila la lezione del concerto di Vivaldi, che soddisfa il suo gusto per la geometria, nell’Ouverture francese il modello va ricercato nella suite a rit- mo di danza. Trasferire queste formule per orchestra su un solo strumento non era cosa nuova, ma in Bach diventò il pretesto per una sperimentazione di linguaggi inedita. Mi auguro che il pubblico apprezzi la varietà di questo programma e compren- da il valore anche di pezzi brevissimi come i Piccoli preludi.
Quali sfide tecniche sono richieste all’interprete?
Suonare Bach è sempre una prova di intelligenza: senza le in- dicazioni dell’autore in partitura, ogni sfumatura è affidata alla sensibilità dell’interprete. Bisogna fare a meno del pedale per valorizzare la chiarezza della scrittura bachiana. Più facile
a dirsi che a farsi! Un concerto di Liszt o Rachmaninov richiede un impegno virtuosistico maggiore solo in apparenza.
Nel 2005 ha fondato il Trasimeno Music Festival, di cui è direttrice artistica. Cosa l’ha fatta innamorare dell’Italia e dell’Umbria in particolare?
Ho sempre amato l’Italia fin dalla giovinezza. Penso di essere stata italiana in una vita precedente! Dopo il Concorso “Dino Ciani” nel 1980, a cui partecipai proprio in Sala Verdi, fui let- teralmente adottata da una famiglia di Varese. Non avrei mai immaginato di comprare casa in Umbria, tantomeno di or- ganizzare un festival nei borghi storici del Lago Trasimeno.
Il pubblico internazionale della rassegna è diventato la mia seconda famiglia e mi rende felice condividere ogni anno il piacere di far musica con artisti provenienti da ogni parte del mondo.
V.C.
In recital alla Società del Quartetto
l’acclamata pianista canadese Angela Hewitt racconta il suo legame viscerale con il Kantor di Lipsia
al quale ha dedicato la sua ultima tournée
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MUSICA
A VILLA NECCHI
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2022
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GENNAIO
MARIANGELA VACATELLO pianoforte Alba e tramonto del Romanticismo – I Skrjabin | Chopin
GENNAIO
QUARTETTO PROMETEO Il folklore del Nord Sibelius | Šostakovič
MARZO
ALESSANDRO TAVERNA pianoforte Alba e tramonto del Romanticismo – II Skrjabin | Chopin
FEBBRAIO
LUCA BURATTO pianoforte Nella notte
Schumann | Debussy | Janáček | Adès Crumb | Bartók
FEBBRAIO
EUGENIO DELLA CHIARA chitarra Cantos de España
Sor | Miguel García Torroba | Llobet Cassadó | Tárrega| Albéniz
Cinque concerti pomeridiani realizzati in collaborazione con il FAI nella splendida cornice di Villa Necchi Campiglio per un’e- splosione di suoni dall’Ottocento roman- tico al nuovo millennio, dai paesaggi del Nord ai ritmi caldi della tradizione iberica.
Protagonisti solisti e ensemble italiani di varie generazioni riconosciuti nel mondo del concertismo internazionale: i piani- sti Mariangela Vacatello, Luca Buratto e Alessandro Taverna, il chitarrista Eugenio Della Chiara e il Quartetto Prometeo.
SI RINGRAZIA
ore 17.30 VILLA NECCHI CAMPIGLIO via Mozart 14, Milano BIGLIETTO
Intero € 20 Socio SdQ € 15 Socio FAI € 15 Under 30 € 5
Intero € 80 Socio SdQ € 65 Socio FAI € 65 Under 30 € 20 ABBONAMENTO
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Fare testamento è un gesto semplice, non vincolante, che permette di disporre secondo la legge dei propri beni o di parte di essi, in modo chiaro e inequivocabile. Un gesto che può essere ripensato in qualsiasi momento, senza ledere i diritti legittimi dei propri cari. Un atto nobilissimo di profonda consapevolezza e di grande generosità.
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In un secolo e mezzo abbiamo costruito una strada sicura per la musica e, con un lascito alla Società del Quartetto, tutti possono condividere la nostra missione, facendo sì che la strada sia sempre più lunga. Anche perché non è vero che dopo un concerto tutto finisce.
Ce n’è un altro, e poi un altro ancora, e la memoria di quelle emozioni dura per sempre rendendo migliore la società in cui viviamo.
ILARIA BORLETTI BUITONI
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LASCITO TESTAMENTARIO
Con il patrocinio e la collaborazione del Consiglio Nazionale del Notariato
Presidente
EL NOST MILAN
Palazzo Crespi
Lo scricchiolio del parquet nei primi giorni d’inverno. Un fascio di luce illu- mina le pagine dei giornali ancora fre- schi, cambiati regolarmente come l’ac- qua dei fiori che ornano il mobilio. Negli scaffali le edizioni francesi di secondo Settecento, mentre i soffitti neoclas- sici fanno i conti con la chinoiserie e gli inserti liberty, degni delle più raffinate sale da ballo di primo Novecento: stra- ti di storie e di tempo. Tutto parla di un focolare ancora acceso in un’atmosfera di reverenziale quotidianità, tra l’infila- ta di tavole a fondo oro e pezzi di storia recente. Su tutti un frammento del muro di Berlino che fa capolino tra le riviste.
Il nostro itinerario milanese riparte da Palazzo Crespi, al numero 20 di Corso Venezia, tuttora abitata dagli eredi dei celebri industriali del settore tessile ed elettrico, artefici per quasi un secolo delle vicende del Corriere della Sera. La facciata – così austera –, sopravvissu- ta quasi indenne alla frenesia urbani- stica che travolse il quartiere di Porta Orientale tra Settecento e Ottocento, nulla lascia presagire dei suoi interni. Le sale, riammodernate dalla funzionali- tà di Portaluppi tra il 1927 e il 1930, si inseriscono perfettamente nel solco di quell’architettura da camera borghese intenta a ricreare lo spirito dei salot- ti della Milano illuminista, dei Verri e di Beccaria: dai capolavori rinascimentali ai ritratti a smalto e avorio, fino alle por- cellane e agli oggetti da wunderkammer, ancora scrupolosamente custoditi e illu- minati. Molto si deve al gusto collezio- nistico di Aldo Crespi (1885-1978), fi- glio di Cristoforo Benigno (1833-1920), già iniziatore della raccolta nella prima residenza di via Borgonuovo, illustrata nel prezioso volume di Adolfo Venturi del 1900. Per volere dello stesso Aldo nel secondo dopoguerra trovarono qui ospi- talità molti oggetti mobili del museo fondato da Gian Giacomo Poldi Pezzoli, rimasti così indenni ai bombardamenti che colpirono l’edificio di via Manzo- ni. Come un anello, tutt’intorno al vano dello scalone monumentale, tra sim- metrie e porte cieche, si rincorrono le diverse sale di rappresentanza. All’arte della conversazione era stata temprata
Giulia Maria Crespi (1923-2020), una moderna Madame de Staël calata in un ben avviato cenacolo milanese. Resta- no impilati sui tavoli in legno cataloghi e libri d’arte che molto parlano di Lom- bardia, lasciati spesso aperti su opere di artisti meno noti. Non è difficile imma- ginare qui «ambasciatori, nobili e gran- di industriali» sedere sui morbidi divani all’ombra dei due Canaletto, rilevati con estremo fiuto dal padre Aldo; gli stessi divani su cui affettuosamente sono ri- tratti anche i nipoti nelle fotografie di famiglia tuttora sparse in ogni angolo della casa. Un’educazione indirizzata al bello e al vero quella ricevuta da Giulia Maria Crespi, coltivata sin da piccola, tra la galleria domestica e le lezioni priva- te di Fernanda Wittgens – una brunilde wagneriana come osò definirla –, e ma- turata frequentando la scena artistica a lei contemporanea: gli incontri giovanili con Manzù, di cui rimane uno splendi- do busto di troubetzkoiana memoria;
le assidue frequentazioni con Tatiana Franchetti e il marito Twombly, con Ce- roli, Festa, Rotella e Schifano; i quadri di arte contemporanea acquistati, ma mai compresi a pieno dal padre Aldo. Cam- minando tra questi corridoi sembrano sciogliersi i nodi di quel lungo filo rosso tessuto dalla Crespi nel racconto della sua vita pubblicato nel 2015: uno slalom tra passato e presente, tra scelte priva- te e professionali, tra il Corriere – fu lei a volere Pasolini in via Solferino – e il FAI, fondato nel 1975 su spinta di Ele- na Croce. Ai motori del corso trafficato su cui affaccia l’ampia sala da concerto, un mélange di eclettismo tardo ottocen- tesco riportato all’ordine da un retablo sardo con angeli musicanti, si oppone il silenzio quasi irreale del giardino, di molto ridotto rispetto ai tempi in cui i Crespi vi giravano a cavallo. Lo si coglie nella sua interezza dall’ampio terrazzo al piano nobile, a cui si accede attraverso un piccolo salottino allestito con tele ve- neziane e volumi in tedesco, su cui Giulia Maria tanto si era intestardita. Non è an- cora il tempo del glicine che ai primi ven- ti primaverili tornerà a colorare l’intera facciata al ritmo delle arcate interne.
PALAZZO CRESPI
Il grand tour della città
UN APPUNTAMENTO CON L’ARTE di Giovanni Truglia *
Giovanni Truglia è dottorando di ricerca in Scienze del patrimonio letterario, artistico e ambientale dell’Università degli Studi di Milano. Si occupa di questioni figurative del Sette e dell’Ottocento in rapporto alle fonti letterarie e archivistiche, con parti- colare attenzione alla ricezione dell’an- tico nella cultura artistica del Nord Italia.
*
Bibliografia utile
S. Melikian, Les trésors des collectionneurs italiens,
«Realités», Maggio 1969, pp. 102-105.
G.M. Crespi, Il mio filo rosso. Il «Corriere» e altre storie della mia vita, Torino, Einaudi, 2015.
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Non siamo in grado di prevedere il futuro ma possiamo costruirlo insieme
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