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D) Giurisprudenza amministrativa

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D) Giurisprudenza amministrativa

131. Sull’illegittimità del regolamento del Consiglio nazionale forense introduttivo del titolo di “avvocato specialista”.

Tar Lazio, sez. I, 9 giugno 2011, n. 5151 – Pres. Giovannini, Est. Botti- glieri – R.A. e altri (in proprio e Avv. De Portu) c. Consiglio nazionale fo- rense (Avv.ti Merusi e Izzo) e Ministero Giustizia (Avv. Stato) – Siia e altri (Avv.ti F. Lubrano, B. Lubrano e E. Lubrano)

È nullo il regolamento approvato dal Consiglio nazionale forense per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista.

(Omissis)

Motivi della decisione

1. Si controverte in ordine alla legittimità del regolamento, approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010, che, a partire dal 30 giugno 2011, introduce e disciplina, anche a mez- zo di un regime transitorio, le condizioni e le modalità per il riconoscimento ed il mantenimento in capo agli avvocati, a domanda, del titolo di avvocato specialista, in un massimo di due materie tra le undici aree del diritto ivi indi- cate, suscettibili di successivi aggiornamenti.

Limitando, per economicità di mezzi espositivi, la descrizione del provve- dimento impugnato, composto di 14 disposizioni molto articolate, va rappre- sentato che, a regime, secondo il regolamento, il titolo di avvocato speciali- sta, che consiste nel rilascio di un diploma e nell’inserimento in appositi regi- stri pubblici tenuti dal Consiglio nazionale forense, attesta l’acquisizione nelle predette aree di diritto, in capo all’avvocato ininterrottamente iscritto all’albo da almeno sei anni, ed in possesso di ulteriori requisiti, tra cui la frequenza biennale di una scuola o di un corso di alta formazione riconosciuti dal C.N.F.

e tenuti da enti o soggetti iscritti in apposito registro del C.N.F., per un mini- mo di 200 ore complessive, nonché all’esito di apposito esame sostenuto con esito favorevole presso il C.N.F., di una “specifica e significativa competenza teorica e pratica, il cui possesso è attestato da apposito diploma rilasciato esclusivamente dal Consiglio nazionale forense e che deve essere conservata nel tempo secondo il principio della formazione continua” (art. 2).

La controversia è proposta dagli avvocati ricorrenti, iscritti all’albo profes- sionale da meno di venti anni, soggetti al predetto regime ordinario, che, esposta la lesività del provvedimento nei confronti della loro professionalità, ne deducono l’illegittimità per vari profili, tra cui il difetto di attribuzione in capo al C.N.F. di potestà regolamentare nella materia de qua.

Resiste il Consiglio nazionale forense.

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Titolo di “avvocato specialista”

Resiste, altresì, la controinteressata Società Italiana Avvocati Amministra- tivisti ‒ SIAA.

Quest’ultima, unitamente ad altre associazioni, alla luce dell’impugnato regolamento (art. 11), ha titolo in sede di prima applicazione ad espletare i corsi propedeutici al sostenimento dell’esame di specialista presso il C.N.F.

2. È d’uopo osservare innanzitutto che le parti resistenti hanno spiegato eccezioni pregiudiziali in relazione a singoli motivi di ricorso.

Il Collegio può, peraltro, senz’altro prescindere dal loro esame, atteso che il quarto motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti denunziano la assoluta ca- renza di attribuzione in capo al C.N.F. a regolare la materia de qua, per il quale non si pone alcuna questione pregiudiziale, e che presenta carattere assorbente, è fondato.

3. Ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., come sostituito dall’art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la materia delle professioni appartiene alla legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni.

Con legge 5 giugno 2003, n. 131, sono state dettate disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento alla predetta legge costituzionale n. 3 del 2001.

L’art. 1 della ridetta legge 131/2003, ribadito al comma 3 che nelle mate- rie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei princìpi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti, ha delegato il Governo, al comma 4, ad adottare, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi ricognitivi dei princìpi fonda- mentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall’articolo 117, terzo comma, Cost.

La ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni è inter- venuta con d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30.

In tale ambito, chiarito dall’art. 3, titolato “Tutela della concorrenza e del mercato”, che l’esercizio della professione si svolge nel rispetto della discipli- na statale della tutela della concorrenza, ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di interessi pubblici costituzional- mente garantiti o per ragioni imperative di interesse generale, della riserva di attività professionale, delle tariffe e dei corrispettivi professionali, nonché del- la pubblicità professionale (comma 1), recita l’art. 4, comma 2, che “La legge statale definisce i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali neces- sari per l’esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete al- lo Stato”.

Resta pertanto affermato che, anche in relazione alla tutela della concor- renza, è la legge statale a dover individuare i requisiti tecnico-professionali ed i titoli professionali necessari per l’esercizio delle attività che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali.

In particolare, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzio- nale, principio fondamentale in materia di professioni è la riserva a favore dello Stato per l’individuazione di nuove figure professionali e la disciplina dei relativi profili e titoli abilitanti, nonché della istituzione di registri professionali

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Parte Seconda – Giurisprudenza

e la previsione delle condizioni per l’iscrizione ad essi” (da ultimo, Corte Cost., 15 aprile 2010, n. 132).

4. Chiarito il quadro normativo in cui si inserisce la controversia, il Collegio ritiene anzitutto di precisare, in via preliminare, che nella presente fattispecie va tenuta in disparte ogni questione di merito attinente l’opportunità o l’utilità della introduzione di una disciplina delle specializzazioni dell’attività forense, notoriamente non rimessa a questa sede.

Altrettanto è a dirsi in ordine alla necessità che l’ordinamento appresti utili misure per affrontare le “autoproclamazioni” pubblicitarie di inesistenti spe- cializzazioni forensi, descritto dalle parti resistenti: la problematica, di cui non si intende sminuire né la portata né la negativa incidenza sull’interesse pub- blico generale all’amministrazione della giustizia e sul diritto di difesa in giu- dizio, non può, però, evidentemente rilevare in tema di individuazione del soggetto pubblico competente all’individuazione ed all’adozione delle misure stesse.

5. Tanto premesso, ed in relazione al sopra descritto quadro normativo, dal quale emerge graniticamente che la materia de qua è riservata al legisla- tore statale, osserva il Collegio che non risulta che il medesimo abbia eserci- tato detta riserva, né riformando direttamente l’ordinamento della professio- ne forense, sede propria per l’introduzione di un istituto, quale quello delle specializzazioni, prima inesistenti, destinato ad innovare profondamente i termini dello svolgimento dell’attività, né attribuendo al C.N.F. la competenza ad adottare in via regolamentare la disciplina delle specializzazioni della pro- fessione legale.

Di talché al Collegio non è dato comprendere da quale fonte normativa il C.N.F. abbia derivato la potestà, esercitata con l’atto impugnato, di creare ex novo una figura professionale precedentemente non contemplata dal vigente ordinamento ‒ quella dell’avvocato specialista ‒ che si aggiunge alle figure dell’avvocato iscritto all’albo e dell’avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.

5.1. Al riguardo, infatti, a nulla vale sostenere, come fanno le parti resi- stenti, che la figura professionale dell’avvocato, anche dopo l’introduzione delle specializzazioni, “rimane assolutamente unica”, potendo comunque il professionista forense, dopo il superamento dell’esame di Stato, e l’iscrizione all’albo degli avvocati, “svolgere la propria attività professionale in tutti i set- tori dell’ordinamento indipendentemente dall’aver partecipato alla procedura prevista per il conseguimento del titolo qualificante di specialista”.

La valenza istitutiva di nuove figure professionali della impugnata norma- tiva si desume infatti pacificamente dalla circostanza che il gravato regola- mento prevede l’istituzione da parte del C.N.F. di appositi registri pubblici ove possono iscriversi, sulla base del verificato possesso di specifici requisiti atte- stanti una determinata qualificazione professionale, gli avvocati specialisti nelle considerate aree di diritto (art. 5, comma 2). Come ripetutamente chia- rito dalla Corte Costituzionale, la stessa istituzione di un registro professiona- le e la previsione delle condizioni per l’iscrizione ad esso, prescindendosi dalla circostanza che tale iscrizione si caratterizzi o meno per essere necessaria ai fini dello svolgimento della attività cui l’elenco fa riferimento, hanno, già di

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Titolo di “avvocato specialista”

per sé, “una funzione individuatrice della professione” (sentenze n. 57 del 2007; n. 355 del 2005; n. 300 del 2007).

5.2. Né, ai fini dell’esame della presente controversia, occorre spendere molte parole in punto di accertamento della natura, e dei poteri, anche am- ministrativi, del C.N.F., ovvero in ordine ai c.d. regolamenti “liberi” previsti dall’art. 17, comma 1, lett. c), della l. 23 agosto 1988, n. 400 (ovvero di quei regolamenti che derogano al principio generale secondo cui il potere regola- mentare, espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto alla pote- stà legislativa, e disciplinante in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa ri- spetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti aventi i caratteri della generalità e dell’astrattezza, rispondendo a regole di stretta tipicità, deve sempre trovare nella legge la propria legittimazione (C. Stato, Atti norm., 7 giugno 1999, n. 107), ovvero dei regolamenti “indipendenti” o “autonomi”

(perché promananti da enti dotati, come il C.N.F., di indipendenza od auto- nomia), manifestazione di un potere di autoregolamentazione o autogoverno, invocati dal C.N.F., ma comunque ascrivibili alla compagine dei primi.

Invero, da un lato, si versa, come già sopra chiarito, in una materia riser- vata alla legge dello Stato, ciò che fa escludere ab origine l’astratta operativi- tà degli strumenti invocati dalla parte resistente, in forza della prescrizione dettata dalla lett. c) del sopraccitato art. 17, quanto ai regolamenti “liberi”, e, oltre a ciò, in forza del principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, quanto ai regolamenti “indipendenti”.

Dall’altro, ed in ogni caso, alla luce della perdurante vigenza dell’art. 91 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, recante “Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore”, convertito dalla l. 22 gennaio 1934, n. 36, che di- spone che “Alle professioni di avvocato e di procuratore non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio pro- fessionale”, non è consentito dubitare che la via regolamentare è assoluta- mente inidonea ad incidere autonomamente su tale preclusione, posta da fonte di rango normativo primario.

E, quanto a quest’ultimo profilo, non è privo di significato che le difese re- sistenti neanche tentino di illustrare la compatibilità delle norme regolamen- tari di cui si discute con l’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933.

Infine, merita comunque di essere segnalato che neanche è condivisibile l’argomentazione relativa alla rilevanza meramente interna delle norme rego- lamentari impugnate, spesa dalle parti resistenti in uno alle considerazioni re- lative alla potestà di autonoma regolamentazione: essa, infatti, per quanto sin qui esposto, si risolve in una mera asserzione teorica, ovvero priva di qualsiasi riscontro nell’impianto dispositivo oggetto di giudizio.

5.3. Le parti resistenti tentano infine di aggirare l’ostacolo costituito dalla carenza di una norma che attribuisca specificamente in capo al C.N.F. la re- golazione della materia de qua invocando recenti statuizioni di questo Tribu- nale (per tutte, Tar Lazio, III quater, 17 luglio 2009, n. 7081), in forza delle quali, in tema di formazione forense, è stata riconosciuta la sussistenza del potere di normazione interna del C.N.F., e ciò ai sensi dell’art. 2 (“Disposizio- ni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professiona-

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Parte Seconda – Giurisprudenza

li”), comma 3, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

Recita la invocata disposizione dell’art. 2 del d.l. 223/2006:

“1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di com- parazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:

a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;

b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, non- ché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di traspa- renza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine;

c) il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci pro- fessionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità [...].

3. Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle”.

Alla luce della norma, però, neanche tale argomentazione risulta conducente.

Infatti:

‒ l’avvenuta abrogazione, da parte del riportato art. 2, comma 1, delle di- sposizioni legislative e regolamentari che prevedono, in riferimento a tutte le attività libero professionali ed intellettuali, il divieto anche parziale di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, nulla dice in ordine alla necessarietà o all’opportunità dell’introduzione in uno di tali set- tori dell’istituto delle specializzazioni, espressamente vietate dal relativo ordi- namento a mezzo di una previsione di perdurante vigenza alla data della norma, costituita dall’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933;

‒ nell’art. 2 del d.l. 223/2006 non vi è traccia né esplicita né implicita di una volontà o di un ratio abrogatrice del suddetto art. 91;

‒ la valorizzazione delle disposizioni deontologiche e pattizie e dei codici di autodisciplina emergente dal comma 3 dell’art. 2 in parola è chiaramente una misura adeguatrice, o di accompagnamento, con effetti interni allo stesso ambito regolatorio interno, di quanto già direttamente disposto dal comma 1 della norma primaria, in applicazione di un principio di tendenziale rispetto della eterogeneità e della separatezza delle fonti;

‒ il meccanismo contemplato al comma 3 del ridetto art. 2, con l’apposizione di un termine perentorio all’attività adeguatrice deontologica o

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Titolo di “avvocato specialista”

pattizia o dei codici di autoregolamentazione, scaduto il quale subentra la pre- visione della nullità ope legis delle norme deontologiche o pattizie o codicistiche in contrasto con il comma 1 dello stesso articolo, sottolinea, piuttosto che an- nullare, la primazia nella materia della legge statale sulla fonte pattizia;

‒ la comminatoria della nullità ope legis di cui al ripetuto comma 3 è te- stualmente riferita alle sole previsioni deontologiche, pattizie e codicistiche in contrasto con il comma 1 dello stesso articolo, e non può certamente essere estesa alla norma di fonte primaria di cui all’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933;

‒ alla già detta valorizzazione della sede pattizia e deontologica operata dal comma 3 viene senz’altro riconnessa, oltre che una pars destruens, una pars costruens, ma alla stessa non può ascriversi una portata generale od il- limitata, ovvero travalicante il mero ordinamento a valenza meramente inter- na, attesa la carenza di qualsiasi indicazione del legislatore che legittimi le sedi deontologiche e pattizie al compimento di scelte di portata riformatrice della struttura portante delle considerate professioni, in sostituzione del legi- slatore stesso;

‒ in particolare, il richiamo operato dal ridetto comma 3 alla “qualità delle prestazioni professionali”, riferito, com’è, al (normativamente) variegato am- bito delle attività libero professionali ed intellettuali contemplato dall’art. 2 che lo contiene, non risulta suscettibile, sotto il profilo ermeneutico, di una considerazione che lo renda talmente avulso dal complessivo contesto nel quale il rimando si pone, da farlo involvere, prima, in una manifestazione di volontà del legislatore statale di recedere dalla regolazione di tutte le attività professionali, ed in particolare dell’attività forense, quasi alla stregua di una loro “liberalizzazione”, poi, segnatamente, in una delega in bianco al C.N.F.:

entrambe tali conclusioni, che le difese resistenti sembrano propugnare, si profilano infatti abnormi rispetto sia al dato testuale che allo spirito della con- siderata disposizione dell’art. 2.

Infine, è appena il caso di osservare che l’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933 è rimasto del tutto estraneo alla congerie normativa considerata dalle sentenze amministrative di primo grado come appena sopra invocate da par- te resistente. La circostanza, unitamente alla valenza meramente interna del- la regolazione della materia della formazione ivi considerata, fa escludere la sussistenza di qualsiasi profilo di sovrapponibilità, anche in relazione all’esito, delle relative controversie rispetto alla questione all’odierno esame.

6. Per tutto quanto precede, in accoglimento del quarto motivo di doglian- za, il ricorso deve essere accolto.

Per l’effetto, accertata la assoluta carenza di attribuzione in capo al C.N.F.

della regolamentazione assunta con il gravato provvedimento, lo stesso deve essere dichiarato nullo ai sensi dell’art. 21-septies, l. 7 agosto 1990, n. 241, categoria di invalidità dell’atto amministrativo per la quale l’art. 31, comma 4 del codice della giustizia amministrativa facoltizza il Collegio al rilievo d’ufficio.

Nella specie, comunque, la doglianza accolta, seppur senza trovare precisa corrispondenza nelle conclusioni rassegnate in ricorso, ha lamentato la nullità dell’atto impugnato.

La novità della questione giustifica la compensazione delle spese di lite.

(Omissis)

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132. Sulla legittimità della procura rilasciata su “foglio sepa- rato”.

Cons. Stato, sez. III, 21 giugno 2011, n. 3707 – Pres. Lignani, Est.

Lipari – J.C. Spa (Avv. Romei e Ferrentino) c. Regione Sardegna (Avv.ti Camba e Campus) – D.G. Spa

È da considerarsi valida la procura speciale ad litem apposta su di un foglio separato e aggiunto al ricorso mediante i punti metallici di una macchina cucitrice, qualora essa sia stata notificata unitamente all’atto cui accede; il tal caso la sua collocazione è idonea a dare cer- tezza circa la provenienza del potere di rappresentanza, e a consoli- dare la presunzione di riferibilità della procura a giudizio cui l’atto stesso fa riferimento.

(Omissis)

Svolgimento del processo

e motivi della decisione

1. La sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’attuale appellante, per l’annullamento della delibera della Giunta Regio- nale della Sardegna n. 8/12 del 28 febbraio 2007 e degli atti ad essa collega- ti, concernenti le modalità di prescrizione e di dispensazione dei farmaci inibi- tori della pompa protonica (“PPI”).

L’appellante contesta la decisione processuale del TAR e ripropone le cen- sure articolate in primo grado.

La Regione resiste al gravame.

2. L’appello, nella sola parte in cui censura la pronuncia di inammissibilità del ricorso, è fondato.

Il TAR ha dichiarato la nullità della procura alle liti conferita al difensore della società ricorrente, in quanto rilasciata genericamente in calce all’atto in- troduttivo, senza data, su un foglio separato, sia pur materialmente unito al ricorso con semplici punti di spillatrice.

L’affermazione non è condivisibile.

È ormai consolidato, infatti, l’opposto indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il requisito, posto dall’art. 83, terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo modificato dall’art. 1 della legge 27 maggio 1997, n. 141), della materiale congiunzione tra il foglio separato, con il quale la procura sia stata rilasciata, e l’atto cui essa accede, non si sostanzia nella necessità di una cucitura mec- canica, ma ha riguardo ad un contesto di elementi che consentano, alla stre- gua del prudente apprezzamento di fatti e circostanze, di conseguire una ra- gionevole certezza in ordine alla provenienza dalla parte del potere di rappre- sentanza ed alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui trattasi. Ne consegue che, ai fini della validità della procura, non è richiesto che il rilascio di essa su foglio separato sia reso necessario dal totale riempimento dell’ultima pagina dell’atto cui accede, né che la procura sia redatta nelle

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Procura rilasciata su foglio separato

prime righe del foglio separato, non essendo esclusa la congiunzione dalla presenza di spazi vuoti, come nella specie, tra la firma del procuratore e la delega. (Cass. civ., sez. lavoro, 27 maggio 2009, n. 12332).

3. Inoltre, si è chiarito che è da considerarsi valida la procura speciale ad litem apposta su di un foglio separato ed aggiunto al ricorso mediante i punti metallici di una macchina cucitrice, qualora essa sia stata notificata unita- mente all’atto a cui accede. In tal caso la sua collocazione è idonea a dare la certezza circa la provenienza del potere di rappresentanza, e a consolidare la presunzione di riferibilità della procura a giudizio cui l’atto stesso fa riferimen- to (Cons. Stato, sez. V, sent. 25 febbraio 2009, n. 1132; Id., 8 settembre 2008, n. 4247).

4. L’appello è infondato, tuttavia, nella parte in cui ripropone le censure contro il provvedimento impugnato in primo grado.

Con tale atto, la Giunta Regionale della Sardegna ha stabilito che, a decor- rere dal 10 marzo 2007, le spese da addebitare a carico del Servizio sanitario regionale per le prescrizioni di farmaci inibitori di pompa protonica (PPI), per ogni tipo di confezione, siano riferite al costo giornaliero del farmaco equiva- lente di minor prezzo, presente in tale categoria terapeutica; ed ha individua- to in concreto tale farmaco nel principio attivo lansoprazolo, il quale ha un costo giornaliero pari a 0,76, in quanto non più coperto da brevetto.

Per effetto di tale deliberato, gli altri farmaci PPI, che assumano a propria base i diversi principi attivi esomeprazolo, omeprazolo, pantoprazolo e rabe- prazolo (ancora tutelati da diritti di brevetto) sarebbero stati rimborsati anche essi con oneri a carico del servizio sanitario nazionale, ma soltanto nel limite massimo di un costo giornaliero quantificato in 0,76 (parametrato, appunto, sul prezzo del principio attivo lansoprazolo), mentre l’eventuale differenza ri- marrebbe a carico dell’assistito.

La deliberazione impugnata dinanzi al TAR ha comunque previsto la possi- bilità di derogare a tale limite con riferimento ai soli casi nei quali il medico prescrittore ravvisi speciali ragioni terapeutiche per preferire un P.P.I. diverso dal lansoprazolo: ad esempio specifiche controindicazioni cliniche relative al lansoprazolo, ovvero casi di intolleranza o allergia agli eccipienti del farmaco equivalente.

5. A dire della società appellante, produttore del farmaco “Pariet”, a base del principio attivo rabeprazolo, ancora coperto da brevetto (il cui prezzo al pubblico è fissato in euro 10,02, per la confezione da 10 mg e in euro 18,42 per la confezione da 20 mg, con un costo di terapia giornaliero superiore ad euro 0,76), la decisione regionale sarebbe illegittima, perché contrastante con i principi in materia di riparto delle competenze tra Stato e Regioni, con particolare riguardo alla definizione dei livelli essenziali di assistenza da assi- curare sull’intero territorio nazionale (“LEA”), nonché per altri vizi riferiti all’istruttoria e alla motivazione dell’atto.

Tutte le censure riproposte in questo grado di giudizio sono infondate.

Il collegio non ha motivo di discostarsi dalle conclusioni cui è pervenuta la articolata decisione della Quinta Sezione 19 maggio 2009, n. 3061, la quale ha affrontato il tema della legittimità della determinazione della Regione Sar- degna, esaminando il ricorso proposto da altra azienda produttrice di PPI ba-

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Parte Seconda – Giurisprudenza

sati su principi attivi diversi dal lansoprazolo. A tale riguardo, è sufficiente os- servare che:

a) non è contestabile la competenza delle Regioni ad adottare provvedi- menti amministrativi incidenti sul regime di rimborsabilità del prezzo dei far- maci da parte del servizio sanitario nazionale, perché tale potere discende dal quadro normativo di riferimento, di cui parte essenziale sono l’articolo 1, comma 796, lett. l) della legge finanziaria n. 296 del 2006, e gli artt. 4, 5 e 6 del d.l. n. 347 del 2001, convertito nella l. n. 405 del 2001;

b) il provvedimento impugnato è stato adottato in piena conformità al pa- rere espresso dal Commissione consultiva tecnicoscientifica dell’AIFA, in data 20 febbraio 2007, e fatto proprio dal direttore generale dell’Agenzia con nota del successivo 21 febbraio, da cui risulta accertata la sovrapponibilità dei farmaci appartenenti alla categoria degli inibitori della pompa protonica (IPP), all’esito di un approfondito esame relativo ai caratteri di equivalenza e appro- priatezza dei diversi farmaci considerati;

c) non sussiste la violazione del principio di eguaglianza, in relazione alla riduzione della rimborsabilità a carico dei soli produttori di PPI, e fra questi, tra i produttori di lansoprazolo e i produttori di specialità diverse, perché la scelta regionale è dovuta alla ingente entità della spesa per tali prodotti, da collegare alla finalità del contenimento imposta dalla legge;

d) non si ravvisa alcun contrasto con i principi di libera concorrenza e con il divieto di aiuti di stato, perché lo Stato non ha disposto alcun esborso a fa- vore di imprese determinate, ma ha semplicemente autorizzato misure ridut- tive del proprio impegno finanziario nella spesa farmaceutica;

e) non è fondata le censura di difetto di istruttoria, perché la Regione, nel- le premesse dell’atto impugnato, ha dato conto delle indagini scientifiche as- sunte a base del provvedimento;

f) non sussiste alcuna violazione del principio di libertà prescrittiva del medico, posto che la Regione non ha vietato la prescrizione di farmaci, ma ne ha posto l’onere a carico dell’utenza che intenda curarsi con il farmaco non interamente rimborsabile; inoltre è fatta salva la possibilità del rimborso di farmaci PPI diversi da quelli basati sul principio attivo lansoprazolo, qualora il medico curante ne dimostri la necessità terapeutica.

6. La tesi di fondo svolta dall’appellante fa leva sul disposto di cui all’art.

48 del decreto legge n. 269 del 2003, convertito nella l. n. 326 del 2003, che, a suo dire, attribuisce soltanto all’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco, che ha assunto le competenze della cessata Commissione Unica del Farmaco) e al ministero della salute, in una dimensione nazionale la competenza a disporre in materia di rimborsabilità dei farmaci: per cui, in tale prospettiva, ogni in- tervento regionale derogatorio delle disposizioni dell’AIFA si risolverebbe, a suo dire, in una illegittima compressione dei LEA (livelli essenziali di assisten- za sanitaria, che devono essere uniformemente garantiti su tutto il territorio nazionale).

Questa tesi non può essere condivisa.

7. In termini generali, il problema della competenza regionale ad adottare provvedimenti del genere di quello impugnato in primo grado è stato definiti- vamente risolto in senso affermativo dalla sentenza della Corte costituzionale

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Procura rilasciata su foglio separato

n. 271 del 2008, con argomentazioni del tutto esaustive, cui non può non far- si assorbente riferimento, per escludere la fondatezza della censura.

La Corte, infatti, pur ritenendo illegittimo il ricorso allo strumento della legge, utilizzato dalla Regione (nel caso esaminato, la Liguria), ha affermato che “l’art. 6 del decreto legge n. 347 del 2001 non manca di attribuire alle singole Regioni, anche nel rispetto delle rilevanti competenze di cui esse go- dono nella materia concernente la tutela della salute, una sfera di competen- za, esercitabile tramite ‘provvedimento amministrativo’, in punto di esclusio- ne della rimborsabilità del farmaco essenziale, ma terapeuticamente equipol- lente ad altro più economico, che consente di adeguare il regime vigente di rimborsabilità alla particolare condizione finanziaria di ciascuna Regione”.

Per quanto concerne in particolare la determinazione della quota della rimborsabilità dei prezzi farmaceutici, il primo comma dell’art. 6 del decreto legge n. 347 del 2001, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 16 novembre 2001, n. 405, facendo espresso riferimento alle pro- cedure di ridefinizione dei LEA, prevede infatti un’apposita procedura median- te la quale la Commissione unica del farmaco (ora sostituita dalla Commis- sione tecnico scientifica dell’AIFA, ai sensi dell’art. 2, comma 349, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante “Disposizioni per la formazione del bilan- cio annuale e pluriennale dello Stato ‒ legge finanziaria 2008”) può individua- re “i farmaci che, in relazione al loro ruolo non essenziale, alla presenza fra i medicinali concedibili di prodotti aventi attività terapeutica sovrapponibile se- condo il criterio delle categorie terapeutiche omogenee, possono essere to- talmente o parzialmente esclusi dalla rimborsabilità”.

Il secondo comma del medesimo articolo, a sua volta, prevede espressa- mente che “la totale o parziale esclusione della rimborsabilità dei farmaci di cui al comma 1 è disposta, anche con provvedimento amministrativo della Regione, tenuto conto dell’andamento della propria spesa farmaceutica ri- spetto al tetto di spesa programmato”.

8. Da questo punto di vista, è infondata anche la doglianza relativa alla violazione del principio di eguaglianza e del diritto alla salute che deriverebbe da una simile articolazione regionale del potere di riduzione della rimborsabi- lità dei farmaci, dal momento che la procedura di cui al comma 1 dell’art. 6 del decreto legge n. 347 del 2001 è finalizzata alla verifica della “presenza fra i medicinali concedibili di prodotti aventi attività terapeutica sovrapponibile secondo il criterio delle categorie terapeutiche omogenee” e deve pertanto garantire l’equivalenza terapeutica sull’intero territorio nazionale del farmaco interamente rimborsabile con quello oggetto del provvedimento.

D’altra parte, in epoca successiva alla legge che è oggetto del presente giudizio, il legislatore nazionale, con un ulteriore intervento normativo relati- vo al governo della spesa farmaceutica (si veda l’art. 5, comma 5-bis, del de- creto legge 1° ottobre 2007, n. 159, recante “Interventi urgenti in materia economico finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale”, convertito, con mo- dificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 29 novembre 2007 n. 222, ha in- tegrato il succitato art. 6, aggiungendovi un comma 2-bis, secondo il quale

“sono nulli i provvedimenti regionali di cui al comma 2, assunti in difformità da quanto deliberato, ai sensi del comma 1, dalla Commissione unica del

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Parte Seconda – Giurisprudenza

farmaco o, successivamente alla istituzione dell’AIFA, dalla Commissione con- sultiva tecnicoscientifica di tale Agenzia, fatte salve eventuali ratifiche adotta- te dall’AIFA antecedentemente al 1° ottobre 2007”.

Il potere previsto dall’art. 6 del decreto legge n. 347 del 2001 resta per- tanto in vigore ed è esercitabile, per espressa volontà del legislatore statale, anche dalla Regione tramite “provvedimento amministrativo”.

9. L’appellante sostiene, ancora, che la Regione Sardegna, assumendo la deliberazione impugnata, non avrebbe osservato il percorso procedimentale stabilito dall’art. 6 del d.l. n. 347/2001, perché, sebbene la Commissione Consultiva Tecnico-Scientifica dell’AIFA si sia espressa in senso favorevole al- la adozione di un prezzo di riferimento per i farmaci IPP con parere del 20 febbraio 2007, anteriore alla data della deliberazione della G.R. 8/12 del 28 febbraio 2007, tale parere avrebbe carattere endoprocedimentale, e ad esso non avrebbe seguito un previo atto formale degli organi responsabili dell’AIFA registrato dalla Corte dei Conti e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

La tesi non può essere condivisa.

10. Va ricordato che la stessa Commissione, nelle premesse del parere ci- tato, si è data carico del riparto di competenze tra gli organi dell’AIFA, preci- sando:

a) di essere chiamata, ai sensi e per gli effetti dell’art. 48, commi 13 e 14 della legge n. 326/04, “a formulare parere in ordine all’ammissibilità della to- tale o parziale rimborsabilità, da praticare con un prezzo di riferimento, all’interno della categoria degli inibitori della pompa protonica (AO2BC) PPI, fermo restando la certezza della sovrapponibilità dei farmaci appartenenti a tale categoria.”;

b) che “tenuto conto delle funzioni consultive della CTS e non deliberanti, il suddetto parere della CTS, per poter essere esternalizzato a produrre i suoi effetti,deve essere recepito con un atto del Direttore Generale dell’AIFA.”;

c) che per conseguenza, “la procedura da avviare coinvolge il C.d.A.

dell’AIFA a soli fini informativi, visto che tra le funzioni del C.d.A. a norma dell’art. 48, comma 6, non rientra la funzione finalizzata a deliberare in ordi- ne alla tematica in argomento.”.

Tanto premesso è sufficiente ricordare che, come affermato nelle premes- se del provvedimento impugnato, il Direttore Generale dell’AIFA ha fatto pro- prio il parere della Commissione, comunicandone il contenuto alla Regione Sardegna con nota del 21 febbraio 2007, nell’esercizio di quella competenza deliberativa riconosciutagli dalla legge e confermata nel suddetto parere della Commissione.

A ciò può aggiungersi che, con l’art. 5, comma 5-bis, del d.l. n. 159 del 2007, convertito nella l. n. 222 del 29 novembre 2007, si è sancita la legitti- mità dei provvedimenti regionali adottati ai sensi dell’art. 6 comma 2 del d.l.

n. 347 del 2001, in conformità a quanto deliberato dalla Commissione consul- tiva tecnico scientifica dell’AIFA, così superando la invocata esigenza di for- malizzazione dei pareri della detta Commissione in atti di organi diversi della medesima Agenzia.

11. L’appellante, con diverso argomento, sostiene che il parere della Commissione CTS sarebbe stato male applicato dalla Regione Sardegna, la

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Procura rilasciata su foglio separato

quale, con il provvedimento impugnato, ha ammesso al rimborso il costo giornaliero del farmaco lanzoprazolo generico, mentre secondo la deliberazio- ne del Consiglio di Amministrazione dell’AIFA in data 19 aprile 2007 n. 13, l’allineamento avrebbe dovuto avvenire con riferimento al costo die più basso tra quelli praticati dai farmaci ancora coperti da brevetto.

La censura è infondata.

Il ragionamento dell’appellante intende far leva sulla formulazione del predetto deliberato, che approva “l’allineamento del prezzo di rimborso al co- sto die più basso dei medicinali ancora coperti da brevetto nell’ambito della categoria degli inibitori di pompa”, contestualmente disponendo che il costo die del lanzoprazolo generico è mantenuto a euro 0,79, come rappresentato nella tabella allegata alla delibera.

Il senso corretto delle proposizioni anzidette si ricostruisce collocando le parole “dei farmaci ancora coperti da brevetto” dopo le parole “allineamento del prezzo di rimborso”.

Che tale debba essere il senso della deliberazione, discende direttamente dalla circostanza che, nello stesso contesto dispositivo, di allineamento al co- sto più basso nell’ambito della stessa categoria terapeutica, si indica il farma- co avente il costo di euro 0,79. Tale richiamo non avrebbe altrimenti alcuna giustificazione, e il dispositivo si porrebbe in contrasto con le premesse della deliberazione, dove si richiama espressamente l’art. 1, comma 796, lett. l) della legge 27 dicembre 2006 n. 297, la norma che ha imposto alle regioni di adottare “diverse misure” idonee a garantire l’integrale contenimento del 40% dell’eccedenza della spesa farmaceutica.

12. L’appellante lamenta poi la violazione dell’art. 48, comma 5, lett. f) del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003 n.

326, che aveva addossato ai produttori di farmaci l’onere del 60% del supe- ramento del tetto di spesa farmaceutica, ponendo però a carico delle Regioni il ripianamento del restante 40% mediante adozione delle misure di cui all’art. 4, comma 3, del d.l. n. 347 del 2001, più volte citato.

Si assume che la disposta rimborsabilità del solo prezzo del prodotto di costo più basso finisce per porre a carico dei produttori una quota del supe- ramento del tetto superiore al 60%, quota di cui avrebbero dovuto farsi cari- co le Regioni in base alla norma invocata.

La censura non può essere accolta perché la legge n. 296 del 2006 ha abili- tato le Regioni ad adottare, ai fini del rientro dallo sfondamento del tetto far- maceutico, ulteriori misure “avvalendosi del supporto tecnico dell’AIFA” (art. 1, comma 796, lett. l), così chiaramente alludendo a interventi rientranti nelle competenze della detta Agenzia, non esclusa, quindi l’individuazione di “farma- ci che, in relazione al loro ruolo non essenziale, alla presenza fra i medicinali concedibili di prodotti aventi attività terapeutica sovrapponibile secondo il crite- rio delle categorie terapeutiche omogenee, possono essere totalmente o par- zialmente esclusi dalla rimborsabilità” (art. 6 d.l. n. 347 del 2001).

13. Manifestamente infondata appare in fine la censura riferita alla limita- zione della libertà di prescrizione, alla stregua della clausola contenuta nel provvedimento impugnato, recante la deroga al limite di rimborsabilità nel

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Parte Seconda – Giurisprudenza

caso in cui il medico ravvisi la necessità di prescrivere un medicamento diver- so dal farmaco equivalente.

14. In conclusione l’appello deve essere rigettato, ma la complessità della materia costituisce valida ragion per disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite.

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