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Donne, cultura e società nelle Vite Parallele di Plutarco

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Academic year: 2022

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nelle Vite Parallele di Plutarco

Gabriele Marasco

Alla memoria di Adelmo Barigazzi

Uno degli aspetti più interessanti e peculiari della personalità di Plutarco è costituito dal suo atteggiamento verso le donne: lungi infatti dall’aderire alle concezioni fortemente maschiliste più diffuse nella tradizione greca, che relegavano la donna nell’ambito domestico,1 Plutarco mostra costantemente, nelle sue opere, un’alta considerazione della funzione della donna nella famiglia e nella società e della sua attitudine a dimostrare virtù ed a compiere atti eroici analoghi a quelli degli uomini. Plutarco, del resto, dedicò uno specifico trattato, il Mulierum virtutes, proprio a dimostrare l’analogia delle virtù delle donne con quelle degli uomini, utilizzando esempi storici in genere poco conosciuti;2nell’Amatorius, poi, egli tesse un ampio elogio della funzione della donna nell’ambito del matrimonio e delle virtù femminili, ancora rafforzato da frequenti esempi storici, ed in particolare afferma che anche le donne possono avere tendenza naturale all’ !qet^ e possedere in grande misura la saggezza (syvqos}mg) e l’intelligenza (s}mesir).3

Questa tematica è sviluppata ampiamente, ancora con ampio ricorso ad esempi storici, ad apoftegmi e ad aforismi, nei Coniugalia praecepta, dove Plutarco, rivolgendosi ad una coppia di freschi sposi, Polliano ed Euridice, entrambi suoi allievi, indirizza loro consigli per la vita insieme: pur mantenendo un atteggiamento che può oggi apparire fortemente conservatore riguardo agli obblighi d’obbedienza e di sottomissione della moglie e alla funzione di guida del marito, egli raccomanda in particolare ai coniugi il rispetto e la fedeltà reciproci, delineando un ideale familiare in cui la donna ottiene notevoli riconoscimenti del suo ruolo, delle sue esigenze e della sua

1 In proposito e per la condizione della donna in Grecia cfr. soprattutto, sia pure con diverse sfumature e periodizzazioni, Donaldson; Wright; Gomme; Post; Hadas; Kitto, 219 – 35; Paoli; Seltman ; Arthur; Pomeroy 1976; Gould; Cantarella; Savalli; Gallo;

Arrigoni; Keuls; Uglione 1987 e 1989; Reduzzi Merla-Storchi Marino.

2 Su quest’opera cfr. Stadter 1965; Marasco 1991, 335 – 45. Più in generale, sull’atteg- giamento di Plutarco nei confronti delle donne cfr. soprattutto Nikolaidis.

3 Plut. amat. 21, 767b; 23, 769b. Su quest’opera cfr. soprattutto Ziegler, 195 – 98;

Flacelière 1976, 3 ss.

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funzione ed un forte rispetto della sua personalità e delle sue capacità intellettuali e morali.4

L’elemento comunque più interessante dell’opera è costituito dalla notevole stima che Plutarco mostra per le qualità intellettuali della donna.

Già all’inizio, infatti, egli si rivolge agli sposi ricordando loro la comune formazione filosofica, poiché entrambi avevano assistito alle sue lezioni (Coniug. praec. 138c). Nella conclusione, poi, egli esorta Euridice a leggere uno scritto di sua moglie per trarne consigli contro il lusso negli ornamenti e Polliano a far partecipe la giovane sposa della propria attività intellettuale, comunicandole ciò che apprende e discutendone con lei, poiché gli studi valgono ad allontanare le donne dalle attività inutili : la donna che studia la geometria si vergognerà infatti di dedicarsi alla danza, quella che studia la filosofia eviterà filtri magici ed incantesimi e colei che conosce l’astrologia non si lascerà ingannare dai discorsi delle maghe. Plutarco conclude quindi il suo scritto raccomandando a Euridice di tener sempre a mente i precetti che ha appresi da lui quand’era ragazza ed enumerandole esempi storici di donne famose nell’antichità greca e romana per le loro virtù (Coniug. praec. 145a – f).

Non solo la filosofia, dunque, ma anche materie scientifiche come la geometria e l’astrologia, che pure facevano parte del curriculum degli studi,5 sono considerate da Plutarco essenziali per la formazione della donna.

L’atteggiamento di Plutarco non è certo privo di precedenti nel pensiero greco. Si è pensato infatti ad un’influenza su di lui del pensiero stoico,6 in particolare dei perduti trattati sul matrimonio composti da Perseo7 e da Cleante, che fu anche autore di un’opera che discuteva la tesi se la virtù dell’uomo e della donna siano eguali;8 ma soprattutto interessante appare l’analogia con Musonio Rufo, stoico fiorito all’epoca di Nerone. Fra i trattati

4 Su questo scritto e sui concetti in esso espressi cfr. in particolare Goessler; Ziegler, 189 – 91; Martano e Tirelli; Patterson. Sull’ideale di Plutarco riguardo al matrimonio e sul rilievo che egli attribuisce alle qualità intellettuali della sposa cfr soprattutto le importanti osservazioni di Nikolaidis, 63 ss.

5 Cfr. ad es. Marrou, 109, 243 – 44, 372; Bonner, 103 e 189; Liebeschuetz, 862 – 63.

Quanto all’astrologia, l’affermazione di Marrou. , 249, secondo cui nessun indizio ci permette d’affermare che figurasse nel programma dell’insegnamento liberale, appare poco credibile data la stretta affinità esistente fra l’astrologia e l’astronomia, ed è comunque smentita, oltre che dal presente passo di Plutarco, anche da testimonianze del IV secolo (cfr. ad es. Greg. Naz. Or. 7, 7, ‘Sources chrét.’, N8 405, Paris 1995, 192 – 96).

6 Cfr. Stadter 1965., 4 – 5; Ziegler, 190; in generale sui rapporti fra Plutarco e lo stoicismo, ma senza riferimento al nostro tema, si vedano soprattutto Babut; Hershbell.

7 Diog. Laërt. 7, 1, 36= SVF I 435, p. 96.

8 Diog. Laërt. 7, 5, 174 – 75= SVF I 48L, p. 106. Anche i più tardi stoici Ierocle ed Antipatro composero opere sul matrimonio, elogiandone l’importanza per il saggio (Stob. IV 22, 21 – 25 Hense).

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conservati in estratti da Stobeo ne resta infatti uno dal titolo Anche le donne devono praticare la filosofia,9 in cui si sostiene che la donna è eguale all’uomo rispetto alla virtù e deve quindi studiare la filosofia, anche se solo per compiere al meglio i doveri femminili. In un altro trattato, Se le figlie debbano essere educate alla stessa maniera dei figli,10 Musonio sostiene ancora che le virtù delle donne sono eguali a quelle degli uomini anche nel campo del coraggio, ricordando l’esempio delle Amazzoni.

A questa tradizione filosofica Plutarco, che del resto ben conosceva le opere degli stoici ed in particolare di Musonio,11 si ricollegava anche come autore di un trattato dal titolo Anche la donna dev’essere educata, attestato da Stobeo, il quale tuttavia ce ne ha conservato solo estratti non attinenti al tema e che sollevano gravi dubbi d’autenticità.12Il titolo stesso dell’opera conferma, in ogni caso, che Plutarco doveva sostenervi la tesi della necessità di educare anche le donne, tesi che del resto era in perfetto accordo con quanto da lui affermato in tutta la sua opera.

Tuttavia, se i precedenti filosofici possono aver ispirato e confortato il pensiero di Plutarco, questo era basato piuttosto, a mio avviso, soprattutto su idee personali e sulle condizioni particolari dell’ambiente sociale e culturale in cui egli viveva. L’analisi dei Moralia permette infatti di concludere che la concezione della donna come affine all’uomo, sua compagna in ogni attività e partecipe anch’ella dell’educazione filosofica e letteraria non era un ideale astratto, ma una realtà diffusa a quel tempo e che l’allieva Euridice non era affatto l’unica donna che partecipava attivamente alla vita culturale dell’am- biente di Plutarco

In particolare, nella Consolatio indirizzata alla moglie Timossena in occasione della morte dell’unica figlia, Plutarco elogia la semplicità della consorte13 e ricorda costantemente la sua comunanza di vita con lui, ma ne sottolinea anche particolarmente la partecipazione alla propria attività culturale, ricordando che ella colpiva i filosofi amici per la sobrietà dell’abbigliamento e per la schiettezza della condotta (Cons. ad ux. 609c). Più avanti, affermando la fede comune nell’immortalità dell’anima, Plutarco ricorda come Timossena ascoltasse le argomentazioni contrarie degli epicurei, ma non vi prestasse alcuna fede, per effetto sia della tradizione religiosa, sia delle dottrine dionisiache a cui entrambi erano iniziati (ibid. 611d). Timossena era inoltre autrice di un’opera peq· vikojosl_ar indirizzata ad Aristilla, di cui Plutarco

9 Stob. II 31, 126= Muson., pp. 8–13 Hense. Su Musonio cfr. in particolare Laurenti.

10 Stob. II 31, 123= Muson., pp. 13–19 Hense.

11 Cfr. ad es. Ziegler, op. cit., 145 ss. e 340. Per l’influenza di Musonio su Plutarco, in particolare riguardo all’esaltazione dell’amore coniugale, cfr. inoltre Stadter 1965, 3 – 5.

12 Plut. fr. 128 – 33 Sandbach; cfr. ad es. Ziegler, 190.

13 Cfr. in particolare Plut. cons ad ux. 4, 608 f- 609c.

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consiglia la lettura ad Euridice (Coniug. praec. 145a);14 lo scritto è stato considerato da alcuni opera dello stesso Plutarco, poiché come tale compare nel Catalogo di Lampria,15ma non vi è motivo di negare una modesta attività letteraria di Timossena, che comunque ben si accorda con l’elogio che il marito fa della sua partecipazione alla vita culturale e soprattutto alle discussioni dei filosofi. Nient’altro sappiamo di Aristilla, forse una parente,16 ma il fatto stesso che fosse dedicataria dello scritto indica la sua preparazione ed i suoi interessi culturali.

Più chiara è la figura della dedicataria di altri due scritti plutarchei, il Mulierum virtutes e il De Iside et Osiride: entrambe le opere sono infatti indirizzate a Clea, preposta (¨aqwgìr) delle Tiadi di Delfi e iniziata al culto di Osiride17. Plutarco non solo la stima moltissimo come esperta nel campo della religione, ma anche la definisce « saggia e filosofa » (351e) e, nell’introdurre il Mulierum virtutes, ricorda una conversazione filosofica che aveva avuto con lei dopo la morte di Leontide (probabilmente una parente), affermando di trattare appunto l’argomento che ne era stato l’oggetto, se cioè la virtù dell’uomo e quella della donna siano eguali e di volerlo sostenere con esempi storici (242 f);

le affermazioni successive, ed in particolare quella relativa alla scelta di narrare solo gli esempi meno noti di virtù femminili (243d) confermano poi che Clea doveva avere una buona preparazione storica. La donna, dunque, era dotata di grande cultura e condivideva, in particolare, gli interessi di Plutarco nel campo della filosofia ed in quello, strettamente correlato per le particolari finalità morali che Plutarco perseguiva, della storia.

L’analisi dei Moralia delinea dunque l’ideale del ruolo che Plutarco attribuiva alla donna come compagna dell’uomo in ogni attività e partecipe con lui non solo degli atti d’eroismo e d’abnegazione e degli esempi di virtù, ma anche delle attività culturali e spirituali, dalla filosofia alla religione. Questo ideale è costantemente sottolineato ed esemplificato mediante aneddoti, apoftegmi ed episodi storici, conformemente al metodo che era caratteristico di Plutarco.

Questo stesso metodo anima ovviamente anche le Vite parallele ed è dunque interessante osservare come la stessa tematica sia sviluppata in opere dalle caratteristiche ben differenti; ma il limite di Plutarco stava qui, a mio avviso, soprattutto nella documentazione storica disponibile, che offriva un materiale limitato a tal fine. In effetti, l’esaltazione della virtù delle donne e

14 Plut. coniug. praec. 48, 145a.

15 Nr. 113; cfr. Wilamowitz-Moellendorff, 252, n. 1; ma si veda l’atteggiamento più cauto di Ziegler (19 – 20), il quale considera possibile che Plutarco abbia incitato la moglie a comporre lo scritto ed abbia un po’ contribuito alla sua elaborazione letteraria.

16 Cfr. Ziegler, 46.

17 Su di lei cfr. Ziegler, 49; Renoirte, 137 – 38 e, sulla base delle iscrizioni, Stadter 1965, 2 – 3; Griffiths, 253 – 54.

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della loro capacità di compiere atti eroici non inferiori a quelli degli uomini è frequente nelle Vite e si estrinseca in numerosi episodi;18 meno frequente è invece il tema dell’eguaglianza della virtù e della consonanza che si estrinseca nel rapporto fra uomo e donna. In questo campo, comunque, gli esempi più interessanti sono offerti dalle Vite spartane, per effetto non solo della posizione assai più libera e autonoma della donna a Sparta rispetto al resto della Grecia;19 ma anche, e soprattutto, dell’adesione di Plutarco all’ideale ‘licurgico’ ed al ruolo che esso attribuiva alla donna nella società.20 Già nella Vita di Licurgo, infatti, Plutarco difende le donne spartane dalle accuse di sfrenata licenza e di eccessivo dominio sugli uomini che in particolare Aristotele aveva rivolto contro di esse, elogiando invece le norme che Licurgo aveva stabilite riguardo ai matrimoni e alle nascite come fondamento di una giusta paide_a. Egli ricorda, infatti, come le spartane esercitassero i loro corpi con la corsa, la lotta, il lancio del disco e del giavellotto, in modo da rafforzarsi in vista del parto e da garantire il fisico dei loro figli; inoltre, esse partecipavano alle processioni e alle danze nude come i ragazzi e con essi facevano a gara negli scherzi e negli encomi.21 Plutarco, quindi, elogia le peculiari usanze matrimoniali di Sparta, considerandole particolarmente adatte a suscitare ed a mantenere sempre vivo l’amore fra i coniugi (Lyc. 15.10). Il biografo, come si vede, elogia le spartane come modello di virtù esercitata insieme ai propri uomini; ma questa esaltazione non va al di là dei dati che le fonti gli fornivano e non forza in alcun modo la realtà storica. Lapaide_a di cui le spartane erano partecipi insieme ai maschi è infatti esplicitamente limitata all’educazione fisica, agli scherzi e agli elogi, senza il minimo accenno ad aspetti culturali. Plutarco sa benissimo quali fossero i forti limiti dell’educazione spartana in questo campo e non intende forzare la realtà storica. E’ poi importante notare che nelle Vite spartane dell’età classica il ruolo delle donne è in genere limitato ad esempi di virtù personali, di abnegazione al bene di Sparta e a detti che per lo più trovano corrispondenza nelle raccolte di apoftegmi.22

La situazione cambia notevolmente quando esaminiamo le Vite spartane di epoca ellenistica. Già in quella di Pirro, infatti, risalta l’elogio del ruolo delle donne spartane e della loro consonanza d’intenti con i propri uomini: Plutarco non solo approva esplicitamente la condotta di Chilonide, che aveva abbandonato il vecchio marito Cleonimo per il giovane principe Acrotato ed a quest’ultimo si mostrò attaccata per tutto il corso delle vicende, fino ad

18 In proposito cfr. Le Corsu e soprattutto Nikolaidis, 32 ss..

19 Cfr. soprattutto Pomeroy 1976, 35 ss.; Redfield; Piccirilli 1978, 936 ss.; Cartledge. In particolare, per i riflessi di questa realtà nell’opera di Plutarco cfr. Le Corsu, 15 – 20.

20 In proposito cfr. soprattutto Tigerstedt, 226 – 64 con ampia bibliografia.

21 Plut. Lyc. 14; cfr. in particolare Piccirilli 1980, 256 – 58 con discussione e bibliografia.

22 Per i rapporti fra queste raccolte e le Vite e per la tradizione a cui le prime si ricollegano cfr. soprattutto Tigerstedt, 16 ss.; 243 ss.; Santaniello, 9 ss.

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essere disposta al suicidio piuttosto che cadere nelle mani del marito (Pyrrh. 26.17 – 18, 27.10, 28.6), ma anche dà risalto al rifiuto delle donne di lasciare Sparta ed alla loro partecipazione attiva alla difesa contro Pirro, accanto ai loro uomini, sottolineando però che esse rientrarono nelle case non appena arrivarono i rinforzi macedoni, « non volendo più immischiarsi nella guerra ».

(Pyrrh. 27.4 – 10, 28.5, 29.12). Il particolare è interessante, perché evidenzia ancora i limiti del ruolo che Plutarco riconosceva alle donne in simili frangenti.

Più ampio è poi il ruolo delle donne nelle biografie dei riformatori spartani del III secolo. Plutarco, in particolare, sottolinea, il ruolo della madre Agesistrata e della nonna Archidamia nell’appoggiare le riforme di Agide IV con tutta la forza del loro denaro, delle loro clientele e della loro influenza politica,23esalta la condotta di Chilonide, che prima si era recata in esilio con il padre Leonida II, poi aveva interceduto presso di lui in favore del marito Cleombroto e aveva seguito quest’ultimo nell’esilio,24 infine narra con evidente ammirazione l’eroismo con cui Agesistrata e Archidamia avevano affrontato la morte, condividendo la sorte di Agide e sottolineando anche in quelle estreme circostanze come ne approvassero anche totalmente le idee, nel comune obiettivo della grandezza di Sparta.25

La figura più interessante è tuttavia quella di Agiatide, la vedova di Agide costretta, dopo la morte del marito, a sposare il più giovane Cleomene.

Secondo Plutarco, ella aveva pregato molto per non essere costretta a questo matrimonio ma, in seguito, si mostrò una moglie buona ed affettuosa ;

« Cleomene s’innamorò di lei appena l’ebbe sposata e condivise in qualche modo il suo attaccamento alla memoria di Agide, al punto che spesso l’interrogava su quanto era accaduto e l’ascoltava attentamente quand’ella descriveva le idee e i progetti di Agide » (Cleom. 1.3). Plutarco descrive dunque Agiatide come una moglie modello anche nel campo della partecipazione all’elaborazione delle idee e all’attività politica dei suoi mariti: non solo, infatti, ella era stata partecipe dei progetti e dell’azione di Agide, ma anche ne aveva trasmesso la memoria a Cleomene, fornendogli il primo impulso alle riforme.

Agiatide, in sostanza, assume un ruolo davvero nuovo ed importante, di vera e propria maestra del marito, nel campo essenziale del pensiero politico. Non stupisce, poi, che a questa comunanza ideale e d’intenti corrisponda un affetto sincero e duraturo; ed, in effetti, nel narrare la morte di Agiatide, avvenuta anni dopo, Plutarco sottolinea il dolore che ne provò Cleomene, pur in un momento in cui gravissime preoccupazioni militari impegnavano la sua mente (Cleom. 22.1 – 2).

23 Plut. Ag. 7, 1 – 4; cfr. Marasco 1981, I, 233 ss.

24 Plut. Ag. 17; cfr. Marasco 1981, I, 321 – 23 e soprattutto Nikolaidis, 82.

25 Plut. Ag. 20, 2 – 7; cfr. Marasco, 1981, I, 334 – 36.

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Il rilievo che Plutarco attribuisce alle virtù di queste donne spartane ed alla loro partecipazione all’attività dei loro uomini corrisponde in parte all’evo- luzione della posizione della donna nella Sparta ellenistica, per effetto soprattutto di motivi economici,26 ma a mio avviso è influenzata in maniera determinante dal pensiero di Filarco, che è la fonte di tutti questi episodi e che nella sua opera storica aveva particolarmente insistito sia sulle virtù delle donne spartane sia, più in generale, sull’elogio dell’amore coniugale.27

Nelle Vite di ambiente ateniese, invece, le figure femminili non hanno risalto, con un’eccezione che, in un certo senso, costituisce una conferma dell’impegno di Plutarco a non forzare i dati delle fonti. Nella biografia di Pericle, iniziando il racconto della guerra di Samo, Plutarco accenna alla voce secondo cui ne sarebbe stata causa la celebre etèra Aspasia. Egli passa quindi a una digressione per chiarire con quali arti quest’ultima avesse potuto soggiogare i più potenti uomini politici ed ispirare grande stima nei filosofi.

Si diceva che ella era stata ricercata da Pericle per la sua sapienza e per la sua saggezza politica; infatti, anche Socrate andava a volte a trovarla con i suoi amici e coloro che frequentavano la sua casa vi conducevano pure le mogli perché l’ascoltassero, nonostante il discredito che accompagnava il suo mestiere, dato che preparava anche ragazze alla professione di etère. Plutarco cita quindi il Menesseno di Platone affermando che, nonostante il tono scherzoso del suo inizio, esso conteneva un dettaglio storico: che cioè Aspasia aveva fama d’insegnare l’arte oratoria a molti Ateniesi.28 Il biografo ritiene comunque che il motivo dell’attaccamento di Pericle ad Aspasia fosse l’amore:

egli aveva infatti sposato una parente,29ne aveva avuto due figli, ma poi la vita in comune non era stata più gradita ad entrambi e Pericle l’aveva data ad un altro con il suo consenso e si era unito ad Aspasia. Plutarco prosegue la digressione con notizie su Aspasia minore, altra etèra amante di Ciro il Giovane, poi conclude affermando che queste notizie gli erano venute in mente mentre scriveva; sarebbe stato davvero inumano trascurarle e passar oltre (Per. 24).

Quest’affermazione conclusiva chiarisce l’importanza che Plutarco attri- buiva alla digressione su Aspasia, evidentemente essenziale ai suoi occhi per chiarire da un lato i caratteri dei personaggi, dall’altro il proprio pensiero riguardo ad un rapporto che costituisce un’evidente deroga al suo ideale dell’amore coniugale e merita dunque adeguata riflessione. Da un lato, infatti,

26 Cfr. ad es. Marasco, 1981, I, 238 ss. con bibliografia; Mossé, 138 – 53.

27 Cfr. Marasco 1991, 344 – 45.

28 Cfr. Plato Menex. 235e, dove Socrate afferma che Aspasia è stata maestra nell’arte oratoria sia per lui stesso, sia per Pericle.

29 Su questo matrimonio cfr. in particolare Cromey, 203 – 1. Sul problema dell’identi- ficazione della moglie cfr. Stadter 1989, 238 con discussione e bibliografia.

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l’eccezionale rilievo attribuito ad Aspasia, donna sapiente ed educata, in rapporti con filosofi come Socrate, apprezzata dallo stesso Platone come maestra di eloquenza per gli Ateniesi, corrisponde sia, in generale, alla particolare posizione di « emancipazione » che proprio le etère avevano conseguito nell’Atene del tempo30 sia, in particolare, alla reale personalità di Aspasia stessa;31del resto, Plutarco stesso ritorna implicitamente sui rapporti fra Aspasia e l’ambiente culturale ateniese, ricordando i processi d’empietà che furono in seguito intentati contro di lei e contro Anassagora.32 Proprio le capacità intellettuali e la preparazione culturale, eccezionali in una donna del tempo ad Atene, facevano dunque di Aspasia la compagna ideale per Pericle, capace di discutere con lui e con i suoi amici di filosofia, d’istruirlo nell’eloquenza e di fornirgli preziosi consigli politici.

D’altra parte, però, Aspasia non era la moglie legittima di Pericle, ma solo un’amante, che portava per di più il discredito della propria professione e delle numerose relazioni che aveva avute. In proposito, l’elemento essenziale di valutazione per Plutarco è costituito, a mio avviso, dal fallimento del matrimonio di Pericle:33nonostante la presenza di figli, la mancanza d’amore aveva comportato la cessazione dell’affetto fra i coniugi ed il fallimento dell’unione, che aveva lasciato entrambi liberi di cercare nuove relazioni, ed il moralista Plutarco non sembra disapprovare eccessivamente la scelta di Pericle, che aveva voluto scegliersi questa volta una compagna adeguata al suo livello intellettuale e in grado di essere partecipe dei suoi ideali, dei suoi progetti e della sua azione. In questo caso, dunque, Plutarco sembra voler chiarire che l’eccezione conferma la regola: per garantire un buon matrimonio occorrono l’amore fra i coniugi, ma anche un’adeguata consonanza di educazione e la partecipazione della moglie agli interessi e all’attività del marito.

Un quadro in parte diverso ci è fornito dalle Vite di epoca ellenistica, per effetto della netta evoluzione intervenuta allora nella condizione della donna34 e dell’emergere di forti personalità di sovrane.35L’atteggiamento di Plutarco mi sembra comunque fortemente critico nei confronti di questa evoluzione e dei

30 Cfr. ad es. Bruns; Flacelière 1959.

31 Su cui cfr. in particolare Montuosi; Jouanna.

32 Plut. Per. 32; cfr. Marasco 1976; Prandi, 10 ss.; Stadter 1989, 297 – 98.

33 Si noti in proposito che la versione di Plutarco, affermando che il divorzio sarebbe avvenuto per comune consenso, vale a difendere Pericle da accuse che dovettero pure essergli rivolte: Eraclide Pontico (fr. 59 Wehrli2= Athen. 12, 533c–d) affermava infatti che egli aveva scacciato da casa la moglie per vivere una vita di piaceri con Aspasia, spendendo per lei gran parte del suo patrimonio. Plutarco, con ogni evidenza, ha scelto la versione più confacente al suo giudizio sul personaggio ed ai propri ideali di vita.

34 Su cui cfr. ad es. Vatin, 30 ss.; 57 ss.; 261 ss.; Schneider, 42 ss.; Pomeroy 1976, 120 – 48; Ead. 1984.

35 In proposito cfr. ad es. Macurdy.

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suoi effetti sul matrimonio. Già riguardo ad Olimpiade, moglie di Filippo II, Plutarco ricorda il rapido fallimento del suo matrimonio, dovuto al timore del marito di essere vittima di tradimenti e di stregonerie, ma anche e soprattutto al fatto che la donna era dedita a culti orgiastici e si abbandonava in modo barbaro ai deliri e all’estasi mistica (Alex. 2.6 – 9). La disapprovazione di Plutarco mi sembra chiarita soprattutto dal confronto con il passo della Consolatio in cui egli, rivolgendosi alla moglie, la loda perché partecipa attivamente alla sua attività religiosa (Cons. ad ux. 608c; cfr. anche 611d), e con le raccomandazioni ad Euridice circa l’importanza dello studio della filosofia e dell’astrologia, che distolgono la donna dall’accostarsi alla magia (Coniug.

praec. 145a – f). L’effetto della condotta di Olimpiade è naturalmente il fallimento del suo matrimonio, che Plutarco depreca, ricordando i tradimenti di Filippo, i conseguenti motivi di crisi anche per il regno, aggravati dal pessimo carattere e dalla gelosia di Olimpiade, che eccitava contro il marito il figlio Alessandro, gli intrighi di corte e la morte di Filippo, di cui Olimpiade stessa fu considerata la principale responsabile (Alex. 9.5 – 11, 10.6 – 8).

Le donne non hanno comunque un ruolo particolarmente importante nelle biografie ellenistiche: esse sono in genere menzionate solo in occasione dei frequenti matrimoni dinastici, ma non assurgono a ruoli di rilievo. Così, nella Vita di Demetrio Plutarco, pur pagando il suo debito all’ampia tradizione relativa all’episodio romanzesco dell’amore di Antioco e Stratonice,36depreca la poligamia del Poliorcete, nonostante il matrimonio con Fila, donna saggia ma più anziana di lui (Demetr. 14.2 – 4, 27.8), che l’amava al punto da uccidersi davanti alla sua sconfitta (ibid. 45.1); è evidente la deprecazione per un matrimonio non illuminato dall’amore reciproco fra i coniugi ed, in effetti, Plutarco si dilunga maggiormente sul rapporto d’amore che legava invece Demetrio all’etèra Lamia, sottolineando, sulla scorta soprattutto dei comici, come quest’ultima lo avesse completamente dominato.37 Plutarco non aveva evidentemente una buona opinione del comportamento delle sovrane elleni- stiche: i loro matrimoni dinastici, privi d’amore, la loro ingerenza nella condotta della politica, la loro tendenza agli intrighi e alle congiure di corte erano assai lontani dal suo ideale e ciò spiega perché, nelle Vite, esse abbiano un ruolo assai limitato rispetto alla loro reale importanza.

Plutarco però si riscatta ampiamente, sotto questo aspetto, riguardo all’ultima regina ellenistica, che è la donna alle cui vicende è dedicato lo spazio maggiore in tutta la sua opera: Cleopatra. Ella compare infatti nella biografia di Marco Antonio con un ruolo progressivamente sempre più importante, fino a

36 Plut. Demetr. 38. Sulla vicenda e sull’ampia tradizione relativa cfr. Marasco 1982, 104 – 12; Mastrocinque 1983, 1 ss.; Brodersen, 169 – 75 con bibliografia.

37 Plut. Demetr. 16, 5; 19, 6; 24, 1; 25, 9; 27; Comp. Demetr. Ant. 3,2; cfr. in particolare Mastrocinque 1979, 260 – 76.

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diventare l’unica protagonista, dopo la morte di Antonio, con il lungo e dettagliato racconto dei suoi ultimi giorni, quasi una biografia nella biografia.38 Plutarco però, pur ammettendo le doti di Cleopatra, aderisce in larga misura alla tradizione a lei ostile, riportando buona parte delle accuse che le erano state rivolte;39la sua ostilità è chiaramente dovuta al fatto che egli ritiene Cleopatra responsabile del fallimento del matrimonio di Antonio con Ottavia (Ant. 26.1 – 2, 53.1 – 11); ma, d’altra parte, se egli sottolinea costantemente il folle amore del triumviro per la regina egiziana, espressioni d’affetto della donna ricorrono solo al momento della morte di Antonio (ibid. 77.5); i continui sospetti di quest’ultimo circa segreti accordi con Ottaviano alle sue spalle ed il tentativo di Cleopatra di dissociarsi dalle responsabilità di Antonio, rigettando su di lui morto ogni colpa (ibid. 73.3 – 5, 74.1, 83.4), attenuano poi notevolmente il valore di questo episodio.

D’altra parte, la biografia di Antonio è chiaramente presentata da Plutarco, insieme a quella di Demetrio, come esempio non di virtù da imitare, ma di vizi da evitare e questa concezione anima entrambe le biografie, esprimendosi anche in un costante parallelismo che evidenzia soprattutto l’identità dei vizi dei due personaggi.40 In questa prospettiva, alla soggezione di Demetrio all’etèra Lamia vien fatta corrispondere quella di Antonio prima a Fulvia, poi a Cleopatra; quest’ultima appare, di conseguenza, l’artefice fondamentale della corruzione di Antonio e della sua rovina. Mi sembra interessante, in proposito, notare che Plutarco non fa alcuna menzione delle doti culturali di Cleopatra, pure ben note alla tradizione, in particolare al suo interesse per letterati e filosofi, alla protezione accordata a medici e scienziati famosi ed alla sua partecipazione personale alle conoscenze scientifiche, del tutto eccezionale in una donna del tempo e tale che le venivano attribuiti trattati di cosmetica e perfino formule alchimistiche.41 Della cultura di Cleopatra, in effetti, Plutarco ricorda solo due particolari: la sua eccezionale conoscenza delle lingue dei popoli « barbari »(Ant. 27.4) e la perizia nel campo dei veleni, perfezionata in vista del suicidio mediante esperimenti compiuti su prigionieri condannati a morte (ibid. 71.6 – 8). Questa seconda notizia si ricollega a una diffusa tradizione ostile, che accusava così Cleopatra di estrema crudeltà,42ma anche la prima ha ben scarso rilievo, se si considera che la conoscenza delle lingue dei barbari non rientrava nel curriculum degli studi e non era oggetto d’interesse.

D’altra parte, sia la conoscenza delle lingue barbare, sia gli esperimenti su esseri

38 Plut. Ant. 78 – 86. Cfr. in particolare Brenk 1992a.

39 Cfr. in particolare Becher, 69 – 80.

40 In proposito si veda soprattutto l’accurata analisi di Brenk 1992b.

41 Cfr. Marasco 1998 e, con riferimento anche alle fonti talmudiche, Geiger.

42 Cfr. Marasco 1995, con fonti e bibliografia, a cui si aggiunga Grmek, 86 – 89.

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umani erano parte della tradizione sul grande nemico di Roma, Mitridate.43 Con queste notizie, dunque, Plutarco accosta sostanzialmente Cleopatra alla figura del re barbaro e crudele, paradigma di una lotta contro Roma che non era animata da nessun motivo onorevole. In realtà, la caratteristica essenziale che Plutarco riconosce a Cleopatra è quella di un’eccezionale abilità nel parlare e nell’ingraziarsi Antonio con l’adulazione, sollecitandone e sfruttandone i lati peggiori della personalità (Ant. 25.3, 27.2 – 3, 28.1 – 3, 29). Nonostante le sue grandi doti politiche e d’intelligenza, che pure Plutarco riconosce, Cleopatra non è dunque una buona compagna, poiché il suo legame con Antonio non è dovuto a vero amore ed ella non contribuisce affatto al miglioramento morale di lui, come sarebbe dovere di una moglie, ma anzi ne corrompe ed esaspera i difetti, divenendo causa principale della sua rovina.

Minori elementi sono forniti dalle Vite romane, in cui il ruolo della donna in epoca arcaica e medio repubblicana è circoscritto in genere all’ambiente domestico o ad esempi d’eroismo singolo in difesa di Roma, con l’ovvia eccezione di Cornelia, madre dei Gracchi, della quale sono elogiati l’attac- camento alla memoria del marito ed anche, relativamente all’ultimo periodo trascorso a Miseno, gli incontri con letterati (C.Gr. 19.2). La notevole emancipazione raggiunta dalla donna nel periodo della tarda repubblica44 non sembra invece aver suscitato nessuna simpatia in Plutarco, se si ricordano i suoi accenni chiaramente negativi al matrimonio del vecchio Silla con la giovane e sfrontata Valeria (Sull. 35.5 – 11) ai rapporti intimi di Clodio con le sorelle sposate (Cic. 29.4 – 5, Luc. 34.1, 38.1), alle vicissitudini coniugali di Cicerone, dovute al cattivo carattere della prima moglie Terenzia, che s’ingeriva anche in maniera inopportuna ed ambiziosa nella sua attività politica, e alla sua mancanza d’affetto, che indusse l’oratore al divorzio (Cic. 20.2 – 3, 29.2 – 4, 30.4, 41.2 – 4), poi all’insensibilità della seconda moglie, Publilia, in occasione della morte della figlia di Cicerone, che portò al fallimento anche di questa unione, del resto contratta per motivi d’interesse economico (ibid. 41.4 – 8). Se si tiene conto poi del divorzio di Pompeo da Mucia, accusata d’infedeltà durante l’assenza del marito (Pomp. 42.13), del lungo racconto dell’adulterio di Pompea, moglie di Cesare, con Clodio, che comportò anch’esso un divorzio (Caes. 9 – 10), delle vicissitudini di Catone Uticense, che divorziò dalla moglie Atilia colpevole di adulterio, degli analoghi divorzi delle sue due sorelle, l’una delle quali, madre di Bruto, aveva avuto una relazione con Cesare (Cat.

Min. 24. Br. 5, Luc. 38.1), della morte del triumviro Lepido, disperato per aver scoperto il tradimento della moglie (Pomp. 16.9), infine della descrizione, chiaramente ostile ed improntata alle Filippiche di Cicerone, della condotta di 43 In partic. Galen. XIV 2 Kühn; cfr. Marasco 1995, 324 – 25.

44 Su cui cfr. ad es. Pomeroy 1976, 149 ss.; Fau.

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Fulvia, moglie di Marco Antonio e del dominio da lei esercitato sul marito,45si dovrà concludere che la società romana tardorepubblicana offriva a Plutarco un quadro complessivamente tutt’altro che positivo per quel che riguardava l’amore coniugale, la fedeltà e l’armonia familiare e la partecipazione delle donne all’attività pratica ed intellettuale dei mariti. La grande emancipazione delle donne romane del tempo, il loro crescente ruolo sociale e la loro notevole cultura non suscitavano evidentemente la simpatia di Plutarco, contrario ai loro costumi eccessivamente liberi, che minacciavano il matri- monio, ed alla loro eccessiva ingerenza in politica. Se poi teniamo presenti le notizie nella Vita di Galba sull’adulterio della moglie di Calvisio Sabino e su quelli di Poppea (Galb. 12.2, 19.3 – 9) si potrà ritenere che le perdute biografie dei Cesari non cambiassero questo quadro e che Plutarco non nutrisse un atteggiamento positivo neanche nei confronti dell’ulteriore evoluzione della posizione della donna a Roma ai suoi tempi46 e dei relativi effetti sulle condizioni del matrimonio.47L’ideale di Plutarco è espresso piuttosto proprio a proposito dei matrimoni di Catone Uticense, che Plutarco mette a contrasto con la sorte felice di Lelio che, durante la sua lunga vita, ebbe una sola donna, sua moglie (Cat. Min. 7.3); l’osservazione non è affatto oziosa, ma anzi mette bene in rilievo gli ideali di Plutarco, se la confrontiamo con le idee del tutto analoghe che abbiamo viste espresse nei Moralia.48

Ciò non significa, tuttavia, che il tema dell’amore coniugale sia assente dalle Vite romane: esso anima, in particolare, la descrizione dei rapporti fra Bruto e la moglie Porcia, in cui è da notare, oltre all’esaltazione del coraggio virile della donna e del suo attaccamento al marito (Br. 13.3 – 11, 15.5 – 9, 23.2 – 6, 53.5 – 7), soprattutto l’affermazione della stessa Porcia la quale, addolorata perché Bruto non l’ha messa al corrente del progetto della congiura contro Cesare, gli dimostra il proprio coraggio ferendosi e chiede di essere considerata, nonostante la sua natura femminile, pari a lui, poiché una buona educazione e la frequentazione di persone virtuose influiscono molto sui costumi (ibid. 13.5 – 11).

Ma soprattutto importanti mi sembrano le testimonianze offerte dalla Vita di Pompeo. Questo personaggio, che riscuote notevole simpatia da parte del biografo, era particolarmente sensibile al tema dell’educazione della donna: lo stesso Plutarco, infatti, nelle Quaestiones convivales, attesta che egli aveva affidato la figlia Pompea ad un precettore che, quando Pompeo tornò dall’Oriente nel

45 Plut. Ant. 10, 5 – 10. Per un tentativo recente di riabilitazione di Fulvia cfr. Delia.

46 Su cui cfr. ancora, in particolare, Sirago.

47 Può essere interessante ricordare che, a fronte delle figure femminili greche che abbiamo visto, nessuna donna romana compare nella lista di amici di Plutarco compilata da Ziegler (66 – 75).

48 Cfr. Flacelière 1976, 68.

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61, scelse un brano di Omero perché la ragazza lo leggesse ad alta voce al padre (737b). Nella biografia, poi, Plutarco narra che, dopo la morte della moglie Giulia, Pompeo sposò Cornelia, che era già vedova, ma molto più giovane di lui. La donna, oltre alla bellezza, aveva molte attrattive : era ben educata nella letteratura, esperta nel suonare la lira e nella geometria, abituata ad ascoltare con profitto discorsi di filosofia. A queste qualità si univa un carattere libero da quella spiacevole invadenza che questi studi tendono a produrre nelle giovani donne (Pomp. 55.1 – 2).

Quest’ultima affermazione chiarisce ancora il ruolo subordinato che Plutarco attribuiva alle donne e si ricollega alle analoghe idee, che abbiamo viste sviluppate soprattutto nei Coniugalia praecepta, circa gli obblighi di obbedienza e di sottomissione della moglie. Ciò non vale tuttavia ad oscurare l’importanza della preparazione culturale che Plutarco attribuisce a Cornelia : oltre infatti alla letteratura e alla musica, Plutarco sottolinea i suoi studi di geometria e di filosofia, proprio le due materie di cui nei Praecepta raccomandava l’apprendimento a Euridice (Coniug. praec. 145c – e). Il buon carattere di Cornelia, l’affetto per il marito e l’educazione ricevuta, che le consente di essere al livello di Pompeo e partecipe di tutte le sue attività, senza però ingerirsi eccessivamente nei suoi affari politici, comportano la riuscita del matrimonio, nonostante la differenza d’età, e Plutarco sottolinea costante- mente l’attaccamento reciproco dei due coniugi anche nei frangenti più difficili, fino a quelli drammatici che accompagnarono l’uccisione di Pompeo (Pomp. 74 – 75, 76.1, 77.1, 78.7, 79.3, 80.10).

Anche sotto l’aspetto dell’atteggiamento nei confronti delle donne, del loro ruolo nella famiglia e nella società e dell’importanza dell’amore coniugale, dunque, l’analisi delle Vite parallele conferma la costante analogia con i Moralia, non soltanto sul piano dei contenuti e degli ideali di vita, ma anche su quello del metodo, per il costante ricorso ad esempi storici dai quali l’autore trae spunto per ammaestramenti, ma senza mai forzare i dati storici per dimostrare le proprie tesi.

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