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Nota del Segretariato Generale

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Academic year: 2022

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Nota del Segretariato Generale

PREAMBOLO

Nell’ambito della pubblicazione del secondo rapporto sulla coesione economica e sociale, la Commissione europea ha aperto il dibattito della futura politica regionale attraverso la presentazione di 10 domande e un certo numero di opzioni che figurano nella sezione « conclusione e raccomandazioni».

La CRPM saluta con soddisfazione questa iniziativa e desidera portare un secondo contributo 1 a queste riflessioni in occasione del forum sulla coesione. Basato sull’esperienza acquisita dall’organizzazione e dalle sue regioni membro dalla creazione del FESR fino all’attuazione dell’attuale periodo di programmazione, questo contributo rientra nella prospettiva politica di un’Europa allargata affinché diventi, nell’arco di una o due generazioni, competitiva, equilibrata e policentrica.

Invece di rispondere separatamente ad ogni domanda, di cui peraltro alcune si sovrappongono o rientrano nella stessa problematica generale, abbiamo preferito organizzare questo contributo attorno a 4 punti chiave:

• 1°) Quali sono le esigenze in termini di coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione europea allargata?

• 2°) Come concepire una nuova politica regionale in grado di rispondere alla diversità delle esigenze?

• 3°) Quante risorse finanziarie sono necessarie?

• 4°) Che tipo di governo dell’Unione è opportuno attuare per garantire il successo del progetto politico?

1 La prima proposta è stata formulata nel mese di gennaio 2000, nel documento detto di Kastoria: « Per una nuova politica regionale di competitività e di occupazione». È stata adottata all'unanimità dall'Assemblea Generale della CRPM l'11 ottobre 2000 a Firenze.

P P E E R R U U N N A A N N U U O O V V A A P P O O L L I I T T I I C C A A R R E E G G I I O O N N A A L L E E

P P r r o o p p o o s s t t e e d de el ll la a C CR RP PM M i in n o oc cc ca as si io on ne e d de el l

se s ec co on nd do o r ra ap pp po or rt to o s su ul l l l a a c c o o e e s s i i o o n n e e e e c c o o n n o o m m i i c c a a e e s s o o c c i i al a le e: :

« « 1 1 0 0 d d o o m m a a n n d d e e p p e e r r i i l l d d i i b b a a t t t t i i t t o o » »

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1°) QUALI SONO LE ESIGENZE IN TERMINI DI COESIONE ECONOMICA, SOCIALE E TERRITORIALE DELL’UNIONE EUROPEA ALLARGATA?

Come lo ricorda la Commissione nel suo rapporto, qualsiasi riflessione sulla formulazione di una nuova politica regionale deve andare di pari passo con un’analisi in profondità dei bisogni delle regioni e dei territori dell’Unione allargata. In un’Europa in cui le differenze territoriali aumenteranno in modo sensibile, riteniamo fondamentale delineare una prima tipologia delle problematiche di sviluppo regionale rispetto ai livelli di sviluppo, ai processi di convergenza e ai principali punti deboli in materia di competitività delle regioni. Questa prima identificazione si basa sulla sintesi dei principali lavori esistenti a livello europeo e dovrebbe essere ulteriormente completata e arricchita dai primi risultati del programma di lavoro dell’ORATE 2001-2006 (Osservatorio in rete sull’assetto del territorio europeo) e del programma di studi della Commissione europea.

Una prima lettura ha permesso di identificare cinque tipi di situazioni in termini di convergenza regionale in un’Europa a 27:

Livello 1: regioni il cui PIL sarebbe inferiore a circa il 40% della media comunitaria in un’Europa a 27 da oggi al 2004, data probabile di riferimento statistico per il periodo 2006-2013.

Si tratta solo di alcune regioni dell’allargamento (Bulgaria, Polonia, Romania, Stati baltici) dove le basi minime dello sviluppo devono ancora essere realizzate (infrastrutture di trasporto, di risanamento, strutture industriali e agricole, …).

Per queste regioni il recupero del ritardo richiederà almeno due generazioni.

Livello 2: regioni il cui PIL sarà compreso tra il 40% e il 75% della media comunitaria

Si tratta sia di regioni dell’allargamento che di regioni appartenenti all’attuale UE15 che richiedono ancora una modernizzazione delle loro infrastrutture di base e una serie di azioni tendenti a migliorare le condizioni di competitività dei loro territori. Comprende:

• gran parte delle regioni più urbane dell’allargamento, essenzialmente all’interno della « Mittel Europa »,

• le regioni della Germania e del sud dell’Europa meno sviluppate (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo),

• le regioni ultraperiferiche e alcune isole.

Livelli di convergenza economica molto diversi all’interno di un’Unione Europea a 27

Cinque livelli distinti di convergenza regionale

Alcune regioni dell’allargamento soffrono di un notevole ritardo strutturale

Le regioni dell’allargamento della

Mittel Europa e alcune regioni del

sud dell’Europa con ritardi

strutturali ancora notevoli

(3)

Per queste regioni il recupero del ritardo richiederà da una a due generazioni.

Livello 3: regioni periferiche che usciranno automaticamente dall’obiettivo 1 e che avranno un PIL compreso tra il 75% e il 100% della media comunitaria

Nel complesso queste regioni hanno recuperato i loro ritardi principali in termini di infrastrutture di base senza per questo venir effettivamente integrate nelle principali reti europee. I loro tessuti produttivi sono ancora poco competitivi, senza forte valore aggiunto, e le loro capacità d’innovazione sono limitate. Inoltre, in un contesto quasi mondializzato in cui le economie di agglomerazione tendono a concentrare la crescita economica nelle città principali, queste regioni non dispongono in generale di un centro urbano sufficientemente importante in grado di fungere da motore trainante. Si tratta nella maggioranza di regioni periferiche del sud e del nord Europa e dell’ex Germania dell’est o di regioni che sono soggette a ostacoli permanenti (isole, zone a scarsa densità di popolazione, ecc. …). Vi si trovano anche alcune regioni dell’allargamento che beneficiano di una situazione nazionale abbastanza favorevole ma che non hanno il dinamismo sufficiente per svolgere un ruolo di polo di sviluppo nazionale nel contesto europeo e internazionale.

Si possono quindi identificare quattro tipi di problematiche di sviluppo:

- A. spazi che presentano una marcata specializzazione nel turismo (regioni del sud della Spagna, del Portogallo e dell’Italia); soggetti a forti pressioni demografiche e il cui modello potrebbe non durare a lungo.

Interventi a favore di un maggiore valore aggiunto delle loro attività economiche e di una valorizzazione delle loro carte vincenti territoriali (urbanesimo, ambiente, risorse idriche) sono fondamentali;

- B. spazi altamente specializzati nel settore agricolo e agroindustriale e il cui futuro dipenderà molto dall'evoluzione della PAC e dagli accordi portati avanti nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio;

- C. spazi a forte tradizione industriale, in declino e con un futuro incerto per i quali le azioni di riconversione saranno sempre necessarie;

- D. spazi a scarsa densità demografica o altamente periferici, caratteristiche delle regioni insulari, di alcune regioni montagnose o delle regioni europee più settentrionali.

Regioni che non sarebbero più ammissibili all'obiettivo 1 ma con un futuro precario nell'economia europea e mondiale

Spazi che sono confrontati a notevoli ostacoli geografici (isole, spazi scarsamente popolati, zone di montagna, …)

Quattro problematiche distinte di

sviluppo regionale all'interno di

questo insieme

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Per queste regioni il raggiungimento di una migliore competitività richiederà una generazione nell'ambito di un progetto policentrico per l'Europa, se tale modello si rivela adeguato.

Livello 4: regioni periferiche o intermedie il cui PIL è compreso in media tra il 100% e il 130% della media comunitaria

La casistica è molto varia:

- A. Regioni capitali periferiche o con grandi centri urbani che non assumono ancora pienamente un ruolo di « Città Porta» o di città motrici a livello del continente europeo (Atene, Lisbona, Roma, Barcellona, Praga, Bratislava, Budapest persino Helsinki e Berlino). A vari livelli, queste città rivelano una serie di punti deboli in materia di competitività rispetto ai grandi poli europei del centro dell'Europa (in termini di innovazione e capacità di ricerca, funzioni logistiche, nel terziario di alto livello, nelle attività internazionali, …);

- B. Regioni periferiche o intermedie di paesi piuttosto ricchi dell’UE15 (UK, Irlanda, Scandinavia, Germania, Austria, Francia, Italia, Nord della Spagna). Generalmente non hanno poli urbani sufficientemente importanti per attirare un certo livello di sviluppo internazionale, come le regioni del livello 3. Non svolgono il ruolo fondamentale di ponte tra il centro dell'Europa e le periferie più lontane.

Molto spesso il carattere rurale delle loro popolazioni e l'assenza di una messa in rete dei tessuti urbani ne limita le possibilità di superare una certa massa critica nel loro processo di sviluppo. Dispongono tuttavia molto spesso di forti specializzazioni produttive la cui valorizzazione rappresenterà una delle garanzie per un'integrazione più duratura nelle dinamiche europee;

- C. Regioni centrali o intermedie che non hanno ancora raggiunto la fase finale della loro riconversione rurale e industriale. Sono identificabili in particolare nel nord-est della Francia, nel Benelux, nel Regno Unito e nel nord della Spagna. Fondamentalmente risentono ancora della mancanza di qualificazione della loro manodopera e non hanno ancora concluso il processo di riconversione e di diversificazione delle attività economiche;

Per queste regioni il raggiungimento di una migliore competitività richiederà una generazione nell'ambito di un progetto policentrico per l'Europa, se tale modello si rivela adeguato.

Regioni periferiche o intermedie che non hanno ancora un effetto trainante sull'economia europea

Capitali periferiche ancora insufficientemente dinamiche per attuare un modello di sviluppo policentrico del territorio europeo

Regioni prive di grandi centri urbani e fondamentalmente rurali

Regioni che non hanno concluso il

loro processo di riconversione

industriale soprattutto in termini di

qualificazione della manodopera

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Livello 5: le regioni europee più competitive si trovano in genere al centro dell'Europa

Il loro PIL è ampiamente superiore al 130% della media comunitaria e anzi si avvicinerà spesso al 200% in un'Europa a 27. È il cuore pulsante dell'attuale competitività europea. Queste regioni non hanno alcun ritardo di sviluppo. Tuttavia la loro grande capacità di attirare la manodopera favorisce lo sviluppo di quartieri svantaggiati con gravi problemi sociali. L'elevata concentrazione degli uomini e delle attività provoca inoltre un certo numero di costi supplementari che rischiano di nuocere alla competitività globale dell'Europa, in particolare in termini di congestione, di problemi ambientali e di eccessivi oneri fondiari.

La problematica di queste regioni deve essere studiata a due livelli:

- A livello europeo perché non possono essere escluse da una riflessione globale sulla coesione territoriale dell'Europa e sul suo progetto policentrico;

- A livello della sperimentazione nella risoluzione dei problemi territoriali loro specifici.

La diversità di queste situazioni, piuttosto ben descritte nel secondo rapporto sulla coesione, necessita una riflessione, come ricorda la Commissione, sul contenuto e sugli obiettivi di una politica che prenda in considerazione questi vari aspetti in una prospettiva a medio e lungo termine. La posta in gioco a livello europeo è notevole per l'Europa, sia per la sua coesione territoriale e politica che per la sua competitività.

Regioni motrici dell'economia

europea confrontate però a situazioni

sociali difficili e a problemi di

congestione urbana

(6)

N

I vari livelli di sviluppo regionale in un’Unione europea allargata

Frontiere dei paesi

Livello 1: Regioni il cui PIL pro capite in PPA è inferiore al 40% della media comunitaria [UE 26]

Livello 2: Regioni il cui PIL pro capite in PPA è compreso tra il 40% e il 75% della media comunitaria [UE 26]

Livello 3: Regioni il cui PIL pro capite in PPA è compreso tra il 75% e il 100% della media comunitaria [UE 26]

Livello 4: Regioni il cui PIL pro capite in PPA è compreso tra il 100% e il 130% della media comunitaria [UE 26]

Livello 5: Regioni il cui PIL pro capite in PPA è superiore al 130% della media comunitaria [UE 26]

Legenda :

Fonti: Eurostat – base dati Regio – dati 1996

Trattamento dell’informazione: CRPM – Nucleo prospettive delle Regioni Periferiche Marittime

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2°) COME CONCEPIRE UNA NUOVA POLITICA REGIONALE IN GRADO DI RISPONDERE ALLA DIVERSITÀ DELLE ESIGENZE?

A prescindere dal progetto globale solidale e policentrico, una soluzione unica non è in grado di coprire la diversità delle situazioni. Ogni tipo di situazione richiederà l'attuazione di politiche adatte sia a livello del contenuto che della portata finanziaria dell'aiuto comunitario.

Queste diverse situazioni sono state descritte in modo molto esaustivo nel sesto rapporto sulla situazione e sull'evoluzione socioeconomica delle Regioni (Commissione Europea – 1999). Quest'ultimo aveva evidenziato la necessità del sostegno a favore della coesione territoriale negli anni successivi, evidenziando in particolare i principali punti deboli a livello di competitività delle regioni. Oltre agli indicatori di coesione economica (PIL) e sociale (soprattutto disoccupazione, produttività della manodopera), identificava i principali quattro fattori di competitività all'origine della produzione di ricchezza e delle differenze di sviluppo in Europa:

- l’accessibilità,

- la capacità d'innovazione e di ricerca-sviluppo, - il livello d'istruzione e di formazione,

- la struttura economica regionale

In questi ultimi due anni, i lavori dell'ORATE hanno evidenziato ulteriori elementi di analisi che verranno studiati nel periodo 2001-2006 sia in termini di indicatori regionali di coesione territoriale che di visioni spaziali utilizzabili ai fini di un progetto europeo più policentrico.

Si rende merito alla Commissione per aver ripreso un certo numero di questi elementi nel secondo rapporto sulla coesione e in particolare nel capitolo dedicato alla coesione territoriale. Un'analisi di questo tipo permette di vedere in una luce nuova le azioni che sarà opportuno avviare in modo prioritario in un certo numero di regioni europee per rendere il territorio europeo il più possibile competitivo nel contesto internazionale.

È tuttavia opportuno completarla con una dimensione spaziale che non solo offre un quadro coerente alle strategie sviluppate da ogni regione e da ogni Stato dell'Unione ma che è anche un progetto di sviluppo federatore per l’Europa. I primi lavori svolti nell'ambito dell'iniziativa comunitaria Interreg, in particolare nella sua dimensione transnazionale, e i primi orientamenti dell'ESDP adottato nel 1999 a Potsdam, costituiscono una prima base di partenza.

Quattro fattori riconosciuti di competitività regionale:

- Accessibilità - Innovazione

- Istruzione/formazione - Struttura economica

Il seguito dei lavori dell'ESDP

devono servire da supporto

metodologico per una nuova politica

regionale ambiziosa

(8)

La seconda tappa del programma di lavoro dell'ORATE (2004-2006) permetterà di completare questa base per arrivare ad una visione spaziale per l'Europa che alimenterà una seconda versione dell'ESDP. La CRPM vi partecipa peraltro attivamente lavorando, insieme a un certo numero di Stati e di regioni, ad una prima serie di visioni spaziali per le principali periferie europee. Tutti questi elementi dovranno essere disponibili all'inizio della nuova programmazione 2007-2013 per permetterne l’attuazione a livello transnazionale e regionale all’interno di un quadro globale negoziato.

La C.R.P.M. al riguardo considera molto positivo questo approccio che consolida la coerenza degli interventi comunitari, nazionali e regionali e rafforza il dialogo e il partenariato:

- tra i vari livelli di competenze, dal comunitario al nazionale, regionale e locale;

- tra le politiche settoriali che dovranno servire da supporto al progetto policentrico.

In particolare questo progetto richiederà il rafforzamento della dimensione transnazionale delle politiche di coesione integrandola nel « mainstream » dei fondi strutturali. Dovrà essere completata da una dimensione trasfrontaliera per le regioni che registrano effettivi ritardi in materia di competitività e anche a livello interregionale per sfruttare le esperienze più significative in materia di strategia regionale.

A partire da queste basi si può cominciare a delineare una prima articolazione dei modi d'intervento della nuova politica regionale. Il progetto policentrico e le visioni spaziali ad esso associate devono offrire un quadro di coerenza globale sia per gli interventi strutturali sia per i loro rapporti con le politiche settoriali a forte impatto territoriale, europee e nazionali (riesamineremo questo ultimo punto nel capitolo 4 dedicato al Governo).

Per quanto riguarda invece la natura dei nuovi interventi strutturali, come reazione alle prime proposte della Commissione europea, la CRPM desidera orientare la riflessione come segue:

• La CRPM appoggia la prospettiva menzionata dalla Commissione riguardo ad un sostegno prioritario alle regioni dell'obiettivo 1 in base ai criteri attualmente accettati. Il mantenimento dell'obiettivo 1 al limite del 75% del PIL comunitario deve essere conservato per continuare l'azione comunitaria sul lungo termine e non lasciare l'impressione di un cambiamento di rotta opportunistico dell’impegno comunitario di fronte alla grande sfida degli allargamenti. Questo aspetto prioritario riguarda le regioni del livello 1 e 2 per le quali si può effettivamente dubitare della necessità di mantenere al 4% del loro PIL il tetto massimo delle azioni strutturali (obiettivo 1+fondo di coesione), soprattutto per le regioni del livello 1.

Verso una visione spaziale condivisa del territorio europeo nell'ambito di un progetto policentrico…

…completandolo con il contributo delle politiche settoriali nazionali e europee

Per il perseguimento dei criteri

dell'obiettivo 1 a meno del 75% della

media comunitaria

(9)

• L’opzione di un « phasing out » per le regioni destinate a uscire dall'obiettivo 1, in modo automatico o meno, a seguito degli allargamenti, è ancora in fase di studio (regioni di livello 3). Sarebbe tuttavia opportuno che durasse nel tempo. In effetti, una disposizione di questo tipo, di per sé transitoria, non permetterebbe di mantenere il sostegno per la durata di una generazione di cui queste regioni hanno certamente bisogno.

• Sarà altresì opportuno mantenere gli impegni a favore delle altre regioni europee per migliorarne la competitività nell'ambito di un progetto europeo unificatore e più vicino ai cittadini. Complementare al

« phasing out », una volontà di questo tipo consisterebbe nella realizzazione di un obiettivo 2 rinnovato detto di coesione territoriale o di competitività regionale, che permetta di includere le regioni dei livelli 3, 4 e 5 con un volume di aiuti decrescente in funzione del PIL e degli indicatori di competitività. Così come viene suggerito dalla Commissione nel rapporto, la zonizzazione infraregionale potrebbe essere abbandonata dato che ogni regione riceverebbe un finanziamento comunitario in base al tipo di handicap di competitività di cui soffre, della sua ricchezza e dei suoi obiettivi di sviluppo. L'erogazione degli aiuti potrebbe essere oggetto di un approccio più selettivo rispetto ai periodi precedenti, ed essere calcolata sulla base dei principali deficit di competitività, attraverso un approccio più settoriale in stretto contatto con le politiche nazionali e comunitarie. Un'opzione di questo tipo è oggi possibile grazie ai progressi dell'analisi regionale e sarebbe alimentata dalla volontà di mantenere e di sviluppare a livello europeo un progetto di coesione territoriale secondo quanto prefigurato nell'ESDP.

• Inoltre sarà opportuno prestare un’attenzione particolare al caso dei territori vittime di ostacoli strutturali duraturi in seguito alla loro situazione geografica o demografica (le isole, le regioni scarsamente popolate o le zone molto isolate a causa dei rilievi montagnosi). Tra questi territori, quelli che usciranno dall’Obiettivo 1 potrebbero beneficiare di uno strumento finanziario specifico modulato in base alla gravità di questi ostacoli e tendente a limitarne l’impatto.

• Questo contesto favorirebbe l'attuazione del progetto policentrico, integrando le dimensioni transnazionali, transfrontaliere e interregionali nel « mainsteam » dei fondi strutturali. Ogni regione potrebbe quindi attuare il proprio programma di sviluppo regionale sapendo che una parte della dotazione finanziaria verrebbe destinata a misure di competitività squisitamente regionali mentre l'altra ai progetti che richiedono di essere inseriti in un ambito transnazionale per superare alcuni effetti soglia necessari all'attuazione di progetti strutturanti su scala europea. I programmi transnazionali, così come figurano all'interno dell'iniziativa comunitaria Interreg III, continuerebbero a servire da quadro strategico comune tra la Commissione europea, gli Stati e le Regioni, in sintonia con la futura versione dell'ESDP. Un sistema di

Dubbi sul carattere duraturo del « phasing out »

Verso un obiettivo 2 rinnovato e progressivo in termini di intensità dell'aiuto europeo…

…studiato sulla base dei principali punti deboli in termini di competitività regionali e tenendo conto dei livelli di ricchezza

Una presa in considerazione dei territori che sono vittime di ostacoli strutturali duraturi.

Il policentrismo: quadro globale di

riferimento di un progetto europeo

solidale attraverso la dimensione

transnazionale delle politiche

(10)

questo tipo permetterebbe di associare tutte le regioni e i livelli territoriali alla definizione di strategie riguardo ai progetti strutturanti di interesse comunitario, pur lasciando ai livelli e agli attori sul campo la decisione e l'attuazione dei progetti puramente regionali che ritengono più pertinenti.

I vantaggi di un'architettura di questo tipo sono molteplici:

- permette di associare tutti i territori e gli attori istituzionali a un progetto europeo comune garantendo nel contempo il rispetto dei principi fondamentali di coesione,

- basandosi su un approccio per progetto e per visione spaziale, permette di aggirare, a breve e a medio termine, gli ostacoli derivanti dall'esistenza di sistemi di governo molto diversi da un paese all'altro per l'attuazione di progetti europei,

- rafforza il ruolo delle regioni e degli attori infraregionali nell'attuazione della politica regionale liberando gli Stati, e soprattutto la Commissione, da compiti di gestione particolarmente gravosi e quindi permettendo a queste entità di concentrare le loro azioni su aspetti più strategici della coesione europea e nazionale,

- permette infine una buona leggibilità dell’azione comunitaria il cui finanziamento verrebbe concentrato sugli elementi fondamentali della competitività europea (accessibilità, eccellenza, produttività, sviluppo sostenibile).

Un'organizzazione come questa non potrà tuttavia essere dissociata dal tema del futuro delle politiche di sviluppo rurale e della riforma della politica agricola comune. Sarà inoltre necessario sollevare il problema del FSE e della sua territorializzazione, dato che la formazione è uno degli elementi fondamentali della competitività regionale.

La costante diminuzione della disoccupazione nella maggior parte dei paesi europei ma anche il perdurare di notevoli ineguaglianze territoriali sono argomenti a favore di una regionalizzazione del FSE proporzionalmente alla gravità dei problemi vissuti dalle regioni.

Una nuova organizzazione più coerente e più partecipativa incentrata su un numero ristretto di obiettivi strategici su scala europea

Una riflessione da continuare

nell'ambito del futuro del FSE e delle

politiche di sviluppo rurale

(11)

3°) QUANTE RISORSE FINANZIARIE SONO NECESSARIE?

La C.R.P.M. si complimenta con la Commissione per l'approccio seguito, consistente nell’esaminare innanzitutto le problematiche e i bisogni prima di affrontare il discorso sulle prospettive finanziarie. Condivide inoltre il parere della Commissione riguardo alla probabile necessità di doverle aumentare notevolmente nel periodo 2007- 2013 per poter far fronte alla grande sfida degli allargamenti.

È un'occasione unica nella storia europea che comunque sarebbe pericoloso dare già per scontata senza darsi prima i mezzi necessari per realizzarla.

Ciononostante è evidente che il livello di solidarietà comunitario fissato al 0,45% del PIL comunitario per il periodo attuale non basterà per raggiungere questi due obiettivi, e forse nemmeno il solo obiettivo 1. Sarà necessario invertire la linea, espressa tra Edimburgo e Berlino, tendente a una notevole riduzione dell’impegno comunitario tra il periodo 1994-1999 e il periodo 2000-2006, altrimenti non ha più senso continuare a discutere sul progetto. Un aumento del sostegno comunitario è giustificato inoltre dalla necessità di mantenere gli impegni all'interno dell'obiettivo 3 anche se resta aperto il dibattito su nuove modalità di attuazione.

Senza avere la pretesa di dare risultati esatti, data la difficoltà e le numerose zone d'ombra ancora presenti, abbiamo ritenuto interessante affrontare il problema delle grandi masse budgetarie del periodo 2007-2013 per evidenziarne i tratti salienti. Abbiamo quindi proceduto ai seguenti calcoli:

• a) budget annuo medio per la coesione

• b) costo degli allargamenti

• c) costo dell'obiettivo 1 per le regioni dell’UE 15

• d) costo di un « phasing out »

Queste ipotesi non tengono conto dei fenomeni di convergenza nazionale che sono più difficili da prevedere ma che comunque non hanno grande peso sui grandi equilibri budgetari.

Chiarire il dibattito sulle prospettive finanziarie

Un impegno comunitario pari allo

0,45% del PIL europeo sarà

insufficiente in un'Europa a 27

(12)

a) Il budget annuo del periodo 2007-2013 sulla base della percentuale dello 0,45%

L’agenda 2000 e le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Berlino del marzo 1999 hanno costruito le loro ipotesi di bilancio sulla base di una crescita del PIL dell'l’UE del 2,5% l'anno. I calcoli sono stati effettuati in quel periodo sulla base dei dati reali del 1997. Abbiamo proceduto allo stesso calcolo a partire dai dati reali del 1998 tenendo presenti due ipotesi:

• Ipotesi 1: Un'Europa a 27 dal 2007 (e quindi un PIL a 27 nel 2006 come base di calcolo);

• Ipotesi 2: Un'Europa a 25 (e quindi un PIL a 25 nel 2006 come base di calcolo) prevedendo un'entrata ritardata della Bulgaria e della Romania (verso il 2010).

I ritmi di adesione sono ovviamente gli elementi più delicati del dibattito, ma, come vedremo, non hanno una grande influenza sugli equilibri finanziari a livello europeo:

• Ipotesi 1: in un'Europa a 27, il PIL dell'Unione può essere stimato a 10474 miliardi di euro nel 2006.

Il bilancio riservato alla coesione equivarrebbe quindi a 47,1 miliardi di euro all'anno (pari al 0,45% del PIL);

• Ipotesi 2: in un'Europa a 25, il PIL dell'Unione può essere valutato quindi a 10274 miliardi di euro nel 2006. Il budget per la coesione equivarrebbe a 46,2 miliardi di euro all'anno pari ad un importo molto vicino all'ipotesi 1.

b) L'importo prevedibile delle politiche di coesione destinato agli allargamenti

Per valutare il costo degli allargamenti in materia di coesione, abbiamo applicato l'attuale massimale imposto sugli aiuti che limita il finanziamento comunitario al 4% del PIL a parità di potere d'acquisto (PPA). Secondo le due ipotesi, si arriverebbe ai seguenti risultati:

• Ipotesi 1: l'importo dell'aiuto per i 12 paesi dell'allargamento verrebbe stimato a 40,1 miliardi di euro all'anno, importo dal quale bisogna sottrarre le regioni dell'allargamento che probabilmente non saranno ammissibili all'obiettivo 1 come la Slovenia e le regioni di Praga, Budapest e Bratislava, eventualmente anche Cipro e Malta, se viene conservato il criterio del 75% del PIL comunitario per l'ammissibilità. L'importo complessivo ammonterebbe quindi a 36,2 miliardi di euro all'anno;

• Ipotesi 2: l'importo dell'aiuto per i 10 paesi dell'allargamento ammonterebbe quindi a 32,2 miliardi di euro all'anno per i primi tre anni, successivamente ridotto a 28,3 miliardi di euro dopo sottrazione

Sulla base di una percentuale dello 0,45%, un bilancio « fondi strutturali» di circa 47 miliardi di euro all'anno sul periodo 2007-2013

Finanziamenti di coesione per

l'allargamento valutati tra 33 e 36

miliardi di euro all'anno

(13)

delle regioni non ammissibili. Bisogna aggiungere un aiuto di pre adesione per la Romania e la Bulgaria che farebbe passare questo importo a circa 33,1 miliardi di euro (sulla base di un aiuto pre adesione pari a circa il 2% del PIL del paese interessato al posto del 4% per gli Stati membri).

Per il periodo 2007-2013 la differenza tra le due ipotesi è quindi minima.

c) L'importo dell'obiettivo 1 2007-2013 che rimarrebbe per le regioni dell'UE15 ancora ammissibili Sulla base della nuova cartina dei PIL regionali a 25 e a 27, è possibile già adesso immaginare, con un ridotto margine di errore, la popolazione dell'UE 15 che rimarrebbe ammissibile all'obiettivo 1 nel 2007, sulla base di dati regionali di riferimento che dovrebbero essere quelli del 2004 o della media 2003-2005 (il caso di alcune regioni iberiche è più aleatorio poiché i dati del 1998 le classificavano al di là del 75%. Un'ammissibilità al 80%

del PIL comunitario lascerebbe altrettanta incertezza). È quindi possibile applicare un aiuto medio di riferimento di 220 euro per abitante e all'anno simile a quello del periodo precedente:

• Ipotesi 1: la popolazione ammissibile è di circa 38.058.000 abitanti, l'importo dell'aiuto annuo è quindi valutato a 8,37 miliardi di euro;

• Ipotesi 2: la popolazione ammissibile è di circa 54.893.000 abitanti, l'importo dell'aiuto anno è valutato a 12,08 miliardi di euro.

La differenza tra le due ipotesi deriva dal fatto che l'entrata della Bulgaria e della Romania ridurrebbe di circa 16 milioni di abitanti la popolazione dell'UE 15 ammissibile all'obiettivo 1.

d) L'importo prevedibile di un phasing out obiettivo 1 2007-2013 per le regioni dell'UE15 che non sarebbero più ammissibili

Seguendo lo stesso metodo del punto precedente, è possibile stimare la popolazione dell'UE15 che uscirebbe dall'obiettivo 1 e ipotizzare un importo di aiuto medio pro capite pari a circa 110 euro (pari alla metà dei finanziamenti riservati alle regioni dell'obiettivo 1). Si avrebbero quindi i seguenti risultati:

• Ipotesi 1: popolazione interessata: 31.036.000 abitanti, importo dell'aiuto annuo: 3,41 miliardi di euro;

• Ipotesi 2: popolazione interessata: 17.634.000 abitanti, importo dell'aiuto annuo: 1,94 miliardi di euro.

Tra 8 e 12 miliardi di euro all'anno per le regioni dell'obiettivo 1 dell’UE 15

Tra 2 e 3,5 miliardi di euro all'anno

per un eventuale « phasing out »

obiettivo 1

(14)

Visione sintetizzata: quali sono le ambizioni possibili per il periodo 2007-2013?

La tabella sinottica sugli aiuti comunitari evidenzia chiaramente che un aiuto pari allo 0,45% del PIL comunitario non solo non permetterebbe di mantenere l'attuale politica a favore delle future regioni dell'obiettivo 1 e delle regioni in « phasing out » ma inoltre non lascerebbe nessun margine di manovra per discutere su un possibile futuro degli obiettivi 2 e 3 e del progetto policentrico, da cui l'interesse di non dissociare il progetto politico dal dibattito di budgetario.

Tabella sinottica

(ipotesi in miliardi di euro – prezzi costanti 1998 e PIL immutato 2006-2013)

Ipotesi 1 Ipotesi 2

All'anno Su 7 anni All'anno(*) All'anno(**) Su 7 anni

Budget coesione 47,1 329,7 46,2 46,2 323,4

Importo allargamento 36,2 253,4 33,1 36,2 244,1

Importo obiettivo1 UE15 8,4 58,6 12,1 12,1 84,6

Importo Phasing out 3,4 23,9 1,9 1,9 13,6

Totale allargamento +UE15 48,0 335,9 47,1 50,2 342,2

Importo disponibile -0,9 -6,2 -0,9 -4,0 -18,8

(*) sul periodo 2007-2009 (**) sul periodo 2010-2013

L'ipotesi di un'adesione della Bulgaria e della Romania già dal 2007 richiederebbe un budget inferiore rispetto a un'adesione nel 2010 in seguito alla notevole riduzione dell'ammissibilità all'obiettivo 1 delle regioni dell'UE15 a seguito dell’adesione di questi due stati nel 2007. Per semplificare l'approccio, continuiamo il ragionamento nell'ambito di un'Europa a 27 nel 2007 che rappresenta quindi un'ipotesi minima a livello di budget rispetto all'ipotesi di un'adesione ritardata della Romania e della Bulgaria.

Un budget allo 0,45% del PIL

europeo non permetterebbe di

coprire l'obiettivo 1 e il « phasing

out »

(15)

Come abbiamo visto, gli aiuti per l'obiettivo 1 dell’UE 27, per il fondo di coesione e per il sostegno transitorio obiettivo 1 ammonterebbero a circa 48 miliardi di euro all'anno. Le altre politiche strutturali (Obiettivi 2 e 3, iniziative comunitarie e azioni innovatrici) rappresentano nel periodo 2000-2006 circa il 30% del totale delle azioni strutturali rispetto al 70% per il primo blocco. Le analisi del rapporto sulla coesione, che sottolineano in particolare l'aggravarsi di varie disparità sia economiche, sociali che territoriali, non fanno pensare ad una possibile drastica riduzione di questa proporzione.

Partendo dal sistema attuale, gli aiuti possono quindi essere valutati a 69 miliardi di euro all'anno, ovvero:

- circa 48 miliardi per l'obiettivo 1 e il fondo di coesione (pari al 70% circa del totale delle azioni strutturali);

- circa 21 miliardi per una futura politica di coesione territoriale destinata in particolare ad attuare l'ESDP e a correggere, attraverso il futuro obiettivo 3, i divari esistenti in materia di coesione sociale.

Questo budget annuo sarebbe destinato ovviamente a variare durante il periodo 2007-2013 in funzione dell'evoluzione reale del PIL e dell'inflazione. Rappresenta tuttavia un quadro di riferimento accettabile. Il mantenimento della percentuale allo 0,45% del PIL comunitario permetterebbe di destinare solo 47 miliardi di euro all’anno a tutte le politiche di coesione.

Un'altra ipotesi riguarda l'eventuale riduzione della quota riservata alle altre azioni strutturali, vista la portata dell’impegno finanziario richiesto dall'allargamento. Questo primo calcolo può quindi essere considerato come un'ipotesi ottimistica (scenario 1).

L'ipotesi pessimistica, secondo cui le azioni strutturali al di fuori dell'obiettivo 1 finirebbero per rappresentare solo il 15% dei finanziamenti globali, richiederebbe una dotazione di budget annua di circa 59 miliardi di euro che la percentuale dello 0,45% (scenario 2) non sarebbe di nuovo in grado di coprire.

Aiuti che si situano tra circa 60 e 70

miliardi di euro all'anno

(16)

Come evidenziato nella tabella che segue, la realizzazione dell'ipotesi ottimistica richiederebbe un budget pari allo 0,65% del PIL comunitario, l'ipotesi pessimistica invece richiederebbe un sostegno di circa lo 0,55%.

Impegno % del PIL dell'UE27

0,45% 0,55% 0,65%

Budget "azioni strutturali" 47,1 57,6 68,1

Costo azioni strutturali (scenario 1) 69,0 69,0 69,0

Percentuale di copertura del budget 68% 83% 99%

Costo azioni strutturali (scenario 2) 59,0 59,0 59,0

Percentuale di copertura del budget 80% 98% 115%

Nota: in miliardi di euro

La riflessione sul futuro della politica regionale deve quindi situarsi all'interno di questi valori oppure ben oltre la soglia minima dello 0,45% citato nel rapporto sulla coesione.

Il dibattito budgetario sul futuro della politica regionale post 2006 non può quindi essere dissociato dal progetto politico né da altri tre dibattiti fondamentali che sono:

• il futuro della PAC, principale voce del bilancio europeo,

l'evoluzione del consumo effettivo dei crediti comunitari che è lungi dal raggiungere oggi il valore negoziato del 1,27% del PIL comunitario,

il dibattito più generale sull'approfondimento della costruzione europea e sui mezzi da mobilitare per riuscirci.

L’impegno comunitario dovrà essere compreso tra lo 0,55% e lo 0,65% del PIL europeo

Le previsioni finanziarie non possono

essere dissociate dai dibattiti sul

futuro della PAC, sul consumo reale

del bilancio comunitario e sul futuro

del progetto europeo

(17)

4°) CHE TIPO DI GOVERNO DELL'UNIONE È OPPORTUNO ATTUARE PER GARANTIRE IL SUCCESSO DEL PROGETTO POLITICO?

Il dibattito sollevato dal rapporto sulla coesione sulla futura politica regionale europea non può prescindere da un'analisi approfondita dell’efficacia dell'azione strutturale e deve andare ben oltre i normali esercizi di valutazione. Se la nuova politica regionale europea deve diventare il simbolo di una costruzione europea allargata e solidale e attirare quindi una quota maggiore del bilancio comunitario, tutti i livelli di governo europeo sono chiamati a migliorarne la trasparenza e l'uso dei fondi.

Il dibattito sull'efficacia nella gestione dei fondi deve superare lo stadio del necessario controllo finanziario rafforzato e trattare in profondità gli argomenti dell'efficienza e della coerenza dei programmi in un ambito non solo regionale ma anche europeo.

Se le riflessioni strategiche su nuove forme d'azione sui territori sono chiaramente identificate nell'ESDP nell'ambito del « policentrismo », esse richiedono tuttavia una radicale riforma del governo delle politiche europee dell'Unione sia a livello orizzontale – quello della coerenza delle politiche settoriali – che a quello verticale per rafforzare l'efficacia del partenariato.

4.1 Il governo orizzontale delle politiche di coesione

La non corrispondenza tra gli obiettivi perseguiti a nome della politica strutturale e la coerenza degli obiettivi perseguiti all'interno delle politiche settoriali – sia a livello della Commissione europea, di ogni Stato o ancora di più a livello Stato-Commissione – diventa sempre più evidente.

La CRPM esprime la sua soddisfazione per il fatto che il rapporto sulla coesione difende due posizioni a partire dalle quali organizzare una riflessione e progredire nella prospettiva del 2007:

- la necessità di migliorare la coerenza tra le politiche strutturali e le politiche settoriali europee che partecipano alla coesione,

- la necessità di un migliore coordinamento tra le politiche nazionali e quelle comunitarie.

L’impegno finanziario richiederà un utilizzo ottimale del denaro comunitario non solo in termini di gestione ma anche di efficacia e di coerenza orizzontale e verticale delle politiche

Per un migliore coordinamento delle

politiche settoriali e dell’impegno a

favore della coesione economica,

sociale e territoriale

(18)

Sono infatti numerose le politiche settoriali comunitarie che agiscono in senso opposto alle politiche di coesione.

Le analisi del rapporto della Commissione sono a tale riguardo la dimostrazione palese delle contraddizioni spaziali derivanti dall’applicazione di politiche come la PAC, la concorrenza, i trasporti o la ricerca-sviluppo, temi fondamentali per lo sviluppo regionale. Queste politiche agiscono spesso in senso contrario all’obiettivo di coesione anche se tutti i Capi di Stato di Governo le hanno convalidate come strumenti della coesione. L’esempio più evidente, quello della PAC, arriva persino a dimostrare che i trasferimenti finanziari tendono spesso ad avere effetti opposti rispetto a quelli versati nell’ambito dei fondi strutturali e ciò per importi maggiori. Riguardo ai trasporti, le contraddizioni sono altrettanto evidenti, tra una DG TREN che coordina in parte l’elaborazione della rete transeuropea dei trasporti e la DG REGIO che eroga la maggior parte dei finanziamenti comunitari attraverso il FESR senza condividere necessariamente lo stesso obiettivo di partenza; senza dimenticare la ripartizione molto diversa da uno stato all’altro della quota nazionale del finanziamento in funzione del livello di decentramento raggiunto.

La stessa constatazione, a volte con lievi differenze, vale anche per le politiche settoriali nazionali che non sempre contribuiscono alla riduzione delle disparità territoriali interne ad ogni Stato. Ad esempio se nel Trattato è previsto che la politica europea di ricerca deve partecipare all’impegno a favore della coesione, lo stesso dovrebbe valere per le politiche nazionali di ricerca-sviluppo e d’innovazione il cui budget e la capacità di azione sono senza paragone rispetto al budget comunitario disponibile. Lo stesso vale nel settore dei trasporti in cui la complessità delle logiche di intervento pubblico /privato non facilita l’attuazione di politiche con obiettivi chiari e precisi.

La coerenza tra l’intervento comunitario e gli interventi nazionali in materia di coesione territoriale non è sempre così evidente. Se alcuni stati ne fanno una priorità della loro azione politica, altri non recepiscono necessariamente all’interno della loro politica di coesione nazionale le decisioni prese a livello comunitario. Prova evidente di questa situazione sono le difficoltà di attuazione, per la maggioranza degli stati, del principio di addizionalità che rappresenta uno dei quattro pilastri delle politiche strutturali. È forse per questo che si assiste all’aumento crescente delle disparità territoriali all’interno di numerosi Stati membri, elemento che ha caratterizzato i due rapporti sulla coesione. La stessa constatazione può essere applicata alla lettura dei notevoli divari (da 1 a 3) evidenziati dalla Commissione nei livelli di aiuto nazionali o ancora nel tipo di regime fiscale.

Questa constatazione diventa ancora più importante per il fatto che finisce per privilegiare gli spazi in genere più sviluppati e quindi in contraddizione con l’obiettivo di coesione.

Una notevole mancanza di coerenza in materia di PAC, dei trasporti, della ricerca e della politica di concorrenza

Una coerenza che deve andare di pari passo con le politiche settoriali non solo comunitarie ma anche nazionali

Un principio di addizionalità che

deve essere migliorato

(19)

Se è difficile prevedere delle risposte a tutte queste contraddizioni nella prospettiva della futura politica regionale, sarà tuttavia opportuno progredire verso l’attuazione di un quadro globale che possa dare una certa coerenza a tutte le politiche a favore della coesione evitando quindi di rendere inoperanti un certo numero di politiche pubbliche, siano esse nazionali o comunitarie.

4.2 Il governo verticale delle politiche di coesione

Allo stesso modo, sarà difficile evolvere verso la convergenza delle politiche settoriali nazionali ed europee senza una maggiore associazione di tutti i territori e dei vari attori istituzionali. A termine si impone la necessità di realizzare una migliore articolazione tra i vari livelli territoriali riguardo all’obiettivo di coesione, nel rispetto dei sistemi istituzionali esistenti in Europa. Ciò non significa delimitare in modo rigido e immutabile le competenze nuocendo così alla costruzione europea e snaturando l’obiettivo perseguito, quanto piuttosto definire nuovi metodi di cooperazione che permettano ai vari attori dell’Unione di rafforzare la loro messa in rete. Questa riflessione dovrebbe integrare tre dimensioni2:

- Le partnership locali e regioni:

I metodi di collaborazione sono ancora molto diversi a seconda delle diverse culture politiche (contrattuali informali, ecc), tuttavia tutti gli attori infrastato oggi creano meccanismi di concertazione per definire e raggiungere obiettivi comuni di sviluppo territoriale. Questa ricchezza di esperienze dovrebbe essere maggiormente valorizzata in quanto rappresenta la base dalla quale partire per ampliare il decentramento concertato delle politiche europee a impatto territoriale. Come lo suggeriscono molte regioni, lo sviluppo di una funzione europea di scambio di buone pratiche di governo di partnership tramite, ad esempio, un workshop organizzato ogni tre anni sull’osservazione e la capitalizzazione di questi know-how, è un suggerimento da tenere presente. Oltre ai benefici effetti immediati presso gli attori, i risultati permetterebbero di comprendere meglio le condizioni di attuazione del prossimo periodo di programmazione dell’azione comunitaria.

Verso nuovi metodi di cooperazione verticale per l’attuazione delle politiche di coesione

Verso obiettivi condivisi di sviluppo territoriale che associno gli attori regionali e locali

2Queste proposte provengono in parte dai risultati di un’indagine condotta dalla CRPM su richiesta della Commissione europea nell’ambito dei lavori preparatori al futuro Libro bianco sul governo europeo. Vedi il sito web: www.crpm.org

(20)

- Il coordinamento tra gli stati e le rispettive collettività territoriali:

Anche se in alcuni stati esistono strutture permanenti di consultazione e di cooperazione tra i livelli nazionali e infranazionali, questa situazione non è ancora generalizzata in Europa. Certamente questo aspetto è strettamente legato all’organizzazione interna di ogni singolo stato; tuttavia si constata una sempre maggiore volontà di associare le collettività locali e regionali ai rispettivi Stati nella preparazione e esecuzione delle politiche europee.

Per sfruttare al meglio le varie esperienze degli Stati dell’Unione, oggi non sufficientemente prese in considerazione, sarebbe opportuno ispirarsi al metodo di coordinamento aperto utilizzato in altri settori, come l’occupazione, che permette di instaurare un apprendimento reciproco progressivo. Un processo di questo tipo permetterebbe agli stati, alla Commissione europea e alle Regioni di valutare il loro grado di partecipazione alla preparazione e all’esecuzione delle politiche pubbliche.

- L’articolazione tra l’Unione, gli Stati e gli attori locali e regionali:

Solo la politica regionale permette oggi una vera e propria articolazione tra i tre livelli di governo all’interno di una partnership. Si nota con rammarico come questo metodo non venga esteso alle altre politiche a forte impatto territoriale (trasporti, ricerca, ambiente, aziende, sviluppo rurale, pesca, ecc.) per le quali la pratica attualmente seguita prevede una partnership tra la Commissione europea e gli Stati membri senza un meccanismo chiaro di associazione dei livelli intrastato, cui invece si fa appello per partecipare al finanziamento dei progetti scelti.

Ne deriva che la politica di ricerca-sviluppo e d’innovazione condotta a livello comunitario, soprattutto attraverso il programma quadro di ricerca-sviluppo, è il frutto soprattutto di discussioni e negoziati tra le istituzioni europee, gli Stati membri e i grandi centri di ricerca nazionali. La conseguenza evidente è la mancanza di presa in considerazione delle realtà socioeconomiche dei vari territori dell’Unione nei programmi quadro. L’esempio dei trasporti è al riguardo eloquente, soprattutto quando si tratta di progetti di interesse europeo, come le RTE-T, i cui obiettivi sono definiti dalla Commissione europea con una debole partecipazione del livello regionale. Nel settore dell’ambiente, la gestione degli effetti spaziali implica anche una concertazione più importante tra rappresentanti istituzionali e professionali che esula dall’ambito geografico classico dell’esercizio dei poteri.

Un movimento generale, Stato per Stato, di maggiore associazione delle collettività territoriali che è opportuno capitalizzare nell’ambito del progetto europeo

Una nuova politica regionale per una

migliore articolazione tra i tre livelli

dell’azione pubblica (Commissione,

Stati, Regioni), in particolare

nell’ambito delle politiche a impatto

territoriale

(21)

Queste constatazioni dimostrano che è indispensabile pensare a nuovi metodi, contrattuali o altro, per rafforzare la coerenza e integrare i dispositivi europei, nazionali e regionali nell’ambito delle politiche europee:

• Una programmazione contrattuale globale tra i tre livelli di governo che possa integrare tutte le politiche a impatto territoriale dell’Unione e fissare degli obiettivi comuni,

• Una migliore articolazione dei vari livelli nell’ambito della programmazione dei fondi strutturali per finanziare progetti di interesse territoriali, strategici per l’assetto dello spazio europeo,

• L’integrazione di una dimensione territoriale nelle politiche settoriali europee affinché i tre livelli possano insieme definirne gli obiettivi.

Riteniamo necessario studiare e rafforzare queste due prospettive tendenti a un migliore governo orizzontale e verticale nella prospettiva del 2007, evitando tuttavia di cadere in una logica che consisterebbe a limitarsi ad una valutazione delle politiche comunitarie da rinazionalizzare o da riservare al solo settore d’intervento della Comunità. La maggior parte dei settori citati non ci sembrano poter essere trattati in modo esclusivo da uno solo dei tre livelli d’intervento territoriale (Unione, Stati , collettività). L’interesse in gioco implica piuttosto il riesame di alcuni principi del modello attuale di governo dell’Unione, in particolare la sussidiarietà e l’attribuzione delle competenze, che vanno ben oltre l’ambito del dibattito sulla coesione. La preparazione dell’appuntamento istituzionale del 2004 sul futuro dell’Europa e i dibattiti avviati dalla Commissione europea nell’ambito del futuro Libro bianco sul governo offrono l’occasione di far evolvere e chiarire nel contempo i due grandi principi indivisibili dell’Unione: la solidarietà e la sussidiarietà.

Due concetti indivisibili di un progetto europeo:

- Sussidiarietà - Solidarietà

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