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I II RISORGIMENTO

EDIZIONI

AMICI DEL MUSEO DEL RISORGIMENTO

MILANO

C

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5) )

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ANNO IV - N. 3 MILANO, OTTOBRE 1952

IL RISORGIMENTO

STEFANO JACINI (Junior)

Quando vidi per l'ultima volta Stefano Jacini, l'amico di un lungo periodo di vita nostra e di storia del nostro Paese, nè lui nè io vole- vamo commuoverci nell'addio, ma in tono che tradiva il rimpianto segreto di una esistenza che si chiudeva mi disse solo: « In quanti modi e avvenimenti diversi le nostre due vite si sono incontrate, col- laborando... ». Io risposi, dominando l'emozione, che avremmo ri- preso poi i nostri colloqui su argomenti che ci stavano sempre a cuore, appena stesse meglio e si sentisse meno stanco... Ma sapevo che non li avremmo ripresi più.

Ora che è partito — lui più giovine — nella solitudine in cui i ricordi del passato prendono maggior concretezza la figura di questo amico mi si fa più viva nei suoi caratteri fondamentali di uomo po- litico e di studioso. Mi è difficile tuttavia riassumere in poche pagine una

attività complessa, legata alla storia dell'ultimo cinquantennio, ricca di esperienze che comprendono i principali avvenimenti del nostro tempo. Quando però si sono avuti momenti di collaborazione — al principio e alla fine — quali furono quello di partecipazione allo stesso movimento di pensiero e di studi religiosi negli anni lontani del

« Rinnovamento)) 1906-1908 e (attraverso alla comune resistenza al fascismo, per un ventennio), nella collaborazione dell'esilio in Sviz- zera dal 1943, e dopo la liberazione di Roma nella ripresa politica del nostro paese; quando ci si è conosciuti attraverso esperienze così definitive e decisive per l'orientamento del proprio spirito, si può ben dire di esserci conosciuti sul serio.

E ciò che oggi scrivendo di lui mi si fa più evidente è la coe- renza e l'armonia in Stefano Jacini tra l'uomo d'azione e l'intima ispi-

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razione spirituale di tutta la sua vita. Egli discende infatti per tradi- zione, per formazione, per amicizie, dal Risorgimento italiano, se- guendo l'orma, con lo spirito dei tempi nuovi e coi caratteri originali propri, di suo nonno (1826-1891), il Ministro di Cavour, di cui scriverà la storia. E cattolico-liberale rimase per tutta la vita nel suo modo di pensare e di sentire. Nè conta se come uomo politico militò, subito dopo la prima grande guerra, nel Partito Popolare italiano, assai vicino al suo fondatore Don Sturzo; e, dopo la seconda guerra, inti- mamente legato ad Alcide De Gasperi, passò nel Partito Democratico

Cristiano e vi rimase sino alla morte. Poichè pur partecipando con piena convinzione e disciplina al partito, egli non rinnegò mai la prima origine « risorgimentale », nè la partecipazione giovanile a quel mo- vimento di idee per cui anche nella vita politica fu sempre attratto dagli interessi religiosi e dalla cultura filosofica di cui gli uomini di azione sono troppo spesso poveri. Ciò lo distinse anzi e lo tenne estra- neo da quelle correnti che nella stessa Democrazia Cristiana, rappre- sentano una tendenza più unilateralmente critica della storia dell'u- nità italiana e che possono, politicamente, definirsi « clericali ». Men- tre, nella sua equità di giudizio, ben comprendeva come il liberalismo avesse perduto di ispirazione e di slancio vitale, riducendosi come partito, prima della guerra del '15-'18, a una funzione di conserva- zione moderata, timorosa di affrontare i nuovi problemi del- la vita e delle esigenze sociali delle masse lavoratrici che avan- zavano penetrate da un senso materialistico. Onde nell'incontro con Don Sturzo (che non è un « clericale ») parve a Jacini di trovare nel suo partito giovine, la possibilità di contemperare le sue tradizioni cattoliche e liberali con le ,esigenze di un più diretto contatto col po- polo e di una progressiva e cristiana elevazione dell'Italia del lavoro.

E a questa sua scelta fu fedele anche attraverso le inevitabili amarezze o disillusioni. Così come fu fedele allo spirito liberale e alla demo- crazia, contro il fascismo e contro la dittatura di Mussolini, dalla se- cessione dell'«Aventino» al 25 luglio del '43.

Particolarmente ammirevole fu anzi, a mio parere, quel venten- nio di esilio all'interno, per un uomo spisccatamente attratto dall'a- zione, per un parlamentare non privo di ambizioni e di possibilità di tenere un posto eminente nella vita pubblica italiana. Ma egli non si piegò, tenendo fede a delle idee e a delle convinzioni che si rial- lacciavano ai grandi esempi della generazione del Risorgimento, ma che rappresentavano in tempi di dittatura un pericolo, come l'aveva-

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no rappresentato cent'anni prima, che si poteva affrontare con fierezza. E d'altra parte non rimase inerte, non accettò una posizione di rassegnata passività. Si mantenne in un contatto vivo e operante con le forze politiche in sotterraneo fermento e con gli uomini più rappresentativi dell'opposizione, per pre- parare il domani d'Italia, mentre coi suoi studi riprendeva contatto con la generazione e coi problemi della prima liberazione dallo stra- niero. Cominciò dai ricordi e dai documenti di famiglia scrivendo un importante volume su Stefano Jacini (1826-1891): Un conservatore rurale della Nuova Italia (Bari, Laterza, 1926), storia che interessa quella classe, pensante e operante, con salde radici nella terra lom- barda e alte idealità patrie che ebbe una importante funzione equili- bratrice nella formazione del nuovo Stato e nella politica cavouriana.

Alla vita di suo nonno seguono: L'Inchiesta agraria. Introduzione di Francesco Coletti. Cenni biografici di Stefano Jacini jun. (Piacenza, Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, 1926) e Peregrinazioni gio- vanili di uno statista lombardo (Milano, Cordani, 1930).

Frattanto le sue ricerche si rivolgevano a quella zona suggestiva di rapporti tra la formazione laica e liberale della unità italiana e i problemi di politica ecclesiastica e di tradizione e dottrina cattolica che la complicavano e la tormentavano e che solo furono superati dalla generazione stessa cui appartiene il nostro amico; non tanto per vo- lontà di un dittatore, quanto per pressioni di correnti e per merito di uomini cui Jacini fu legato. Non era stato forse il problema del poter temporale uno di quelli che più avevano assillato uomini come Stefano Jacini il vecchio e che doveva finire per esser risolto da Pio XI che fin dai primi anni del suo sacerdozio aveva frequentato quegli ambienti milanesi (per il giovine Stefano J acini Don Achille aveva sempre avuto una speciale paterna benevolenza) dov'era più vivamente sentito il bisogno di « conciliazione »?

Nacquero così, in quegli anni di raccoglimento e di lavoro, le opere e gli studi che riflettono quel lato delle sue ricerche storiche:

Il tramonto del Potere temporale nelle relazioni degli Ambascia- tori a Roma (1860-1870), Bari, Laterza 1931;

La tradizione anticlericale nel Risorgimento Italiano. Estratto dal- la rivista « Studium », 1932;

La Question Romaine et la Convention de Septembre (1860-1870).

Estr. da « La Revue d'Histoire diplomatique », Janvier-Mars 1932;

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I cattolici italiani e la Storia del Risorgimento. Estr. da « Stu- dium », Roma. 1934;

La politica ecclesiastica italiana di Villafranca a Porta Pia. La crisi religiosa del Risorgimento. Bari, Laterza, 1938;

Un Riformatore Toscano dell'Epoca del Risorgimento. Il Conte Piero Guicciardini. Firenze, Sansoni, 1940.

In tutta questa produzione Jacini rivela non solo la passione per un lato della storia del Risorgimento che era rimasto alquanto in ombra, ma anche la libertà di spirito e l'equità di giudizio con cui si avvicinava ai più complessi problemi spirituali della nuova Italia, e alla sua simpatia (poiché senza simpatia umana non vi può essere vero storico) per le figure maggiori e minori, anche opposte, del no- stro dramma politico-religioso.

La caduta del fascismo lo colse così nella pienezza della sua attività di scrittore, rimettendolo sulla via della politica militante.

Ricordo come dopo l'appassionata notte del 25 luglio del '43, ci ri- trovammo la mattina del 26 in via Manzoni, commossi dal grande avvenimento storico che mutava di improvviso le sorti del paese e delle cui conseguenze stentavamo a renderci conto. Jacini mi disse subito che avendo incontrato alcuni amici appartenenti ai vari set- tori dell'opposizione, aveva dato loro come punto di ritrovo la mia casa. Verso mezzogiorno, infatti, con meraviglia nostra, un numero considerevole di personalità politiche giunte son so come al convegno, quasi per una interiore chiamata, si reincontravano per la prima volta da me, iniziando una attività che ebbe per alcune settimane come quartier generale l'antica sala dei miei nonni (« oh se i morti vedes- sero! » diceva l'amico Stefano). Ma in quell'accolta di uomini liberi, alcuni dei quali morirono poi per la libertà, Jacini si trovò subito al suo posto di combattimento e direi anzi di direzione, per quella chiarezza di idee, per quella generosità e coraggio di carattere e di

propositi e per quell'equilibrio franco che si imposero anche a certe faziosità giacobine. Poiché fin dal primo momento ebbe chiara la vi- sione che quella era un'ora storica non di divisioni ma di collabo- razione schietta. Ed è in questo spirito di unità nazionale che egli proseguì la sua opera nei Comitati di Liberazione in cui rappresentò il suo partito, ma ben oltre il partito gli interessi della Chiesa che non poteva rimanere estranea — come per il passato . — a questo nuovo incontro dell'Italia con la Libertà: libertà e democrazia, di cui tutti, compresi i comunisti, sentivano sinceramente il valore e

la necessità in quel momento, dopo le cupe esperienze di una ditta- tura e la minaccia del tedesco alle porte.

Ma la nostra collaborazione di quei giorni ci doveva costare l'e.

silio. Nel dicembre del '43 fui obbligato di raggiungerlo in Svizzera.

Cominciò allora — mentre il nostro paese era ancora sotto la domi- nazione straniera — un periodo di fraterno, intenso lavoro, che ri- mane tra i migliori ricordi della mia vita. Fu la collaborazione nella Resistenza e nella preparazione di quello che sarebbe stato il nuovo assetto politico del paese, dopo la caduta dei regimi totalitari. Nel- l'aggrovigliato complesso dei partiti che si andavano formando oltre

frontiera e che già cercavano i loro orientamenti futuri, Stefano Ja- cini fu tra quelli che meglio si affermarono per alte qualità di intel- letto e di carattere come personalità politica di prima linea. Fermo nelle sue posizioni a popolari » che già si avviavano alla formazione del partito di De Gasperi; egli rappresentava tuttavia la coscienza, maturata nei suoi studi, che nella vita politica e civile le forze catto- liche militanti dovevano tener conto della realtà' italiana; e cioè che la struttura fondamentale del nostro Stato non può essere, per le sue origini, che liberale, nel più largo senso della parola. Così pure egli sentì cordialmente — poiché era naturalmente comprensivo e cordiale di una lieta cordialità lombarda — la necessità che per salvare la li- bertà in Italia ci fosse la più stretta unione possibile, su larghe basi, di quante sincere forze democratiche avevano lottato insieme doloro- samente nella lotta partigiana, nella prigionia e nell'esilio.

Nè mancò di sincerità, fin dal periodo svizzero, sulla questione istituzionale. Le passioni monarchiche e repubblicane già si conten- devano aspramente negli stessi Comitati di Liberazione e nei va- ri raggruppamenti di esuli a Lugano, a Zurigo e a Ginevra.

Jacini, per sentimento e tradizione era monarchico e durante tut- ta la sua vita politica era stato nei migliori termini personali con Vittorio Emanuele III, come lo era in Svizzera con., la Principessa di Piemonte. Ma fin da allora egli vedeva con la chiarezza di chi avreb- be dovuto prendere presto le proprie responsabilità politiche, che a nessun costo si sarebbe dovuto portare il paese, già logorato da una guerra civile, a un nuovo e amaro conflitto interno, per imporre, sia pure per una piccola maggioranza, una istituzione che aveva avuto un'altissima missione unificatrice attraverso le lotte per l'Indipenden- za fino alla guerra 1915-18, ma che per fatalità di eventi e debolezza di uomini, aveva deviato dallo spirito dello Statuto, perdendo la base del consenso su cui solo le monarchie si reggono.

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Nel novembre dal 1944, per una intesa tra il Governo di Roma liberata e le forze americane, un piccolo gruppo di uomini politici dei diversi partiti, tra cui eravamo noi, fu trasportato per via aerea attra- verso il Mediterraneo alla Capitale. Faceva parte della singolare spe- dizione Luigi Einaudi di cui tutti — compresi i comunisti — sentivano l'alta superiorità intellettuale e morale che lo riavvicinava nella sua stessa austera semplicità ai migliori che avevano fatta l'Italia.

Si trattava ora di rifarla salvando il suo grande patrimonio del primo Risorgimento e riprendendo con rinnovata coscienza e fermezza di caratteri, quella che Einaudi chiamava « la via lunga» delle idea- lità liberali e della democrazia.

In quest'opera ricostruttrice Stefano Jacini si gettò con giovanile entusiasmo e con ardente fede e fu certo una delle figure più eminenti e più stimate del periodo storico che corre dalla Liberazione alle ele- zioni del 18 aprile 1948 e quindi fino alla sua morte. In tutta la vita agitata di un momento che rimarrà sicuramente tra i più memorabili di questa prima metà del secolo, Jacini servì il paese tra* quelli il cui nome non sarà cancellato sia come membro della Costituente, sia co- me Ministro della Guerra nel Ministero Parri (egli si sentì sempre mol- to soldato nell'animo), sia nella Missione in Argentina per l'Emigra- zione, che coronava una delle sue maggiori attività rivolta fin dalla giovinezza a questo grande nostro problema, sia nelle posizioni che tenne nel Consiglio d'Europa e nell'Unescu, dove per la sua vasta cul- tura e preparazione nella politica internazionale rappresenta l'Italia rinascente con alta dignità e con un consenso dei suoi colleghi esteri di cui mi giungeva l'eco a Londra attraverso le più eminenti porsona- lità inglesi che gli erano amiche.

Ma della sua vita politica così ricca e intensa e delle cariche che ricoprì non ho il modo e il tempo di scrivere oggi, in poche pagine.

Così altri potrà studiare utilmente gli ultimi suoi due volumi di storia contemporanea: Il Regime Fascista (Garzanti, 1947) e Storia del Partito Popolare Italiano (Garzanti, 1951). A me è bastato, ricordan- dolo con mesto affetto, di delineare di lui quasi un breve itinerario spirituale, per quella parte che mi era più vicina, come suo Compa- gno di via.

TOMMASO GALLARATI SCOTTI.

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