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"Dar un paso al vacío": La ricreazione della frontiera in Señales que precederán al fin del mundo di Yuri Herrera

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN

LINGUE E LETTERATURE MODERNE EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA

“Dar un paso al vacío”: La ricreazione della frontiera in Señales que

precederán al fin del mundo di Yuri Herrera

CANDIDATO

RELATORE

Giuseppe Doto

Chiar.ma Prof.ssa Alessandra Ghezzani

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Indice

Introduzione……….……… p. 2 1 Coordinate per comprendere la frontiera ………. p. 7 1.1 Approssimarsi alla frontiera ………. p. 7 1.2 Attraversare la frontiera ……… p. 17 2 Una “herida abierta”: storia della frontiera tra Messico e Stati Uniti ………. p. 22 3. Raccontare la frontiera ……… p. 31 3.1 Culture, identità e letterature di frontiera ………... p. 31 3.2 La letteratura del “U.S.-Mexico border”……… p. 42 3.3 La letteratura della “frontera entre Mexico y Estados Unidos” ……… p. 49 3.4 Dalla Narrativa del Desierto alla Letteratura Fronteriza ……… p. 57 4. Señales que precederán al fin del mundo: la ricreazione della frontiera ……. p. 72 4.1 L’(est)etica di Yuri Herrera ……….. p. 72 4.2 Il senso dell’apocalisse ……….. p. 86 4.3 Segnali che precederanno alla fine di un mondo ……….. p. 98 Conclusioni ……… p. 116 Riferimenti bibliografici ……….. p. 125

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Introduzione

L’obiettivo di questo elaborato è quello di mostrare le strategie attraverso le quali viene ricreata la frontiera nel romanzo dello scrittore messicano Yuri Herrera, Señales que

precederán al fin del mundo. Per farlo si dovrà comprendere di che si parla quando si

parla di frontiera. Il termine esercita un fascino particolare sugli scrittori, sui viaggiatori e sugli esploratori di ogni epoca forse perché, per citare Bolaño, “la frontiera è il luogo sacro dell’individuo, il posto dove si va unicamente a morire o a lasciare che il tempo passi”1, è cioè il luogo in cui ci si trova faccia a faccia con l’enigma della vita. Per quanto

romantica, questa idea di frontiera come limite è la base di qualunque riflessione si voglia sviluppare sull’argomento. Forse è che la frontiera, contenendo, impedisce e allo stesso tempo offre la possibilità di quell’esperienza radicale che può nascere solo dalla mancanza di punti di riferimento culturali solidi. È proprio questo il limite, se così si può dire, di confrontarsi con la frontiera: essa è un limite, pertanto non appena la si comprende, cambia per via del rapporto instaurato con essa.

Di questo tratta il primo capitolo, “Coordinate per comprendere la frontiera”, il cui obiettivo principale è quello di mostrare il carattere processuale inerente all’immaginario della frontiera e quindi di impostare un’ottica di lavoro che sia al contempo porosa ed efficace: lo scopo non è quello di giungere ad una sintesi, ma di mostrare il carattere contraddittorio dell’idea di frontiera. Negare la dialettica costante che fa parte del discorso sulla frontiera vorrebbe dire negare la presenza stessa della frontiera.

Le strade percorribili sono pressoché illimitate, per questo ci è sembrato che quella di un’ottica integrale, fosse l’unica maniera per approcciarsi al fenomeno quando lo si volesse inquadrare in relazione alla letteratura. Inoltre, questa scelta trova le sue ragioni nell’idea che la frontiera sia oggi studiata soprattutto in chiave epistemologica. La frontiera è il topos, molto spesso invisibile, su cui si reggono un’infinità di storie relative alla conoscenza, alla scoperta, al viaggio e alla creazione. Confrontarsi con la frontiera

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significa quasi sempre confrontarsi con l’ignoto, con il diverso, con l’altro, col caos e con l’inferno.

Tuttavia, bisogna fare attenzione a non lasciarsi abbagliare dai miraggi che la frontiera è capace di generare. Per questa ragione ci si concentrerà sulla particolarità storica della frontiera al centro di questo elaborato, ossia quella tra Messico e Stati Uniti. È solo a partire dall’unicità storica di questa frontiera che si potranno comprenderne la letteratura e la cultura e di conseguenza giungere a riflessioni di carattere universale. Il romanzo di Herrera dovrà essere letto in relazione a quella particolare letteratura messicana che ad oggi si definisce letteratura fronteriza: essa nasce da un evento specifico e si sviluppa in un contesto unico.

Nel secondo capitolo, intitolato, “La “herida abierta”: storia della frontiera tra Messico e Stati Uniti”, si fornirà un quadro storico senza il quale sarebbe impossibile comprendere la realtà culturale della frontiera. Quella della ferita aperta, metafora elaborata dalla poetessa chicana Gloria Anzaldúa, rimane ancora l’immagine più usata per descrivere questo particolare contesto. Per di più, questa definizione mostra la natura evenemenziale, si potrebbe dire traumatica, della frontiera geopolitica tra Messico e Stati Uniti. La sua nascita è “improvvisa” ed ha bisogno di essere compresa innanzitutto in termini storici e rispetto alle proprie coordinate per sfuggire al rischio sempre sottovalutato dell’omologazione delle frontiere. Tale frontiera è descritta genericamente come una zona di contatto tra comunità plurali, come una zona di ibridazione e di scontro, ma è riduttivo pensarvi, esclusivamente in questi termini. La frontiera è uno spazio storico e politico, ma anche “emozionale”. Essa ha una storia, ma anche infinite versioni della stessa storia e chi vive alla frontiera si definisce soprattutto in rapporto ad essa: l’uomo alla frontiera è alla continua ricerca del proprio centro, ma il proprio centro s’installa nella precarietà. Più che l’identità in sé, il tema centrale della cultura fronteriza è l’impossibilità dell’identità. Per questo è fondamentale rivolgersi alla particolarità storica di questa specifica frontiera prima di proseguire con la riflessione teorica o con la comprensione della ricreazione letteraria. Qualora non si comprendesse la tipicità culturale di questa frontiera non si potrà cogliere la natura di una letteratura che è indubitabilmente, nel bene o nel male, figlia di questa frontiera.

Nel terzo capitolo “Raccontare la frontiera”, si discuterà proprio del contesto culturale nato a seguito del Trattato di Guadalupe Hidalgo il quale ha diviso irrimediabilmente Stati Uniti e Messico. Bisognerà scendere a patti con l’impossibilità di ripristinare la ferita che è all’origine della nascita del soggetto chicano e del soggetto transfronterizo. Quella

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“terra di nessuno” che era il nord del Messico è adesso il centro di un rinnovamento culturale ed artistico quasi carnevalesco, tanto che nel suo libro, Culturas Híbridas:

Estrategias para entrar y salir de la Modernidad, Néstor García Canclini ha definito

Tijuana, generando un certo clamore, il laboratorio della postmodernità. A prescindere dall’utilità di questa definizione, ciò che è innegabile è che studiare le letterature della frontiera significa confrontarsi con due culture giovani che pongono nuove domande. Per comprendere la storia e la letteratura delle due comunità principali che nascono alla (e dalla) frontiera si è scelto di isolarle. Esse infatti, pur essendo determinate dallo stesso evento, sono costrette a due destini diversi.

È vero che la letteratura è costantemente alla ricerca della propria voce, ma tanto la letteratura chicana quanto quella fronteriza si chiedono non solo di chi parlare, ma anche

a chi. La frontiera è la ragione della dissidenza, come della creazione artistica, è il limite sine qua non.

Ognuna di esse però si comporterà diversamente rispetto alla frontiera. Oltre alla letteratura chicana, che ha “assorbito” la frontiera, ci si soffermerà più nel dettaglio sulla letteratura fronteriza la quale, invece, vive ancora nell’area della frontiera e si rapporta con essa quotidianamente. Quando si dice frontiera nella letteratura fronteriza, ci si riferisce tanto alla vita babelica di città “malfamate” come Tijuana quanto al vuoto dei deserti di Chihuahua e di Sonora. Gli studi su questa letteratura sono tutto sommato nuovi, pertanto non si ha la pretesa di sistematizzarne ogni aspetto. D’altro canto, ciò che è importante capire è che nonostante la necessità di scavalcare il confine, questa letteratura è pur sempre profondamente legata a quel territorio: essa è ancora una letteratura messicana e pertanto comprenderla vorrà dire comprendere una certa tendenza della letteratura messicana.

Attraverso la lettura critica di Señales que precederán al fin del mundo si mostrerà in che modo questo contesto anamorfico venga ricreato in un universo narrativo. Nel romanzo si parla di frontiera e non di territorio di frontiera o di frontiera geopolitica, poiché l’obiettivo di Herrera è quello di ricreare il “fronterizo”, ossia quella dimensione epistemologica relativa alla frontiera. Per lo scrittore non è un paradigma determinato esclusivamente dal contesto culturale della frontiera, eppure alla frontiera questo emerge più chiaramente. Il “fronterizo” è la condizione di figure politropiche che vivono al margine dei mondi, eppure al centro delle questioni fondamentali della vita. Si parla di figure quali ad esempio il migrante o l’artista che grazie al proprio sguardo obliquo sono in grado di fare il salto necessario alla trasformazione e alla creazione.

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Il quarto capitolo “Señales que precederán al fine del mundo: la ricreazione della frontiera” indaga la poetica di Yuri Herrera, scrittore di frontiera atipico, che però alla frontiera dedica una trilogia. La tensione tra etica ed estetica che informa la creazione artistica di questo scrittore è tipica di molta produzione fronteriza, ma il romanzo che è al centro della sua trilogia è un caso unico nella letteratura della frontiera. Lo scrittore non si limita a raccontare la frontiera tra Messico e Stati Uniti, egli si pone l’obiettivo di ricrearla senza essere vincolato esclusivamente alle coordinate geopolitiche e nel farlo universalizza il viaggio del migrante presentandolo al lettore come un fenomeno epocale. Lo scrittore usa la linea di frontiera come trampolino di lancio attraverso il quale spingere l’immaginazione oltre, raccontando un universo alternativo la cui grammatica sembra essere basata sulla processualità costante che caratterizza l’immaginario della frontiera. Attraverso l’analisi critica, si potrà rintracciare la frontiera geopolitica alla quale questo romanzo appartiene, ma anche la tematizzazione della frontiera e la riflessione universale alla quale ogni scrittore aspira. Si mostrerà, inoltre, in che modo Herrera riesce a ricreare il paradigma della frontiera all’interno del romanzo. La sua frontiera è anche il limite della mente umana ed il risultato del particolare rapporto che l’uomo instaura con lo spazio e con il tempo. Herrera si propone di smantellare sistematicamente le narrazioni dominanti e nel farlo dedica la sua attenzione a personaggi di frontiera che condividono con la figura dello scrittore la loro condizione politropica. Makina, la protagonista di

Señales que precederán al fin del mundo, appartiene a questa categoria di personaggi.

Essa è una centralinista in un mondo che potrebbe essere descritto come l’universo narrativo di un ipotetico romanzo fantascientifico scritto in epoca precolombiana. Attraverso la prospettiva di questo personaggio contenitore, l’attraversamento della frontiera potrà essere letto come un momento di “disvelamento”, di rottura, un’esperienza radicale di trasformazione, il momento che coincide con l’atto ricreativo e trasformativo, tanto dell’universo quanto dell’identità della protagonista che tenta di comprenderlo. L’impostazione con la quale si è analizzato il romanzo ha tenuto in considerazione il quadro delineato nei capitoli precedenti. Nella seconda e nella terza parte dell’ultimo capitolo (dal titolo “Il senso dell’apocalisse” e “Segnali che precederanno la fine di un mondo”), si interrogherà il testo con l’obiettivo di capire in che modo Herrera abbia ricreato il “fronterizo” e se Señales que precederán al fin del mundo abbia in qualche modo la “pretesa” di scavalcare la frontiera. Del resto, Makina, come Dante, Odisseo, la Malinche, Gloria Anzaldúa e come il migrante è pronta a sacrificarsi, a fare un salto nel vuoto per compiere la propria missione, che è quella di “cruzar”. Scrivere dalla frontiera

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e sulla frontiera significa essere sempre in relazione con questo verbo: attraversare. Nell’analizzare il romanzo si auspica di poter partecipare in tal senso allo studio della letteratura di frontiera, una letteratura che vive di questa precarietà assai produttiva nata dalla necessità di “attraversare” il limite.

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1. Coordinate per comprendere la frontiera

1.1 Approssimarsi alla frontiera

La frontiera, ancora prima di essere un limite geopolitico, è un’idea. Ogni tentativo di immaginare, descrivere o rappresentare questa linea conduce ad una sua ulteriore frammentazione e ricreazione. Chi la vive e la studia la descrive come un labirinto di specchi che genera miraggi inadatti a restituire la totalità dell’oggetto. L’idea che la nozione di frontiera sia un mosaico di frammenti incompatibili2 permette di far pace con

l’impossibilità di definire il termine in modo assoluto e di aggirare il rischio “di considerare come valori universali quelli ai quali si è abituat[i]”3. Ciò non impedisce

comunque di guardare ai riflessi e tentare di comprenderli nella loro immediatezza o di metterli in relazione tra di loro, senza per questo cadere in un arbitrario relativismo.

Tra XX e XXI secolo, le discipline che si sono confrontate con la nozione di frontiera si sono moltiplicate. Gli studiosi che si sono confrontati con questo ambito della ricerca hanno dovuto fare i conti con l’eterogeneità semantica del termine. Avere a che fare con la frontiera, significa in un certo senso avere a che fare con l’azione che la riguarda, l’attraversamento, o il movimento rispetto ad essa. Pertanto, ogni disciplina che ha studiato la frontiera ha dovuto “sconfinare”, generando ottiche sempre nuove con le quali analizzare la frontiera, molto spesso trovandosi costretti a sovrapporre le diverse ottiche per giungere ad una sintesi. Questo non vuol dire che l’idea attuale di frontiera sia irrimediabilmente deformata ed inconcepibile, significa piuttosto che essa è in grado di fornirci tante risposte, quanti quesiti, un risultato auspicabile quando ci si confronta con la comprensione di un aspetto della nostra realtà.

Per Humberto Félix Berumen, “la frontera es en sí mismo un concepto polisémico, sumamente flexibile y capaz de emplearse en múltiples contextos y con muy diversos

2 Frontera de Espejos Rotos è il titolo di un’antologia di racconti di fantascienza fronteriza del 1994

curata dallo scrittore messicano Mauricio José Schwartz.

3 T. TODOROV, La paura dei Barbari, Oltre lo scontro delle Civiltà, trad. di E. Lana, Garzanti, Milano

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propósitos”4. Nei suoi saggi, il critico suggerisce di parlare, non di frontiera, ma di

frontiere, al plurale. Egli sottolinea che bisogna differenziare quantomeno tra frontiere geopolitiche, frontiere generiche, frontiere simboliche, frontiere testuali e frontiere della fantasia. In tale schematizzazione, le frontiere non si escludono reciprocamente, al contrario i limiti tra di esse sono assai labili. Se ad esempio si pensa alle frontiere geopolitiche, ci si potrà rendere conto che esse sono il frutto di forze complesse e che non potranno essere lette esclusivamente come frontiere territoriali. Più recentemente anche Sandro Mezzadra e Brett Neilson hanno sottolineato che “we are confronted not only with a multiplication of different types of borders but also with the reemergence of the deep heterogeneity of the semantic field of the border”5.

In tale polisemia, risiede parte del fascino che il termine esercita sugli studiosi: la frontiera dà la sensazione di essere inespugnabile, multiprospettica, dinamica ed eterogenea; non è solo uno spazio, ma anche un sentimento impalpabile che spinge l’intelletto in un territorio sfuggente, oltre un limite che non è ben chiaro, fintanto che non lo si attraversa. In aggiunta, bisogna tenere a mente che la frontiera è una potente metafora e che l’idea stessa si è andata trasformando nel corso della storia lasciando una scia di connotati dai quali è impossibile prescindere del tutto. Una definizione di frontiera deve perciò tentare di essere integrale ed inclusiva, cioè capace di potersi trascendere ed allo stesso tempo includere significati che, caso per caso, possano essere utili e veri.

Tuttavia, il percorso che conduce ad una visione integrale è tutt’altro che lineare. Tanto per cominciare, il termine possiede una sua “mitología de la frontera o de

fantasía fronteriza”6: ancora prima di parlare di una specifica frontiera geopolitica, è

inevitabile pensare alla frontiera in termini metaforici; questo aspetto intrinseco non può essere liquidato arbitrariamente né sottovalutato. Bisognerà inoltre considerare la frontiera a livello concettuale: essa può essere immaginata come una linea che separa, come zona di cambiamento, luogo d’incontro/scontro, ma anche come orizzonte esperienziale e limite da oltrepassare. Jorge E. Brenna osserva che “en sus inicios las fronteras son fronteras culturales”7. Le frontiere sono infatti strettamente connesse al

4H. F.BERUMEN, La frontera en el centro. Ensayos sobre literatura, Universidad Autónoma de Baja

California, Mexicali 2004, p. 122.

5 S. MEZZADRA, B. NEILSON, Border as Method, or, the Multiplication of Labor, Duke University

Press, Durham and London 2013, p. 7.

6 J.E. BRENNA, “La mitología fronteriza: Turner y la modernidad”, Estudios Fronterizos, nueva

época, XII:24, (Luglio-Dicembre 2011), p. 14.

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concetto di identità, tanto individuale quanto collettiva e “provienen de la emergencia y diversificación de las lenguas”8. Ogni frontiera della storia dell’umanità è in qualche

modo connessa al concetto di altro, di sconosciuto, di diverso, in una parola, al barbaro. Già gli antichi greci utilizzavano la parola onomatopeica bárbaros per designare chiunque non parlasse la lingua greca. La frontiera deve essere quindi innanzitutto una linea di separazione che serve a differenziare, ma anche a proteggere la propria identità.

Tuttavia, sul piano metaforico, la frontiera può essere messa in rapporto all’esperienza e alla conoscenza umana, la si può leggere come una sorta di orizzonte per gli individui e per le comunità ed anche come linea di demarcazione rispetto a ciò che ancora non si conosce o che si fa resistenza ad accettare nel proprio paradigma. Una frontiera territoriale, così come una concettuale, è una manifestazione del limite tra la realtà conosciuta ed accettata e quella ancora da esplorare, in certi casi coinciderà anche con la linea di separazione tra ciò che condividiamo e ciò che riteniamo non sia vero o tra ciò che riteniamo impossibile e ciò che invece è dimostrato o forse semplicemente rassicurante. A seconda delle diverse declinazioni, tale limite potrà assumere anche la forma di una zona grigia tra ciò che è reale e ciò che è fantasia, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato9, tra il dentro ed il fuori, tra la vita e la morte. La spinta che sposta le

frontiere della conoscenza umana, volta per volta, è quasi sempre un lavoro eroico, un atto di fede e di coraggio che richiede molto spesso il sacrificio totale. Generalmente parlando, infatti, l’impresa di ridefinire le frontiere viene associata a figure eroiche, come esploratori, avventurieri, viaggiatori, scrittori, scienziati, figure mitiche o realmente esistite che hanno incarnato le qualità che hanno permesso un cambiamento sostanziale nella visione delle cose. Sono gli eroi, dice Jorge Brenna, che hanno il compito di “establecer las fronteras”10.

8 Ibidem.

9 Il concetto di frontiera può essere pensato persino come la linea che separa lo yin dallo yang, ovvero

la linea in cui la realtà si manifesta, schiacciata tra il potere naturale, caotico e creativo del principio femminile e quello strutturante ed ordinante, potente e rassicurante, ma anche opprimente e gerarchico del principio maschile. Il potere maschile imbriglia o tenta di contenere il potere femminile, fatto d’intuito, creatività, coraggio ma anche di caos e distruzione; d’altro canto il potere femminile tenta di superare il limite imposto dall’ordine, dalla società, dalle discipline che di volta in volta s’impongono come detentrici del sapere. Nell’equilibrio tra yin e yang risiede la realtà, l’esperienza e la conoscenza, esse sono sempre in divenire, instabili, ma pulsanti ed inarrestabili. È chiaro che nel disegno tra disordine ed ordine, la linea di separazione è puramente indicativa e che quindi entrambe queste facce si compenetrano ed è attraverso la comprensione reciproca che il soggetto può procedere consapevolmente nella realtà.

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Anche Manlio Graziano, nonostante l’approccio dichiaratamente storico e politico tende a precisare che le frontiere “are multidimensional and multifunctional in nature, and their political, legal, social, moral, and even psychological footprint changes in time and space”11, che esse sono sì uno strumento politico, ma che “in comparison to other

political objects, they are intrinsically and ontologically ambivalent”12.

La frontiera è al centro di una riflessione critica che non può esimersi dal tenere conto della sua dimensione geopolitica. Non si può parlare di frontiera solo in termini astratti, è categorico essere cauti poiché come sottolinea Manlio Graziano “borders are being reevaluated; they are increasing in number and function, and they are even being reintroduced in areas where they hab been virtually abolished”13. Non solo vi è una

moltiplicazione delle frontiere “but also […] a heterogenization of borders”14, senza

contare che come sottolineato da Norma Alarcón “globalization brings “the immigration experience” beyond our borders and make the collision of cultures a reality everywhere”15. Si comprenderà che è impossibile giungere ad una sintesi di

carattere universale, la quale peraltro implicherebbe una negazione delle frontiere. Se è vero che la frontiera è anche un orizzonte conoscitivo e che i soggetti abitano un territorio e condividono una certa frontiera o nozione di frontiera, allora sarà vero che comprendere come i soggetti si relazionano nei confronti delle frontiere geopolitiche, permetterà anche di intuire il loro modo di rappresentare la realtà. Sembrerebbe impossibile vivere in un mondo senza frontiere, malgrado ciò è ipotizzabile che la riflessione sulla frontiera sia vitale poiché essa riguarda sempre, in definitiva, la capacità dell’uomo di superare le vecchie concezioni basate su contese territoriali, sviluppi economici differenti o ancora peggio discriminazioni. Le frontiere territoriali derivano sostanzialmente da questo genere di motivazioni, sin dai primi imperi della storia dell’umanità, ciononostante la loro dissoluzione ha molto spesso portato ad una riconfigurazione della società e della cultura che esse “contenevano”. Alla luce di un cambiamento nella percezione del territorio, non è improbabile che l’uomo debba ridefinire il proprio paradigma o anche semplicemente abbandonare i preconcetti che aveva prima di oltrepassare l’ostacolo metaforico o reale rappresentato

11 M.GRAZIANO, What is a border, trad. di M. Korobko, Standford University Press, Standford 2018,

p. 1.

12 Ibidem. 13 Ivi, p. 2.

14 S. MEZZADRA, B. NEILSON, op. cit., p. 3.

15 ALARCÓN, Norma “Gloria Anzaldúa ¡Presente! An Introduction in Ten Voices” in ANZALDÚA, Gloria

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dalla particolare percezione che aveva della realtà. E ciò che è avvenuto, ad esempio, con la scoperta delle Americhe e con le rivoluzioni scientifiche che hanno traghettato il mondo nell’epoca moderna o ancora nel passaggio da quel mondo antico in cui “las fronteras entre lo humano y lo sobrehumano, lo natural, lo sobrenatural y lo demoniaco, lo real y lo fictitio, no están bien trazadas”16 a quello cristiano “en el que

se empiezan a formar las fronteras universales entre la cristianidad y los infieles”17.

Sembrerebbe quindi che le frontiere abbiano a che fare con i limiti della conoscenza e con la capacità dell’uomo di rapportarsi al mondo che abita in un dato momento.

Comunque sia, ogni epoca ha avuto le sue frontiere ed è impossibile ripercorrere tutti i cambiamenti epistemologici e paradigmatici dell’essere umano, così com’è ingiusto farli coincidere solo con il superamento di una certa idea di frontiera, ma si può quantomeno rintracciare in questa lettura, la possibilità che essa sia una prassi imprescindibile degli esseri umani i quali “instinctively mark, isolate, and defend their territory, just like certain other animal species. These actions represent an indispensable condition for the survival of the fittest”18. Per Graziano non c’è modo di stabilire se tale necessità sia innata o

storicamente condizionata (e non è detto che le due cose debbano necessariamente escludersi), ma è fuori discussione che nel passaggio da nomadi a sedentari, i primi uomini si trovarono ad affrontare il problema della delimitazione territoriale che prima era assente o comunque provvisorio e di più immediata risoluzione. In seguito, a mano a mano che determinate comunità o imperi andavano acquisendo risorse, cultura, strutture e certezze, in essi andava cambiando il rapporto con il territorio e con la frontiera, spazio che iniziò ad essere concepito in relazione all’espansione e alla difesa. Ciò, almeno virtualmente, ci fa comprendere che il rapporto dell’uomo con le frontiere si è andato modificando nel corso della storia in relazione al paradigma dominante di una certa società.

Se nell’Antica Grecia “the territorial boundaries around city-states were often marked by memorial stones and religious shrines, and those who crossed them were required to make an offering to the local gods, a sort of customs duty before the term ever existed”19, già

con il Vallo di Adriano, “redoubled by the Antonine Wall 100 miles farther north”, i romani non stavano costruendo semplici limiti territoriali, ma delle vere e proprie “defensive barriers, a basis for further expansion, and a platform for the control and

16 J. E. BRENNA B., op. cit., p. 15. 17 Ivi, p. 16.

18 M.GRAZIANO, op. cit., p. 10. 19 Ivi, p. 12.

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regulation of the flow of goods and people”20. Nel mondo romano, con il termine frons

s’indicava proprio il punto più lontano raggiunto dall’Impero, ma ancora più precisamente, la nozione di frontiera è connessa alla parola limes, che può essere tradotto con “limite”, “frontiera”, “ingresso”, “soglia”. Molte lingue utilizzano i due termini indistintamente, mentre altre li separano, ma ad ogni modo essi appartengono allo stesso campo semantico. Originariamente i romani utilizzavano la parola limes per indicare la striscia di terreno che separava le proprietà agricole. In seguito, il termine venne impiegato per indicare le strade che demarcavano i confini dell’Impero Romano, fino a diventare la parola con la quale ci si riferiva alla linea di frontiera ossia quella zona ai confini dell’impero che serviva a separare (o sarebbe meglio dire a regolare) ciò che stava all’interno da ciò che si trovava all’esterno dell’Impero. Il limes dei romani, per Alfonso Giordano, indicava “il loro agire: la frontiera da attraversare, il limite da fissare”21. Al momento di massima espansione le frontiere dell’Impero Romano erano

“mostly physical boundaries: oceans to the north and west; deserts to the south and southeast; and to the east, the Euphrates, the Zagros Mountains, the Black Sea, the steppes, and the Caucasus”22; oltre tale limite era sostanzialmente impossibile

avanzare con le tecnologie dell’epoca.

Qualunque scelta linguistica si voglia adottare, anche dal punto di vista etimologico, l’immagine che ne viene restituita è quella di una linea, di un margine o di un bordo. La frontiera è quasi sempre un modo di separare, ma anche una via d’accesso ed in definitiva il concetto si sviluppa sempre in relazione a spazi fisici o mentali. Generalmente parlando, si può notare che sin dall’antichità i centri del potere vanno definendo degli spazi delimitati a livello giuridico, politico e culturale creando delle vere e proprie linee di demarcazione che rappresentano un tipo di frontiera. Non è un caso che negli spazi più lontani dal centro dell’Impero Romano la lingua, gli usi ed i costumi andassero incontro ad un processo di ibridazione. Questo fenomeno era indicativo dell’inizio e della fine dell’impero. Sostanzialmente, più ci si allontanava dal centro e più diveniva complesso gestire i limiti dell’Impero. Detto in altre parole, più le frontiere erano lontane, più queste divenivano fragili. È per “limiti” spaziali e temporali che un impero non può espandersi a dismisura senza giungere ad un punto di frammentazione e di riconfigurazione. Attraverso il caso dell’Impero Romano, ad

20 Ivi, p. 13.

21 A. GIORDANO, Limiti: Frontiere, confini e la lotta per il territorio, LUISS University Press, Roma

2018. File Kindle.

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esempio, ci si può rendere conto che i limiti di un impero rappresentano, in una certa misura, anche i limiti della relativa cultura. I Romani stabilendo delle frontiere solide riuscirono ad ottenere virtualmente “la conjunción de todos los hombres bajo un mismo derecho y una misma lengua”23, ma è risaputo che lontano dal centro

dell’impero, era praticamente impossibile omologare i cittadini o impedire l’ibridazione linguistica. Gli spazi di frontiera, erano gli spazi attraverso i quali passava il cambiamento dell’impero, erano cioè delle vere e proprie membrane. Il caso dell’Impero Romano è esemplare, ma non può essere considerato come l’unico modello di frontiera. Ogni impero ed ogni civiltà ha avuto una relazione specifica con le proprie frontiere.

Il cambiamento della concezione delle frontiere geopolitiche è tutto fuorché semplice ed ha a che fare con l’organizzazione delle società nel corso delle diverse epoche storiche. Ogni frontiera risponde a precise ragioni culturali, storiche ed economiche, ma si è d’accordo sul fatto che “la máxima consolidación de las fronteras que conoce la historia de Occidente, y en general la historia, tiene lugar en la paz de Westfalia de 1648. A partir de entonces se fijan las identidades nacionales y religiosas”24. Durante l’epoca moderna

si erigono frontiere con lo scopo di “dar contenido cultural a las identidades nacionales, es donde se percibe como se construyen, se legitiman y difunden los contenidos de estas identidades”25 divenendo quindi sinonimo di linea che separa “lo nacional de lo

extranjero”26. Con l’ampliamento della mappa mondiale e con una la “riscoperta” del

mondo, nell’incontro con l’altro e nell’impressione che nel mondo fosse ancora possibile trovare un altro posto, si è andati incontro ad un’ulteriore riconfigurazione e frammentazione delle società. Nell’epoca moderna, le frontiere, tanto quelle geopolitiche quanto quelle concettuali, cambiano concretizando “los esfuerzos por dar contenido cultural a las identidades nacionales, […] en efecto, las fronteras han sido construidas como espacios de exclusión/protección que demarcan lo nacional de lo extranjero”27. È

questo il senso più comune che si è soliti dare alle frontiere a partire dall’epoca moderna. Se c’è una frontiera che ha trasformato il senso che si attribuiva al termine nella modernità, è quella che Frederick Jackson Turner ha descritto nel suo famoso saggio del 1893, The significance of the Frontier in American History, trasformando la linea in un

23 J. E. BRENNA B., op. cit., p. 17. 24 Ivi, p. 18.

25 Ibidem. 26 Ivi, p. 19. 27 Ibidem.

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vero e proprio mito. Secondo Turner tale frontiera è “the line of most rapid and effective Americanization”28, essa cioè rappresenta il principio della storia americana,

la prospettiva attraverso la quale guardare allo sviluppo della nuova società americana, che è non in relazione alla costa atlantica, ossia all’Europa, bensì rispetto al “Great West”. Lo storico sostiene che “the wilderness masters the colonist. If finds him a European in dress, industries, tools, modes of travel, and thought. It takes him from the railroad car and puts him in the birch canoe. It strips the garments of civilization and arrays him in the hunting shirt and the moccasin”29. La frontiera americana, o per

meglio dire statunitense, è un limite perennemente proiettato in avanti e “to study this advance, the men who grew up under these conditions, and the political, economic, and social results of it, is to study the really American part of our history”30. Il ruolo

della frontiera, più o meno percepita come mito, ha giocato un ruolo fondamentale nel processo di costruzione dell’identità nazionale statunitense e tuttora è parte integrante del carattere e dell’immaginario nordamericano.

Giungere alla conclusione che la definizione di frontiera di Turner sia obsoleta o criticarne la sua “romanticizzazione” è una semplificazione ingiustificata ed anzi tende a depistarci rispetto ad uno degli aspetti fondamentali della frontiera: essa nasce dalla relazione che una comunità instaura con lo spazio o con un’altra comunità che viene considerata come “altro”, ma essa può anche essere una “prospettiva” piuttosto che come un semplice confine31. Separare i due concetti è fondamentale per comprendere

che la frontiera è il non-luogo in cui l’uomo si confronta con il futuro, con il diverso, con l’ignoto, con la Natura e con sé stesso. Mentre tra alcuni stati ci sono dei confini, tra altri si parla di frontiera. Il confine è sostanzialmente definito e non è in movimento. La differenza pratica tra confine e frontiera sembrerebbe consistere nel fatto che il confine fa riferimento allo spazio conosciuto, che non è il luogo dell’alterità e separa in modo aleatorio realtà contigue della stessa cultura o di culture che hanno imparato a riconoscersi; una frontiera, invece, è tradizionalmente una linea di separazione tra l’ordine ed il disordine, tra la civiltà ed i barbari. Come si è più volte sottolineato, non

28 F.J. TURNER, The Frontier in American History, Digireads.com, p. 8. File Kindle. 29 Ibidem.

30 Ivi, p. 2.

31 Spostandoci dalla comunità all’individuo, possiamo anche pensare che la frontiera rappresenta i

limiti del paradigma dell’uomo e della sua relazione con lo spazio, con il tempo e con gli altri uomini. Anche le frontiere geopolitiche sono tutto sommato invisibili quando non vengono eretti muri e barricate, esse sono cioè un patto stipulato sulla base di rapporti e di credenze. Non si può pensare più alla frontiera solo come ad un semplice confine.

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è una linea statica e definita, ma può essere letta dinamicamente nel tempo e in alcuni casi “como en los gobiernos totalitarios, la frontera es limite infranqueable. Se opone a la vida y la niega. Sobrepasarla es transgredirla y se aproxima a los limites de la muerte”32. In sostanza, è per queste ragioni che si parla di confine quando ci si riferisce

alla linea di separazione tra Canada e Stati Uniti ed invece si parla di frontiera quando ci si riferisce alla linea che divide Messico e Stati Uniti. Non è esagerato affermare che la frontiera tra Stati Uniti e Messico è una zona grigia in cui vige ancora la dialettica civiltà/barbarie, una linea tracciata per separare due mondi diversi: lingue diverse, passati diversi, storie diverse, tempi diversi, ma soprattutto sviluppi economici diversi.

Si è visto che parlare di frontiera significa parlare anche di spazio e di territorio inteso come “el resultado de la apropiación y valorización del espacio mediante la representación y el trabajo, una “producción” a partir del espacio inscrita en el campo del

poder por las relaciones que pone en juego; y en cuanto tal se caracterizaría por su “valor

de cambio” y podría representarse metafóricamente como “la prisión que nos hemos fabricado para nosotros mismos”33. Il Territorio è uno spazio fisico, storico, sociale e

simbolico, non fisso nel tempo che si evolve dinamicamente e la frontiera, suggerisce Giménez34, è uno degli ingredienti che compone il territorio35. All’interno di un territorio

si creano dei sistemi di valori e di relazioni tra gli individui, si crea cioè la cultura che esiste solo in relazione ad un determinato contesto, la cultura “no puede existir en forma abstracta, sino solo en cuanto encarnada en “mundos culturales concretos” que implican, por definicion, una referencia a contextos historicos y espaciales especificos”36 o, per

dirla usando le parole di Todorov, “senza cultura l’uomo non è umano”37.

Per quanto si è detto sinora perciò la frontiera è un elemento essenziale del territorio e della cultura ad esso connessa, poiché funziona da linea di demarcazione tra due spazi significandoli sul piano sociale, politico, economico e culturale. In altre parole, essa è una manifestazione concreta all’interno della quale avviene la significazione socioculturale

32 Y.J. DE BÁEZ, “Frontera, Historia y Literatura”, Nueva Revista de Filología Hispánica, LX:1,

2012, p. 328.

33 G. GIMÉNEZ, Estudios sobre la cultura y las identidades sociales, Consejo Nacional Para la Cultura

y las Artes/Instituto Coahuilense de Cultura, México 2007, p. 122.

34 Cfr. G.GIMÉNEZ, Estudios sobre la cultura y las identidades sociales, Consejo Nacional Para la

Cultura y las Artes/Instituto Coahuilense de Cultura, México 2007, p. 122.

35 Tuttavia, potrebbe anche darsi il caso che uno spazio geografico sia percepito come frontiera per via

di alcune sue qualità intrinseche e che solo in seguito tale “zona” venga connotata politicamente. È questo il caso della frontiera tra Messico e Stati Uniti.

36 Ivi, p. 31.

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di un territorio con fini identitari, è “el marco de confrontación entre lo propio y lo ajeno”38 e quindi può essere definitivamente letta come “un sistema simbolico pues

participa en la interpretación de determinados aspectos de la realidad”39. Anche se si tende

a considerare le frontiere di altre epoche storiche come diverse da quelle della contemporaneità, con una certa approssimazione, può essere utile riconsiderare ogni frontiera anche in questi termini. Non è arbitrario leggere la frontiera come fosse una membrana o un’onda: tale modello ci permette di pensare tanto all’idea del limite geopolitico, quanto a quella di frontiera culturale, linguistica ed economica. Essa assume molteplici significati per i soggetti che la abitano, sono infatti essi che “territorializzano” lo spazio, sono essi che vivono e creano la cultura che li permea anche se “un hecho inapelable es que esa línea imaginaria sumamente material que es la frontera, siempre está gestionada desde el centro/capital hegemónico”40. I soggetti che vivono nei

territori di frontiera sono chiamati a vivere rispetto ad una alterità, determinata dalla “linea” che li separa dall’altro e dell’altra cultura, ed essi sono determinati da ciò poiché“la percepción del espacio y sus elementos socioculturales son distintos a partir del actor social del que se trate”41. La frontiera si percepisce soprattutto sul piano

culturale, simbolico e psicologico: l’incontro con l’altro può essere violento e doloroso, può essere connesso alla lotta per il territorio, alla salvaguardia della propria stabilità, può scaturire dalla necessità di difendere le proprie certezze o anche essere il risultato di un fantasma ideologico, d’altro canto porterà con sé un’energia uguale e contraria rinnovatrice ed un inevitabile cambiamento: “la nocion de frontera parecería, pues, desplazarse entre la idea de limite y la de intercambio. En tanto limite, deslinda, acota; en tanto zona de intercambio, entra en dialogo con lo otro”42.

38 H.F.BERUMEN, op. cit., p. 21.

39 P. ÁBREGO, “La frontera como sistema simbólico en la literatura mexicana contemporánea”, Revista

Surco Sur, II:3 Aprile 2011, p. 47.

40 O.S. ZAGO, “Espacio Territorio y Territorialidad: una aproximación teórica a la frontera”, Revista

Mexicana de Ciencias Políticas y Sociales, LXI:228, Marzo 2016, p. 41.

41 Ivi, p. 45.

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1.2 Attraversare la frontiera

Si mostrata sino a qua la complessità del concetto di frontiera e le diverse declinazioni che esso può avere, per suggerire la possibilità che la frontiera vada considerata “not only as a research “object” but also as an “epistemic” angle”43. L’idea

suggerisce che la frontiera possa essere percepita come un’entità in “in movimento”. Trattandosi di un fenomeno provvisorio e dinamico, esso potrebbe essere colto, forse in una maniera che ne rispetti le proprietà interne, “congelando” un momento topico, ossia quello dell’attraversamento. Chiaramente quando si parla di attraversamento non s’intende solo l’attraversamento per antonomasia delle narrazioni di frontiera, ossia quello migrante, ma ci si riferisce alla possibilità di intendere il superamento di una specifica frontiera come un evento attraverso il quale problematizzare lo studio delle culture che lì s’incontrano e si mescolano. Le frontiere del mondo contemporaneo “far from serving merely to block or obstruct global passages of people, money or objects, have become central devices for their articulation”44. Attraversare la frontiera vuol dire

anche immaginare l’ipotetico futuro di quello spazio e della cultura che esso genera, il superamente della frontiera, anche quando metaforico, spinge l’uomo ad immaginare ciò che si trova oltre.

Nell’attualità, infatti, il termine frontiera viene spesso messo in relazione con “lo sfaldamento dell’unità territoriale di un paese o addirittura [con] il suo fallimento come ordinamento statale”45 e viene studiato principalmente in connessione al fenomeno

migratorio. Il migrante e i soggetti che vivono nelle aree di frontiera sono esattamente i soggetti attraverso i quali passa una forma di cambiamento dei paradigmi culturali dominanti. Nelle culture di frontiera la figura del migrante e tutte quelle figure politropiche, capaci di attraversare codici ed usanze, sono al centro di gran parte delle rappresentazioni artistiche che nascono nelle culture di frontiera. La frontiera è uno spazio singolare all’interno del quale operano forze caotiche e spesso incomprensibili: vivere alla frontiera o attraversare la frontiera significa scontrarsi con la mancanza di punti di riferimento solidi. Anche la descrizione delle frontiere come di luoghi violenti e primordiali, viene spesso etichettata come mero mito, eppure non si può certo dire che la

43 S. MEZZADRA, B. NEILSON, op. cit., p. 8. 44 S.MEZZADRA,B.NEILSON, op. cit., p. 9. 45 A. GIORDANO, op. cit., Kindle File.

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letteratura, la cronaca, i reportage giornalistici non contribuiscano ad alimentarne questa lettura. Il buon senso sembrerebbe suggerire che, in effetti, presso le frontiere vi sia generalmente una dimensione giuridica, politica e sociale più fluida e complessa o che comunque essa sia in via di ridefinizione. Ciononostante è vero “the image of the border as a wall, or as a device that serves first and foremost to exclude, as widespread as it has been in recent critical studies, is misleading in the end. Isolating a single function of the border does not allow us to grasp the flexibility of this institution”46. Questa visione della frontiera unicamente come luogo della violenza e

dell’anarchia è stereotipata ed utile solo quando ci si concentra su specifici eventi di cronaca. Per di più ogni frontiera ha una sua specificità e ogni caso va esaminato separatamente. Ogni frontiera va letta dinamicamente, in relazione ai soggetti, allo spazio e alle sue coordinate storiche. Ciò è ancora più vero se si pensa non solo alla frontiera in termini di luogo, ma di non-luogo dell’attraversamento, come crocevia e punto d’osservazione “privilegiato verso il futuro, “un modo particular de “mirar”, sin duda propicio para captar aspectos nucleares de nuestro tiempo, nuestras geografias y modos individuales y colectivos de relacionarnos”47.

La frontiera è intimamente connessa al concetto di spazio nel senso che essa partecipa alla creazione del territorio, ma essa è anche lo spazio “de transito por donde fluye la historia, su sentido tiene que ver con el pulso de los tiempos”48. Al contempo

essa è sia provvisorietà e passaggio, sia sosta, perciò quandanche si volesse porre l’attenzione esclusivamente sulla vita quotidiana ed intima delle zone di frontiera, non si deve scordare che esse sono attraversate dal movimento migratorio e che “las migraciones culturales son la condición de emergencia de las culturas. […] Ponen en marcha trasformaciones e innovaciones, pues los movimientos y los contactos entre culturas y lenguas favorecen las interrelaciones y dan lugar a otras percepciones espacio-temporales y en ocasiones incluso a otras practicas sociales”49.

A differenza di quanto si pensi, le frontiere tendenzialmente spariscono o cambiano, si dissolvono più che spostarsi o, al limite, si trasformano. Dalla frontiera solitamente

46 S. MEZZADRA, B. NEILSON, op. cit., p. 7. 47 Y. J. DE BÁEZ, FRONTERA, op. cit., p. 323.

48 H. F. BERUMEN, Vision de la Frontera”, La ranura del ojo, IV:9 (1992) Tijuana, p. 21.

49 V. BORSÒ, Y. TEMELLI, K. VISENEBER, México: migraciones culturales – topografías

transatlánticas: Acercamiento a las culturas desde el movimiento, Bonilla Artigas Editores, México 2012, p. 15.

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emerge piuttosto una nuova realtà, “mayor que la suma de sus partes”50 proprio per effetto

delle relazioni che si instaurano in quegli spazi caotici. Metaforicamente parlando la frontiera può essere immaginata come la scia o l’impronta di un cambiamento culturale che interessa due o più contesti in contatto tra di loro. Questo cambiamento avviene in un arco di un tempo piuttosto lungo, ma nel presente se ne percepiscono i segnali attraverso fenomeni quali l’ibridazione linguistica e la nascita di nuove produzioni culturali la cui espressione è sostanzialmente impossibile da incasellare secondo i paradigmi attuali. Semplificando: la frontiera è un limite che contiene una certa identità ed una certa cultura in relazione tra di loro. Queste si modificheranno per via di interazioni interne al mondo che le “contiene” ed al contempo per l’influsso di altre culture ed identità esterne ad esse, inoltre le zone di frontiera sono tendenzialmente dotate di una propria autonomia, esse cioè non rispondono necessariamente al centro delle nazioni di cui fanno parte e sviluppano un proprio contesto culturale che si può considerare provvisorio. Col passare del tempo, per ragioni e secondo logiche che non possono essere predette, il contesto culturale della frontiera cambierà, ma la frontiera contiene già in sé la potenzialità di tale cambiamento. A tal proposito non è da sottovalutare che la “realidad hispanoamericana es paradigmática, casi por definición de su historia, para ser mirada desde esta perspectiva en frontera”51, o per lo meno, questa è una sensazione comune nella storia di molti Paesi

dell’America Latina. Paz definisce il Messico come un Paese “al margin de la historia universal”52, un Paese che ha sempre vissuto il conflitto tra particolare ed universale, tra

nazionale e regionale. L’America Latina è “un cuerpo plural que se deslinda, a su vez, o se relación a su vez, con otros”53.Studiare la nozione di frontiera nel caso specifico della

realtà latinoamericana, significa confrontarsi con l’idea che la frontiera si installi in ogni rapporto con l’altro.

Per sfuggire a questa generalizzazione, che resta pur sempre valida e sviluppata da molti teorici della frontiera, è necessario attenersi al mosaico della storia, della geografia e delle culture che concretamente compongono una frontiera specifica. Comprendere meglio la natura di questo fenomeno che siamo venuti definendo significa partire proprio da una particolarità specifica, così da descrivere come essa venga rappresentata e come abbia contribuito alle culture che contiene e che separa e che tuttavia finiscono per

50 G.T. MUÑOZ, Visiones Vagabundas: Ensayos sobre la experiencia fronteriza en la literatura,

Universidad Autónoma de Baja California, Mexicali 2014. Kindle File.

51 Y. J. DE BÁEZ, op. cit., p. 332.

52 O.PAZ, El laberinto de la Soledad, Posdata, Vuelta a el Laberinto de la Soledad, Fondo de Cultura

Ecónomica, México 2015, p. 89.

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ibridarsi. La frontiera potrà essere compresa e ridefinita in maniera sempre più integrale solo a partire dall’esperienza del presente e attraverso lo studio particolare delle sue diverse espressioni culturali in relazione alla tradizione tanto della realtà di frontiera quanto dei mondi culturali che la frontiera separa. Un ulteriore passo in avanti nello studio dei limiti e delle frontiere può essere fatto se a quest’ottica si aggiunge la sfida di assumere la frontiera come prospettiva, pensando alla frontiera non solo come spazio dal quale “se observa el devenir histórico-social”54, ma anche il risultato di un

rapporto che l’uomo instaura con lo spazio-tempo. Se il futuro ha a che vedere anche con i desideri dell’uomo, con l’immaginazione, con la capacità si liberarsi dalle prigioni culturali opprimenti, allora una volta compreso il perché di una frontiera geopolitica si potrà pensare alla frontiera in senso epistemologico. Tutte le frontiere della nostra attualità sono, in fondo, delle membrane attraverso le quali passa il cambiamento che destabilizza lo status quo di una società. In tal senso si può capire perché le frontiere siano un terreno fertile per la letteratura. Alla frontiera mondi diversi entrano in contatto e debbono comprendersi ad ogni costo, inoltre la letteratura ha l’indubbia qualità di trasformare i processi emozionali e psicologici abilitando il lettore ad un trascendimento della realtà di cui parla. Se pensiamo alla letteratura come ad un modo di creare nuovi mondi, allora non si avrà difficoltà a pensare alla nozione di frontiera come insita nella psiche umana: lo scrittore che voglia raccontare una storia dovrà sempre superare quel mondo che vuole raccontare.

Ancora più specificatamente, alla frontiera si può forse “osservare un futuro” tramite la lingua e le ricreazioni artistiche e letterarie che lì vengono prodotte. Un testo che risponde alle coordinate del contesto di frontiera, non solo le rielabora, ma è esso stesso un prodotto di quel contesto caotico. In questo confronto costante con l’alterità55

passa la trasformazione sociale e culturale del futuro ed i testi sono parte di quel movimento di ricreazione incessante. È significativo inoltre pensare che in certi casi, com’è il caso della frontiera tra Messico e Stati Uniti, le frontiere sono interessate da variazioni linguistiche nuove e peculiari che sono potenzialmente alla base della nascita di nuove lingue e nuove identità.

In aggiunta a tutto ciò bisogna ricordare che la frontiera è “una zona libre para la imaginación”56, ed inevitabilmente una linea divisoria assai sottile tra verità e finzione;

54 Ivi, p. 324.

55 Per non parlare del confronto con la cultura globale e con quella nazionale. 56 H. F. BERUMEN, cit., p. 121.

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immaginare il futuro, scrivere il futuro, presagirlo, interpretarne i segnali, sperare ed avere fede sono tutti atti connessi ad un non-luogo, ad una terra di nessuno in cui si opera principalmente attraverso l’immaginazione e la creatività, uno spazio della nostra geografia mentale che non è finzione, ma che non è ancora nemmeno realtà.

Si è tentato di mostrare che non si può prescindere dalla concretezza delle frontiere geopolitiche, ma non si sottolineerà mai abbastanza che esistono delle frontiere all’interno del mondo globalizzato che non sono frontiere giuridiche e che non possono essere toccate con mano, sono le frontiere che si rintracciano all’interno di alcuni spazi peculiari delle grandi metropoli come mostrano ampiamente Sandro Mezzadra e Brett Neilson in relazione alla realtà lavorativa dei taxi descritta in Taxi! Cabs and Capitalism

in New York City di Biju Mathew57. Un’altra frontiera che non può essere localizzata nel

vero senso della parola e che non può essere connessa (almeno non in modo netto) ad un ambito politico e sociale è quella di internet. Da un lato questa frontiera virtuale è la via d’accesso ad una nuova “mappa” culturale in grado di connettere gli uomini trasversalmente, dall’altro produce frammentazioni e compartimentalizzazioni esponenziali.

Questo ragionamento va vantaggio di quanto detto precedentemente sulla frontiera come prassi poiché sottolinea che “borders […] are essential to cognitive processes, because they allow both the establishment of taxonomies and conceptual hierarchies that structure the movement of thought”58; in più mostra perché è scorretto parlare di frontiere

esclusivamente in termini politici e giuridici. La frontiera (o sarebbe meglio dire le frontiere) di internet è oggetto di innumerevoli studi, ma quello che si può dire con certezza è che si tratta di un tipo di frontiera dai molteplici orizzonti che mette in contatto l’individuo direttamente con uno spazio culturale o con altri individui attraverso molteplici organizzazioni e strutture: è una frontiera in soggettiva che compare e scompare continuamente; la possiamo considerare come tale poiché essa è attraversata da un processo di transculturazione non tanto linguistico quanto di codici espressivi.

Con tali riflessioni si vuole portare l’attenzione al fatto che la proliferazione delle frontiere, non solo quelle territoriali, ha certamente a che vedere coi tempi che corrono, ma che allo stesso tempo essa potrebbe essere una prassi dell’uomo nel corso della storia o una modalità cognitiva di ogni individuo. Leggere la frontiera in modo integrale significa riconoscerne la dimensione giuridica, politica e storica e metterla in relazione

57 S.MEZZADRA AND B.NEILSON, op. cit., p. 1. 58 Ivi, p. 16.

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con gli altri aspetti, anche quelli metaforici che la riguardano in quanto scaturiscono dalla sua comprensione dinamica. Sono molteplici le ragioni per le quale la letteratura è in grado di riconnettere l’eterogeneità del discorso sulle frontiere: essa è in grado di “far emergere realtà contraffatte”, di ricreare lo spazio della frontiera, di “attraversare” la frontiera o di sintetizzare la dimensione caotica quale è la frontiera in un universo narrativo stabile. Il tentativo vano di riprendere una realtà tanto eterogenea e proteiforme potrebbe forse trovare un’attuazione nei testi, soprattutto quelli letterari. Essi immergono il lettore in un mondo che nasce da quel movimento richiesto dalla frontiera. Come detto, il testo stesso è un prodotto di tale movimento che lo scrittore ha, in un modo o nell’altro già compiuto e che offre al lettore. I testi letterari sono il prodotto di un’immaginazione che ha già “attraversato” la frontiera e contengono al loro interno l’invito a replicare quel salto.

2. Una “herida abierta”: storia della frontiera tra

Messico e Stati Uniti

In un momento in cui siamo circondati da realtà contraffatte, il desiderio di vedere le cose come stanno è già in sé un atto rivoluzionario. È importante sottolineare che vedere lucidamente non significa vedere univocamente: viceversa, sono le realtà contraffatte quelle che tendono ad essere lineari e univoche. Un terrorista è questo. Un immigrato è questo. I sostenitori della dimostrazione empirica hanno il dovere di complicare il racconto: di rappresentare il mondo in tutta la sua incredibile varietà59.

Per non perdersi nel labirinto di miraggi generato dal concetto di frontiera è necessario comprendere di quale storia sia una specifica frontiera. Non è raro, infatti, che la descrizione della frontiera in quanto prodotto storico venga messa da parte, a favore di nozioni più o meno astratte che sono entrate nel dibattito teorico degli ultimi anni. Questo è particolarmente vero quando ci si confronta con la frontiera tra Messico e Stati Uniti che è una delle frontiere più rappresentate e studiate a livello globale.

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Oltre ad essere il luogo della perdizione, il luogo del narcotraffico, il non-luogo del deserto, la zona della violenza, dell’alterità, dell’emigrazione, la frontiera messicana è il prodotto di una storia complessa, con uno spartiacque ben preciso, ovvero il 2 febbraio del 1848, giorno in cui fu firmato il trattato di Guadalupe Hidalgo60. Quando

oggi ci riferiamo alla frontiera, parliamo del confine politico che viene tracciato con la firma di tale trattato al quale ci si può riferire in termini di evento. Per Núria Vilanova non c’è alcun dubbio che “this national trauma determined the relationship between both countries to a large extent for many years”61. Attualmente tale area ha un’estensione di

circa 3200 chilometri. Stiamo parlando di uno spazio sconfinato, di un territorio complesso ed eterogeneo che percorre indiscriminatamente tanto grandi aree metropolitane, quanto ampi spazi vuoti, come ad esempio il deserto di Sonora e il deserto di Chihuahua. Peraltro, i problemi di demarcazione e delimitazione territoriale sono stati una costante nel corso del XX secolo a causa della vaghezza di alcuni punti del trattato generando ulteriori tensioni che fanno inevitabilmente parte della storia di tale area.

La cultura della frontiera è connessa in modo viscerale alle metropoli, ai deserti e ai fiumi che la compongono e al rapporto che i soggetti hanno instaurato con tali spazi. Essa “se ha construido con tal complejidad, que en ella se entrecruzan tiempos y espacios, acontecimientos políticos y sociales, influencias locales, nacionales e internacionales, intereses creados y derechos históricos, policías y delincuentes, pasajeros y residentes, mitos y realidades; angloamericanos, indígenas y mexicanos”62. La frontiera geopolitica

è composta da una molteplicità di contesti. In primo luogo, essa è percorsa dal rio Colorado e il rio Bravo del Norte o rio Grande63. Il rio Bravo “cumple un papel come

frontera natural”64 poiché è parte della frontiera geopolitica degli stati di Chihuahua,

Coahuila, Nuevo León y Tamaulipas fino al golfo del Mexico. Sono moltissimi i messicani che tentano di raggiungere gli Stati Uniti attraverso il fiume, per questa ragione, il rio Bravo è divenuto uno dei luoghi dell’immaginario della frontiera. Anche il deserto

60 Con questo trattato, termina la guerra tra Messico e Stati Uniti, combattuta dal 1846 al 1848. Il trattato

stabilisce che il Messico cederà agli Stati Uniti 1,36 milioni di km² in cambio di 15 milioni di dollari. A seguito della cessione diventano statunitensi quelli che oggi sono gli Stati del Colorado, Arizona, New Mexico, Wyoming e parte della California, Nevada e Utah.

61 N. VILANOVA, op. cit., p. 30.

62 RAMÍREZ, Manuel Ceballos, “Consideraciones históricas sobre la conformación de la frontera norte

mexicana”, in J. M. VALENZUELA ARCE (ed.), Por las Fronteras del Norte: Una aproximación cultural a la frontera México-Estados Unidos, Consejo Nacional para la Cultura y las Artes, México 2003, p. 72.

63 Si può rintracciare la rivendicazione territoriale perfino nella toponomastica di questo emblematico

fiume che viene chiamato rio Bravo del Norte dal Messico e rio Grande dagli Stati Uniti.

64 R.P. FERNÁNDEZ, “La ficción narrativa de la frontera: el rio Bravo en tres novelas mexicanas”,

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è uno dei luoghi del cruce e negli anni l’atto di attraversare il deserto si è trasformato in un vero e proprio rito di iniziazione. Il rapporto che s’instaura tra il deserto ed il soggetto transfronterizo è molto importante per la comprensione della cultura

fronteriza: una prima tappa della letteratura della frontiera vede nello spazio del

deserto, l’unico vero protagonista di romanzi, poesie e racconti. Negli ultimi anni il deserto in quanto spazio narrativo è tornato in auge anche al cinema, con i film

Desierto (2015) di Jonás Cuarón e Carne y Arena65(2019) di Alejandro González

Iñárritu.

Le metropoli della frontiera intrattengono una fitta gamma di relazioni economiche e commerciali con le città che sono dall’altro, tanto da essere definite città gemelle: troviamo quindi Tijuana e San Diego, Ciudad Juárez ed El Paso, Nuevo Laredo e Laredo, Matamoros e Brownsville. È però vero che il processo di urbanizzazione lungo la frontiera è un fenomeno che è avvenuto soprattutto nel XX secolo ed è stato una conseguenza della riconfigurazione dei rapporti tra Messico e Stati Uniti a partire dal 1848. Prima di allora le cose erano molto diverse. Si può dire che la frontiera “ha sido un rasgo casi consustancial al norte”66, infatti tale area già all’inizio dell’esplorazione

e della conquista spagnola veniva percepita come uno spazio selvaggio. Nel XVI secolo il nord veniva considerato terra de nadie,67 un luogo presso il quale

s’incontravano soprattutto tribù e popoli diversi; ancora prima che gli spagnoli sono gli stessi aztechi a considerare le tribù e le popolazioni di tali aree inferiori usando il termine popoluca68 per riferirsi ad essi.

La frontiera messicana era prima di tutto un limite geografico, una “vertiente” che “[…] tenía un extremo abierto a la expansión y crecía con ella”69. Anche se “los

novohispanos fueron los primeros en ocupar gran parte de esas vastedades, […] no demarcaron ni sostuvieron un límite preciso que indicara sus dominios”70. Inoltre, il

nord è stato vittima di un isolamento che ha limitato i rapporti tra i suoi diversi stati poiché questi erano collegati quasi esclusivamente attraverso il cosiddetto “camino de

65 Carne y Arena è un’installazione di realtà virtuale che cala lo spettatore nei panni di un immigrato

che attraversa il deserto.

66 I. BERNAL et al., Historia General del México, El Colegio de México, México 2000. Kindle file. 67 L’insistenza su questo stereotipo da parte di molta critica del centro culturale messicano è oggetto

di critica da parte di molti intellettuali e scrittori fronterizos tra i quali Gabriel Trujillo Muñoz.

68 Il termine “popoluca” appartiene alla lingua nahuatl e può essere tradotto con “barbaro”. 69 I. BERNAL et al., op. cit., Kindle file.

70 M. CARINO, L. A. GONZALEZ, E. CASTRO, E. OJEDA, “Vieja y nuevas concepciones de la frontera:

Aportes teóricos y reflexiones sobre la historia sudcaliforniana”, Estudios fronterizos, I:2, Dicembre 2000, vol.1, p. 146.

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Tierradentro” che era significativamente l’unica vera via di comunicazione tra i diversi punti del Messico. Pertanto, “el Norte novohispano fue configurado como un espacio cerrado, desprovisto de accesos, salvo por un gran camino y otros secundarios y más o menos paralelos que lo ligaban a las regiones centrales y, muy señaladamente, a un punto de convergencia, a lo que surgía como punto nodal en un espacio cada vez más ancho: la ciudad de México”71.

Questo aspetto amplificava, semmai ce ne fosse stato bisogno, la percezione che il nord fosse uno spazio sconfinato ed illimitato, ingestibile, uno spazio vuoto e deserto, in definitiva “inutilizzabile”. Sin dall’inizio i conquistadores percepirono il nord “como un territorio baldío, de muy escaso valor”72, il vacio di quei luoghi cozzava con la

potente impressione che l’immensa Tenochtitlan aveva impresso nel loro animo. Per più di un secolo, il nord selvaggio rimase sostanzialmente non tanto un confine quanto un limite, una orilla o peggio ancora un non-luogo.

Nel XIX secolo il Messico era impegnato in una profonda transizione ed era sostanzialmente incapace di occuparsi di quel territorio “que no proporcionaba ninguna riqueza visible. Pero para los estadounidenses era otra cosa. Acababan de crecer hasta la costa del océano Pacifico y querían explorar todo ese nuevo espacio fronterizo. Y no solo explorarlo, sino delimitarlo, nombrarlo, describirlo y domesticarlo como parte de la marcha del progreso, una marcha que los estadounidenses consideraban su destino manifiesto”73.

Se si tiene conto del fatto che nel 1821 il Messico riesce ad ottenere l’indipendenza dalla Spagna, si può comprendere perché l’attenzione presso quei confini, in un momento tanto delicato, fosse ancora poco consapevole e prioritaria. Mentre il Messico è impegnato nella costruzione/ricostruzione della sua identità nazionale, comincia “la edad de oro de los viajeros y cronistas extranjeros”74 provenienti dai territori statunitensi. Quasi sempre

le cronache e gli articoli di questa prima fase esplorativa degli angloamericani hanno un carattere pragmatico e hanno il fine di registrare l’assenza degli Spagnoli su quelle terre. Questo è senza dubbio uno dei periodi più violenti per l’area il nord del Messico. Ottenuta l’indipendenza dalla Spagna, il Messico non gode più del privilegio di essere la colonia di un impero tanto importante e gli Stati Uniti non hanno più ragione di frenare la propria

71 I. BERNAL et al., op. cit., Kindle file.

72 H.F. BERUMEN, “La frontera norte como Espacio de pertenencia, identidad y enunciación cultural y

narrativa”, ANTARES: Letras e Humanidades, X:21 (Settembre-Dicembre 2018), p. 5.

73 G.T.MUÑOZ, cit., Kindle file. 74 Ibidem.

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spinta espansionistica così che l’area diviene gradualmente il luogo di una contesa molto complessa. In soli trent’anni il Messico dovette far fronte a diverse emergenze importante: “en 1829, el intento de reconquista; en 1836, la guerra de independencia de Texas que por contar con apoyo norteamericano se convirtió en internacional; en 1838 la guerra con Francia, y la invasión norteamericana de 1846-48”75. Nel 1845, gli Stati Uniti

annettono il Texas creando una situazione sempre più tesa e complessa nell’area fino a che “con su capital ocupada, México debe ceder en 1848, con el Tratado de Guadalupe-Hidalgo, un territorio correspondiente a los Estados de California, Nevada, Utah, Arizona, Colorado, Nuevo México y Texas”76. La cessione di una parte così ampia del

Messico agli Stati Uniti è un evento con un impatto culturale significativo: si tratta di un’area che equivale a quasi la metà del paese. Intere comunità finiscono per trovarsi su un territorio che non gli appartiene più e sul quale s’impongono nuove spinte politiche che costringeranno gli individui a riformulare le proprie identità, i propri rapporti e “riconfigurare” le proprie radici. Gloria Anzaldúa, nel suo testo emblematico

Borderlands/La frontera: The new Mestiza, descrive la frontiera come “una herida

abierta where the Third World grates against the first and bleeds. And before a scab forms it hemorrhages again, the lifeblood of two worlds merging to form a third country – a border culture”77.

A partire dal 1960 sono sempre di più le discipline impegnate nello studio della storia della frontiera e dei complessi rapporti che lì si instaurano, è importante tenere a mente che quando si studia la frontiera tra Messico e Stati Uniti il rischio di creare nuove strade e nuovi significati è praticamente inevitabile, ma gli studiosi tendono ad essere d’accordo sul fatto che il 1848 è un anno traumatico per il Messico. Il destino delle città78 e quello dei messicani che si trovano da un lato o dall’altro della frontiera

sarà differente ed incontrovertibilmente connesso a questo preciso momento storico di separazione violenta.

Anzaldúa descrive la storia dei messicani che si trovano dalla parte statunitense del confine e dei messicani della frontiera, ma “desplaza lo “fronterizo” de su ubicación

75 I.BERNAL et al., op. cit., Kindle file. 76 Ibidem.

77 G. ANZALDÚA, Borderlands/La Frontera: The New Mestiza (Fourth Edition), Aunt Lute Books,

San Francisco 2012, p. 25.

78 Tanto il processo di urbanizzazione quanto quello dei rapporti che intercorrono tra i due lati della

frontiera non sono gli stessi in ogni stato della frontiera tanto a nord quanto a sud. Ogni macroarea della frontiera possiede delle specificità non solo geografiche, ma anche storiche e politiche.

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