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Capitolo 1. L'approccio alla ricerca. La struttura delle opportunità politiche...11

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Indice

Introduzione ... 6

Parte Prima...10

Capitolo 1. L'approccio alla ricerca. La struttura delle opportunità politiche...11

1.1 La Political Opportunity Structure...11

1.2. La Political Opportunity Structure e la cittadinanza...20

Capitolo 2. Modelli di cittadinanza...27

2.1 Cittadinanza: definizione e nuove sfide...27

2.2 I regimi di cittadinanza: parametri rilevanti... 31

2.3 Il caso Italia... 36

2.3.1 Introduzione... 36

2.3.2 La legislazione italiana sulla cittadinanza...41

2.4 Il caso Gran Bretagna... 47

2.4.1 Introduzione...47

2.4.2 La legislazione sulla cittadinanza... 54

2.5 Breve verifica empirica... 59

Parte seconda...66

Capitolo 3. Metodologia...67

3.1 L'evento di protesta e la Protest Event Analysis...67

3.2 PEA Caratteristiche e ricognizione della letteratura...69

3.3 La mia ricerca... 77

Capitolo 4. Ipotesi di ricerca... 81

4.1 Analisi cross-nazionale: comparazione empirica Italia-Gran Bretagna...82

4.1.1 Livelli di mobilitazione e forme di protesta ...83

4.1.2 Tipologia di attori coinvolti ... 83

4.1.3 Contenuto delle rivendicazioni ... 84

4.1.4 Risposte agli eventi di protesta ... 86

4.1.5 Ampiezza delle rivendicazioni e postnational challenge ...86

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4.1.6 La protesta contro l'immigrazione... 87

4.2 Analisi diacronica: sistemi di alleanze e sistemi di conflitto...88

4.2.1 Livello e rilevanza della mobilitazione...88

4.2.2 Tipologia di attori...89

4.2.3 Forme di protesta ... 89

4.2.4. Contenuti...90

4.2.5 Risposta ...90

4.2.6 Protesta contro-immigrazione...90

Capitolo 5. L'analisi cross-nazionale Italia - Regno Unito...94

5.1 Livelli di mobilitazione ... 94

5.2 La mobilitazione contro l'immigrazione... 96

5.3 La mobilitazione in favore dell'immigrazione...102

5.3.1 Panoramica degli attori coinvolti...103

5.3.2 Forme di protesta... 107

5.3.3 Contenuto... 114

5.3.4 Risposta all'evento di protesta...119

5.4 Livello territoriale delle rivendicazioni e postnational challenge...120

5.5 Conclusioni...125

Capitolo 6. Analisi diacronica: sistemi di alleanze e sistemi di conflitto...129

6.1 Mobilitazione contro l'immigrazione... 131

6.2 La mobilitazione in favore dell'immigrazione...136

6.2.2 Forme di protesta... 140

6.2.3 Contenuto...145

6.2.4 Risposta...147

6.3 Conclusioni...149

Conclusioni... 153

Appendice I. Codebook... 163

Bibliografia... 173

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Indice delle Tabelle e dei Grafici

Figura1. La struttura delle opportunità politiche.

Figura2. Struttura delle opportunità politiche nella sfera dei modelli di cittadinanza

Figura 3. Struttura opportunità politiche e modelli di cittadinanza: la collocazione di alcuni case-studies.

Grafico 1. Tassi di naturalizzazione in Europa.

Grafico2. Distribuzione della mobilitazione contro l'immigrazione per cicli di protesta.

Grafico 3. Distribuzione della mobilitazione in favore dell'immigrazione per cicli di protesta.

Grafico 4. Distribuzione mobilitazione per tipologia di attore.

Grafico 5: Distribuzione della mobilitazione per forme di protesta.

Grafico 6. Distribuzione mobilitazione della popolazione migrante e non, per forme di protesta.

Grafico 7. Distribuzione della mobilitazione migrante per forma di protesta (dato disaggregato).

Grafico 8. Legame tra campagne e forme di protesta in chiave comparata.

Grafico 9. Distribuzione della mobilitazione secondo contenuto e livello dello stesso.

Tabella 1. Dimensione formale della cittadinanza.

Tabella 2. Comparazione della legislazione sulla cittadinanza in Italia e Regno Unito.

Tabella 3. Ipotesi di ricerca per l'analisi cross-nazionale.

Tabella 4. Ipotesi di ricerca per l'analisi diacronica.

Tabella 5. Numero totale eventi di protesta, in favore e contro l'immigrazione, in Italia e nel Regno Unito (2006-2011).

Tabella 6. Distribuzione della mobilitazione contro l'immigrazione secondo attori promotori dell'evento di protesta.

Tabella 7. Distribuzione della mobilitazione contro l'immigrazione a seconda del livello dell'attore che la promuove.

Tabella 8. Distribuzione della mobilitazione contro l'immigrazione secondo contenuti.

Tabella 9. Distribuzione della mobilitazione contro l'immigrazione secondo forme di protesta.

Tabella 10. Distribuzione mobilitazione contro l'immigrazione per attore e forma di protesta.

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Tabella 11. Distribuzione della mobilitazione contro l'immigrazione per risposta.

Tabella 12. Partecipazione migranti sul livello totale di rivendicazioni.

Tabella 13. Distribuzione della mobilitazione per tipologia di attore.

Tabella 14. Componente organizzata sul totale degli attori migranti.

Tabella 15. Distribuzione della mobilitazione per forme di protesta.

Tabella 16. Distribuzione mobilitazione migranti per forme di protesta.

Tabella 17. Distribuzione della mobilitazione per campagne.

Tabella 18. Distribuzione campagne per livello.

Tabella 19. Distribuzione della mobilitazione in relazione al contenuto.

Tabella 20. Distribuzione mobilitazione migranti per contenuto.

Tabella 21. Distribuzione mobilitazione degli immigrati sul tema del Controllo dell'Immigrazione, secondo le forme di protesta adottate

Tabella 22. Distribuzione della mobilitazione secondo risposta.

Tabella 23. Distribuzione della mobilitazione migrante secondo risposta.

Tabella 24. Distribuzione della mobilitazione secondo il livello territoriale dell'attore promotore.

Tabella 25. Distribuzione della mobilitazione secondo il livello territoriale del contenuto della protesta.

Tabella 26. Distribuzione della mobilitazione secondo il livello del target.

Tabella 27. Risultati dell'analisi cross-nazionale secondo ipotesi di ricerca.

Tabella 28. Distribuzione della mobilitazione contro l'immigrazione secondo alternanza governativa.

Tabella 29. Distribuzione della mobilitazione contro l'immigrazione secondo attori promotori dell'evento di protesta.

Tabella 30. Distribuzione della mobilitazione contro l'immigrazione secondo il livello dell'attore che la promuove.

Tabella 31. Distribuzione della mobilitazione contro l'immigrazione secondo contenuti.

Tabella 32. Distribuzione della mobilitazione contro l'immigrazione secondo forme di protesta.

Tabella 33. Distribuzione della mobilitazione di stampo razzista e xenofobo per forme di protesta.

Tabella 34. Distribuzione della mobilitazione contro l'immigrazione in relazione alle risposte riscontrate.

Tabella 35. Distribuzione della protesta in favore dell'immigrazione secondo alternanza governativa.

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Tabella 36. Distribuzione della mobilitazione pro-immigrazione secondo attore promotore della protesta.

Tabella 37. Distribuzione della mobilitazione pro-immigrazione secondo la partecipazione degli attori migranti e autoctoni.

Tabella 38. Distribuzione della mobilitazione in favore dell'immigrazione secondo forme di protesta

Tabella 39. Distribuzione della mobilitazione in favore dell'immigrazione dei migranti secondo forme di protesta.

Tabella 40. Distribuzione della mobilitazione in favore dell'immigrazione per contenuto.

Tabella 41. Distribuzione della mobilitazione migranti secondo il contenuto.

Tabella 42. Distribuzione della mobilitazione secondo risposta.

Tabella 43. Distribuzione della mobilitazione migranti secondo risposta.

Tabella 44. Risultati dell'analisi diacronica secondo ipotesi di ricerca.

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Introduzione

Nonostante i paesi europei si trovino ad affrontare problematiche migratorie simili, in contesti sociali, politici ed economici per molti versi assimilabili e sicuramente sempre più interdipendenti, sembra esistere in Europa un panorama molto variegato di politiche migratorie, modelli di integrazione e regimi di cittadinanza.

Il tentativo di dare forma ad uno spazio politico e istituzionale unico, l'Unione Europea, nasce e si sviluppa a partire dalla consapevolezza che fenomeni come i movimenti migratori devono essere affrontati con politiche il più possibile omogenee e, di conseguenza, sovranazionali.

Se è vero che alcuni passi avanti in questa direzione sono stati compiuti, la maggior parte delle competenze in materia di immigrazione viene lasciata in testa ai governi nazionali, i quali rivendicano il diritto di esercitare un ruolo attivo ed indipendente su queste tematiche, continuando a legiferare in modo del tutto autonomo.

Così, gli stati-nazione continuano ad approcciarsi al fenomeno migratorio con politiche e ratio ancora molto differenti e questo è il motivo per cui, ad oggi, sussiste, all'interno del contesto europeo, un panorama molto variegato di modelli di interazione tra istituzioni, società civile e non-cittadini. Importanti differenze si registrano nei modi in cui gli immigrati vengono integrati, od esclusi, nei diversi contesti-paese, così come nelle norme che regolano l'ingresso degli stranieri e definiscono i loro diritti e doveri all'interno della comunità nazionale.

Una volta entrati nel paese di destinazione, i trattamenti riservati agli immigrati possono variare moltissimo. Alcuni paesi assegnano ai nuovi arrivati avanzati diritti, anche politici, consentendo loro di partecipare alle elezioni locali o di essere in breve tempo naturalizzati. Al contrario, altri paesi pongono tempi di attesa e requisiti di accesso che rendono l'acquisizione della cittadinanza talvolta un traguardo inarrivabile.

Questi diversi approcci ai flussi migratori e alle politiche per l'integrazione sono il prodotto

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dell'eredità storica e culturale, delle condizioni economiche, così come dei livelli di democratizzazione del paese ospite. Essendo il frutto di processi lunghissimi, manifestatisi nel corso di decenni e spesso legati al processo di formazione dell'identità nazionale, tali atteggiamenti risultano essere difficilmente modificabili e, quindi, difficilmente omologabili a livello sovranazionale.

Se risulta chiaro il motivo per cui paesi con flussi di immigrazione simili pongono in essere politiche migratorie, modelli di integrazione e regimi di cittadinanza molto differenti, maggiore incertezza esiste sulle ripercussioni che questi hanno nel dibattito sull'immigrazione che si sviluppa in seno alla società civile, sulle modalità di interazione tra istituzioni, stranieri e cittadini e sulle forme di partecipazione degli immigrati, oggetto di indagine del presente lavoro

1

.

Nel momento in cui l'immigrazione si è trasformata da soggiorno temporaneo legato a questioni lavorative a residenza permanente nello stato ospite, gli stranieri hanno iniziato a mettere in luce legittimi bisogni e richieste, entrando a far parte a pieno titolo della società; a partecipare, appunto.

L'idea è quella di verificare come contesti-paese molto diversi per storia, cultura e tradizione, ossia Italia e Gran Bretagna, influenzino e plasmino la partecipazione di cittadini e non- cittadini.

Prima di entrare nel vivo della ricerca, introdurremo in questa sede alcuni dei concetti alla base del presente elaborato, al fine di definire chiaramente la cornice entro la quale esso si sviluppa.

Come già detto, il concetto da cui partire è quello di partecipazione. Nella sua accezione più classica per partecipazione si intende “quell'insieme di azioni e comportamenti che mirano ad influenzare in maniera più o meno diretta e più o meno legale le decisioni, nonché la stessa selezione dei detentori del potere, nel sistema politico o in singole organizzazioni politiche, nella prospettiva di conservare o modificare la struttura, e quindi i valori, del sistema di interessi dominante”

2

.

1 Rafaela M. Dancygier, Immigration and conflict in Europe, Cambridge University Press, Cambridge, 2010, p. 24.

2 Francesco Raniolo, La partecipazione politica, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 25.

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I meccanismi rappresentativi istituzionali, ossia quelli regolarmente stabiliti e formalmente canalizzati, non esauriscono le forme di partecipazione e spesso si dimostrano da soli insufficienti a rappresentare la totalità delle dinamiche partecipative della società nel suo complesso, producendo, di conseguenza, equilibri di tipo sub-ottimale.

Accanto alle attività che comunemente definiscono la partecipazione politica, e che rientrano nei tradizionali strumenti e meccanismi rappresentativi di tipo istituzionale-elettorale, votare in primis, esistono altre forme, definite spesso non convenzionali o eterodosse, attraverso cui si formulano, articolano e comunicano domande politiche, e, quindi, attraverso cui si partecipa.

Il focus dell'elaborato sarà lo studio della mobilitazione dal basso, intesa come il processo di formazione e elaborazione, organizzazione e comunicazione delle domande politiche che parte dalle esigenze dei cittadini e dei non-cittadini e si esprime all’interno della società civile. In altre parole, come “uomini e donne trasformano collettivamente un problema della loro vita quotidiana in problema politico, proponendone una soluzione pubblica”

3

.

La mobilitazione verrà analizzata attraverso la protesta, intesa come strumento di partecipazione non convenzionale che veicola le domande che partono dal basso e che sono dirette ai decision makers. La protesta, che rappresenta una delle forme più dirette e meno convenzionali di partecipazione, è una risorsa cruciale per attori marginali al fine di comunicare le proprie rivendicazioni

4

.

Il nostro interesse è quello di mettere in luce come gli immigrati si muovono, in due diversi contesti-paese, per far valere i propri interessi ed influenzare il dibattito pubblico su quei temi condizionano la loro permanenza nel paese ospite. In particolare, il presente elaborato mira a rispondere a domande quali: che tipo di richieste hanno fatto gli immigrati alla società ospite?

Come vengono articolate queste richieste? Come si sono mobilitati gli immigrati per farle valere? Come si relazionano le comunità migranti con la comunità nazionale? Gli immigrati hanno trovato un significativo ed effettivo modo di partecipare alla vita politica del paese ospite? Come si relaziona l'ordinamento con i membri della società che non sono cittadini?

3 Massimiliano Andretta, I movimenti urbani tra protesta e rappresentanza. Immigrazione, ambiente e sicurezza a Palermo e a Firenze negli anni novanta, edizione Aracne Editrici, 2004, p. 15.

4 Michael Lipsky, Protest as a political resource, in "American political science review", pp. 1144-1158,1968.

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L'idea è quindi quella di soffermarci non tanto, o non solo, sugli aspetti più istituzionalizzati di comunicazione delle domande, quanto piuttosto sui mezzi non istituzionalizzati, generalmente molto più facilmente accessibili a soggetti privi di canali di accesso al sistema e risorse alternative, come i migranti appunto.

La comparazione tra Italia e Gran Bretagna metterà in evidenza come il contesto nazionale con tutte le sue caratteristiche politiche sociali e culturali influenzi questi particolari aspetti della mobilitazione e come concorra a creare modelli partecipativi, più o meno inclusivi.

Prima di passare all'analisi empirica della mobilitazione, a cui dedicherò l'intera parte seconda

di questo lavoro, descriverò inizialmente l'approccio alla ricerca, ossia il modello della

Political Opportuniy Structure (Capitolo 1). Passerò poi a descrivere nel dettaglio i due

contesti-paese presi in analisi, Regno Unito ed Italia. Vedremo che, mentre il primo viene

considerato come uno dei migliori esempi nel contesto europeo di multiculturalismo, l'Italia

ha sempre trovato una certa difficoltà a definire un modello proprio di relazione con gli

stranieri. Lo studio dei due casi verrà condotto sulla base dei regimi di cittadinanza, che

definiscono l'apertura o la chiusura dello stato nei confronti degli stranieri (Capitolo 2). Nel

Capitolo 3 definirò il metodo di ricerca utilizzato per l'analisi empirica, ossia quello della

Protest event analysis, nato nel contesto della ricerca sui movimenti sociali. Passerò poi alla

definizione delle ipotesi di ricerca (Capitolo 4), che verranno poi testate nei successivi

Capitoli 5 e 6, in cui verranno presentati i principali risultati dell'analisi empirica.

(10)

Parte Prima

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Capitolo 1. L'approccio alla ricerca. La struttura delle opportunità politiche

1.1 Political Opportunity Structure; 1.2. La Political Opportunity Structure e la cittadinanza

1.1 La Political Opportunity Structure

L'approccio seguito per l'analisi della mobilitazione degli immigrati e sul tema dell'immigrazione è quello della Struttura delle opportunità politiche (POS - Political Opportunity Structure).

Questo approccio nasce nel contesto delle teorie esplicative dei movimenti sociali, e concentra la sua attenzione sullo studio dell'ambiente politico e istituzionale in cui i movimenti si trovano ad operare. La struttura delle opportunità politiche ha dato un importante contributo per la comprensione dei nuovi movimenti sociali, introducendo fattori esplicativi innovativi fino ad allora mai presi in considerazione.

Infatti, a differenza, tra le altre, della teoria della mobilitazione cognitiva (il movimento trarrebbe origine dalla condivisione del senso di deprivazione relativa di individui accomunati da medesime condizioni culturali o socioeconomiche) o della teoria della mobilitazione delle risorse di partecipazione (sono le risorse economiche-organizzative interne il fattore più influente della mobilitazione, di conseguenza, i movimenti agiscono in modo razionale, propositivo ed organizzato secondo precisi calcoli costi-benefici), l'idea alla base della POS è che i movimenti nascano e si sviluppino in risposta alle opportunità che il sistema politico- istituzionale offre. Di conseguenza, la partecipazione ai movimenti si intensifica nel momento in cui si aprono canali di accesso alle istituzioni; al contrario, la perdita di alleati istituzionali, o la chiusura del sistema politico, potrebbe condurre ad un diffuso scoraggiamento e, parallelamente, ad una maggiore radicalizzazione delle forme di azione di coloro che restano attivi nei movimenti.

In estrema sintesi, seguendo la definizione di Tarrow, potremmo dire che la struttura delle

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opportunità politiche è rappresentata dall'“ambiente politico che fornisce alle persone gli incentivi per intraprendere azioni collettive, influendo sulle loro aspettative di successo o fallimento”

5

. Con il concetto di Struttura delle opportunità politiche si intendono tutti quegli elementi caratteristici di un sistema politico-istituzionale che influenzano l’azione dei movimenti sociali, come il grado di apertura o chiusura dei sistemi politici, il decentramento territoriale, il grado di tolleranza dimostrato dalle élite nei confronti della protesta, il sistema elettorale o il rapporto che si instaura tra i movimenti sociali e i loro possibili alleati o oppositori. Secondo questo approccio, la struttura istituzionale definisce i contorni entro i quali vengono formulate e condotte specifiche azioni politiche.

L'analisi di tipo comparato più completa per quanto riguarda l'impatto della struttura delle opportunità politiche sulla mobilitazione dei movimenti sociali in Europa occidentale è rappresentata dall'opera di Kriesi et al. “New Social Movements in Western Europe. A comparative analysis”

6

. Analizzando la mobilitazione dei movimenti sociali (ed in particolare i nuovi movimenti sociali) in quattro paesi (Francia, Germania, Svizzera e Paesi Bassi) nel corso del 1980, gli autori spiegano i cambiamenti a livello transnazionale nei livelli, forme ed esiti della mobilitazione come risultato di un diverso mix tra il livello di apertura dello stato, il livello di repressione attuata o minacciata, la diversa percezione delle possibilità di successo di una data azione, le aspettative di riforma in relazione alle rivendicazioni fatte su un determinato tema.

Nel tentativo di semplificare questo quadro piuttosto complesso, e mettere in luce gli aspetti salienti, sono state individuate quattro dimensioni principali della struttura delle opportunità politiche utili a spiegare l'emergere di movimenti sociali, il loro sviluppo nel corso del tempo, i loro livelli di mobilitazione, le loro forme di azione ed i loro risultati. Nella concettualizzazione di Kriesi, la struttura delle opportunità politiche è costituita da quattro dimensioni: 1) la salienza delle fratture esistenti nella società, 2) la configurazione del potere, 3) alcuni aspetti (formali) delle istituzioni politiche, e 4) le strategie prevalenti adottate dalle autorità per confrontarsi con le sfide poste dai nuovi movimenti. La nostra attenzione si concentrerà sugli ultimi due aspetti, in quanto estremamente rilevanti per la spiegazione delle

5 Sidney Tarrow, Power in Movement. Social Movements and Contentious Politics, 1994, Cambridge University Press, Cambridge, 1994, pag. 85 “Political opportunity structures consist of consistent – but not necessarily formal or permanent – dimensions of the political environment that provide incentives for people to undertake collective action by affecting their expectations for succes or failure".

6 Kriesi, H., Koopmans, R., Duyvendak, J.W., e Giugni, M., New Social Movements in Western Europe. A comparative analysis, London: UCL Press/University of Minnesota Press, 1995.

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diverse possibilità e tipologie di azione dei movimenti.

Il contributo più importante, degli autori sopra citati, è stato quello di aver arricchito l'approccio della Political Opportunity Structure introducendo ed operando una netta distinzione tra la struttura formale del sistema politico e le procedure informali, o strategie prevalenti, adottate dalle élites nei rapporti con i movimenti.

Distinguendo, all'interno della struttura delle opportunità politiche, gli aspetti più stabili e formali del sistema (ossia l'aspetto prettamente politico-istituzionale) da quelli più volatili ed informali (ossia le strategie informali prevalenti), ed analizzandoli, poi, congiuntamente, risulta possibile delineare un chiaro quadro generale dei livelli attesi di mobilitazione, così come le tipologie d'azione, di un determinato movimento.

In sintesi, le caratteristiche della mobilitazione dei movimenti in un certo paese dipendono, dalle “opportunità concrete” che si aprono al movimento stesso; e tali opportunità concrete derivano, in primis, sia da fattori di tipo strutturale (configurazione del potere) che da fattori di tipo “consuetudinario” (strategie prevalenti adottate)

7

.

Le strutture formali determinano in larga misura l'apertura ed il grado di accesso allo stato, così come la sua capacità di agire. Sulla base della struttura istituzionale formale è possibile fare una distinzione tra stati forti e stati deboli. Per stati forti (o chiusi) intendiamo gli stati che sono allo stesso tempo autonomi e in grado di agire efficacemente, mentre per stati deboli (aperti) intendiamo quelli che mancano di autonomia centrale e di capacità di agire.

Seppur consapevoli che la distinzione possa sembrare una forzatura, in quanto la forza di uno stato può variare a seconda del periodo temporale in analisi e della issue di riferimento (stati deboli possono rivelarsi forti in circostanze eccezionali, e viceversa), essa risulta essere estremamente utile in quanto aiuta a definire le linee generali del contesto politico nazionale in cui i movimenti si trovano ad operare.

Al fine di sistematizzare e rendere più chiara la struttura formale dello stato, Kriesi la analizza

7 Marco Giugni, The political mobilization of the unemployed in comparative perspective, in “The Contentious Politics of Unemployment in Europe. Welfare States and Political Opportunities”, Palgrave Macmillian Editore, 2010

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segmentandola in tre diverse “arene”: parlamentare, amministrativa e di democrazia diretta.

Questi sono i principali luoghi in cui i cittadini possono, direttamente o indirettamente, accedere allo stato influenzando il processo decisionale.

L'arena parlamentare è quella in cui vengono prese le decisioni. I cittadini sono legati a questo processo grazie alle elezioni, che assicurano che le loro istanze vengano prese in considerazione dai partiti politici nel contesto parlamentare, legittimando le decisioni prese

8

.

Lungi dall'essere il risultato diretto e lineare del processo decisionale parlamentare, l'attuazione delle politiche richiede anche continue trattative, processi di scambio, ridefinizioni e reinterpretazioni degli obiettivi. In altre parole, una volta che il legislatore ha preso le sue decisioni, la lotta politica continua in ambito amministrativo. In questa arena, i gruppi di interesse prendono il posto dei partiti politici, diventando il nuovo canale di collegamento tra cittadini e stato. Inoltre, deve essere considerata anche la terza arena, quella degli istituti di democrazia diretta, che costituisce un altro importante canale di accesso allo stato.

La forza di uno stato deriva in primo luogo da due parametri strutturali che caratterizzano le tre arene, non solo prese separatamente ma anche nella loro interrelazione reciproca: il grado di centralizzazione territoriale e il grado di separazione dei poteri. Il decentramento implica una moltiplicazione degli attori statali; maggiore è il grado di decentramento, maggiore è la possibilità di accesso formale allo stato, così come minore è la capacità di ogni “parte” dello stato di agire. La forza dello stato, in aggiunta, è strettamente legata alla separazione dei poteri; maggiore è la separazione dei poteri tra legislativo esecutivo e giudiziario, maggiore è la possibilità di accesso formale e il più limitata la capacità dello stato di agire. Questo avrà sicuramente ripercussioni sui movimenti, i quali avranno, ad esempio, più possibilità di individuare possibili alleati e di veder concludersi con successo le azioni da essi portate avanti.

Nell'arena parlamentare, l'apertura dello stato dipende essenzialmente da alcuni elementi cruciali: il numero dei partiti, fazioni e gruppi, e la capacità di formare coalizioni.

8 In questo modello di democrazia rappresentativa, il governo è a cavallo tra le due arene, essendo da una parte, responsabile verso il parlamento (o l'elettorato, in un sistema presidenziale), dall'altra responsabile della direzione della pubblica amministrazione.

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Il numero dei partiti deriva, a sua volta, dalla struttura dei cleavages nazionali e del sistema elettorale. Maggiori sono i cleavages e maggiore è il grado di proporzionalità del sistema elettorale, maggiore sarà di conseguenza il numero dei partiti.

Una rappresentanza proporzionale consente un più facile accesso al sistema da parte dei movimenti. Al contrario sistemi maggioritari, o con soglie di sbarramento molto alte, o con collegi elettorali piuttosto vasti, rendono molto difficile ai movimenti accedere al sistema.

Con il multipartitismo, i movimenti sociali hanno molta più probabilità di trovare alleati, e quindi possibilità di accedere al sistema.

Il numero dei partiti determina, almeno in parte, il processo di formazione delle coalizioni.

Questo processo, tuttavia, dipende anche dalla composizione interna dei partiti, ossia dal numero di fazioni esistenti. Molto approssimativamente, possiamo distinguere i sistemi con partiti disciplinati, che possono essere considerati attori unitari, da sistemi con partiti eterogenei ed indisciplinati.

Considerando sia il numero di partiti sia la loro struttura interna, possiamo determinare quattro diverse tipologie di coalizioni di governo:

1) governo a partito unico, di cui la Gran Bretagna rappresenta l'esempio classico, è quello in cui l'unico partito al governo è estremamente disciplinato ed ha una grande capacità di agire e di attuare cambiamenti politici radicali;

2) governi a partito unico ma il cui partito è estremamente eterogeneo, ciò significa che la capacità di agire del governo è minacciata dalla necessità di trovare un equilibrio interno;

3) coalizioni multipartitiche costituite da partiti disciplinati, in cui è necessario trovare compromessi interni;

4) coalizioni multipartitiche costituite da partiti indisciplinati. Un governo così formato è destinato ad essere relativamente debole. L'ampia gamma di partiti rappresentati nel governo riduce la capacità del governo di agire, dal momento che possono essere implementate solo le politiche per le quali esiste un alto grado di consenso. Il carattere indisciplinato dei partiti implica anche che un partito di governo possa mobilitarsi contro la politica del governo di cui fa parte.

Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, l'accesso formale così come la capacità di

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agire sono determinati dalla quantità di risorse a disposizione dell'amministrazione e dalla sua struttura interna, dalla struttura degli interlocutori nel sistema di intermediazione degli interessi (in primo luogo i gruppi di interesse) e dagli accordi strutturali che sono stati stabiliti tra le parti.

Per quanto concerne innanzitutto la struttura della pubblica amministrazione, possiamo aspettarci che essa sarà tanto forte quanto maggiore è la quantità di risorse a sua disposizione, il suo grado di coerenza, di coordinamento interno e professionalizzazione. Al contrario, la mancanza di risorse, la frammentazione strutturale, la mancanza di coordinamento interno e di professionalizzazione potrebbe far moltiplicare i punti di accesso al sistema rendendo l'amministrazione dipendente dagli interlocutori privati nel sistema di intermediazione degli interessi. Questa situazione, tuttavia, non apre automaticamente lo stato ai movimenti sociali;

ciò potrà avvenire solo nel caso in cui esistano gruppi di interesse siano piuttosto deboli. Al contrario, gruppi di interesse ben finanziati, strutturati e professionalizzati possono escludere che i movimenti abbiano accesso allo stato.

Infine, l'accesso formale è determinato dal grado con cui vengono istituzionalizzate le procedure di democrazia diretta. La più importante procedura di democrazia diretta è l'iniziativa popolare, che permette ai cittadini, e ai movimenti, di inserire una certa questione all'interno delle agende politiche, esigendo un voto dell'intero elettorato al riguardo. Tali procedure esistono principalmente in Svizzera e in diversi stati degli Stati Uniti. Anche i referendum (obbligatori o facoltativi), in un certo senso, possono influenzare le decisioni politiche. La loro importanza è comunque minore visto che tramite il referendum si chiede di intervenire solamente a posteriori, ossia dopo che la classe politica ha già preso una decisione, senza la possibilità di concorrere alla sua elaborazione.

Tenendo in considerazione tutti questi fattori, possiamo dire che, ad esempio, la Francia

rappresenta il tipico caso di stato forte, ossia centralizzato, con una decisiva concentrazione di

potere nelle mani del governo, in cui esiste un'amministrazione forte e coerente, ed in cui

sono assenti importanti istituti di democrazia diretta. Al contrario, la Svizzera è uno stato

debole nella misura in cui, essendo uno stato federale, presenta una forte decentralizzazione

territoriale, la struttura del potere è molto frammentata, la pubblica amministrazione è debole,

e la presenza e l'istituzionalizzazione di mezzi di democrazia diretta dà ai movimenti molte

opportunità di intervento e partecipazione al processo decisionale. Ne consegue che, nel

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primo caso, le azioni dei movimenti tenderanno ad essere meno frequenti e più radicali, mentre nel secondo saranno meno conflittuali e più ripetute nel corso del tempo.

Un'altra variabile che può influenzare le caratteristiche della mobilitazione è il rapporto che si instaura tra i gruppi ed il sistema di alleati e oppositori. Infatti, i movimenti si muovono all'interno di un campo organizzativo in interazione con diversi altri attori. Essi possono trovare alleati e oppositori nell’amministrazione pubblica, nel sistema dei partiti, nei gruppi di interesse e nella società civile. Di conseguenza, diventa importante prestare attenzione al tipo di rapporto che si instaura tra questi diversi attori in modo da capire come questi influenzano la mobilitazione e le possibilità di successo dei movimenti. Il sistema di alleanze e opposizioni rappresenta un elemento dinamico della POS e può portare a trasformazioni che si realizzano nel breve periodo, a differenza, invece, di elementi più stabili come le istituzioni e la cultura, che mutano solo molto lentamente nel tempo.

Come sottolineano Della Porta e Diani

9

, i fattori istituzionali sono mediati da due insiemi di variabili, il comportamento del sistema di alleanza e il comportamento del sistema di conflitto. Il primo viene definito come composto da attori politici che sostengono i movimenti, il secondo come composto da quelli che vi si oppongono. Il primo fornisce risorse e crea opportunità politiche mentre il secondo peggiora quelle condizioni. Di entrambi i sistemi possono far parte sia attori istituzionali come i partiti e i gruppi di interesse che altre famiglie di movimenti sociali. Gli esiti del conflitto vengon definiti dalla “configurazione del potere” cioè dalla distribuzione del potere fra gli attori rilevanti.

Con il concetto di strategia dominante vengono, invece, identificate tutte quelle procedure informali e condivise (in modo implicito o esplicito) che emergono dal processo politico e che guidano le azioni delle autorità. Il nostro concetto di strategia dominante ed informale si focalizza sulle procedure che, di fatto, i membri del sistema politico seguono quando devono confrontarsi con un movimento, o con una rivendicazione. Esse possono essere di tipo

escludente (ossia repressive,

conflittuali o polarizzanti)

oppure inclusivo (ossia

Come già detto, le strategie

9 Donatella Della Porta, Mario Diani, I movimenti sociali, La Nuova Italia Scientifica, Urbino, 1997, p. 247.

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dominanti devono essere ben distinte dalla struttura istituzionale dello stato, e rappresentano la seconda dimensione rilevante della Political Opportunity Structure. Combinando questi due aspetti otteniamo una concettualizzazione teorica che aiuta a spiegare la strutturazione della mobilitazione politica dei movimenti, come si vede in Figura1.

Figura1. La struttura delle opportunità politiche10.

La combinazione tra apertura delle istituzioni politiche e strategie prevalenti inclusive dà come risultato il modello che Kriesi chiama “integrazione”, all'interno del quale i movimenti hanno un facile accesso al sistema politico e, allo stesso tempo, essi raramente vengono repressi. La Svizzera è forse l'approssimazione empirica più vicina a questo modello. La Francia, al contrario, rappresenta la posizione opposta, ossia, il “modello” che viene chiamato da Kriesi “esclusione selettiva”, in cui la chiusura del sistema istituzionale viene accompagnata da strategie prevalenti di tipo non inclusivo.

I paesi al centro del nostro interesse, Italia e Gran Bretagna, rappresentano due ulteriori impostazioni teoriche, le quali combinano diversi aspetti formali e informali delle opportunità: stato debole e strategie dominanti di tipo non inclusivo per quanto riguarda il caso italiano, e, dall'altra parte, stato forte e inclusione informale in Gran Bretagna. Mentre nel primo caso, l'Italia, emergono generali processi e prassi di tipo escludente, e, laddove si realizzi il contrario ciò avviene a seguito di logiche clientelari e metodi legati a procedure di cooptazione, nel Regno Unito, si registrano forti processi di inclusione di tipo formale;

10 Adattata da Kriesi, New social..., op.cit. pag. 37.

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processi di istituzionalizzazione e predisposti canali di accesso al sistema fanno sì che le domande dei movimenti trovino facile collocazione nello spazio pubblico e all'interno delle agende dei decision makers.

Per completare il quadro, Germania e Paesi Bassi sono, per Kriesi, due casi intermedi, in cui si combinano sia elementi di apertura che elementi di chiusura del sistema istituzionale. I due paesi si differenziano, però, nella misura in cui la Germania presenta strategie prevalenti escludenti, mentre nei Paesi Bassi le autorità tendono a seguire strategie di tipo inclusivo.

Grazie a questa impostazione iniziale, diventa possibile definire le tipologie ed i livelli attesi di mobilitazione politica.

Quando strategie dominanti non inclusive (ad esempio, diffusi comportamenti di tipo repressivo) vengono accompagnate da limitate possibilità di accesso al sistema politico, i movimenti tendono a radicalizzare le forme di azione adottate. Ciò significa che tenderanno a mobilitarsi meno frequentemente ed in modo più radicale, adottando forme provocatorie di protesta, come blocchi, occupazioni, scioperi, ed, in generale, azioni di tipo radicale.

Laddove, invece, esistano opportunità maggiormente favorevoli, ossia, laddove esista una certa apertura nella POS, i movimenti sociali tenderanno a mobilitarsi più frequentemente, adottando repertori di azione molto più moderati. Un esempio classico sono le petizioni, usate soprattutto dove esiste, da parte del movimento, la consapevolezza di far parte di un sistema inclusivo al punto tale da prendere in seria considerazione, recepire e, spesse volte, trasformare in azione politica positiva, anche forme di protesta così soft e moderate.

La concettualizzazione di Kriesi sopra descritta rappresenta il primo tassello teorico della nostra indagine, e pone le basi per una migliore comprensione dell'influenza della struttura delle opportunità politiche sulla mobilitazione, in diversi contesti istituzionali. Il nodo centrale è, però, capire fino a quanto questo modello sia applicabile alla mobilitazione degli immigrati e sul tema dell'immigrazione, fine ultimo della nostra indagine. Ci dobbiamo chiedere quanto questo modello possa essere valido per il nostro settore di ricerca e, quindi, se esso possa essere applicato tout court o se, invece, debba essere rielaborato.

Seppur ispirato ai lavori sopra menzionati, il nostro approccio cercherà di mettere in luce

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quelle dimensioni delle opportunità politiche che rivestono specificatamente il settore delle relazioni etniche, della cittadinanza e dell'immigrazione.

1.2. La Political Opportunity Structure e la cittadinanza

Per quanto riguarda specificatamente il tema della mobilitazione sul tema dell'immigrazione, i regimi di cittadinanza possono essere visti come strutture di opportunità politiche che modellano, plasmano e formano la mobilitazione dei migranti e delle minoranze, incoraggiando o limitando alcune forme di rivendicazione ed i contenuti della stessa.

La capacità di portare avanti rivendicazioni e forme di protesta da parte dei migranti, e, in generale, la mobilitazione che si sviluppa in un certo contesto nazionale sul tema dell'immigrazione, viene influenzata, sia nelle forme che nei contenuti, dalle modalità di integrazione dei migranti nella comunità politica attraverso la diversa configurazione delle leggi di cittadinanza, nonché dal discorso pubblico che si sviluppa sul tema dell'immigrazione.

Ogni stato adotta un proprio modello di cittadinanza, il quale si suppone abbia importanti riflessi sia nell'incorporazione dei migranti che nella loro capacità di portare avanti rivendicazioni autonome. Il nostro obiettivo è proprio quello di esaminare empiricamente la veridicità di questa ipotesi, ossia, se e come questi modelli influiscono nella capacità di rivendicazione degli immigrati e sulla mobilitazione dell'opinione pubblica nel settore dell'immigrazione e delle relazioni etniche.

Sempre attraverso l'approccio della struttura delle opportunità politiche, diversi studiosi hanno posto l'attenzione su questo tema, cercando di identificare le specifiche opportunità politiche e istituzionali, che permettono agli immigrati di mobilitarsi. Senza dubbio, un prezioso contributo in questo settore di ricerca è stato quello apportato da Koopmans e Statham

11

. Estendendo l'analisi di Brubaker

12

, sono state analizzate le configurazioni di cittadinanza dello

11 Ruud Koopmans, Paul Statham, Challenging immigration and ethnic relations politics : comparative European perspectives, Oxford University Press, Oxford, New York, 2000. Ruud Koopmans [et al.], Contested citizenship : immigration and cultural diversity in Europe, University of Minnesota Press, Minneapolis, 2005.

12 Nella comparazione tra Francia e Germania, l'autore mostra che la tradizione legata allo ius sanguinis è basata su un concetto di comunità nazionale di tipo etnoculturale, mentre la tradizione francese, che pone enfasi sullo ius soli, sottolinea la definizione di stato di tipo politico, contrattualistico e repubblicano. Si veda: Rogers Brubaker, Citizenship and Nationhood in France and Germany, Hardvard University Press,

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stato come variabile esplicativa della mobilitazione. Per mettere in luce la maggiore o minore apertura di una certa comunità nazionale nei confronti degli stranieri, sono stati analizzati i regimi nazionali di cittadinanza non solo dal punto di vista dei criteri formali di attribuzione della stessa ma anche attraverso le obbligazioni culturali che sottostanno alle naturalizzazioni.

Koopmans e Statham sottolineano quanto i modelli nazionali non siano definiti unicamente dai criteri formali di accesso alla cittadinanza, ma anche, e soprattutto, dalle obbligazioni culturali poste agli immigrati al fine di essere accettati nella comunità politica

13

.

Due sono le dimensioni che devono essere prese in considerazione per determinare il grado di inclusione o esclusione esistente a livello nazionale in relazione alle differenze etniche:

a) i criteri di formali di accesso alla cittadinanza; in questo senso, la distinzione operata è tra il requisito per l'attribuzione della cittadinanza di tipo etno-culturale, ossia lo ius sanguinis, ed il requisito territoriale-civico, ius soli.

b) le obbligazioni culturali che il formale accesso alla cittadinanza presuppone; da qui la distinzione tra assimilazione e pluralismo culturale.

Per quanto riguarda i criteri formali di accesso alla cittadinanza, lo ius sanguinis, essendo un criterio estremamente stringente, dà origine a un regime di cittadinanza poco inclusivo e ancorato ad una concezione “oggettiva” della cittadinanza basata sull'etnia. Al contrario lo ius soli incarna una concezione di cittadinanza “soggettiva” e pone le basi per un regime più liberale e aperto.

Anche per quanto riguarda le obbligazioni culturali, come detto, possiamo distinguere tra due tipi ideali: gli stati che seguono un approccio assimilazionista (o monista) e quelli che adottano una visione pluralistica. I primi sono più “esigenti”, in quanto richiedono agli immigrati di conformarsi alle norme culturali e ai valori della società di accoglienza. I secondi sono, invece, molto meno restrittivi e più inclusivi, in quanto prevedono il riconoscimento delle differenze etniche e, talvolta, tali differenze vengono anche attivamente promosse.

Cambridge Mass., 1992.

13 Ruud Koopmans, Paul Statham, Challenging the Liberal Nation-State? Postnationalism, and the Collective Claims Making of Migrants and Ethnic Minorities in Britain and Germany, American Journal of Sociology 105, 1999, pag. 652-696.

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Come mostra la Figura 2, possiamo definire la Political Opportunity Structure in relazione alla questione dell'immigrazione come risultato della combinazione dei criteri formali di cittadinanza e delle obbligazioni culturali sottostanti. Questa combinazione porta alla luce quattro diversi modelli di cittadinanza, ossia, quattro diversi ideal-tipi di modelli nazionali di incorporazione dei migranti, graficamente rappresentati nella figura di seguito.

Figura2. Struttura delle opportunità politiche nella sfera dei modelli di cittadinanza

• Modello etnico-assimilazionista

L'ideal-tipo “etinico-assimilazionista” ha origine dalla combinazione tra il criterio formale di accesso alla cittadinanza di tipo etnico ed il criterio assimilazionista per quanto riguarda le obbligazioni culturali sottostanti.

Questo regime di incorporazione, che spinge verso l'assimilazione alle norme e ai valori della comunità nazionale su base etnico-culturale, tende ad escludere dalla comunità nazionale coloro che si ritiene non abbiano diritto a condividere le sue norme, valori e simboli. Un modello di questo tipo rende molto difficile agli stranieri diventare membri della comunità nazionale. Le minoranze, infatti, si trovano ad affrontare, allo stesso tempo, una comunità nazionale che spinge verso l'esclusione sociale ed un insieme di norme formali e codici culturali che obbligano gli stranieri a conformarsi all'ambiente sociale minimizzando qualsiasi differenza etnica.

Prima della riforma 2000, la Germania era forse la migliore approssimazione empirica di

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questo modello. Infatti, non era possibile, secondo l'ordinamento, accedere alla cittadinanza se non per ius sanguinis, il tasso di naturalizzazioni era quindi estremamente basso e, di conseguenza, gli immigrati difficilmente riuscivano ad inserirsi all'interno della comunità nazionale. Con l'entrata in vigore della nuova legge di cittadinanza, il 1 gennaio 2000, la Germania introduce nel proprio ordinamento elementi maggiormente liberali, quali, il riconoscimento della doppia cittadinanza e l'accoglimento dell'istituto di ius soli, seppur in modo molto limitato

14

. Tra i nuovi paesi di immigrazione, l'Italia è quello che maggiormente si avvicina a questo modello.

• Modello civico-pluralista o multiculturale pluralista

Il secondo ideal-tipo risulta dalla concezione di tipo civico della cittadinanza e dal il pluralismo negli obblighi culturali. Agli stranieri nati nella società di accoglienza è assicurata, in linea di principio, la cittadinanza, indipendentemente dalle origini etniche. Inoltre, alle minoranze è riconosciuto il diritto di mantenere differenze etniche ed una propria identità culturale.

Lo stato, quindi, non solo offre ai cittadini un facile accesso e pieni diritti di cittadinanza, sociali e politici, ma garantisce, e spesso promuove attivamente, anche il riconoscimento di differenze etniche e diritti culturali (come ad esempio proprie scuole finanziate dallo stato).

Sono la Gran Bretagna e Paesi Bassi ad avvicinarsi maggiormente a questo modello.

• Modello civico-assimilazionista

Il terzo ideal-tipo combina un concetto di tipo civico di cittadinanza ad una visione di tipo assimilazionista per quanto riguarda le obbligazioni culturali. Come mostra la Figura 3, la migliore approssimazione empirica al modello è costituita dalla Francia, in cui, seppur sia relativamente facile ottenere la cittadinanza, il prezzo da pagare per ottenerla è rappresentato dalla rinuncia alla propria identità etnica e valori culturali in favore dell'accettazione delle idee e dei valori alla base dello stato.

Nel modello civico assimilazionista lo stato offre un facile accesso alla cittadinanza e pieni

14 Marc Morjé Howard, The Impact of the Far Fight on Citizenship Policy: Explaining Continuity and Change, Working Paper, Department of Government Georgetown University, Washington, 2010, p.6.

(24)

diritti, ma, allo stesso tempo, è molto restio ad accettare forme di pluralismo culturale. In cambio dei diritti ottenuti ci si aspetta che i migranti dimostrino fedeltà alla nazione e ai suoi valori, così come conformazione alla sua cultura e politica.

• Modello etnico-pluralista

L'ultimo ideal-tipo di modello di cittadinanza unisce la concezione formale etnica di accesso alla cittadinanza con una visione pluralistica delle obbligazioni culturali. Questo modello residuale, chiamato etnico-pluralista, è il meno diffuso di quelli analizzati, e sul piano delle pratiche effettive esso può unicamente essere rintracciato nelle politiche segregazioniste in Sud Africa sotto l'Apartheid ed nel sistema dei Millet dell'Impero Ottomano, anche se questo ultimo sistema vine organizzato lungo un orientamento di tipo religioso piuttosto che etnico

15

.

Figura 3. Struttura opportunità politiche e modelli di cittadinanza: la collocazione di alcuni case- studies.

Sulla base del nostro ragionamento, la mobilitazione degli immigrati e sul tema dell'immigrazione viene definita sulla base delle opportunità che la comunità e le istituzioni di riferimento mettono a disposizione. In questo contesto, le opportunità sono disegnate sulla base dei modelli di cittadinanza, che quindi determinano i contenuti e le forme delle rivendicazioni. L'idea è quella di legare questi modelli di cittadinanza ai livelli di mobilitazione attesa sul tema dell'immigrazione; questa impostazione è alla base delle ipotesi di ricerca del presente lavoro (si veda Capitolo 4).

15 Marco Giugni, Migrant mobilization..., op.cit. p. 11.

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Dobbiamo ora valutare se queste diversi modelli hanno realmente conseguenze significative sui migranti. In questa direzione si è mosso il lavoro di Patrick Ireland, che, con la sua Institutional Channeling Theory

16

, ha dato un importante contributo agli studi sull'immigrazione e la partecipazione delle minoranze.

In linea con l'approccio delle opportunità politiche, secondo Ireland a determinare forme e i contenuti della mobilitazione dei gruppi migranti, non sono tanto l'identità etnica o quella di classe (elementi, questi, che sono stati a lungo al centro del dibattito sul tema dell'immigrazione e della partecipazione delle minoranze), quanto piuttosto le opportunità offerte dalla host-society. Sono le istituzioni a dare forma alla mobilitazione degli immigrati, in termini di mezzi, entità e possibilità di successo.

A differenza degli approcci teorici come la Class theory o la Ethnicity theory che enfatizzano, appunto, gli aspetti di classe e di etnia come fattori esplicativi della mobilitazione degli immigrati, Ireland concentra la sua attenzione sul contesto istituzionale di riferimento.

Secondo la Institutional Channeling Theory è la struttura della società di insediamento, e i canali di partecipazione e mobilitazione offerti dalla stessa (per i quali i diritti di cittadinanza hanno un peso fondamentale), a determinare la natura, i mezzi e i contenuti della mobilitazione delle minoranze.

Infatti, se a spiegare la mobilitazione fosse l'identità di classe o etnica, gruppi simili per background culturale, etnico o sociale dovrebbero adottare gli stessi comportamenti e modelli di partecipazione in contesti nazionali diversi. Ireland, invece, analizzando la partecipazione politica di analoghi gruppi di migranti in Francia e Svizzera, evidenzia quanto, in realtà, ciò non avvenga, a dimostrazione che la Institutional Channeling Theory rappresenti una miglior chiave esplicativa delle forme di mobilitazione rispetto ai tradizionali approcci basati sulla comune identità etnica e di classe.

La Institutional Channelling Theory ci permette quindi di rispondere a domande come: come mai, in diversi paesi, gli stessi gruppi etnici adottano forme di mobilitazione diversa? Perché gli immigrati hanno scelto determinate metodologie di mobilitazione in alcuni paesi rispetto ad altri? Perché a volte hanno trovato risposta ed altre volte no?

16 Patrick Ireland, The Policy Challenge of Ethnic Diversity: Immigrant Politics in France and Switzerland, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1994.

(26)

Secondo Ireland, sono fattori come la situazione legale dei migranti, i loro diritti sociali e politici, le leggi di cittadinanza, le procedure di naturalizzazione, le politiche nell'area dell'istruzione, housing, mercato del lavoro, assistenza sociale, a dare forma alla mobilitazione degli immigrati, al loro attivismo politico, così come alla possibilità di successo delle loro azioni.

In sintesi, gli studi di Ireland dimostrano che i modelli di partecipazione politica degli immigrati sono spiegati in modo migliore attraverso un approccio top-down legato ai fattori istituzionali, piuttosto che da approccio bottom-up legato alle caratteristiche interne dei gruppi, siano esse di origine classista o etnica.

Il nostro approccio comunque differisce da quello di Ireland in almeno tre aspetti. In primo luogo, il focus del lavoro di Ireland è rappresentato dalle forme della mobilitazione, mentre noi guarderemo anche alla natura delle rivendicazioni e al loro specifico contenuto. In secondo luogo, Ireland concepisce le specifiche politiche e le leggi sull'immigrazione come parte della struttura delle opportunità politiche, mentre il nostro approccio concepirà leggi e politiche sull'immigrazione come influenzate dalla POS e, quindi, in particolare, dai modelli di cittadinanza. In terzo luogo, egli concepisce gli alleati e gli avversari come facenti parte della struttura delle opportunità politiche, mentre il nostro lavoro si rapporterà a questi come fattori che sì fanno parte della POS, ma che rientrano negli elementi dinamici (e non strutturali) della stessa, e quindi, separatamente analizzati.

Da queste asserzioni generali (modello teorico), possiamo trarre un certo numero di ipotesi concrete relative a specifici aspetti delle rivendicazioni dei migranti e della mobilitazione attorno al tema dell'immigrazione. Queste ipotesi verranno affrontate nel Capitolo 4 relativo alle ipotesi di ricerca e poi analizzate nei Capitoli 5 e 6 del presente elaborato, interamente dedicati alla ricerca empirica.

Scopo del prossimo capitolo, invece, sarà l'analisi specifica dei modelli di cittadinanza, che,

come abbiamo detto, rappresentano la variabile indipendente della nostra analisi. Dopo aver

brevemente introdotto i concetti chiave e le principali criticità registrate in relazione al tema

della cittadinanza, analizzeremo nel dettaglio gli specifici ordinamenti, per poi passare, nella

seconda parte di questo elaborato, a verificare come questi influenzano la mobilitazione.

(27)

Capitolo 2. Modelli di cittadinanza

2.1 Cittadinanza: definizione e nuove sfide; 2.2 I regimi di cittadinanza: parametri rilevanti; 2.3 Il caso Italia; 2.4 Il caso Gran Bretagna; 2.5 Breve verifica empirica

2.1 Cittadinanza: definizione e nuove sfide

In termini giuridici, la cittadinanza è la condizione del cittadino, al quale l'ordinamento giuridico dello Stato di appartenenza riconosce la pienezza dei diritti civili e politici. La cittadinanza si profila come uno status che denota l’appartenenza ad una comunità politica ed ha come conseguenza la titolarità di una serie di diritti, riconosciuti e garantiti dalla comunità stessa.

Al livello più semplice ed essenziale, la cittadinanza può essere definita come quello strumento che conferisce a diversi individui quei diritti e doveri che gli permetto di riconoscersi all'interno di una unica comunità nazionale. Cittadini, quindi, sono gli individui membri della comunità politica dello Stato di appartenenza e che “intrattengono con le istituzioni una relazione molto stretta che si traduce in un fascio di diritti e doveri di varia intensità”

17

. Diritto di votare, candidarsi ad una carica pubblica elettiva, godere delle prestazioni dello stato sociale, obbligo di pagare le tasse o partecipare al servizio militare. In Stati democratici, i diritti prevalgono sui doveri e, allo stesso tempo, tende a ridursi il divario tra cittadini e stranieri per quanto riguarda il trattamento ed il riconoscimento dei diritti, che in passato era strettamente legato al possesso dei diritti politici, ossia all'essere cittadino.

La cittadinanza, quindi, deve essere intesa non solo come status ma anche come rapporto giuridico tra cittadino e Stato di appartenenza. Le persone che non hanno la cittadinanza di uno Stato sono stranieri se hanno quella di un altro Stato, ed apolidi se, invece, non hanno alcuna cittadinanza. Il concetto di cittadinanza si può definire come il legame che esiste tra un individuo (per discendenza familiare, ius sanguinis, o per connessione territoriale, ius soli) e la comunità territoriale di cui fa parte. Il cittadino può essere distinto dallo straniero perché è

17 Marcello Di Filippo, La dimensione giuridica della cittadinanza tra diritto statale e diritto internazionale, (di prossima pubblicazione), p.3.

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soggetto alla legislazione del proprio Stato-ordinamento e all’insieme dei diritti-doveri che lo stesso garantisce ed impone. La cittadinanza viene a coincidere con l’esercizio pieno ed effettivo dei diritti e delle libertà democratiche consacrate nella costituzione ed esercitate nell’ambito di una comunità politica.

Cittadinanza: un modello in crisi?

Alcune correnti di pensiero affermano che il concetto tradizionale di cittadinanza sia ormai in crisi. Le ragioni di tale “declino” sono riconducibili essenzialmente a tre fattori.

Il primo fattore deve essere ravvisato nella crisi del contesto istituzionale in cui la cittadinanza si è sviluppata, ossia la crisi dello Stato nazione. Fenomeni come la globalizzazione o l'internazionalizzazione dell'economia e della finanza hanno sollevato sfide crescenti agli Stati fino a condurli a cedere parte della propria sovranità ad organismi sovranazionali. In tal senso, alcuni autori sostengono che il processo di integrazione europea rappresenti la prova tangibile della crisi degli Stati nazionali e delle loro politiche territoriali, rappresentando infatti un tentativo di far fronte a queste nuove sfide attraverso la creazione di istituzioni comuni chiamate ad adottare politiche valide sul territorio di tutti gli Stati Membri. La crisi degli Stati nazionali, intesa come riduzione della propria capacità di intervento sul proprio territorio e sui propri cittadini, deve essere ricollegata non solo allo spostamento dei poteri decisionali verso l’alto, ossia verso organismi sovranazionali, ma anche alla rivalutazione ed al rafforzamento degli organi e delle autonomie locali, quindi a livello sub-nazionale.

Se la crisi dello Stato nazionale, costituisce uno dei fattori più rilevanti della crisi della cittadinanza così come tradizionalmente intesa, occorre tuttavia, prendere in considerazione altri fenomeni, connessi alla crescente complessità della società odierna, che mettono ugualmente in discussione il concetto classico di cittadinanza.

In primo luogo, la presenza di consistenti flussi migratori che cambiano profondamente la

configurazione della società, che assume sempre più caratteristiche multietniche. La presenza

consistente di immigrati rende necessario, pertanto, sia l’attivazione di politiche e strumenti

idonei a garantire la progressiva inclusione degli stranieri nel tessuto sociale, sia il

ripensamento del concetto di cittadinanza, che non può essere più intesa come mera

appartenenza ad una comunità politica, ma deve essere concepita anche come partecipazione

alla vita sociale ed economica di una comunità locale. Infatti, se il possesso della cittadinanza

(29)

fosse il requisito richiesto per la titolarità dei diritti (civili, sociali, culturali ecc), il rischio sarebbe che gli stranieri, in quanto privi dello status di cittadino in senso stretto, non si vedrebbero riconosciute categorie fondamentali di diritti. La cittadinanza quindi, da strumento di garanzia dei diritti per gli individui, diventerebbe uno strumento di discriminazione nei confronti di coloro che, pur essendo parte attiva da un punto di vista economico-sociale della comunità di riferimento, si vedrebbero preclusa la possibilità di partecipare attivamente alla cosa pubblica.

Questo è il motivo per cui, in molte democrazie liberali, i diritti civili e sociali sono estesi a quasi tutti i lavoratori e residenti regolari, anche se essi non sono cittadini e quindi non possiedono diritti politici. In altre parole, i diritti politici non sono un prerequisito per il godimento di diritti sociali.

Accanto al riconoscimento di diritti civili e sociali ai non-cittadini, si sta creando nelle democrazie odierne una certa partecipazione politica a livello sub-nazionale. A molti stranieri residenti è stato garantito il diritto di voto a livello locale e regionale. Quindi, pur non possedendo diritti politici nel più ampio senso del termine, spesso gli immigrati si sono visti riconoscere una partecipazione politica a livello sub-nazionale. Allo stesso modo, la cittadinanza europea permette, in alcuni casi, di votare per le elezioni europee nello Stato membro di residenza, possibilità questa che delinea un certo livello di partecipazione a livello sovranazionale.

Da ultimo, il concetto di cittadinanza nazionale è messo in crisi anche dalla comparsa di norme transnazionali basate sui diritti umani universali, le quali oltrepassano le frontiere statali per riconoscere diritti fondamentali ad ogni essere umano in quanto tale e non in quanto cittadino di una certa comunità nazionale. Queste correnti affermano che stia nascendo un concetto universale di cittadinanza, ossia un concetto di cittadinanza basato sulla

“universal personhood”

18

, che si potrebbe tradurre con “universale dignità umana”, piuttosto che sull'appartenenza a uno Stato. Ciò creerebbe uno scollamento tra la cittadinanza intesa come diritti e cittadinanza intesa come identità

19.

Riassumendo, poiché una certa quantità di diritti possono ora essere concessi

18 Anne-Marie LeGloannec , Stiamo andando verso una cittadinanza post-nazionale?, Scienza & Politica, n.

26, 2002.

19 Yasemin Soysal, Limits of Citizenship. Migrants and Postnational Membership in Europe, Chicago- London,1994.

(30)

indipendentemente da quelli politici, e, dato che un numero crescente di diritti, politici e non, sono ora acquisibili a livello sub-nazionale o sovranazionale, alcune correnti di pensiero affermano che il concetto classico di cittadinanza sia in crisi, o che, per lo meno, la sua rilevanza sia destinata a decrescere con il passare degli anni.

È necessario sottolineare che, seppur molti immigrati partecipino al sistema scolastico e di formazione, alla previdenza sociale e al mercato del lavoro, spesso votino alle elezioni amministrative locali, e quindi, di fatto, occupino un ruolo piuttosto presente nella società, di fatto, tutto ciò rimane qualcosa al di sotto del piano della formazione della volontà politica, la quale è e rimane ancorata alla dimensione collettiva di tutti coloro che appartengono allo stesso Stato, ossia i cittadini

20

. Per questo motivo, le tesi che respingono la rilevanza della cittadinanza nazionale sembrano essere decisamente affrettate. Il diritto di votare e di candidarsi alle elezioni nazionali è ancora saldamente legato al concetto di cittadinanza, in tutti i Paesi. I non cittadini, anche se residenti permanenti o lavoratori di lungo periodo, non hanno alcuna possibilità di partecipare al processo democratico decisionale a livello nazionale. E, dal momento che i temi di cittadinanza, immigrazione e politiche di asilo sono generalmente pensate e implementate a livello nazionale, ciò significa che i non cittadini sono di fatto esclusi dalla partecipazione alle decisioni che possono influenzare direttamente la propria vita.

In secondo luogo, in molti paesi i non cittadini sono ancora esclusi dal godimento di importanti diritti sociali e civili. Gli stranieri ricevono molti meno diritti sociali di quanti attribuiti ai cittadini. Molti Paesi pongono significative restrizioni ai diritti concessi ai nuovi immigrati, in particolare ai cittadini di paesi terzi, che spesso ricevono benefits decisamente inferiori e in molti casi sono esclusi da programmi sociali a carattere non contributivo per un certo numero di anni dopo l'arrivo.

Un terzo motivo per il quale la cittadinanza mantiene ancora una rilevanza centrale ha a che fare con l'integrazione degli immigrati nella società di accoglienza. L'acquisizione della cittadinanza (naturalizzazione) è senza dubbio un fattore cruciale per l'integrazione dell'immigrato nella società nel lungo periodo. I naturalizzati godono di più diritti, generalmente hanno una maggiore padronanza della lingua e più attaccamento al Paese di accoglienza, di conseguenza essi vengono inclusi ed accolti con più facilità. I vantaggi della

20 Anne-Marie LeGloannec , Stiamo andando... op.cit.

(31)

naturalizzazione confermano l'importanza dell'essere riconosciuti come cittadini.

Per finire, i diritti derivanti dal possesso della cittadinanza europea non devono trarci in inganno. La cittadinanza europea è infatti intimamente e irreversibilmente legata al possesso della cittadinanza nazionale, essendo la seconda conditio sine qua non per l'ottenimento della prima.

Lungi dall'essere un modello in crisi, la cittadinanza rimane un fattore estremamente rilevante, anche perché rappresenta un “potente strumento di chiusura sociale”

21

, all'esterno e all'interno degli Stati. All'esterno permette di marcare un confine tra cittadini e potenziali immigrati. All'interno la cittadinanza è uno strumento che definisce un confine concettuale, giuridico e ideologico tra cittadini e stranieri residenti (si noti che, in riferimento ai due confini, esterno ed interno, una democrazia liberale può essere internamente inclusiva, pur rimanendo esternamente escludente e restrittiva).

Eppure, se la cittadinanza incorpora necessariamente un concetto di “confine”, il modo in cui essa viene delimitata varia notevolmente da Stato a Stato. Nel paragrafo successivo, cercheremo di individuare alcuni “indicatori” che ci permetteranno di definire diversi regimi di cittadinanza, per poi analizzare nello specifico il caso Italia e il caso Gran Bretagna.

2.2 I regimi di cittadinanza: parametri rilevanti

Ogni ordinamento è libero di stabilire autonomamente le regole per l'acquisizione e la perdita della cittadinanza. La qualificazione di un individuo come cittadino o straniero è rimessa interamente alla decisione dell'entità statuale. Le decisioni in questa materia sono il frutto di scelte di alto rilievo politico, legate alle peculiarità storiche, sociali, economiche e demografiche del paese, nonché da esigenze di tipo pragmatico. Non esiste, quindi, una omogeneità nelle leggi di cittadinanza a livello internazionale; al contrario, esiste una grande varietà di tipologie. Nonostante ogni legge nazionale di cittadinanza sia unica in sé, in quanto contiene una serie molto vasta di casistiche ed eccezioni, è possibile individuare degli elementi centrali e comuni a tutti gli Stati, che esporremo a breve e sulla base dei quali classificheremo i Paesi oggetto della nostra analisi.

21 Rogers Brubaker, Citizenship and Nationhood in France and Germany, Cambridge, Hardvard University Press, 1999, p. x.

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