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1.2.1 Diritti fondamentali e beni comuni.

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Academic year: 2021

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Introduzione

Il tema dei beni comuni attualmente è al centro di una discussione vivace e appassionata non solo fra gli studiosi del diritto e delle altre discipline quali filosofia, economia e sociologia, ma ha travalicato i confini accademici, coinvolgendo i singoli cittadini che faticano a reperire soluzioni concrete ai problemi che la crisi economica quotidianamente pone.

Come ci ricorda Maria Rosaria Marella, “i processi di privatizzazione imposti dal progressivo smantellamento dello stato sociale e delle politiche neoliberiste hanno accresciuto enormemente l'interesse per i beni comuni e per la loro difesa”1 e, anche alla luce di questa considerazione, non ci sorprende assistere ad una progressiva sensibilizzazione verso il tema dei beni comuni che vede protagonisti gruppi di cittadini o singoli individui, esasperati dall’inerzia di istituzioni pubbliche e classi politiche. Si pensi, infatti, alle numerose iniziative quali ad esempio il referendum del 2011 contro la privatizzazione dell’acqua piuttosto che l’occupazione del Teatro Valle di Roma, volta a salvaguardare il carattere pubblico di tale bene e a denunciare la situazione di stallo e disinteresse in cui versa la cultura italiana, ma anche il recente proliferare di regolamenti comunali nei quali si prevede la cooperazione e la sinergia fra l’Amministrazione pubblica e la collettività.

La specificità del lavoro che andiamo a proporre riguarda però un particolare tipo di bene comune, immateriale e non quantificabile: la conoscenza. Nella società contemporanea, le modalità di diffusione e condivisione della conoscenza sono oggetto di un vivace dibattito e di una costante attenzione in quanto, se da un lato, soprattutto grazie alle nuove tecnologie, le informazioni circolano oggi in maniera più rapida

1 M.R.Marella, Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Verona, 2012, cit pag.9.

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2 e su scala globale, dall’altro assistiamo ad un innalzamento di barriere che genera un fenomeno perverso: la recinzione del sapere. Questo stato delle cose però genera dei seri danni quando entrano in gioco i diritti fondamentali dell’essere umano (si pensi al caso dei farmaci antiretrovirali) che dovrebbero costituire sempre un argine alla privatizzazione e alla commercializzazione delle informazioni.

Più nello specifico, la comunicazione scientifica si propone in alcuni casi come una forma di oligopolio del sapere, accentrata nelle mani di pochi grandi editori commerciali che, basandosi esclusivamente su logiche commerciali e di profitto, consentono l’accesso ai contenuti della attività di ricerca a prezzi elevatissimi, minando così la possibilità stessa del progresso scientifico.

È dunque facile comprendere come il problema della libertà di accesso alla produzione letteraria scientifica, e dunque alla conoscenza, si collochi oggi al centro di un dibattito estremamente acceso fra coloro che difendono tale libertà come un diritto collettivo irrinunciabile e coloro che invece ritengono necessario tutelare gli interessi commerciali degli autori dei testi medesimi. È indubbio però che la condivisione del sapere è lo strumento cardine tramite il quale vengono a prodursi le esperienze culturali nei più svariati settori della conoscenza: persino le religioni non sarebbero potute diventare universali e professate in ogni parte del mondo, se i testi sacri fossero stati privatizzati e non divulgati.

Soprattutto in ambito scientifico, l'accesso libero ai testi risulta essere sempre e comunque un incentivo e un supporto alla produzione scientifica. Coerentemente con queste istanze e finalità nasce il movimento dell’Open Access, ossia l’accesso aperto libero e gratuito ai risultati della conoscenza scientifica e che cerca di fornire una valida alternativa al sistema tradizionale di circolazione della conoscenza.

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3 La riflessione che si è cercato di sviluppare in merito all’argomento dei beni comuni si articola in tre parti, a ciascuna delle quali viene dedicato un capitolo.

Nel primo capitolo, si cerca di delineare una visione d’insieme della questione “beni comuni”, con l’intenzione di offrire le coordinate teoriche indispensabili per poter comprendere come la conoscenza si collochi all’interno di tale categoria di beni.

Il capitolo inizia con la ricostruzione etimologica del termine “bene comune” e prosegue con una riflessione dottrinale sui beni comuni, volta a cercare di delineare e definire gli elementi qualificanti di tale categoria di beni.

La mancata accoglienza all’interno del sistema normativo di una definizione di tale tipologia di beni ha contribuito ad incentivare una discussione dottrinale fra gli studiosi del diritto, che hanno focalizzato la loro attenzione su tre punti chiave quali beni comuni e diritti fondamentali, beni comuni e collettività, beni comuni e mercato.

Nella parte conclusiva del capitolo, si prende in esame il lavoro svolto dalla Commissione Rodotà per la modifica del Capo II del Titolo I del libro III del Codice Civile e l’iter giurisprudenziale sui beni comuni, partendo dalla sentenza 3665 della Corte di Cassazione del 2011 relativa all’appartenenza pubblica o privata delle Valli da pesca della laguna di Venezia, per poi fare un passo indietro nel tempo esaminando sia la sentenza della Corte di Cassazione di Roma sull’uso pubblico di Villa Borghese del 1887, sia quelle ad essa successive, che hanno contribuito in modo rilevante al superamento della concezione prettamente codicistica della proprietà in favore di una visione più costituzionalmente orientata.

Nel secondo capitolo si prende in esame il bene comune “conoscenza”, soffermando l’attenzione sull’avvento delle nuove tecnologie informatiche e sulla sempre più stringente normativa relativa alla

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4 proprietà intellettuale. Inizialmente vengono analizzate le caratteristiche intrinseche di tale bene immateriale, quali la non escludibilità e la non rivalità, per evidenziare come il bene

“conoscenza” si connoti come suscettibile di un uso collettivo, simultaneo e non rivale. L’intento è quello di far emergere come i beni a contenuto informazionale non possano essere definiti scarsi in quanto, a prescindere dall’ambito in cui si sviluppano, se utilizzati in modo contemporaneo non rischiano la tragedia dei beni comuni descritta da Hardin nella rivista Science del 1968.

Al fine di completare il quadro generale sul bene “conoscenza”, si cerca di delineare una sommaria analisi relativa alla normativa nazionale ed internazionale redatta in merito all’argomento.

Il capitolo procede con un rapido esame dei cambiamenti connessi all’avvento delle nuove tecnologie, che hanno rivoluzionato la modalità di diffusione della conoscenza, proponendo una sommaria analisi della rete internet e del suo funzionamento.

Esaminate le caratteristiche intrinseche del bene a contenuto informazionale e il nuovo contesto tecnologico nel quale viviamo, ci si propone la possibilità di un paradosso: più la conoscenza è accessibile e disponibile in rete, maggiori sono le restrizioni legali volte a

“recintare” la diffusione del sapere.

Nasce così un grande dibattito dottrinale fra i fautori della conoscenza specie quella scientifica,come bene comune, quindi libera ed accessibile a tutti e coloro che continuano e vogliono inserirla nello schema tradizionale dominicale, con la protezione esasperata dell’accesso ai contenuti della stessa.

Verrà preso quindi in esame il caso Myriad genetic relativo alla brevettabilità dei geni umani, il suo iter giurisprudenziale denota il dibattito negli Stati Uniti e non solo, fra queste due opposte visioni della conoscenza.

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5 Il terzo capitolo è orientato allo studio di una specifica forma di conoscenza: quella scientifica. Dopo averne delineato nascita e sviluppo, si prosegue analizzando gli elementi caratterizzanti di tale forma del sapere, quali il finanziamento pubblico dell’attività di ricerca; lo stretto legame tra utilizzatori e produttori; l’assenza di royalty a favore dei ricercatori che pubblicano su riviste scientifiche i risultati dell’attività di ricerca; la cessione gratuita da parte del singolo scienziato di tutti i diritti patrimoniali che egli può vantare sull’opera, a favore degli editori commerciali e l’obbligo per le biblioteche universitarie di acquistare a caro prezzo i contenuti dell’attività di ricerca dei propri ricercatori per poterne disporre.

La situazione che si delinea evidenzia il ruolo egemone delle case editrici private, detentrici del potere legale di accesso alle informazioni scientifiche e dunque con la possibilità di determinare, come afferma Jean Claude Guédon, un oligopolio del sapere. L’Open Access vuole, quindi, rappresentare una sfida e una valida alternativa a tale sistema tradizionale di circolazione della conoscenza.

Il capitolo si conclude prendendo poi in esame la normativa nazionale ed internazionale relativa a tale movimento soffermandosi sulle linea guida ed il regolamento dell’Università di Pisa.

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CAPITOLO I : UNO SGUARDO SUI BENI COMUNI .

« ..il ragionamento sulla nozione di beni comuni è solo all'inizio , … esso ha bisogno del lavoro di tutti quanti noi per diventare più

concreto e più convincente » 2

1. Premessa.

Negli ultimi anni l'espressione “ beni comuni ” sta riscuotendo un grande interesse e si trova al centro di un intenso dibattito che abbraccia varie discipline come quella giuridica, economica , politica , filosofica e sociale, tanto che da più parti si evidenzia la necessità di un approccio interdisciplinare che analizzi e studi in maniera approfondita tale concetto.

Nello specifico contesto italiano, le attuali politiche economiche di privatizzazione di beni ed imprese, unite “al progressivo smantellamento dello stato sociale”3hanno generato una crescente preoccupazione per la società in merito alla concreta possibilità di accedere ai beni essenziali.

Inoltre la cattiva gestione da parte dello Stato e degli enti pubblici in merito alla cura degli interessi della comunità , ha fatto sorgere da parte dei cittadini ,una più incisiva volontà di gestire direttamente, in base al principio di sussidiarietà orizzontale previsto dall'art 118 della nostra Costituzione, quei beni primari che sono connessi con l'esercizio dei diritti fondamentali. Da ciò si desume quindi il ridimensionamento della classica dicotomia pubblico/privato, il superamento delle tradizionali tecniche di rappresentanza, ma la sempre maggiore volontà ed aspirazione a forme collettive di democrazia diretta e partecipata.

Questa accresciuta attenzione sul tema dei beni comuni ha messo in crisi l'ordinamento stesso di una società basata sul primato del mercato

2F. Cassano, Homo civico. La ragionevole follia dei beni comuni, Bari, 2004 p .49.

3 Maria Rosaria Marella, Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni,Verona, 2012, cit pag 9.

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7 e sulla mercificazione dei beni, ma ha riproposto con forza la centralità della persona umana, vista come soggetto titolare di un nucleo di diritti inviolabili e garantiti dalla Carta costituzionale. Si può affermare che i beni comuni richiamino la “questione del legame sociale4, come elemento identificativo di una società che riscopre il potenziale dello

“sviluppo umano”5.

I beni comuni si propongono quindi di superare l'attuale assetto proprietario fondato sui regimi di appartenenza e sul godimento individuale ,basato a sua volta sul principio dello ius exludendi alios . Alla luce di quanto scritto sopra , si evince come i beni comuni abbiano trovato una loro collocazione nel contesto economico e sociale , ma siano ancora sforniti di una reale configurazione in ambito giuridico in quanto l'attuale sistema normativo non prende in considerazione tale tipologia di beni .

Non a caso Paolo Grossi , storico del diritto , a tal proposito afferma :

“Beni comuni : nulla a che vedere con la nozione rinsecchita che ci offre il codice civile , dove il bene comune equivale a condominio e tutto si risolve in una proprietà individuale per quote , e nemmeno nulla a che vedere con una espansione del pubblico a scapito del privato.”6

La Carta Costituzionale , nostra principale fonte del diritto , all'articolo 42 enuncia : “ La proprietà è pubblica o privata . I beni economici appartengono allo Stato , ad enti o a privati ”

Quindi il nostro ordinamento giuridico contempla solo due categorie di beni : pubblici e privati.

Si evince, quindi, che la categoria dei beni comuni si configura come un tertium genus rispetto alla tradizionale ripartizione dei beni.

4U. Mattei, Beni comuni, il manifesto, Roma-Bari, 2011 cit pag 9.

5 Ibidem.

6 P. Grossi I beni: itinerari tra “moderno” e “post-moderno”, in Riv. Trim. Dir.

Proc. n. 4, 2012.

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8 Per comprendere il significato del termine bene comune è opportuno procedere con una ricostruzione etimologica e storica del concetto.

Risulta indispensabile, ai fini di fornire un quadro generale completo , trattare delle principali riflessioni dottrinali di alcuni autori e giuristi che, hanno contribuito in modo determinante, a svolgere un'operazione ricostruttiva del termine sia in senso giuridico che in una prospettiva interdisciplinare. Successivamente si prenderà in considerazione il percorso giurisprudenziale partendo dalla sentenza della Corte di Cassazione n 3665 del 2011, nella quale per la prima volta compare il termine “comune ” riferito ad un bene ,per poi ripercorrere a ritroso le varie sentenze successive a villa Borghese che hanno contribuito ad allontanare il diritto di proprietà dalla logica ottocentesca liberale.

1.1La ricostruzione etimologica del termine.

In questi ultimi anni il tema dei beni comuni è diventato centrale e riflette la difficoltà di inquadrare e classificare una serie di beni nelle due categorie tradizionali cioè proprietà privata e proprietà pubblica.

Per avere un quadro d'insieme e per meglio comprendere le caratteristiche e la natura dei beni comuni, è necessario procedere ad una ricostruzione etimologica e storica del termine.

L'antecedente più remoto si rinviene nelle res communes omnium , cioè le cose lasciate in godimento a tutti gli esseri umani, del Diritto romano.7

La categoria delle res communes omnium si rinviene in un frammento del giurista Marciano , inserito ad opera dei compilatori giustinianei nei Digesta ( 1.8.2.1) e nelle Institutiones del Corpus Iuris civilis

7 Alessandro Dani , il concetto giuridico di “ beni comuni “ tra passato e presente , in Riv. di storia giuridica dell'età medievale e moderna, Historia et Ius, p 1 ess

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9 (2.1.1) Con tale espressione il giurista comprende l'aria, l'acqua corrente, il mare, e il lido del mare, ma non è chiaro se l'elenco si debba considerare tassativo o meno. Quello che si evince con chiarezza è il non impedire ad alcuno l'uso di queste cose.

Nonostante i punti di vista discordanti e le discussioni dottrinali sull'argomento, alcuni studiosi del diritto Romano ritengono che l'esistenza di questa categoria giuridica avrebbe determinato molteplici effetti positivi in termini di tutela di interessi universalistici e comunitari.

Volgendo lo sguardo all' epoca medievale si deve fare riferimento al termine communia che designa quell'insieme di diritti individuali da poter esercitare unitamente agli altri .

Si fa riferimento a tutti quei diritti gratuiti grazie ai quali si poteva far pascolare il bestiame in terre non di proprietà, si poteva usufruire delle acqua delle sorgenti per dissetare gli animali, raccogliere il legname . In questo modo questi diritti venivano riconosciuti ai contadini per garantire loro la mera sopravvivenza.

Infatti la dottrina giuridica medievale prevedeva che sulle cose potessero esercitarsi diversi dominia :

il dominium directum , cioè quel potere riconosciuto a chi detenesse la proprietà astratta di un bene ed in base a ciò

potesse ottenere un riconoscimento economico come la rendita.

i dominia utilia che potevano essere esercitati da coloro che erano concessionari delle diverse utilità economiche sulla medesima cosa.

Quindi esisteva una regolamentazione basata su uno “ statuto della cosa ” che ne regolava l'appartenenza e l'utilità ai diversi soggetti :

al dominus directus ( in genere il signore feudale laico od ecclesiastico ) una rendita in denaro o in derrate ;

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al dominus utilis ,spesso un mercante di campagna , i frutti delle coltivazioni ;

ai contadini del villaggio l'uso parziale dei pascoli , la raccolta della legna dei boschi.8

Paolo Grossi , autorevole storico del diritto , ha utilizzato l'espressione

“reicentrismo”9 per sintetizzare questo sistema basato sulle cose e non sui soggetti titolari di diritti sulle stesse.

In tale contesto i beni comuni venivano, così, a costituire la principale modalità di organizzazione sociale e produttiva per la popolazione e quindi sin dall'epoca medievale si può parlare di proprietà collettiva.

Questo sistema ha subito un graduale declino con il fenomeno delle enclosures, iniziato in Inghilterra già nel XV sec e sviluppatosi poi nel XVII e XVIII sec. Con l'emanazione degli enclosures acts più di sei milioni di acri di terre comuni furono privatizzati , danneggiando così i piccoli contadini e commoners.

Il processo di privatizzazione e di recinzione andava a colpire sia gli open fields (campi liberi) sia i commons lands, i commons veri e propri amministrati dai membri della comunità di riferimento tramite un'insieme di regole informali tramandate dalla comunità stessa. Il loro graduale oblio tra gli istituti giuridici esistenti fu accompagnato, in particolar modo nell'Ottocento, da un processo culturale che mirava alla damnatio memoriae dei beni comuni .

Infatti l' avvento dell'ideologia borghese ha contribuito a spazzare via il precedente assetto. Secondo la logica borghese i soggetti e non le cose erano il fulcro dell'ordinamento e quindi il soggetto, la sua volontà e libertà individuale di disporre a proprio piacimento delle cose viene posta al centro del sistema di diritto privato. In questo modo i modelli di appartenenza si strutturano su due categorie fondamentali :

8 Emanuele Conte , Idee del comune , in M .R Marella, Oltre il pubblico e il privato Verona,2012 cit. pag.44.

9Paolo Grossi , Il dominio e le cose . Percezioni medievali e moderne dei diritti reali, Milano, 1992

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11 beni pubblici / beni privati ; proprietà pubblica / proprietà privata Rientra così nella sfera pubblica l'intera “costellazione di status giuridici che qualificavano i beni destinati all'uso comune di popolazioni , o ad ospitare e finanziare con i loro frutti le attività di assistenza e di beneficenza ; i beni artistici che erano decorum et honor delle città , i beni naturali , l'aria , le acque” 10

Assistiamo quindi alla trasformazione dello status giuridico di beni che durante il diritto romano erano regolamentati come estranei all'appropriazione di un soggetto in quanto vincolati ad un uso pubblico, in beni oggetto di diritto di proprietà.

In tale concezione il paradigma proprietario si estende ad ogni tipo di rapporto compreso quello fra l'uomo e l'ambiente circostante.

Questa concezione dualistica ( pubblico /privato) si riverbera nel primo comma dell'art 42 della nostra Costituzione dove si enuncia : “La proprietà è pubblica o privata”.

Sembra quindi non poter esistere un tertium genus che non rientri in uno di questi due poli e che sia caduto nell'oblio l'art 714 del codice civile francese che riconosceva l'esistenza di “cose che non appartengono ad alcuno e il cui uso è comune a tutti ”.

In questi ultimi anni ci stiamo sempre più rendendo conto che è doveroso far riemergere dalla zona d'ombra e riportare alla luce quel tertium genus fra proprietà pubblica e privata.

Infatti il processo di privatizzazione iniziato dagli anni novanta ha proceduto inesorabile e non ha incontrato limiti e ostacoli sulla sua strada.

Ciò ha provocato un diffuso malessere , un aumento progressivo della forbice tra ricchi e poveri, il dilagare di stili di vita pesantemente individualistici e competitivi ed un simmetrico indebolimento dell'asse valoriale basata sulla solidarietà come elemento fondante delle

10 E. Conte, in Giorgio Resta Beni comuni e mercato, 2014, cit p.3.

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12 relazioni personali.11 L'idea di fondo, come afferma Seppilli, è che

“esistono beni di cui tutti hanno diritto di usufruirne indipendentemente da ogni condizione di reddito, di genere, di radici etniche e di opinioni ideologiche.”12

1.2 Le principali linee di pensiero dottrinali.

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Uno dei maggiori problemi che concernono i beni comuni attiene all'assenza di una disciplina normativa regolamentata e condivisa.

L'assenza di una definizione ha determinato il proliferare di riflessioni dottrinali sul tema in questione che hanno trovato un punto di incontro nella fase destruens del ragionamento, cioè nella critica ai modelli tradizionali.14

Infatti elemento comune a tutti risulta la collocazione dei beni comuni al di fuori della dicotomia tradizionale pubblico- privato in quanto anche la proprietà pubblica ricalca lo schema di appartenenza previsto per la proprietà privata. Così entrambi i regimi di appartenenza non sono in grado di realizzare la funzione peculiare dei beni comuni.

In questo lavoro si metteranno in luce le diverse posizioni dottrinali focalizzando l'attenzione su tre punti chiave quali :

beni comuni e diritti fondamentali

il ruolo della collettività

11 Tullio Seppellii , Sulla questione dei beni comuni : un contributo antropologico per la costruzione di una strategia politica in Maria Rosaria Marella , Oltre il pubblico e il privato, Verona, 2012. p 10

12 Tullio Seppellii , Sulla questione dei beni comuni : un contributo antropologico per la costruzione di una strategia politica in Maria Rosaria Marella , Oltre il pubblico e il privato, Verona, 2012, cit pag 11

13Ringrazio la Dottoressa Chiara Angiolini per aver potuto leggere le bozze della sua tesi di dottorato, che sono state utili per definire la struttura di questo capitolo.

14Vincenzo Cerulli Irelli, Luca De Lucia Beni comuni e diritti collettivi riflessioni de iure condendo su un dibattito in corso, il Mulino, 2014, p 1

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Beni comuni e mercato

Infine, per completare il quadro dottrinale, si analizzerà il lavoro svolto dalla Commissione Rodotà che ha contribuito a fornire una prima definizione giuridica dei beni comuni, anche se non ha mai raggiunto l'approvazione parlamentare.

1.2.1 Diritti fondamentali e beni comuni.

Definire i beni comuni come funzionali all'esercizio dei diritti

fondamentali “pone un argine sufficientemente preciso all'estensione del concetto di beni comuni ”15

Stefano Rodotà , autorevole esponente di tale filone dottrinale ,afferma che deve esistere un legame inscindibile fra “ i diritti fondamentali e i beni indispensabili per la loro soddisfazione ”16 e che “è la qualità dei diritti da garantire che porta alla qualificazione di un bene come comune”17

Tale legame inscindibile porta all'individuazione dei beni comuni basata non su una particolare natura del bene, ma sulla loro effettiva funzione nel contesto storico e istituzionale vigente.

Infatti la definizione elaborata dalla Commissione li definisce come

“cose che esprimono utilità funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona ” 18

Quindi i diritti fondamentali costituiscono il sostrato su cui si vanno ad innestare i beni comuni, la cui disciplina giuridica deve permettere l'effettivo esercizio di tali diritti. A questo riguardo Rodotà scrive “Non siamo di fronte ad una semplice associazione fra diritti fondamentali e beni comun , bensì alla produzione di beni comuni attraverso i diritti

15Giorgio Resta , Beni comuni e mercato, 2014, pag 7

16Stefano Rodotà, Postfazione Beni comuni : una strategia globale contro lo human divide . Postfazione, in Oltre il pubblico e il privato, Verona, 2012, cit pag 327.

17Stefano Rodotà , Il diritto di avere diritti , Roma – Bari, 2012 pag 98.

18 Art 1 comma 3 lettera c Delega al Governo per la modifica del Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile.

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14 fondamentali”19. Occorre, quindi, identificare quali beni devono essere considerati comuni alla luce dei diritti fondamentali che , come si è già accennato più volte, ne costituiscono la fonte indispensabile per poterli riconoscere senza timore ed incertezze.

In primo luogo si devono richiamare i principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale con particolare riferimento agli articoli 2 (diritti inviolabili e doveri inderogabili) e 3 (principio di uguaglianza formale e sostanziale), ma devono essere considerate anche la Carta di Nizza e la Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, in quanto recepiscono diritti fondamentali “in un contesto così profondamente mutato”20. In questo modo si cerca di attuare la cd tutela multilivello, tentando di dare un'interpretazione delle varie fonti finalizzata a dichiarare la persona umana come titolare di un insieme di diritti dai quali non si può prescindere che la tutelano, e costituiscono un limite invalicabile all'appropriazione esclusiva.

Le riflessioni dottrinali che sposano tale linea di pensiero, concepiscono i diritti fondamentali e la loro effettiva operatività come una limitazione al carattere esclusivo dell'appropriazione, neutralizzando così il principio cardine proprietario dello Jus excludendi alios. Non a caso Giorgio Resta in tal senso afferma che “i diritti fondamentali (all'informazione , all'istruzione , alla salute , alla dignità umana ) sono, infatti, sempre più insistentemente invocati in funzione di neutralizzazione dei conflitti provati dalla continua espansione dei regimi di esclusiva a beni e servizi rilevanti per lo sviluppo umano”21

Le riflessioni dottrinali che concepiscono i beni comuni come funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali incentrano sulla persona

19 Stefano Rodotà, Beni comuni : una strategia globale contro lo human divide . Postfazione, in Oltre il pubblico e il privato, Verona, 2012, cit pag 330.

20 Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012 cit pag 25

21Giorgio Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni:

riflessioni sul caso “Myriad Genetics ”in “ Rivista Critica del Diritto Privato , n 2 ,2011 cit pag 309.

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15 umana la costruzione e l'individuazione dei diritti fondamentali, andando così a ridimensionare il ruolo dello Stato.

Infatti la persona umana, come afferma Rodotà, nasce già titolare di tali diritti che dovrebbero quindi esserle riconosciuti e garantiti a prescindere da una legittimazione formale dello Stato. In particolare la riflessione sulla persona umana si allontana dalla nozione tradizionale di soggetto del diritto, astratta, neutra e indifferente, e dà rilevanza alle varie figure soggettive calate nei contesti più diversi, come per esempio la persona anziana , il bambino, il disabile , facendo leva sull'impostazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, “il primo documento dove diritti vecchi e nuovi convivono senza gerarchie”.22 Questa ha così dato più saldo fondamento alla costituzionalizzazione della persona, ritenuta « inviolabile » e da rispettare in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo.23 Si assiste così ad un mutamento: i diritti che prima subivano l'influenza del contesto storico e sociale ed erano ripartiti fra le diverse generazioni, ora risultano indivisibili e unificati in capo alla persona umana. Infatti i titoli delle diverse parti della carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea enunciano i valori fondamentali: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia, principi che ruotano intorno alla persona e che devono essere garantiti anche alle generazioni future.24 L'esercizio dei diritti fondamentali dovrebbe quindi costituire un argine al dilagare dei diritti di esclusiva su beni sia materiale che immateriali, ritenuti di primaria importanza. In realtà si assiste, invece all'affermarsi del fenomeno denominato da Boyle come “secondo movimento delle recinzioni”25 che rimanda al processo dell'enclosures realizzatosi in Inghilterra tra il XVII e XIX secolo. Oggi, purtroppo,

22 Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012cit pag 74.

23 Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012 pag 80.

24 cfr Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012 pag 81.

25Per approfondimento J.Boyle, The Second enclosure movement and the construction of the public domain, Law and Contemporary Problems, Vol. 66, pp.

33-74, 2003.

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16 questo fenomeno travalica le frontiere nazionali, assumendo portata globale generando un aumento delle disuguaglianze sociali.26

1.2.2 (Segue) Rilievi Critici .

Questa corrente dottrinale che definisce i beni comuni come funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali, non è esente da critiche. Infatti, se si guarda tale definizione da una prospettiva diversa, si potrebbe obiettare che la categoria dei beni comuni risulta caratterizzata da confini estremamente labili.

Affermare che i beni comuni sono quei beni che esprimono “utilità funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona”27 impone la necessità di un intervento discrezionale da parte del giudice al quale “spetta il compito, assai delicato, di concretizzare il significato di diritti fondamentali e di libero sviluppo della persona umana”. 28 Tale impostazione ricalca quella tipica delle norme a fattispecie aperta, con le conseguenti preoccupazioni di rilevanza costituzionale soprattutto in merito ai limiti al diritto di proprietà. Tali limiti infatti, non sono predeterminati, ma sarebbero oggetto dell'interpretazione giurisprudenziale volta ad assicurare la fruizione collettiva del bene per l'effettivo esercizio dei diritti fondamentali. Si potrebbe obiettare, inoltre, che questo legame inscindibile fra beni comuni e diritti

26 G.Resta, Beni comuni e mercato,2014, p 4.

27 Art 1 comma 3 lettera c Delega al Governo per la modifica del Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile.

28 Luca Nivarra, Quattro usi di beni comuni per una buona discussione, in Riv.

Critica del diritto privato XXXIV,2016 cit pag 43

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17 fondamentali risponda ad una logica individuale andando così a

“occultare o trascurare la dimensione collettiva ”29 .

Se si cambia prospettiva e si inseriscono i diritti fondamentali in un fitto reticolo di rapporti sociali basati sulla solidarietà questi diventano elementi costitutivi della gestione dei beni comuni.

Per capire meglio questo concetto si può prendere come esempio il diritto allo studio nelle università o nella scuola. Seguendo questa linea di pensiero, la gestione partecipata del bene comune scuola o università “smette di essere semplice fruizione di servizi e di opportunità”30, ma genera “produzione collettiva di cultura e democrazia ”31. Questo cambiamento di prospettiva fa sì che il diritto ai servizi essenziali non sia considerato come improduttivo e “mera voce di spesa nel bilancio dello stato”32, ma attraverso la gestione collettiva si attiva un processo di costruzione del diritto stesso.

I diritti fondamentali risultano così connessi alla collettività, ritenuta luogo in cui si generano rapporti sociali improntati alla solidarietà.

Il giurista Ugo Mattei, infatti, afferma che i beni comuni posso essere considerati come “strumenti politici e costituzionali di soddisfazione diretta dei bisogni e dei diritti fondamentali della collettività”33

Da ciò emerge la necessità di incentrare l'analisi non solo su come può essere limitato il diritto di proprietà per favorire una fruizione collettiva, ma piuttosto su come si gestisce una risorsa e come afferma Nivarra “l'obiettivo di riferimento è costituito dalla democrazia”34 La consapevolezza di tale natura dei beni comuni non si può

determinare a tavolino , ma “costituisce piuttosto un collante politico

29 M.R.Marella, Oltre il pubblico e il privato Verona,2012 cit p 26.

30 Ibidem

31 M.R.Marella, Oltre il pubblico e il privato Verona,2012 cit p 27.

32 Ibidem

33 Ugo Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Roma-Bari, 2012 cit pag 8.

34 Luca Nivarra, Quattro usi di beni comuni per una buona discussione, inRiv.

Critica del diritto privato XXXIV,2016 cit pag 47.

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18 ancora tecnicamente amorfo che si radica nel senso profondo

dell'ingiustizia che dà vita al diritto.”35

1.2.3 Il Diritto di accesso.

Le riflessioni dottrinali che vedono i beni comuni legati ai diritti fondamentali attribuiscono grande importanza al diritto di accesso.

Questo viene concepito come mezzo che permette di soddisfare l'interesse all'utilizzo di un bene anche al di fuori dell'acquisizione della titolarità del diritto di proprietà, quindi accesso e proprietà non sono inscindibili, ma possono presentarsi come realtà autonome. Infatti scrive Rodotà “si può accedere a un bene e godere delle utilità, senza assumere la qualità di proprietario”.36 Così il diritto di accesso viene visto come collegamento indispensabile fra diritti fondamentali e beni, come mezzo capace di far cadere ogni mediazione fra la fruizione del bene e il bene stesso. In questo modo l'accesso passa da situazione strumentale già prevista, in determinati casi, come l'accesso ai documenti amministrativi, a diritto autonomo, necessario per identificare la posizione della singola persona all'interno della comunità in cui vive. Si ribalta così la teoria liberale secondo cui il diritto di proprietà comporta la possibilità di escludere gli altri, ora invece la proprietà “può ugualmente consistere in un diritto individuale a non essere escluso a opera degli altri dall'uso e dal godimento di alcuni beni 37. Rodotà definisce tale situazione come il passaggio da una proprietà “esclusiva “ ad una “inclusiva”, nella quale

35 Ugo Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Roma - Bari, 2012 cit pag 8.

36 Stefano Rodotà, Beni comuni : una strategia globale contro lo human divide . Postfazione, in Oltre il pubblico e il privato, Verona, 2012, cit pag 314.

37 C.B. Macpherson, Liberal Democracy and property, in Id ( a cura di ) Property, Mainstream and Critical Position, Oxford University Press, Oxford 1978, p. 101

(19)

19 si riconosce che più soggetti e interessi diversi possono sussistere su un determinato bene. Affermare che i beni comuni siano collegati ai diritti fondamentali significa non poter escludere dall'accesso a questi beni primari ed essenziali per l'umanità, le persone in ragione di un qualche limite sociale o geografico. L'accesso viene così sottratto dalle tradizionali dimensioni di appartenenza individuali o statali e trova il suo fondamento nella necessità umana e universale che contraddistingue il bene comune.

Secondo questa prospettiva, i beni comuni identificano tutti quei beni primari che appartengono al genere umano e non sono di proprietà esclusiva dei singoli. Così ad esempio, sulla base di questa riflessione, ogni genere di conoscenza essenziale per “lo sviluppo umano e il libero esercizio dei diritti fondamentali ”38dovrebbe essere garantita, salvaguardata e resa accessibile a tutti. In caso contrario, cioè nel caso in cui questa fosse oggetto di appropriazione esclusiva di “Monopolisti della conoscenza”39 risulterebbe sfornita della sua effettiva operatività.

L'accesso viene quindi visto come un elemento in grado di limitare il diritto di proprietà definito da Rodotà come “terribile diritto”40

1.2.4 (Segue) Il diritto d'accesso : luci e ombre

Affermare che i beni comuni siano liberamente accessibili a tutti solleva delle problematicità, soprattutto dal punto di vista giuseconomico. Non sempre l' accesso libero è sinonimo di risorse gestite in modo condiviso, ma può invece generare condotte non cooperative ed egoistiche. Infatti per i beni comuni non può dirsi

38 G. Resta,. La conoscenza come bene comune: quale tutela, in Persona e danno, key editore,2012.

39 Ibidem

40 S. Rodotà, Il terribile diritto, studi sulla proprietà privata e i beni comuni, III ed., Bologna, 2013

(20)

20 valida la teoria di Adam Smith, secondo cui per effetto della mano invisibile del mercato, gli interessi personali dei singoli conducono sempre all'interesse collettivo e ad un ordine che si autogenera se basato su norme valide. Secondo la logica del puro profitto la figura vincente è il free rider che mira a conseguire meri vantaggi personali addossando tutte le conseguenze dannose sulle spalle degli altri. Ogni persona, infatti, è portata a pensare che il proprio comportamento gravi sul bene in modo estremamente marginale e quindi non sia in grado di causare conseguenze negative. La somma di tali comportamenti genera il sovraconsumo del bene con conseguente depauperamento dello stesso. Tale situazione viene definita da Hardin, scienziato americano

“la tragedia dei beni comuni”41Hardin nel suo articolo sulla rivista Science offre un esempio per suggellare la sua tesi : un terreno destinato al pascolo fruibile da più soggetti. In questo caso i consumatori mettono in atto dei comportamenti individualistici mossi dal desiderio di raggiungere la massima utilità personale senza tenere di conto della condizione in cui lasciano il bene comune. Inoltre nessuno degli utenti vuole sopportare i costi per la salvaguardia e la tutela del bene comune poiché l'onere economico individuale si tradurrebbe in un vantaggio di fruizione collettiva senza un immediato ritorno in termini di profitto personale. Infatti per Hardin è proprio la libertà che conduce alla rovina : “la rovina è il destino ineluttabile di tutti coloro che perseguono il proprio interesse in una società che professa il libero accesso alle risorse comuni. É una libertà foriera di disastro generale”42. Secondo questa logica, si evidenzia la necessità di trovare strumenti che limitino l'accesso e lo sfruttamento ai beni comuni. Bisogna osservare però che è anche tragicamente difficile trovare delle soluzioni idonee ad evitare tale tragedia.

Quali, dunque, le soluzioni?

41 G. Hardin , “ the Tragedy of the commons” in Science , 1968.

42 G. Hardin , “ the Tragedy of the commons ” in Science , 1968, cit p. 1244.

(21)

21 Una si basa sul mantenimento della proprietà pubblica e l'affidamento alla regolamentazione amministrativa del compito di decidere chi potesse accedere al bene e con quali modalità43. Quindi la soluzione prospettata sottomette la categoria dei beni comuni al sistema normativo del diritto di proprietà, mantiene il carattere dell'escludibilità, ed elimina la rivalità con il ricorso alla regolamentazione amministrativa.

L'altra soluzione possibile prevista dalla scuola di Chicago si fonda sulla privatizzazione dei beni comuni con l'attribuzione pro quota ai singoli soggetti proprietari. Il ruolo del potere pubblico è unicamente quello di definire diritti e limiti dei privati e lasciare che il mercato con le sue regole trovi la migliore allocazione delle risorse.

In questo modo però si polverizza il processo economico così da sottoutilizzare le risorse e quindi attuare una gestione palesemente inefficiente. Infatti la dismissione da parte del soggetto pubblico ai privati, può generare effetti particolarmente iniqui soprattutto se la fruizione viene garantita soltanto ad alcune categorie di soggetti rimanendone completamente esclusi i soggetti più deboli della popolazione.

Da questo quadro emerge come il processo di privatizzazione possa condurre ad un peggioramento della situazione iniziale tanto da parlare di “ tragedia degli anticomuni ”.44 Questa è stata esposta per la prima volta da Michael Heller nel 1998 dopo il dissolvimento dell'Unione Sovietica che ha comportato la privatizzazione dei negozi dei gradi magazzini di Mosca. Heller sostiene che una molteplicità di diritti di

43 Su questa linea di pensiero si è affermata una scuola neo-comunitaria che ritiene il potere pubblico il più appropriato titolare e regolatore dei beni . Inoltre il libero accesso ad alcuni beni comuni non solo non ne produce il depauperamento, ma genera una spirale di benefici economici e sociali per la comunità . In questi casi come afferma Carol Rose non siamo in presenza di una tragedia , ma di una commedia dei beni comuni . L'esempio posto in essere da Rose è quello della rete stradale o autostradale , bene generalmente di proprietà pubblica , ma che allo stesso tempo è accessibile a tutti e genera vantaggi sia al singolo utente che direttamente la utilizza , sia all'intera comunità che è comunque favorita dalla sua esistenza .

44 E.Pellecchia. Beni comuni e diritti fondamentali della persona, in “Diritto e formazione” n. 429, 2011, pag 340.

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22 proprietà su un bene determina l'opposto del sovra consumo, cioè il sotto -utilizzo del bene in questione , in quanto ciascuno ha il diritto di impedire agli altri l'utilizzo e la fruizione del bene.

In realtà però, come osserva l’economista statunitense Elinor Ostrom, (premio Nobel per l’Economia nel 2009) la gestione collettiva delle risorse non è sinonimo sempre di tragedia. Scrive, infatti, nel suo libro Governare i beni collettivi “Il tema centrale del mio studio è il modo in cui un gruppo di soggetti economici che si trovano in una situazione di interdipendenza possono auto-organizzarsi per ottenere vantaggi collettivi permanenti , pur essendo tentati di sfruttare le risorse gratuitamente , evadere i contribuiti e o comunque agire in modo opportunistico”45. L'autrice ha dimostrato come le comunità considerate come l'insieme di tutti quei soggetti che fruiscono delle risolse collettive, siano di grado in “certe condizioni ” di gestire le risorse naturale in modo efficiente e sostenibile, senza condurre al depauperamento del bene anche a vantaggio per le generazioni future.

Inoltre sottolinea che per una corretta gestione dei beni comuni non basta la buona volontà degli utenti, ma occorre anche la simultanea presenza di altri elementi quali la comunanza di valori condivisi, un substrato culturale comune e una comunità di riferimento non molto numerosa e caratterizzata da stretti legami di solidarietà. Per “certe condizioni” la Ostrom fa riferimento alla conoscenza, alla fiducia , alla comunicazione tra le persone che compongono una determina comunità, all'esistenza di un insieme di regole condivise e consolidate e al non intervento di un 'autorità esterna come lo Stato. 46 Secondo la Ostrom, al contrario di quanto afferma Hardin, i commons non sono spazi e risorse in regime di libero accesso, ma sono delineate e autogestite dalla comunità di riferimento sulla base di regole previste dal diritto consuetudinario. Inoltre l’autrice nega anche che il comportamento tipico di ogni persona sia quello riconducibile al free

45 E.Ostrom, Governare i beni collettivi, Marsilio,2006, cit pag 73.

46 G. Ricoveri, Elinor Ostrom e i beni comuni,Roma, 2013, p 1 e ss.

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23 rider .Infatti , pur ammettendo che all'interno di una comunità possano manifestarsi comportamenti individualistici ed egoistici , ritiene che questo non sia sempre necessariamente vero per tutti. Esiste quindi non solo l'homo oeconomicus, ma anche l'homo civicus, capace di instaurare rapporti con i suoi simili basati sulla cooperazione , fiducia e responsabilità verso gli altri membri della comunità. L'autrice dopo aver terminato l'analisi dei casi presi in esame, ha definito otto

“principi progettuali ” che costituiscono le basi fondanti per una gestione partecipata dei beni collettivi :

1)confini definiti in modo chiaro : “gli individui o le famiglie che hanno diritto di prelevare unità dalle risorsa collettiva sono chiaramente definiti , come pure i confini della risorsa collettiva stessa”

2) Congruenza : “La distribuzione dei benefici derivanti dalle regole di prelievo sono grosso modo proporzionali ai costi imposti dalle regole di forniture . Le regole di appropriazione che limitano tempo , luogo , tecnologia e/o quantità delle unità di risorsa sono stabilite in relazione alle condizioni locali”

3) Disposizioni di scelta collettiva : “la maggioranza degli individui interessati alle regole operativi possono intervenire nella modifica delle stesse”

4) Controlli : “I controllori, il cui compito è sorvegliare attivamente le condizioni delle risorse comuni e il comportamento degli utilizzatori sono direttamente incaricati dagli utilizzatori e/o sono gli utilizzatori stessi”

5) Sanzioni graduate : “Gli utilizzatori che violano le regole operative sono passibili di sanzioni (graduate in relazione alla gravità e al contesto dell'infrazione) da parte degli altri utilizzatori o di funzionari incaricati dagli utilizzatori o dagli uni e dagli altri”

(24)

24 6) Meccanismi di risoluzione dei conflitti : “Gli utilizzatori e i loro funzionari possono accedere rapidamente ad arene locali a basso costo per risolvere i conflitti tra utilizzatori o tra utilizzatori e funzionari”

7) Minimo riconoscimento del diritto ad organizzarsi : “il diritto degli utilizzatori a creare proprie istituzioni non è contestato dalle autorità governative esterne”

8) Per le risorse comuni che fanno parte di sistemi più ampi : Iniziative organizzate su diversi livelli “Il prelievo , la fornitura , i controlli , l'applicazione delle sanzioni , la risoluzione dei conflitti e le attività di gestione sono organizzati tramite iniziative organizzate su diversi livelli ”47

Dalla lettura di questi principi emerge che ci si trova di fronte ad un sistema di autogoverno di coloro che prelevano unità di risorse e non dei produttori. Le istituzioni previste dall’economista statunitense funzionano in quanto riescono a trovare una soluzione a gravi problematiche e lo fanno attraverso l'applicazione di regole di democrazia efficiente. Infatti si tende a far beneficiare della risorsa tutti coloro che ne avvertono il bisogno, mantenendo però l'utilizzo nei limiti compatibili con la sua conservazione. 48 Ecco perché la Ostrom ritiene che non esistano soluzioni istituzionali preconfezionate in quanto il dar vita a delle istituzioni richiede una molteplicità di informazioni nonché “un vasto repertorio di regole accettabili dal punto di vista sociale e culturale”49

47 E.Ostrom, Governare i beni collettivi, Marsilio,2006, cit pag 134 e ss.

48Luca Nivarra , Alcune riflessioni sul rapporto tra pubblico e comune, in Oltre il pubblico e il privato, Verona, 2012 p 77ess

49 E.Ostrom, Governare i beni collettivi, Marsilio,2006, cit pag 28.

(25)

25

1.2.5 Comune a chi ? Il ruolo della collettività

In dottrina oltre alle riflessioni che connettono i diritti fondamentali all'individuo interrogandosi sulla sua effettiva e concreta possibilità di accedere al bene, si ravvisa un altro filone dottrinale che incentra l'attenzione sulla collettività vista come soggetto che accede e gestisce il bene.

Maria Rosaria Marella definisce la comunità sulla base dei rapporti personali di solidarietà sociale che si dovrebbero instaurare o che già esistono in relazione all'utilizzo e godimento del bene comune.

L'autrice ritiene che esista una relazione circolare fra il bene comune e la comunità che lo abita : il bene comune viene individuato in relazione a quella comunità, ma a sua volta la comunità che ne beneficia è identificata attraverso il suo godimento. A tale proposito l'autrice porta l'esempio del bosco, nel quale risulta evidente il superamento della dicotomia soggetto – oggetto. Infatti il bosco può essere visto come oggetto, in quanto bene di appartenenza della comunità di riferimento e come soggetto, risorsa naturale, che garantisce la sopravvivenza ai suoi fruitori.50 Si evince quindi che “fra commons e comunità esiste una relazione per cui l'uno risulta costitutivo dell'altra e viceversa”51. Questa circolarità può venire meno a causa dell'appartenenza in via esclusiva del bene in capo ad un soggetto pubblico o privato, andando così a minare quei rapporti di solidarietà sociale che dovrebbero costituire la base delle relazioni personali all'interno della comunità.

Anche Ugo Mattei vede la comunità come luogo all'interno del quale nascono e si creano rapporti di cooperazione e solidarietà fra le persone. Questa trasformazione dei legami sociali determina

50 M.R Marella, Beni comuni. Oltre l’opposizione natura/cultura. In Lettera Internazionale In. 113 – III trimestre 2012, pp. 9-14

51 M.R.Marella, Oltre il pubblico e il privato Verona,2012, p 21.

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26 l'affermarsi dei beni comuni caratterizzati da una relazione diverse fra le persone e le persone e le cose.

L'autore critica l'attuale concezione giuridica occidentale fondata su

“un 'idea astratta di un ordine oggettivo che esisterebbe come una struttura reale indipendente rispetto alla stessa esistenza dei suoi fruitori e dei suoi interpreti”52. In effetti, la percezione dominante del diritto è quella di un insieme generale ed astratto di regole scritte sulla base delle quali gli attori sociali regolano i loro affari, senza tenere di conto dei soggetti che la interpretano.

Si richiama così la logica riduzionista e meccanicistica della modernità occidentale che si basa su un applicazione quasi meccanica del diritto ai fatti concreti della vita.53

Questa oggettivazione non può risultare valida , in quanto una legge senza un substrato sociale interpretativo , altro non è che un insieme di parole stampate.

Si evince così che le relazioni sociali non si basano su norme calate dall'alto, bensì sull'opera interpretativa delle leggi da parte dei vari soggetti pubblici o privati. La comunità di riferimento riveste così un ruolo fondamentale : riempie di significato le regole giuridiche esercitando un potere diffuso. In questo modo il diritto di ogni comunità può essere considerato un bene comune, in quanto appartiene alla comunità e prende vita dalla regolamentazione dei conflitti al suo interno. Secondo l'opinione dottrinale la collettività riveste quindi un ruolo decisivo nella gestione, fruizione e tutela dei beni comuni.

Per quanto riguarda il profilo di gestione e fruizione del bene la dottrina mette in luce l'importanza del contributo della comunità di riferimento. Infatti, questa attraverso l'utilizzo concreto del bene riesce a individuare quali siano le strategie migliori per una corretta gestione, tenendo di conto i bisogni e le necessità prioritari della comunità stessa.

52 Ugo Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Roma - Bari, 2012, p 55.

53 Ugo Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Roma - Bari, 2012, p 56.

(27)

27

1.2.6(Segue)Rilievi Critici.

Una parte rilevante della dottrina ha ritenuto opinabili le riflessioni in merito al ruolo preminente della “ comunità di riferimento ”.

Maria Rosaria Marella intravede dei problemi in merito all'individuazione della comunità di riferimento in quanto non è sempre così facile ed immediato riuscire a determinare criteri per definirla. Infatti in base alle risorse prese in esame la comunità di riferimento “può essere l'insieme delle persone che lavorano / studiano in una scuola , la popolazione di un quartiere , la popolazione di una metropoli , di una comunità nazionale o l'intera umanità”54 L'autrice propone l' esempio del sito archeologico di Pompei interrogandosi se è da considerare bene comune dell'umanità, delle italiane, o degli abitanti della zona. La risposta risulta di rilevante importanza in quanto ,coerentemente con quanto detto finora, è la comunità di riferimento incaricata del compito di gestione e tutela del bene.

Inoltre, un 'ulteriore problematica concerne proprio la stretta connessione tra commons e comunità di riferimento che può “ ridurre l'affermazione del comune a fattore di conservazione dello status quo antea ”55 nel caso in cui la collettività ponga in essere una politica di esclusione verso l'esterno esercitando lo jus excludendi alios . Infatti, come sostiene il giurista Antonio Gambaro, se “il diritto del singolo può concepirsi solo come diritto che esso possiede come membro del gruppo” 56 in questo modo “rilevano meccanismi di accesso al ed esclusione dal gruppo”57 Il pericolo che si profila riguarda il modo in cui la collettività si relaziona con i terzi estranei a quella comunità.

Infatti lo stretto nesso fra commons e comunità può determinare un incremento e rafforzamento dei legami etnici, sociali e quindi più in

54 M.R.Marella, Oltre il pubblico e il privato Verona,2012, p 22

55 Ibidem.

56 A.Gambaro, Relazione introduttiva in Fra individuo e collettività . La proprietà nel secolo XXI , Milano , 2013 p 19.

57 Ibidem.

(28)

28 generale di solidarietà solo al suo interno. La collettività assume, così, la veste di un proprietario individuale che nega l'accesso ai soggetti esterni a quella comunità, andando a minare l' obiettivo di concreta giustizia sociale.

Infatti secondo questa logica affermare la natura di bene comune di una determinata risorsa genera “ una più equa fruizione delle utilità inerenti quel bene all'interno della propria comunità di riferimento ”58 senza però determinare una ridistribuzione delle risorse in favore di cittadini appartenenti a comunità diverse. 59

Rodotà, prende le distanze dal ruolo preminente della comunità nei rapporti con il bene comune ed afferma che “è la logica del comune, non della comunità a fondare lo spazio dei beni comuni, sempre più globali a meno che , con quest'ultimo termine , non ci si voglia riferire alla comunità umana”60 L'autore vuole così evitare che l'appartenenza ad un determinato gruppo possa generare fenomeni di esclusione con conseguente innalzamento di barriere e conflitti fra soggetti. Infatti i beni comuni dovrebbero appartenere al genus umanità e quindi non possono essere delimitati da confini territoriali generando disuguaglianze sociali.

1.2.7 Cenni su Beni comuni e mercato

La categoria dei beni comuni si trova in evidente antitesi alla logica di mercato che ha generato l'attuale crisi economica. Infatti il sistema capitalistico ha cercato varie soluzioni per uscire dalla crisi con

58 M.R.Marella, Oltre il pubblico e il privato Verona,2012, p. 23

59 Si fa riferimento a proprietà collettive chiuse, istituti esistenti nel nostro ordinamento giuridico a cui è stata riconosciuta valenza costituzionale . Questi istituti si fondano su due criteri quali lo jus soli e jus sanguinis per determinare l'accesso alla comunità di riferimento . Chi non soddisfa questi criteri risulta estraneo alla comunità e quindi escluso dalla fruizione e godimento del bene in questione

60 Stefano Rodotà, Beni comuni : una strategia globale contro lo human divide . Postfazione, in Oltre il pubblico e il privato, Verona, 2012 p 327.

(29)

29 privatizzazioni, deregulation, aperture indiscriminate al mercato e il costante sfruttamento di manodopera e materie prime.

Si assiste anche ad un 'estensione graduale e incessante di creazione di un processo di materializzazione e mercificazione dei beni , anche di quelli naturali come l'acqua e l'aria che vengono trasformati in merci da vendere secondo le regole del mercato . Appare quindi evidente che in tale prospettiva il valore di scambio del bene è ritenuto l'elemento prioritario e di maggiore interesse dal sistema economico. I beni comuni si contrappongono a tale concezione ; infatti scrive Luca Nivarra “ il bene comune sarebbe un bene indisponibile a trasformasi in merce o , se si preferisce , in cui il valore d'uso prevale sul valore di scambio ”61

Anche Maria Rosaria Marella qualifica i beni comuni come quei beni che non seguono le regole del mercato concorrenziale, “prima di tutto quella del profitto62. L'autrice ritiene però che l'elemento qualificante dei beni comuni sia costituito dalla stretta relazione con il

soddisfacimento dei bisogni , specie quelli prioritari per la comunità . Quindi per l'autrice è fondamentale che tali beni sfuggano alla logica del mercato e del profitto.

Attraverso i beni comuni, si può tentare di costruire un modello alternativo per far coesistere in modo ottimale aspetti economici , sociali ed etici. Il linguaggio dei beni comuni si pone come obiettivo la protezione degli interessi della comunità rendendo inalienabili alcune risorse. David Bollier sottolinea che i beni comuni devo porsi al di fuori del sistema di mercato . Infatti L'autore scrive “ il paradigma dei beni comuni , non si rivolge primariamente ad un sistema di proprietà , contratti e mercati , ma a norme e regole sociali e a meccanismi legali che permettono alle persone di condividere la proprietà e il

61 Luca Nivarra , Alcune riflessioni sul rapporto fra pubblico e comune , in Maria Rosaria Marella , oltre il pubblico e il privato, Verona,2012 cit pag 70

62 M.R.Marella, Oltre il pubblico e il privato Verona,2012, p 25

(30)

30 controllo delle risorse 63. Il beni comuni hanno criteri di valutazione estremamente diversi da quelli tipici con il prodotto interno lordo o il fatturato di un 'azienda , ma si basano su “criteri più ricchi , più qualitativi e umanistici, difficili da misurare come la legittimazione morale, il consenso e l'equità sociale, la trasparenza nei processi decisionali, la sostenibilità ecologica 64

Tali autori mettono in evidenza che l'elemento qualificante del bene comune non è tanto l'assenza di una sua circolazione, quanto piuttosto la natura della fruizione. L'uso del bene si deve inserire in una

relazione fra le persone, componenti la collettività basata su principi di solidarietà. In questo modo il valore di scambio del bene risulta essere estremamente secondario rispetto al suo utilizzo.

Questa nuova forma di relazione fra le componenti della collettività e la gestione partecipata del bene può essere intesa come il mezzo per realizzare un 'economia che sia orientata ad una maggiore equità sia a livello sociale che a livello globale e più compatibile con i limiti dell'ambiente e le risorse della terra.

Questo spiega il motivo per cui il dibattito intorno ai beni comuni risulti estremamente vivace nei toni oltre che nei contenuti. Infatti si dibatte oltre il “perimetro di un accademico confronto delle idee, la controversia ha investito il piano politico-ideologico perché, in realtà non del solo modo in cui rendere escludibile un bene si discuteva, ma della superiorità di un modello di società su un altro”65

1.3.Il Lavoro della commissione Rodotà .

Risulta indispensabile, al fine di fornire un quadro completo delle riflessioni dottrinali, prendere in considerazione il lavoro svolto dalla

63 David Bollier , Lo sviluppo del paradigma dei beni comuni , in La conoscenza come bene comune dalla teoria alla pratica,Milano,2009 cit pag 32

64 Ibidem.

65 Luca Nivarra, Quattro usi di beni comuni per una buona discussione, in Riv.

Critica del diritto privato XXXIV,2016 cit p.51

(31)

31 Commissione Rodotà che ha tentato di fornire una definizione di beni comuni. Tale definizione anche se non si è mai trasformata in norma vera e propria. costituisce un valido punto di riferimento per tutti coloro che dibattono su questo tema.

La Commissione sui beni pubblici, presieduta da Stefano Rodotà, è stata istituita presso il Ministero della Giustizia, con Decreto del Ministro, il 21 giugno 2007, con l'obiettivo di redigere uno schema di disegno di legge delega al Governo per la novellazione del Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile.66

La proposta della Commissione è stata consegnata nel febbraio del 2008 , ma purtroppo non è mai stata discussa in Parlamento.

La commissione, tenuto conto dei cambiamenti tecnologici, ambientali ed economici che si sono succeduti dall'introduzione del codice civile ha preso atto dell'inadeguatezza della tassonomia dei beni pubblici . Infatti, nel nostro codice civile ,risultano sforniti di regolamentazione i beni immateriali e finanziari, beni di basilare importanza nei sistemi economici attuali.

Inoltre le risorse naturali (acque, ghiacciai, foreste .. etc.) sono soggette ad un lento, ma continuo processo di scarsità necessitando quindi una maggiore tutela da parte dell'ordinamento giuridico nel lungo periodo.

Un altro aspetto preso in considerazione dalla Commissione è stato la totale disarmonia tra la concezione dei beni pubblici prevista dal codice civile con i principi della nostra Costituzione.

Alberto Lucarelli, giurista membro della Commissione a tale proposito ha affermato che il regime codicistico dei beni pubblici “si rivela

66Componenti della Commissione : Stefano Rodotà ( Presidente ) , Ugo Mattei ( vicepresidente ) , Alfonso Amatucci , Felice Casucci , Marco D'Alberti , Daniela Di Sabato , Antonio Gambaro , Antonio Genovese , Alberto Lucarelli , Luca Nivarra , Paolo Piccoli , Mauro Renna , Francesco Saverio Marini , Giacomo Vaciago . Composizione della Segreteria Scientifica : Edoardo Reviglio , Daniela Bacchetta , Roberto Calvo , Maria De Benedetto , Alessandra Manente Comunale , Nicoletta Rangone , Giorgio Resta , Stefano Toro.

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