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L’orchifunicolectomia per via inguinale è sempre il primo atto, insieme

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Academic year: 2021

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6. Terapia

Le esperienze recenti hanno dimostrato che tutti i tipi istologici di tumore del testicolo, in qualunque stadio, sono potenzialmente guaribili. Le attuali conoscenze sulla terapia sono derivate dalla conoscenza della storia naturale di queste neoplasie, dalla possibilità di studiare la malattia in modo relativamente accurato e dalla disponibilità dei mezzi terapeutici adeguati.

In linea generale, la terapia delle neoplasie germinali del testicolo è differenziata per malattia in fase locoregionale e malattia in fase avanzata. Le principali differenze nel trattamento derivano, sostanzialmente dalla notevole radiosensibilità dei tumori seminomatosi rispetto a quelli non-seminomatosi.

6.1 Chirurgia

L’orchifunicolectomia per via inguinale è sempre il primo atto, insieme

terapeutico, diagnostico e studiante. Successivamente le modalità di trattamento delle

neoplasie del testicolo variano a seconda del tipo istologico (seminomi e non-

seminomi),dell’estensione clinica della malattia e dai fattori prognostici [13]. Deve

essere eseguita con apertura del canale inguinale e sezione del funicolo a livello

dell’anello inguinale interno: Ogni manipolazione del testicolo deve essere preceduta

dal clampaggio del funicolo e nei casi dubbi questa può essere realizzata con una

pinza vascolare che permetta la conservazione dell’organo in caso di patologia

benigna. L’inosservanza di tali precauzioni, o l’orchiectomia semplice (nonchè

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l’agoaspirato) espongono alla recidiva nello scroto e nei linfonodi inguinali. Tale eventualità può verificarsi in pazienti in cui il drenaggio linfatico è stato alterato da interventi chirurgici pregressi come orchidopessi, e in questi è necessario procedere ad una chirurgia di radicalizzazione che, a seconda dei casi, può anche comprendere un’emiscrotectomia e/o una linfoadenectomia inguino-crurale omolaterale.

Figura 3. Preparato operatoria dopo orchifunicolectomia; nell’inserto è visibile al taglio nodulo biancastro sottoalbugineo, risultato essere un tumore seminomatoso.

La linfoadenectomia retroperitoneale, eseguita di norma per mezzo di un

accesso laparotomico xifo-pubico, deve essere eseguita solo dopo orchiectomia,, in

modo da conoscere esattamente il tipo istologico della neoplasia. Di norma è indicata

in tutti i tumori all’infuori del seminoma puro o del coriocarcinoma puro. La

linfoadenectomia eventualmente associata alla resezione delle metastasi extra-

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linfonodali, può trovare indicazione anche in casi di seminoma in stadio IIb, o con malattia metastatica residua al trattamento radio-chemioterapico.

I non-seminomi in stadio I o IIa, con marcatori tumorali negativi o normalizzati dopo orchiectomia, rappresentano l’indicazione più diffusa per la linfoadenectomia;

ciò ha doppio significato: di stadiazione patologica (circa il 25% dei casi in stadio I clinico rivela la presenza di piccolo metastasi linfonodali e circa la metà dei casi in stadio IIa con marcatori negativi ha linfonodi istologici negativi), e di trattamento curativo.

La possibilità di guarigione mediante chirurgia estesa, è infatti molto elevata:

per lo stadio I del 90%, per lo stadio IIa del 70-75%. Nei casi in stadio clinico IIb e IIc, la linfoadenectomia deve essere proposta al trattamento chemioterapico, che per lo più ottiene una regressione misurabile del volume della malattia. In tali casi è tuttavia possibile che l’intervento non sia tecnicamente possibile e ciò risulta spesso evidente solo dopo apertura dell’addome.

Tutto il tessuto linfatico e connettivale lungo i grossi vasi deve essere asportato meticolosamente e l’estensione della dissezione è stato soggetto di recenti revisioni.

La linfoadenectomia retroperitoneale tradizionale comporta l’asportazione di tutto il tessuto linfatico dalle regioni sopra-ilari renali sino alla biforcazione dei vasi iliaci, in senso trasversale, da un uretere all’altro.

Il mappaggio dei linfonodi asportati mostrò successivamente che i pazienti con

malattia di volume limitato raramente presentavano metastasi nelle regioni sopra-ilari

e controlateralmente.

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Queste osservazioni condussero a modificare l’estensione della dissezione: il vantaggio di una dissezione limitata ad un solo lato risiede nel fatto che le fibre del simpatico, controlaterali al tumore, vengono risparmiate, con conservazione della eiaculazione nella maggioranza dei casi. Successivamente risultò che il decorso delle fibre simpatiche efferenti è prevedibile e che tali fibre possono essere conservate bilateralmente durante la dissezione linfatica, conservando praticamente in tutti i casi l’eiaculazione, senza compromettere la radicalità (dissezione nerve-sparing).

Figura 4. Schema consigliato di linfoadenectomia retroperitoneale nel caso di tumore sinistro (A) e destro (B).

Pertanto, se la TC è negativa e non vi sono adenopatie palpatoriamente sospette (stadio I clinico), la linfoadenectomia può essere praticata con tecnica nerve sparing.

Nei casi con evidenza di metastasi monolaterali inferiori a 2 cm, è possibile una

dissezione con risparmio delle fibre simpatiche controlaterali. In caso di metastasi di

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dimensioni maggiori, usualmente pretrattate con chemioterapia, una chirurgia di risparmio è spesso impossibile e talora non sicuramente radicale. Nei pazienti con neoplasia pT4 o in testicolo ritenuto è obbligatoria la linfoadenectomia iliaco esterna e della fossa otturatoria omolaterale.

La linfoadenectomia si può considerare completa quando tutto il tessuto linfatico compreso nell’area prevista per la dissezione, viene asportato e non vi sono state rotture di linfonodi durante l’atto chirurgico. La sopravvivenza a 5 anni è influita sia dall’interessamento istologico dei linfonodi retroperitoneali, sia dalla completezza o meno della linfoadenectomia.

La chirurgia trova indicazione anche nelle metastasi residue a trattamento chemioterapico o radioterapico, situate in sedi aggredibili con relativa facilità.

Dopo un intervento di linfoadenectomia retroperitoneale ben eseguito, le

ricadute avvengono quasi solo in organi distanti, in particolare i polmoni. Tale rischio

è circa il 10% nei casi con linfonodi istologicamente negativi e del 25-30% in quelli

con piccoli (<2 cm) linfonodi positivi. Poiché le metastasi a distanza sono facilmente

diagnosticabili ripetendo ogni 1-3 mesi il dosaggio dei biomarcatori tumorali, la

radiografia del torace e palpando le fosse sopraclaveari, questi pazienti possono

essere tenuti sotto controllo per il periodo a rischio (3 anni) e trattati con

polichemioterapia solo in caso di ricaduta. Tuttavia la maggior parte degli oncologi (e

dei pazienti informati) preferisce utilizzare una polichemioterapia adiuvante per

eliminare, o ridurre al minimo, il rischio di metastasi polmonari. [13-14]

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6.2 Radioterapia

La radioterapia costituisce il trattamento per eccellenza nei seminomi in stadio I e IIa. I linfonodi, inclusi nel campo di irradiazione, sono gli iliaci esterni omolaterale, gli iliaci comuni bilaterali, i paracavali e i para-aortici, sino alla cisterna del chilo. Il trattamento del mediastino è stato abbandonato negli stadi I e IIa in quanto ritenuto inutile. La dose abituale è di 20 Gy in frazioni giornaliere. Per il seminoma allo stadio II non sempre vi è accordo per la suddivisione in base alle dimensioni dei linfonodi, comunque la radioterapia sottodiaframmatica ottiene ottimi risultati in caso di adenopatie inferiori ai 5 cm di diametro.

Negli stadi IIa solo il 10% dei pazienti presenta ripresa di malattia dopo radioterapia, mentre negli stadi IIb sino a 5 cm il tasso di ripresa è del 18%, ma per adenopatie > 5 cm sale al 38%.

La radioterapia trova la sua più utili applicazione a scopo palliativo, soprattutto in presenza di fatti compressivi a livello epidurale, mediastinico o dell’ilo epatico o renale, e di metastasi cerebrali. In genere l’efficacia della radioterapia palliativa è più spiccata per i seminomi rispetto ai non-seminomi, specie se questi ultimi sono presenti in masse voluminose.

6.3 Chemioterapia

I farmaci attualmente disponibili e i nuovi schemi terapeutici hanno nettamente

migliorato la possibilità di controllare l’evoluzione clinica di tutti i tumori del

testicolo in fase avanzata. I trattamenti attuali sono infatti in grado di ottenere una

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guarigione reale in una percentuale considerevole di pazienti. Il trattamento farmacologico di scelta è oggi costituito per tutti i tumori germinali del testicolo dalla polichemioterapia. La somministrazione di tutti i trattamenti richiede esperienza,

cautela, adeguata terapia di supporto (idratazione, diuretici), oltre ad un sistematico

monitoraggio ematochimico e radiologico. Attualmente lo schema PEB (cisplatino,

etoposide, bleomicina) è ritenuto il trattamento farmacologico di prima scelta per

quasi tutti i pazienti con neoplasia del testicolo (seminomi e non-seminomi) [15]. Le

polichemioterapia con cisplatino risultano superiori di almeno del 10% rispetto a

quelle con carboplatino; quindi il cisplatino è il farmaco di scelta nella

polichemioterapia convenzionale. Il vantaggio dello schema PEB nei confronti del

precedente utilizzato PVB (cisplatino, vinblastina, bleomicina), è la riduzione della

tossicità midollare e neuromuscolare, in quanto le percentuali di remissione completa

sono sovrapponibili. Il trattamento è oggi consigliato per 4 cicli rispettando il più

possibile la massima intensità di dose. Sia il PVB che la PEB sono in grado di

produrre remissioni complete (con negativizzazione dei marcatori biologici) nel 60-

70% dei pazienti con non-seminoma, mentre in un altro 10-30% la remissione

parziale ottenuta diventa completa solo dopo asportazione chirurgica dei residui

tumorali. In presenza di un volume metastatico considerevole (adenopatie >5 cm di

diametro, metastasi polmonari in numero superiore a 5 e >2 cm di diametro,

invasione epatica), o di un livello di marcatori elevato, la percentuale di remissione

completa dopo PEB è inferiore (35-45%) rispetto a quella che si ottiene in presenza

di malattia metastatica di minima entità (80-85%). In oltre due terzi dei casi che

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ottengono la regressione completa, lo stato di remissione tende ad essere duraturo.

Dal momento che la maggior parte delle ricadute avviene durante i primi 12 mesi, si può affermare che se la remissione completa persiste dopo il secondo anno dal termine del trattamento la possibilità di ottenere una vera guarigione è molto elevata.

In pratica se non si ottiene una risposta completa entro il terzo ciclo, le possibilità di guarigione con la stessa terapia sono nulle. Non è invece necessaria una terapia di mantenimento, nei casi valutati accuratamente, agli effetti di prolungare la remissione completa iniziale. Tuttavia è bene ricordare che se l’intervento chirurgico post- chemioterapia mostra presenza di malattia residua, è opportuno prendere in considerazione la somministrazione di altri due cicli di chemioterapia.

Poiché la polichemioterapia è fornita di notevole tossicità, vi sono stati o sono

in corso, tentativi di ridurre le dosi di uno dei farmaci componenti gli schemi

convenzionali, o di eliminarne uno nei casi in buona prognosi. Alcuni studi

controllati, sembrano aver evidenziato che 360 mg di etoposide equivalgono alla dose

considerata standard di 500 mg, mentre l’eliminazione della bleomicina dallo schema

PEB (=PE) si è dimostrata meno efficace. Anche la sostituzione del cisplatino col

carboplatino (CEB verso PEB) si è dimostrata meno efficace. Per converso, il

confronto tra quattro cicli di PEB si sarebbe dimostrato equivalente a tre cicli. Nei

centri in cui si pratica la chemioterapia adiuvante dopo chirurgia, anche

apparentemente radicale, nei casi in stadio II, usualmente vengono praticati solo due

cicli di chemioterapia e recentemente si è prospettato che la bleomicina può essere

omessa in regime adiuvante. La chemioterapia standard (PEB) è in gradi ottenere il

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70-80% di risposte complete. Ciò evidentemente significa che almeno il 20% dei pazienti è affetto da tumori germinali resistenti a tale regime polichemioterapico.

In caso di fallimento delle terapie di prima linea, o in presenza di ripresa di malattia, sono indicate terapie di salvataggio di seconda e anche di terza linea. Queste devono essere seguite, ove possibile, dall’asportazione chirurgica dei residui di malattia.

Se la chemioterapia iniziale era stata effettuata con PEB, nei pazienti che non raggiungono la remissione clinica completa, oppure che presentano una ricaduta precoce (entro 12 mesi) dalla remissione clinico-patologica completa, la terapia di salvataggio di seconda linea è costituita dalla associazione cisplatino, etoposide e ifosfamide (PEI).

I pazienti con ricaduta dopo i 12 mesi possono essere ritrattati secondo lo schema PEB, oppure con PEI.

Un’alternativa è l’associazione vinblastina, ifosfamide, cisplatino (VeIP) usata sovente come terapia di terza linea. Con il VeIP si possono ottenere risposte complete nel 25-35% dei caso notevolmente protrattati, per cui tale regime è stato adottato anche come terapia di prima linea, ottenendo risposte complete nel 36-50% dei casi.

In caso di salvataggio, il decremento dei marcatori costituisce un importante fattore prognostico: una riduzione ritardata è spesso associata alla mancanza di risposta.

Recentemente si è usato il paclitaxel come monoterapia di salvataggio, ottenendo

risposte maggiori nel 20% dei casi, per cui sono allo studio regimi comprendenti, ad

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esempio, paclitaxel, ifosfamide e cisplatino, che sembrano ottenere il 70% di risposte complete durature.

La PEB viene utilizzata con successo anche in presenza di coriocarcinoma puro (tutti gli stadi una volta eseguita l’orchiectomia radicale). Le percentuali di regressione completa sono in complesso analoghe a quelle riportate per gli altri non- seminomi e dipendono soprattutto dall’estensione della massa tumorale. I casi resistenti alla PEB devono essere trattati con methotrexate da solo o associato a adriamicina se si tratta di coriocarcinoma puro; con VeIP o con adriamicina.[16-17- 18]

6.4 Strategia globale

Seminomi

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Stadio clinico I. Vi si trova circa il 70% circa dei seminomi. Il trattamento di scelta è rappresentato, dopo l’orchifunicolectomia, da una radioterapia adiuvante profilattica sui linfonodi regionali.

Stadi clinico IIa e IIb. Costituiscono il 20% circa dei seminomi al momento della diagnosi. Il trattamento di scelta è la radioterapia.

Stadi IIc e III. Rappresentano il 5-10% residuo dei tumori al momento della diagnosi. Queste neoplasie debbono essere considerate in fase avanzata e, come tali, trattate con chemioterapia sistemica utilizzando gli schemi di trattamento impiegati per i tumori non seminomatosi.

Le recidive vanno trattate con le stesse modalità sopra riportate in rapporto allo stadio clinico al momento della diagnosi.

La prognosi dei seminomi in stadio clinico I, sottoposti a trattamento adeguato è ottima, con probabilità di guarigione dell’ordine del 95-100%; questa probabilità si riduce al 75-90% dei casi nei soggetti con malattia negli stadi clinici II e III.[5]

Non-seminomi

Stadio clinico I, basso rischio (pT1, senza invasione vascolare):

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1. Se il paziente è favorevole e capace di adattarsi ad una politica di follow up a lungo termine (almeno 5 anni), la sorveglianza clinica è il trattamento raccomandato;

2. Per i pazienti non favorevoli a sottoporsi a sorveglianza, come opzioni rimangono la chemioterapia adiuvante e la linfoadenectomia retroperitoneale con conservazione dei nervi. Se la linfoadenectomia rivela linfonodi positivi (coinvolgimento linfonodale), andrebbe considerata la chemioterapia con 2 cicli di PEB [20].

Stadio clinico I, alto rischio (pT2- pT4):

1. E’ raccomandata chemioterapia primaria con 2 cicli di PEB;

2. La sorveglianza, o la linfoadenectomia retroperitoneale con conservazione dei nervi, rimane l’opzione per quei pazienti che non sono favorevoli a sottoporsi a chemioterapia adiuvante. Se si riscontra alla linfoadenectomia uno stadio II, è consigliata un ciclo ulteriore di chemioterapia.

La prognosi dei non-seminomi in stadio clinico I sottoposti ad adeguato è ottima, con probabilità di guarigione superiori al 90%.

Stadio clinico IIa-b.

Costituiscono lo stadio di presentazione nel 40% circa dei casi. È consenso

generale che in tutti i casi di non seminoma avanzato, si dovrebbe cominciare il

trattamento con la chemioterapia, tranne nei casi di non se minima con bassi livelli di

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markers tumorali in cui l’alternativa potrebbe essere la linfoadenectomia retroperitoneale o la sorveglianza [21]. Questi sono rari casi di stadio IIa/IIb senza elevazione dei markers che potrebbe ro rivelare un teratoma differenziato metastatico.

I non-seminomi in stadio IIa/IIb, con elevati markers tumorali, potrebbero essere trattati, in accordo con l’IGCCCG per i non-seminomi a “prognosi buona o intermedia”, con tre o quattro cicli di PEB, seguita da una resezione tumorale. Circa il 30% dei pazienti non realizzeranno una completa remissione dopo chemioterapia e avranno bisogno di una resezione del tumore residuo.

Per i pazienti non disposti a sottoporsi ad una chemioterapia primaria, in caso di malattia metastatica (IIa/IIb), c’è la possibilità di eseguire una linfoadenectomia

“nerve-sparing” con chemioterapia adiuvante (due cicli di PEB). La chemioterapia primaria e la linfoadenectomia primaria sono paragonabili per quanto riguarda gli esiti, ma gli effetti collaterali e la tossicità sono differenti, tenendo conto dell’implicazione del paziente nella selezione del trattamento di scelta.(22-23-24) Stadio clinico IIc e III.

Il trattamento di scelta di questi stadi, è rappresentato, come di consueto dopo

orchifunicolectomia, dalla chemioterapia sistemica. L’efficacia raggiunta dalla

moderna chemioterapia è elevatissima, 3 o 4 cicli della combinazione PEB sono in

grado di determinare remissioni complete in oltre l’85% dei casi, con modesta

tossicità. Le eventuali recidive di malattia, dell’ordine del 20%, vanno trattate con

chemioterapia di salvataggio che può essere rappresentata da combinazioni

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comprendenti Cisplatino e Ifosfamide o da schemi ad alto dosaggio con supporto

midollare periferico.

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