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Va rilevato che, nonostante la spinta all’internazionalizzazione, le imprese

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Academic year: 2021

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Premessa

Il sistema industriale italiano è caratterizzato dalla prevalenza delle piccole e medie imprese (PMI). Inoltre, le medie imprese rappresentano oltre la metà delle multinazionali italiane con attività produttiva all’estero. Deve essere sottolineato come il protagonismo all’estero delle imprese minori abbia compensato, negli ultimi anni, il contestuale scarso dinamismo delle grandi imprese italiane che, dopo essere state artefici quasi esclusive dell’espansione multinazionale italiana nella seconda metà degli anni Ottanta, appaiono oggi, con poche eccezioni, in crisi. Dal punto di vista settoriale la maggiore concentrazione di multinazionali si ha nei settori specialistici della meccanica ed elettromeccanica strumentale e nei settori tradizionali ove maggiore è la forza competitiva del paese, quali i prodotti in metallo, l’abbigliamento, i prodotti in legno. Nel grande scacchiere di opzioni internazionali determinate dalla crescente globalizzazione dei mercati, emerge dunque un’Italia delle medie imprese che, oltre ad orientarsi verso l’Unione Europea, ormai vista come “mercato domestico”, sta sviluppando la presenza nei paesi asiatici e americani.

Le imprese minori colgono all’estero opportunità di crescita in grado di valorizzare le loro risorse distintive, attivando un processo complementare e non sostitutivo della crescita delle attività originarie. Tali imprese delocalizzano le loro attività all’estero in ragione, sia del mutare dei vantaggi comparati di paese (costo del lavoro, delle materie prime, ecc.), sia dell’emergere di vincoli allo sviluppo, dovuti al deterioramento delle dotazioni infrastrutturali e alle strozzature nell’offerta di risorse da parte dei contesti locali.

Va rilevato che, nonostante la spinta all’internazionalizzazione, le imprese

italiane rimangono poco internazionalizzate e poco capaci di competere sui

mercatiinternazionali, rispetto alle concorrenti europee e statunitensi. Ciò può

essere motivato con un sostanziale ritardo, ma anche con motivazioni

scoraggianti gli investimenti all’estero. In primo luogo, vi è un significativo

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PREMESSA

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trade-off tra riduzione dei costi, ottenibile tramite decentramento internazionale della produzione, ed altri fattori critici, quali la sicurezza degli approvvigionamenti, la qualità del prodotto, i tempi di consegna e il servizio al cliente; in secondo luogo, gli investimenti diretti all’estero espongono le imprese ad una serie di rischi aggiuntivi, fra i quali un ruolo di rilievo è assunto dai rischi finanziari.

I rischi finanziari non riguardano solamente le aziende che importano o esportano, ma anche quelle che operano nel mercato delle materie prime, acquistando, vendendo e trasformando, e quelle che si indebitano nel medio- lungo termine, esponendosi al rischio di variazione dei tassi di interesse. A queste condizioni di natura micro-economica si aggiungono gli effetti macro- economici, in base ai quali l’andamento economico, in termini di crescita della domanda, di tasso di inflazione, tasso di interesse e cambio dei principali paesi, ha impatto sulle aziende. Il mercato finanziario nel quale le imprese operano è, quindi, altamente mutevole e spesso imprevedibile. Questi mutamenti dei mercati finanziari generano i rischi cui l’azienda è esposta per il semplice fatto di operare nel mercato stesso: vendere, acquistare, produrre, sostenere costi, investire, indebitarsi, espongono l’azienda a rischi la cui prevedibilità è sempre più labile. I rischi, quindi, non possono essere evitati o ignorati, fanno parte del business aziendale e, come tutte le altre aree del business, anch’essi devono essere gestiti:

il risk management è appunto la metodologia tecnica di comprensione e gestione del rischio. 1 Questo lavoro intende analizzare la necessità per le aziende di gestire il rischio relativo ai rapporti con l’estero e le pratiche di risk management applicabili, con particolare attenzione al rischio di cambio.

L’analisi delle pratiche di risk management relative alle attività con l’estero, svolta in questo lavoro di tesi, ha inizio nel primo capitolo nel quale vengono richiamati i principali rischi a cui le aziende non finanziarie possono essere

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Facile E., Tronchetti Provera M., “La gestione dei rischi finanziari nell’azienda industriale”, Finaudit

Ernst & Young, Il Sole 24 Ore, 1996, pp. 2-3

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XIII esposte nell’ambito della loro attività, ponendo l’attenzione all’utilità delle pratiche di risk management nell’ambito della gestione dei rischi a cui le aziende vengono esposte in seguito all’instaurazione di rapporti con l’estero: rischio di credito connesso ad attività con l’estero e rischio di cambio. Il rischio di tasso di interesse è ritenuto marginale e non è stato affrontato in modo dettagliato. Dopo aver definito le esposizioni aziendali connesse alle attività con l’estero, nel secondo capitolo, è stata svolta un’analisi delle principali tecniche di gestione.

Innanzi tutto, sono state affrontate le principali tecniche di gestione del rischio di credito, quali il factoring e il forfaiting, gli strumenti assicurativi ed alcune tipologie di derivati creditizi. In seguito, è stata presentata un’analisi della gestione del rischio di cambio, rischio sul quale questo lavoro di tesi concentra l’attenzione. Dopo aver definito l’utilità dell’implementazione di una strategia aziendale di gestione di detto rischio, è stata posta l’attenzione sugli strumenti e sulle metodologie a disposizione delle aziende per porre in essere una politica di gestione: gli strumenti derivati, quali forward e future, swap ed opzioni, e strategie operative, quali indebitamento all’estero attraverso operazioni di matching dei flussi di cassa, debito incrociato e prestiti paralleli.

Al fine di verificare le esposizioni aziendali derivanti dalle attività intrattenute

con l’estero e le caratteristiche, oltre che l’utilità, delle singole tecniche di

gestione dei rischi ad esse connessi, è stata presa in esame, nel terzo capitolo, una

media azienda toscana presso la quale è stato svolto un periodo di stage: la

Fosber S.p.A.. Tale azienda è stata scelta poiché ritenuta un esempio delle medie

imprese italiane che hanno deciso di percorrere la via dell’internazionalizzazione

attraverso l’istituzione di sedi operative all’estero e la vendita dei propri prodotti

in tutto il mondo. Prendendo in esame l’esposizione ai rischi di cambio e di

credito verso l’estero di tale azienda, sono state poi prese in esame le varie

tecniche di copertura disponibili ed evidenziati limiti operativi e vantaggi per

ognuna di esse. Dopo aver introdotto l’azienda nel terzo capitolo, è stata svolta

l’analisi della gestione del suo rischio connesso alle attività con l’estero. Per

prima cosa è stata descritta la strategia di gestione del rischio di credito, per la

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PREMESSA

XIV

gestione del quale proponiamo l’indice ERC (indice di esposizione al rischio di credito) da noi costruito. Dopo aver l’analisi del rischio di credito, è stata descritta la politica di gestione del rischio di cambio implementata dall’azienda.

Infine, è stata svolta un’analisi empirica comparata dell’utilizzo di altre

metodologie di gestione relativamente al rischio di cambio, ponendo l’attenzione

sull’utilizzo dei contratti di opzione ed individuando le strategia ritenute

maggiormente adatte ad aziende di medie dimensioni con bassa propensione al

rischio, come nel caso della Fosber S.p.A..

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