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Post Scriptum: Stati Uniti ed Europa, alcune considerazioni alla luce delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

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Post Scriptum: Stati Uniti ed Europa, alcune considerazioni alla luce

delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

La comparsa e diffusione dei movimenti per i diritti delle minoranze sessuali e il loro progressivo riconoscimento in Europa è legata in modo indissolubile allo sviluppo di istituzioni giuridiche internazionali dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1950 venne varata la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e fondata un omonima corte internazionale (CEDU), ispirata alla Corte Internazionale di Giustizia, con sede a Strasburgo. La CEDU ha partecipato al processo di affermazione dei diritti per le minoranze sessuali e come riportato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti in

Lawrence v Texas, a essa va il merito di aver riconosciuto già nel 1981 con Dudgeon v The United Kingdom1 il diritto alla privacy per gli omosessuali, identificando nella

criminalizzazione della sodomia consensuale tra adulti una violazione della Convenzione, plasmando l'identità omosessuale moderna ed europea ma non senza sollevare critiche.

La Corte infatti si era mostrata fortemente ostile agli stessi appelli portati avanti dai cittadini omosessuali nei primi decenni della sua istituzione. Risale al 1955 W.B v

Federal Republic of Germany2, il primo caso di rimostranza alla Corte per l'arresto e

la condanna di un cittadino tedesco per omosessualità, in violazione del paragrafo 175 del codice criminale della Repubblica Federale Tedesca. Il querelante, condannato a quindici mesi di carcere, si appellò denunciando la violazione di numerosi articoli della Convenzione. La Corte si focalizzò unicamente sulla violazione dell'articolo Otto, ( “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza [...] Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla 1 Dudgeon v U.k., No.7525/76, 22/10/1981

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protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.” ) stabilendo il precedente fondamentale su cui si sarebbero basare tutte le successive rivendicazioni. La Corte respinse comunque le accuse di violazione dei diritti invocati dal querelante e affermò come la Convenzione concedesse agli stati firmatari discreti “margini di apprezzamento” nel regolamentare la morale sessuale. Tale margine era ufficiosamente fissato sulla legittimità del legislatore a esercitare autorità di controllo dell'ordine pubblico anche in fatti svoltisi in privati, ma nella realtà tale limite si è spesso molto malleabile e discrezionale, andando a scapito proprio di quei diritti umani che la Commissione doveva tutelare.3

L'atteggiamento di disinteresse della CEDU verso la condizione degli omosessuali, pur comune ad altri contesti sociali e giuridici fino agli anni Settanta e Ottanta, appare particolarmente significativa sul piano morale nell'ambito della Germania Federale. Infatti il regime Nazista, applicando il paragrafo 175 alla macchina totalitaria dello sterminio, aveva arrestato, classificato e deportato migliaia di omosessuali e lesbiche nei campi di concentramento, distruggendo il mondo della prima sottocultura omosessuale nata durante il breve periodo della Repubblica di Weimar. La CEDU, che pur era sorta in risposta alle violazioni di massa dei diritti umani compiuti dal regimi nazista e dei suoi alleati, tardò a lungo a riconoscere come la difesa di tale legge entrasse in conflitto con la propria missione storica.

La difficoltà giuridica a riconoscere i diritti del soggetto omosessuale ha spesso spinto gli studiosi e gli intellettuali a condannare la presunta universalità dei “diritti Umani”, mantenendo un atteggiamento critico nella loro capacità di trasmettere un vero messaggio di libertà ed emancipazione. Si è così sostenuto che le corti tendano a reificare i rapporti asimmetrico, reificando un discorso normativo nella struttura della giurisprudenza che limita la dimensione degli spazi di libertà per gli omosessuali, alimentato da ragioni politiche (mantenere il consenso degli stati) che dal sapere scientifico e dall'autonomo esercizio di interpretare la Convenzione. Tuttavia, se ci si limitasse all'elemento normativo delle sentenze della Corte si perderebbe il ruolo 3 Paul Johnson, Homesexuality and European Court of Human Rights, Routledge, New York, 2013, pag.19-41

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performativo delle parti in causa. In questo caso le sentenze possono essere viste come un mezzo importante tramite cui la costruzione sociale della sessualità è sfidata.4

Nonostante la sentenza sul caso W.D.B v Germany, una prima generazione di omosessuali continuò ad appellarsi e confrontarsi con il parere della Corte, persuasa, più che dall'imparzialità dei giudici, dalla certezza che gli sviluppi giuridici avrebbero aggiunto nuovi elementi a cui appellarsi. Questo sviluppo avvenne infine in

Dudgeon, quando si riuscì a condannare la buggery law inglese capovolgendo le sue

precedenti letture. I giudici riconobbero che il ricorrente, pur non essendo stato accusato o processato per sodomia, fosse minacciato da una legge che lo criminalizzava in base alla sua identità:

“In the personal circumstances of the applicant, the very existence of this legislation continuously and directly affects his private life […] either he respects the law and refrains from engaging – even in private with consentig male partners – in prohibited sexual acts to which he is disposed by reason of his homosexual tendencies, or he commits sich acts nd thereby becomes liable to criminal prosecution”5

I ricorrenti, testimoniando presso la Corte la loro esperienza e sfruttandola come strumento performativo, hanno potuto partecipare alla costruzione ontologica dell'omosessualità, resistendo alla narrazione culturale che la definiva come vizio morale e trasformandola in un elemento immutabile dell'identità umana, tale da essere incluso nel novero dei diritti. Dudgeon ha plasmato la Corte, stimolando l'interpretazione della Convenzione quale “living istitution”, non senza che questo ponesse dei limiti. Dopo il 1981, divenne consuetudine privilegiare la contestazione per il solo articolo ottavo, ostacolando il riconoscimento della discriminazione sotto l'articolo quattordici ( “[...] Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra 4 Johnson, Homosexuality and the European Court, (cit.) pp.41-59

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condizione.” ). La violazione dei diritti contenuti in un singolo articolo non presuppone necessariamente la violazione del resto dei diritti sostanziali riconosciuti sotto la Convenzione.

Nel corso degli anni Novanta e dei primi anni Dieci una graduale apertura all'applicazione dell'articolo Quattordici ha coinvolto l'operato della Corte. Le sentenze hanno testimoniato la capacità dei giudici di recepire i sempre maggiori riconoscimenti scientifici a favore di una percezione positiva dell'omosessualità, mentre le nuove frontiere dei diritti giuridici raggiunte dalle minoranze sessuali delle nazioni Europee più avanzate hanno mostrato lo spostamento degli equilibri all'interno del consenso degli stati europei. La prima testimonianza di questo sviluppo è stata l'utilizzo dell'articolo Otto della Convenzione in combinato disposto all'articolo Quattordici nella pronuncia della CEDU sulle leggi inglesi che prevedevano una disparità nell'età nel consenso sessuale per gli omosessuali in

Sutherland v Uk6. La sentenza costituì una pietra miliare nella giurisprudenza

internazionale, poiché la Corte scartò la principale motivazione su cui la legge si legittimava ovvero l'accusa di un diverso appetito sessuale degli omosessuali rispetto agli eterosessuali, nonché l'imputazione di una maggiore tendenza predatoria verso i minori, accettato in passo quale motivo legittimo.

Su una base simile la Corte respinto il divieto di pratiche sessuali tra più partner in

A.D.T. v the United Kingdom7, respingendo la connessione tra la diffusione delle

malattie veneree e il diverso stile di vita degli omosessuali quale elemento di giustificazione ad intrusioni lesive del diritto di privacy per questa categoria di cittadini. In Salguiero da Silva Mouta c. Portogallo8 la Corte emise la sua prima

sentenza in cui l'Articolo 14 fu applicato a un ambito esterno alla privacy sessuale domestica. Nel caso di un cittadino portoghese, la cui richiesta di affido della figlia biologica era stata esclusa sulla considerazione che la bambina dovesse crescere in una “famiglia tradizionale portoghese”, la Corte riconobbe una violazione degli articoli 14 e 18 della Convenzione. Il caso Salguiero ha fatto da modello per le 6Sutherland v Uk, No.25186/83, 21/05/96,01/07/97,27/03/01

7A.D.T. v the United Kingdom, No.35767/97, 31/07/2000

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successive sentenze sui casi di disparità di trattamento e discriminazione dei diritti familiari e sociali per i conviventi omosessuali rispetto a quelli eterosessuali, in un regime legale di virtuale uguaglianza. In Karner v Austria9 la Corte ha dichiarato

illegittimo negare a un cittadino austriaco omosessuale il diritto a succedere sulla proprietà del convivente sempre sulla base della violazione del combinato disposto degli articoli 14 e 8. Una simile violazione è stata osservata in Kozak c. Polonia10 per

il caso della mancata successione nel contratto di locazione del partner deceduto di un cittadino omosessuale polacco. In P.B. And J.S. c. Austria11 per il rifiuto delle autorità

austriache di estendere la copertura assicurativa sanitaria al convivente di un cittadino omosessuale, la Corte ha riconosciuto la discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale. Nonostante questi successi, la Corte è stata molto cauta a estendere l'Articolo Quattordici in congiunzione all'articolo Dodici ( “A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto.” ). La CEDU ha preferito fermare il suo operato per l'ambito del diritto matrimoniale che resta un territorio tradizionalmente dominato dalla giurisdizione statale. Questa prassi ha finito per distinguere coppie eterosessuali e omosessuali, a cui viene formalmente riconosciuto il diritto a rivendicare una tutela legale in quanto realtà di coppia alternative, ma non disapplicando il principio di non discriminazione nel riconoscimento di un diritto matrimoniale per gli omosessuali.

Questa situazioni di difficile compromesso emerge ad esempio nel caso Schalk and

Kopf v Austria12, dove fu denunciato il rifiuto delle autorità austriache al rilascio della

licenza matrimoniale di una coppia omosessuale quale violazione degli articoli 14 e 12 della Convenzione. Pur riconoscendo i cambiamenti precedenti nella concezione della sfera familiare da parte di molte società Europee, pur riconoscendo la medesima dignità e capacità delle coppie omosessuali a impegnarsi in relazioni stabili e durature rispetto a quelle eterosessuali, la Corte non vedeva tuttavia da ciò un obbligo di equiparazione del diritto matrimoniale. In questa sentenza un ruolo importante fu 9 Karner v Austria, No.40016/98, 24/07/2003

10 Kozak v Polonia, No.13102/02, 02/03/2010 11 P.B. And J.S. v Austria No.18984/02, 22/07/2010 12 Schalk and Kopf c. Austria, No.30141/04, 24/06/2010

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svolto dal varo di un registro delle unioni civili austriaco, contemporaneo alla sentenza, che persuase la Corte a non accogliere fino in fondo le ragioni dei ricorrenti, accogliendo quello che di fatto è rimasta una soluzione di compromesso e un allontanamento rispetto alla visione della Convenzione quale living institution. Una medesima soluzione giuridica è stata adottata anche nel caso dell'adozione di figli per le coppie omosessuali. La CEDU ha preferito una prassi di non interferenza, sanzionando solo le differenze di trattamento sotto lo stesso regime statale, come nel caso di Gas and Dubois c.Francia13. Nell'ambito della civil patnership francese, il

caso di una coppia sposata in Belgio richiedente il riconoscimento di un'adozione sul suolo francese non è stato accolto nel rispetto della legge francese, che non prevedeva l'ingresso al registro delle adozioni a single, sia per etero che per omosessuali. La Corte ha affermato come l'articolo 12 della Convenzione non obblighi a includere l'adozione per situazioni sociali diverse dal matrimonio e che la scelta spetta al legislatore. Dunque la Corte, nonostante il superamento di molti pregiudizi culturali verso gli omosessuali, non ha preso una posizione favorevole né ha mai voluto indagare, nel caso di figli biologici o adottivi, se il riconoscimento di questo diritto fosse connesso al migliore interesse del minore.14

Questa situazione di compromesso è il prodotto duplice sia della dipendenza da una visione normativa che relega di fatto l'omosessualità all'ambito della sfera sessuale privata, sia dell'assenza di un consenso in materia di diritto matrimoniale, essendosi divenuto ormai il quadro Europeo polarizzato tra paesi che prevedono il matrimonio per gli omosessuali e paesi che hanno modificato le loro Costituzioni Nazionali chiudendo la definizione di matrimonio e di famiglia alla sfera eterosessuale. L'ultima conferma di queste scelte è visibile nel caso Chapin and Charpentier v France15,

dove la Corte non ha visto nel diniego di un tribunale francese al matrimonio di una coppia gay una violazione degli articoli 12 e 8 in combinato disposto dell'articolo 14, respingendo inoltre l'idea che il matrimonio gay possegga la dignità di diritto umano. Questa scelta ha distanziato sensibilmente la CEDU da altre eminenti realtà 13 Gas and Dubois v Francia, n.25951/07, 31/08/2012

14 Angioletta Sperti, omosessualità e diritti, I percorsi Globali ed il dialogo Globale delle Corti Costituzionali, Pisa University Press, Pisa, 2013, pp.125-135

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giuridiche costituzionali, come la Corte Suprema del Sud Africa in Minister of home

affairs v Fourie (2005), la stessa Corte Suprema degli Stati Uniti in Obergefell

(2015). L'European Centre on Law and Justice non ha tuttavia negato come tale situazione in futuro possa mutare.16

16 Grégor Puppinck, The ECRH unanimously confirms the “non-existence” of a right to Gay Marriage, ECLJ (consultato il 12/09/2018 in https://eclj.org/marriage/the-echr-unanimously-confirms-the-non-existence-of-a-right-to-gay-marriage )

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