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CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE 1. Oggetto dell’indagine

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Academic year: 2021

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CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

1. Oggetto dell’indagine

Oggetto della tesi è il tema dell’inerzia del legislatore e dell’attivismo dei giudici. L’interpretazione della Costituzione italiana da parte del giudice comune si esprime in tre significativi momenti: a) attraverso l’interpretazione “adeguatrice” della legge; b) attraverso il sollevare questioni di costituzionalità, infatti, quando il giudice, posto nella condizione di dover interpretare la Costituzione, ritenga di non poter «salvare» la disposizione della cui costituzionalità egli dubita ricorrendo ad un’interpretazione “adeguatrice”, solleva davanti alla Corte costituzionale una questione di legittimità costituzionale; c) attraverso l’applicazione diretta della Carta costituzionale. Il potere del giudice comune di interpretazione della Legge fondamentale viene a potersi esprimere particolarmente in queste tre situazioni tra loro distinte, anche se strettamente collegate. Mentre le ipotesi dell’interpretazione “adeguatrice” e del potere-dovere di investire la Corte di una questione di legittimità costituzionale ho avuto occasione di studiarle nel corso di diritto costituzionale, materia che, da subito, ha colto il mio interesse, l’ipotesi di applicazione diretta delle disposizioni costituzionali ho avuto modo di conoscerla nel corso di logica e argomentazione giuridica ‒ uno degli ultimissimi esami sostenuti nel mio percorso universitario ‒ e, alla fine, è stato questo il meccanismo che ha maggiormente catturato la mia attenzione.

Del potere del giudice comune di interpretazione della Legge costituzionale si parla nell’ordine del giorno approvato al Congresso di Gardone nel 1965, congresso tenuto dall’Associazione nazionale magistrati, in cui la magistratura, avendo preso coscienza del significato e del ruolo che la Costituzione repubblicana viene ad assumere per l’attività interpretativa del diritto, approvando questo ordine del giorno respinge la pretesa di ridurre l’interpretazione ad un’attività puramente formalistica. In questo ordine del giorno, nel delineare la posizione del giudice di fronte alla legge, veniva

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indicata in modo espresso la necessità di interpretare la stessa alla luce del dettato costituzionale, ponendo in essere un’interpretazione “adeguatrice” e, solo quando il tenore della legge non lo permettesse, veniva indicata la necessità di proporre alla Consulta una questione di legittimità costituzionale. Ma lo stesso ordine del giorno indicava anche che tra i compiti del giudice c’è quello di applicazione diretta dei precetti costituzionali, la c.d. Drittwirkung.

La scelta del tema si è basata sulla sua attualità perché, pur essendo la Drittwirkung un istituto che ha radici profonde nel nostro ordinamento giuridico, continua a rivestire un ruolo importante. E questo perché, come evidenzierò nel corso della presente tesi, in una situazione di grave ritardo o di persistente inerzia del legislatore, i giudici comuni si sono trovati ad essere destinatari di tutta una serie di domande sociali ed hanno quindi cercato, attraverso l’applicazione diretta dei princípi costituzionali, di porre rimedio alle omissioni legislative dando tutela alle nuove istanze sociali che non trovano un riconoscimento espresso e/o completo nella legislazione civilistica. Tutto ciò presuppone una concezione della Carta costituzionale vista come un atto normativo che può essere utilizzato anche e soprattutto in caso di inerzia ed omissioni legislative.

Come meglio avremo modo di vedere, l’entrata in vigore della Carta fondamentale, quale nuovo tipo di fonte, fonte gerarchicamente sovraordinata rispetto alla legge ed organizzata più per princípi che per regole, per le sue caratteristiche che la contraddistinguono dalle altre fonti del sistema, ha prodotto una vera e propria “rivoluzione”. Segnatamente, la Costituzione è stata definita da C. Mortati come quel gruppo di norme fondamentali di un dato ordinamento giuridico statale che esprimono un dato scopo politico proprio di una forza politica.

La presente tesi metterà in luce quali sono le ragioni per le quali nella nostra epoca si è maggiormente accentuato, in Italia e in molti altri paesi, il carattere inevitabilmente creativo del ruolo dei giudici. È stata posta in essere una vera e propria rivolta contro il formalismo, e, come scrive L. Paladin, con l’entrata in vigore della Legge costituzionale “svanisce l’idea del

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sistema normativo bello e fatto, ontologicamente dato e quindi preesistente rispetto al momento interpretativo” e “subentra, in suo luogo, la realistica visione di un sistema ‘in movimento’ soggetto a continue evoluzioni”. E, il fatto stesso che i giudici abbiano partecipato in qualche modo a questa rivolta, può essere prova della straordinaria potenza di questi fenomeni. È certo, infatti, che se c’è una categoria la quale, praticamente in ogni paese, tutto è all’infuori che rivoluzionaria, questa è proprio la magistratura, specialmente quella delle Corti supreme. I giudici professionali tendono ad essere per loro stessa natura conservatori, quieti e rispettosi delle leggi, tanto che, come ha detto, forse un po’ esagerando, Lord Devlin nella Chorley Lecture del 1975, “i giudici, come ogni altra categoria di uomini anziani che hanno vissuto vite generalmente non avventurose, tendono ad essere tradizionalisti nelle loro idee. È questo un fatto di natura”. Sono stati gli effetti della grande trasformazione del ruolo dello Stato e del diritto nelle società moderne che hanno avuto una rilevante influenza sul ruolo dei giudici nel mondo contemporaneo, facendoli uscire dal «guscio protettivo del formalismo».

Come meglio evidenzierò nella tesi, nel corso degli anni abbiamo assistito ad un mutamento della funzione ancillare del giudice al potere politico-rappresentativo e, in particolare, della maggioranza, essendosi fortemente evoluto il rapporto fra giudice e legislatore, tanto da mutare il potere giudiziario da giudice della legalità in giudice dei diritti.

Nel corso dell’indagine sottolineerò come, in un primo momento tutto ruotava intorno all’idea che i diritti individuali fossero posti dallo Stato, e questa concezione, nella dialettica fra giudice e legislatore, portava il primo a rivestire il ruolo tipico di giudice della legalità. I diritti erano considerati posti dalla legge, ed era la legge che, provenendo da assemblee politico-legislative rappresentative, veniva considerata quale garanzia sufficiente per la loro tutela. È solo con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana che i diritti fondamentali vengono solennemente proclamati, e con la prevalenza dei diritti sulla legge, il giudice ha finito per assumere sempre più il tipico ruolo di giudice dei diritti.

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Nel corso della presente tesi, mi soffermerò anche, in particolare, su tre vicende giuridico-giudiziarie: il caso delle coppie omosessuali e le nozioni di “matrimonio” e “famiglia” per la legge italiana ordinaria, secondo Costituzione e a livello europeo. Come noto, né la legge ordinaria né la Costituzione italiana contengono una definizione di matrimonio, e pur in mancanza di un’espressa enunciazione, la Suprema Corte aderisce tuttavia all’orientamento, di gran lunga prevalente, che ritiene la diversità di genere condizione implicitamente prevista dal codice civile italiano. E anche se il matrimonio same-sex non è attualmente previsto dalla legge italiana, il diritto al matrimonio va tenuto distinto dal diritto alla vita familiare per le coppie omosessuali, il quale è stato un diritto costituzionalmente accertato ma non tutelato fino alla recentissima legge n. 76 del 20 maggio 2016 in materia di regolamentazione delle unioni civili.

Il caso di Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare ormai in fase terminale, con la sua struggente rivendicazione del diritto ad una morte «opportuna», ha dato inizio ad una vicenda politica tra le più conturbanti della recente storia italiana.

E, infine, il caso di Eluana Englaro, giovane donna che ha vissuto in stato vegetativo permanente per diciassette anni, per il quale quasi mille tra senatori e deputati hanno perso ore ed ore del loro prezioso tempo, non per discutere di una legge equilibrata e rispettosa dei princípi costituzionali, ma per convincersi dell’opportunità del conflitto di attribuzioni contro i giudici e a sua volta, il Giudice delle leggi ha dovuto spendere del tempo a trattare del ricorso, anche se non ha potuto far altro che rigettarlo in limine litis.

2. Struttura della tesi e metodologia d’indagine

La tesi è strutturata in cinque capitoli e l’attenzione sarà posta essenzialmente sull’inerzia del legislatore ordinario e sull’attività interpretativa-creativa di applicazione diretta della Legge fondamentale da parte del giudice comune, quali due facce della stessa medaglia.

Nel primo capitolo, come premessa mi occuperò del diritto politico e del diritto giurisprudenziale nella definizione e nella tutela dei diritti

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fondamentali, sottolineando come la produzione del diritto da parte dei giudici abbia forme, modalità e legittimazione differenti rispetto alla produzione del diritto da parte dei soggetti politici. Sono passata poi a trattare il princípio della separazione dei poteri ed, in particolare il ruolo del potere giudiziario all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, affrontando anche nel corso dell’elaborato, l’annoso problema del significato da attribuire all’affermazione costituzionale della subordinazione del giudice alla legge. In questi ultimi decenni è profondamente cambiata quella “legge” cui il giudice deve prestare osservanza e sentirsi soggetto. È ovvio infatti che per “legge”, nell’art. 101, 2° comma della Costituzione, non si intenda tanto l’atto approvato dal Parlamento, promulgato dal Capo dello Stato, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ed entrato in vigore al compimento del termine di vacatio, ma si intende piuttosto ciò che nell’ambito dell’ordinamento giuridico costituisce “diritto”. Bisogna, dunque, guardare all’intero sistema delle fonti del diritto per stabilire quale sia la legge cui il giudice è soggetto. Nel secondo capitolo sarà, appunto, analizzata la fonte che si pone al vertice della “piramide” delle fonti del diritto, ossia la Costituzione repubblicana. In Italia, il referendum del 2 giugno 1946 si tradusse nell’art. 1 della Carta costituzionale che stabilisce nella sovranità popolare l’unico fondamento del potere pubblico. Nel nostro paese, quindi, l’applicazione del princípio della separazione dei poteri fu in qualche modo compromesso dal collegamento che si era stabilito fra legislativo e sovranità popolare, da una parte, e fra esecutivo, giudiziario e potere regio, dall’altra parte. Per cui il risultato fu una magistratura configurata come un secondo braccio del potere esecutivo, quale A. Pizzorusso la definisce. È solo con l’Assemblea costituente che si stabilì una graduale recisione dei “lacci” che legavano la magistratura all’esecutivo, e si configurò un nuovo ruolo della magistratura.

Il processo costituente si tradusse nel documento costituzionale e l’articolato fu discusso, emendato e infine approvato dall’intera Assemblea costituente. Il testo fu approvato, con una larghissima maggioranza, da tutte le forze politiche che erano state protagoniste dell’antifascismo, le quali hanno dato vita ad un vero e proprio “compromesso storico”. La Legge costituzionale,

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quale fonte gerarchicamente sovraordinata rispetto alla legge, è considerata fonte immediatamente applicabile dall’autorità giudiziaria.

Nel terzo capitolo passerò ad analizzare più da vicino l’istituto della Drittwirkung e, in questi anni, molte e relative a diversi settori dell’ordinamento sono state le ipotesi di applicazione diretta delle disposizioni costituzionali da parte dei giudici comuni. In questo capitolo, mi sono limitata a segnalare alcuni settori in cui l’applicazione diretta dei princípi costituzionali ha avuto una maggiore e più diffusa applicazione. Nel quarto capitolo verranno esaminate due diverse situazioni, ossia quando la Costituzione “consente” e quando “impone” una determinata soluzione interpretativa. Differenza che risulta evidente nel caso delle coppie omosessuali e nel diverso fondamento del diritto al matrimonio e del diritto alla vita familiare e di coppia. Ho dedicato, poi, una sezione del presente elaborato a casi assai noti perché molto recenti in cui abbiamo assistito a quella situazione che è stata chiamata dei “diritti accertati, ma non tutelati”, e mi riferisco in particolare al caso di Piergiorgio Welby e alla decisione in ordine alla questione di costituzionalità relativa all’utilizzo del cognome materno.

Lo stesso potrebbe dirsi a proposito della vicenda che ha visto coinvolta Eluana Englaro e del conseguente conflitto tra poteri, ma a tale caso giudiziario ho dedicato l’intero capitolo quinto.

Nel quinto capitolo, infatti, ho analizzato i profili legati all’intero iter giuridico-giudiziario della vicenda Englaro, soffermandomi soprattutto sul conflitto tra poteri sollevato dalle Camere nei riguardi della sentenza del 16 ottobre 2007 della Corte di Cassazione e del successivo decreto della Corte di Appello di Milano del 25 giugno 2008.

Infine, per l’elaborazione della tesi, la metodologia d’indagine si è basata sullo studio della normativa costituzional-civilistica italiana, oltre ad avere attinto a pronunce giurisprudenziali, sia di matrice comunitaria che nazionale, soltanto per gli aspetti pertinenti la materia oggetto della presente tesi.

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Tengo a sottolineare che per via della storicità dell’istituto della Drittwirkung ho avuto modo di scrivere il presente elaborato avendo come guida i commenti dottrinali che affrontano da vicino il tema.

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