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Capitolo II - Manichini

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Academic year: 2021

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Capitolo II - Manichini

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1 Montaggio ed esposizione dell’abito: esigenze e problematiche ... 2

2 Manichini standard ... 11

a- Bonaveri ... 11

b- Kyoto Costume Institute ... 13

c- La Rosa ... 16

3 Manichini realizzati su misura ... 18

4 Manichini adattati ... 20

a- Dimensioni ... 22

- Il manichino disponibile è troppo piccolo per l’abito ... 22

- Il manichino disponibile è troppo grande per l’abito ... 31

b- Utilizzo delle vestine ... 33

c- Regolare maniche e spalle ... 35

d- Ricostruzione di sottostrutture o parti mancanti ... 39

5 Casi particolari ... 42

a- Manichino maschile ... 42

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Capitolo II – Manichini

1 Montaggio ed esposizione dell’abito: esigenze e problematiche

Utilizzando come filo conduttore la realizzazione e la messa in posizione degli abiti sui manichini per la mostra Heritage. Storie di tessuti e di moda (22/11/2015 – 30/04/2016) nel Museo del Tessuto di Prato, analizzerò i metodi per reperire e per realizzare dei manichini, ossia quelle strutture in grado di supportare e allo stesso tempo conservare i tridimensionali tessili durante l’esposizione. Si noterà nell’elaborazione una discrepanza di approfondimento, soprattutto per ciò che riguarda i manichini femminili rispetto a quelli maschili o ai paramenti sacri, ma il maggior spazio riservato ai primi è dipeso dal mio grado di esperienza pratica durante il tirocinio, che ha riguardato più nello specifico la versione femminile di tale supporto.

Il tema dei manichini per l’esposizione di manufatti tridimensionali tessili risulta essere una questione di forte rilevanza sia dal punto di vista estetico, per il diverso effetto che suscita la scelta di un tipo di supporto piuttosto che di un altro, sia per ciò che concerne l’aspetto prettamente conservativo dell’oggetto. Posizionare un abito su manichino è un’operazione delicata, che comporta la sua movimentazione e ovviamente il suo posizionamento in verticale nella forma volumetrica tridimensionale il più possibile originaria. Lasciando per un momento da parte l’aspetto estetico, un museo, nella fase di preparazione di un’esposizione, deve concentrare i propri sforzi nella risoluzione di problemi pratici, allo scopo di garantire il corretto allestimento e la lettura delle collezioni – cioè di trasmettere e diffondere le informazioni che gli oggetti contengono – e soddisfare i requisiti minimi necessari per la loro conservazione1.

Proprio per la criticità che caratterizza l’operazione di posizionamento dell’abito, si presenta strettamente necessario attuare per prima un’attenta valutazione del suo stato di conservazione. Non è affatto scontato che ogni abito sia adatto a essere montato su manichino: esistono differenti strategie per esporre anche gli indumenti più fragili, per i quali sarà in generale preferito il posizionamento su piano orizzontale, all’interno di teche disposte anch’esse orizzontalmente nelle quali l’oggetto non viene sottoposto ad alcun

1 Vedi Péerez de Andrés, 2007, pp. 23-31. Disponibile anche in <www.museodeltraje.mcu.es > [data

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tipo di stress o tensione, salvo ovviamente un’estrema cautela nella sua manipolazione e spostamento.

Per valutare quali capi esporre in una mostra, risulta necessario tenere in considerazione, oltre al loro stato di conservazione, la durata della mostra e dunque il tempo in cui gli oggetti dovranno rimanere esposti. Quindi, oltre a stabilire se posizionare gli oggetti in verticale oppure in orizzontale, nella fase di montaggio è necessario tenere presente la quantità di tempo in cui l’abito dovrà essere mantenuto in posizione, poiché si possono individuare soluzioni differenti al variare di questo dato. Sarà infatti differente collocare un abito su un manichino per una campagna fotografica di poche ore dal posizionarlo per periodi prolungati in mostre ed esposizioni.

Seppure l’allestimento di abiti su pannelli piani non rappresenti l’ideale per esporre oggetti tridimensionali, in alcune occasioni può essere l’unica possibilità. Quando un abito è troppo fragile e debole per essere sistemato in altro modo, oppure quando non sono disponibili manichini o supporti analoghi, si procede dunque al suo posizionamento su un pannello museale di Carton Plume2 traforato per favorire il passaggio dell’aria, adeguatamente imbottito con un mollettone di cotone e rivestito di tessuto ignifugo. Tale pannello potrà essere disposto, a seconda dello stato di conservazione dell’oggetto, con varie inclinazioni, da quella orizzontale a quella verticale3.

All’interno della mostra Heritage, ad esempio, Abito da sera (Sartoria parigina, 1925 ca.; crespo: seta; ricamo ad ago: perle di vetro; dono Paolo Rinaldi; inv. n. 14.05.01) (Fig. 1) è stato scelto, per la fragilità del tessuto e la pesantezza data soprattutto nella parte inferiore dal ricamo a perline in vetro, un posizionamento su pannello in posizione orizzontale. Per essere maneggiato il meno possibile e in sicurezza, immediatamente dopo il prelievo dal deposito, l’abito è stato posizionato sul pannello, all’interno di una teca piana appositamente dedicata. Dunque, l’abito è stato esposto come un tessile bidimensionale, avendo cura di inserire nelle zone di piegatura della carta velina non acida, modellata manualmente fino ad assumere una forma cilindrica, per evitare pieghe

2 Carton Plume: materiale di schiuma di poliuretano disponibile in pannelli rigidi e leggeri e compatibile

con tutti i tipi di colle (con o senza solvente). Il materiale risulta perfettamente piano anche in grandi dimensioni e può essere tagliato e segato facilmente regolandolo secondo le esigenze museali. Da <http://it.canson.com/arti-grafiche/canson-carton-plume > [data consultazione: 13/01/15].

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nette che, rimanendo per lungo tempo in posizione, potrebbero contribuire ad un ulteriore danneggiamento dell’abito.

Un altro oggetto che nella mostra Heritage ha richiesto il posizionamento su pannello è stata Camicia da bambino (Italia, seconda metà sec. XVI; tela: lino; ricamo: seta, oro filato; dono Riccardo Bruscoli; inv. n. 76.01.07) (Fig. 2). La scelta di posizionarlo su pannello e non su manichino è stata dettata per un verso dalla ridotta dimensione del capo stesso, che non permetteva di posizionarlo su nessuno dei manichini in possesso del museo, ma anche dalla sua struttura sartoriale. Come vediamo nell’immagine, le maniche sono fortemente inclinate verso l’alto e dunque il posizionamento verticale avrebbe provocato delle strane pieghe intorno alle spalle, che per ragioni di tipo conservativo più che estetico si è preferito evitare. Inoltre, il posizionamento orizzontale permette di apprezzare meglio la sua peculiarità sartoriale. Dato che però il tessuto con cui la camicia è realizzata, ossia la tela di lino, si presenta piuttosto resistente, è stato possibile fissarlo direttamente al pannello museale con spilli entomologici4, in modo da esporlo posizionato non in orizzontale - come nel caso precedente - ma in una vetrina verticale e con una inclinazione tale che l’attrito tra il panno di rivestimento del pannello e il tessuto della camicia non sarebbe stato sufficiente a mantenerla. Anche in questo caso come nel precedente, l’oggetto è stato volumizzato leggermente tramite l’inserimento di cilindretti di carta velina non acida, così da smussare eventuali piegature nette e rendere una seppur leggera volumetria5.

Oltre a queste due possibilità scelte per i due capi in mostra, ne esiste una terza, che consiste nell’esporre in posizione orizzontale un abito che viene imbottito, restituendogli almeno in parte la sua volumetria. Questo procedimento viene attuato per evitare le tensioni che possono crearsi con la verticalità, ma allo stesso tempo per presentare meglio, a livello estetico, un capo che per essere letto adeguatamente necessiterebbe delle tre dimensioni. Inoltre, l’imbottitura interna può essere utilizzata come mezzo di fissaggio sicuro, contribuendo a tenere il capo in posizione, senza necessità di intervenire direttamente su di esso con spilli o punti6.

4 Spilli entomologici: nel restauro tessile si fa uso di questi particolari spilli ideati per la raccolta, la

conservazione e la classificazione entomologica (degli insetti), ma che per la loro finezza e malleabilità si prestano particolarmente all’utilizzo in questo settore per attività di restauro, conservazione e allestimento.

5 Vedi Davanzo Poli, 2005, pp. 3-6. 6 Vedi Flecker, 2013, p. 205.

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Nella realizzazione di una mostra dove si intenda esporre abiti riportandoli all’originaria tridimensionalità e verticalità, si presenta la necessità di procurarsi dei manichini che siano adatti o adattabili agli abiti che si vogliono esporre.

La prima scelta da compiere è se si voglia comprare manichini realizzati su misura per ogni singolo capo da esporre, oppure, in alternativa, utilizzare manichini interi o busti già in possesso del museo, da modificare ed adattare opportunamente per il singolo pezzo. Più che una vera e propria scelta, questa è in realtà una conseguenza del budget a disposizione. Inutile sottolineare che la prima delle due opzioni è quella più costosa e dunque meno diffusa, mentre è importante e non scontato notare che non necessariamente è la migliore da un punto di vista estetico e conservativo. Il prezzo di un manichino è tutt’altro che contenuto e può variare tra alcune decine di euro per quelli più semplici alle centinaia di euro per quelli più sofisticati o addirittura su misura. Le scelte espositive saranno dunque obbligatoriamente influenzate dalle risorse che si è deciso di dedicare all’allestimento e dovranno essere prese concordemente tra curatore, conservatore e designer dell’allestimento, affinché in ogni momento siano valorizzati gli aspetti esteriori ed estetici, ma siano anche rispettati gli standard conservativi di questi manufatti.

I risultati che tuttavia si ottengono mediante la lavorazione “artigianale” di un modello esistente possono infatti giungere a livelli di perfezione alle volte con pochi semplici interventi.

Come nota un articolo pubblicato dal Dipartimento di Conservazione del Museo del Traje di Madrid relativo alla realizzazione di manichini per l’esposizione Basaldua,

el traje de novia, tenutasi tra il 16 maggio e il 4 settembre 2011, l’operazione di

realizzazione di un supporto per abito ha un certo parallelismo con il processo stesso di confezione degli abiti. Come un abito in molti casi è stato disegnato per un corpo concreto, il manichino realizzato in un museo segue esattamente il medesimo processo in senso inverso, cioè di elaborazione di un “contenuto” ideale da posizionare all’interno di quel dato abito7. Anche gli abiti più moderni, soprattutto dagli anni ‘60 in poi, che non

sono stati realizzati su misura ma in taglie standard, se sono stati a contatto con il corpo sicuramente hanno subito una ‘deformazione’ che li rende ugualmente unici.

7 s.a., Exposición temporal Basaldua, el traje de novia, Departamento de conservación del Museo del Traje

di Madrid <http://museodeltraje.mcu.es/index.jsp?id=625&ruta=3,16,170,624> [data consultazione: 8/12/15]

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Le tipologie di manichini esistenti sono numerose e diverse per dimensioni, taglie, forme, colore e materiale. Quest’ultimo influenza molto anche la conservazione dell’abito: in questo ampio panorama, è necessario acquistare ed utilizzare manichini che siano realizzati in materiali coerenti con quella che sarà la loro funzione e che soprattutto non risultino ‘aggressivi’ nei confronti del tessuto che dovranno supportare. Seppure - come vedremo in seguito - un abito esposto non verrà mai in contatto diretto con il manichino, poiché si tende sempre a separarli tramite l’utilizzo di tessuti adatti a questa funzione, esistono materiali preferibili poiché più resistenti e duraturi nel tempo e con la caratteristica di non reagire chimicamente, come in particolare il Plastazote®8 e l’Ethafoam®9. Meno adatto è invece il poliuretano, utilizzato molto in passato, poiché tende a rompersi facilmente producendo delle polveri che generano reazioni chimiche le quali, entrando in contatto con l’abito, potrebbero danneggiarlo10.

Nonostante le numerose tipologie esistenti, qualunque manichino acquistato o riutilizzato deve essere comunque modellato mediante sotto-strutture ricostruite o imbottiture realizzate con carta velina non acida o con falda11, al fine sia di valorizzare le volumetrie sartoriali corrette sia di sostenere l’abito evitando la creazione di tensioni. La messa su manichino, se attuata correttamente con una struttura portante calibrata e studiata appositamente per un abito, è una manovra che consente la corretta conservazione del pezzo anche per periodi piuttosto prolungati.

Queste mie considerazioni trovano conferma nell’intervento della restauratrice tessile Moira Brunori Riconoscere e conservare gli abiti del Novecento nel convegno

Vintage. La memoria della moda, tenutosi al Salone del Restauro di Ferrara nel 2010:

«Particolarmente delicata è da considerarsi la fase espositiva poiché prevede la movimentazione ed il posizionamento degli abiti su strutture o manichini verticali per un periodo di tempo più o meno lungo. È importante ribadire a questo proposito quanto la corretta presentazione di ciascuna veste dipenda in maniera determinante dal tipo di

8 Plastazote: è una schiuma di polietilene inerte usata per montare e imballare i costumi. Da Flecker, 2013,

p.10.

9 Ethafoam: molto simile al Plastazote ma meno compatto. È un polietilene espanso inerte e leggero usato

per l’allestimento e per l’imballaggio dei manufatti tessili tridimensionali, molto facile da intagliare e scolpire. Da Flecker, 2013, p. 9.

10 Vedi Flecker, 2013, pp. 40-41.

11 Falda (o ovatta di Poliestere): imbottitura artigianale standard fatta al 100% di poliestere esistente in

diverso peso, disponibile in varietà incollabili termicamente e varietà incollate mediante resina a spruzzo. Da Flecker, 2013, p. 10.

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manichino selezionato e dalla messa a punto di sottostrutture in grado di sostenere e valorizzare le volumetrie sartoriali: una struttura portante ben calibrata è fondamentale anche per la conservazione di un abito, tanto da poter affermare che, in molti casi, basterebbe da sola a preservarlo»12.

In ambito conservativo è estremamente importante affrontare il problema dei supporti ed in particolare dei manichini per i tridimensionali tessili. Un’inadeguata esposizione fatta su forme o materiali incoerenti può arrecare danno irreversibile agli oggetti; per questa ragione il tema dei manichini è un campo in continua evoluzione13.

Nell’esporre un abito è dunque necessario che in ogni momento siano garantiti almeno tre aspetti principali: l’accuratezza del supporto scelto nel rispetto delle esigenze conservative, la coerenza storica delle forme da dare alla silhouette del manichino, e infine la ‘gradevolezza’ estetica, perché è anche necessario esercitare un’attrattiva sul visitatore fornendogli contenuti curati.

La prima grande distinzione che si può fare tra i manichini che vengono scelti per una mostra è quella relativa alla loro forma, ma ancora di più alle componenti che si ritenga necessario inserire. Le due principali categorie sono:

- manichini interi, cioè forniti di testa, braccia e gambe un tipo di supporto molto diffuso ed utilizzato in molti musei che espongono abiti. Questo manichino permette di riempire bene i costumi, offrendo una riproduzione il più possibile reale del corpo. La testa e gli arti possono essere molto realistici, dotandosi anche di accessori che simulano aspetti reali quali parrucche, oppure essere abbozzati nelle forme e nei lineamenti, detti anche “metafisici” per la somiglianza con i manichini che Giorgio De Chirico inserisce nei sui quadri. Generalmente testa ed arti sono removibili per facilitare la vestizione e possono essere inseriti in posizioni e posture differenti, creando una grande varietà di forme e figure partendo dal medesimo supporto come base.

12 Brunori, 2010, pp. 39-52, qui p. 52.

13 s.a., Exposición temporal Basaldua, el traje de novia, Departamento de conservación del Museo del Traje

di Madrid <http://museodeltraje.mcu.es/index.jsp?id=625&ruta=3,16,170,624> [data consultazione: 8/12/15]

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- torso o manichino sartoriale, cioè costituito solo dal tronco, che corrisponde alla porzione di corpo che parte da sotto il bacino sino alle spalle, privo di testa e di arti. Questa tipologia di supporto non mira a sembrare una figura umana quanto esclusivamente a fornire un mezzo di sostegno e uno strumento per esporre al meglio l’abito.

La preferenza tra due categorie di manichini è dettata non tanto da ragioni di tipo conservativo - è possibile infatti ottenere soluzioni conservativamente corrette in entrambi i casi – quanto piuttosto da ragioni estetiche e di design dell’allestimento e della mostra in generale. Quindi la scelta è del curatore della mostra, in base al suo gusto personale e alle risorse che ha a disposizione.

Indipendentemente da questo, la prima tipologia, quella dei corpi interi, porta a soluzioni più vicine agli aspetti reali, che in un certo senso richiamano l’attenzione del visitatore non solo sull’abito in sé, ma anche più largamente sul contesto che si crea con l’introduzione di accessori, quali parrucche, borsette o guanti, nonché sulle posture e posizioni in cui i manichini sono montati14 (Fig. 3).

La seconda tipologia invece convoglia necessariamente l’attenzione sull’abito stesso e sulla sua struttura sartoriale, dato che il manichino - una volta montato l’abito - diviene pressoché inesistente. L’utilizzo del torso inoltre ha l’ulteriore qualità di rispondere bene ad allestimenti classici (come Heritage), ma anche a soluzioni innovative e all’avanguardia, come quella adottata per l’allestimento de La camicia bianca secondo

me. Gianfranco Ferré al Museo di Prato (01/02/2014-29/06/2014), dove i torsi sono stati

posizionati sospesi tra pavimento e soffitto, su di un binario creato da una quantità di fili distesi che si uniscono passando all’interno del manichino e si diramano al di sopra e al di sotto di esso15 (Fig. 4).

Vedremo più nello specifico la varietà di entrambe le tipologie di manichini, analizzando le maggiori aziende a livello nazionale e internazionale che producono e vendono questo tipo di supporto.

14 Vedi Pardoe, Robinson, 2000, p. 39.

15 È possibile trovare ulteriori immagini in: La camicia bianca secondo me. Gianfranco Ferré, catalogo

della mostra a cura di Luca Stoppini e Rita Airaghi (Prato, Museo del Tessuto di Prato 2014), Milano, Skira, 2014. Il successo della mostra ha portato a spostare il medesimo allestimento anche a Milano a Palazzo Reale e successivamente a Phoenix, Arizona, presso il Phoenix Art Museum.

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Un’altra significativa distinzione che è necessario tenere ben presente nel montare un abito su manichino è quella della silhouette. Difatti, ad ogni epoca corrisponde una particolare forma del corpo, soprattutto per quanto concerne il corpo della donna, la quale veniva sostanzialmente scolpita da strutture costrittive come i corsetti, indossati come biancheria intima e che plasmavano il corpo per farlo adeguare alla forma volumetrica che la moda del momento richiedeva (Fig. 5). A cambiare le linee estetiche contribuivano anche le sottostrutture per la parte inferiore del corpo, che si modificano sensibilmente nel corso dei secoli.

L’importanza dell’operazione di montaggio di un costume è spesso sottovalutata dai non specialisti. In realtà, un allestimento errato può causare gravi ed irreversibili danni all’abito o al tessuto, oltre che confondere il visitatore, proponendo un’esposizione che non riflette l’autentica foggia e veicolando quindi letture errate dell’oggetto.

Per renderci conto di quanto quest’operazione sia rilevante possiamo confrontare due immagini di un abito esposto in Heritage: la prima immagine (Fig. 6) – da archiviare nelle schede conservative - mostra l’oggetto nel primo provvisorio montaggio su un manichino standard; la seconda foto (Fig. 7) mostra l’abito montato su manichino appositamente realizzato attraverso le necessarie modifiche. L’oggetto in questione è l’Abito da sposa di Giulia Pia Baldi (Sartoria pratese o fiorentina, 1957; merletto meccanico: lino; tulle meccanico: cotone; dono eredi Baldi Lanzini; inv. n. 03.22.02), abito da sposa datato 1957 grazie all’atto di matrimonio pervenuto con esso, appartenuto ad una giovane pratese che lo aveva fatto realizzare su misura da una sartoria della zona. L’abito è formato da una sottoveste intera in raso che viene totalmente celata dall’abito vero e proprio, confezionato in pizzo di cotone a lavorazione meccanica. Come possiamo vedere nella prima immagine, l’abito appare pieno di grinze e ripiegato su sé stesso. Per quanto riguarda il supporto, è evidente che nella parte superiore la misura del manichino è troppo piccola rispetto all’abito: si crea infatti un vuoto innaturale sul seno, improbabile per un abito realizzato su misura; anche la parte inferiore risulta essere non coerente con le forme del periodo: la totale assenza di volume nella gonna non fa risaltare il punto vita alto, che è invece la caratteristica pregnante della silhouette femminile degli anni ‘50. All’abito è accaduto quel che succede a tutti gli abiti, soprattutto quelli più voluminosi, quando vengono riposti in deposito, anche nella più corretta maniera possibile, e cioè di appiattirsi su sé stessi, perdendo temporaneamente la forma, che deve essere loro restituita nel momento in cui si vogliano esporre. Inoltre, l’abito in questione non era mai stato

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esposto prima e conservava dunque anche quelle pieghe precedenti allo stoccaggio nel deposito museale avvenuto nel 2003. Si è dunque proceduto a realizzare un manichino che riflettesse le forme dell’abito, inserendo su un manichino già esistente per prima cosa un’imbottitura intorno al busto, sia nella parte del petto che nel dorso, con in particolare una quasi totale ricostruzione della parte del seno. La parte inferiore dell’abito è stata rimessa in forma tramite della carta velina, risultata sufficiente poiché l’abito possedeva già una tarlatana16 che, pur avendo perso l’appretto17 originale, una volta messa nella posizione corretta contribuisce alla volumetria della gonna dell’abito. È stato possibile utilizzare la sottoveste intera in raso, che è completamente staccata dall’abito, come modello di prova e come calco a cui ispirarsi per raggiungere la forma necessaria, senza bisogno di muovere l’abito che - essendo in pizzo - risulta fisicamente più fragile. Inoltre, sempre con l’obiettivo di riportare l’oggetto alla forma e volume originario, si sono effettuati sull’abito quei semplici ma necessari interventi volti a riportarlo alla sua originaria forma, colore e volumetria, cure essenziali per la corretta conservazione in una prolungata esposizione. Questi sono la micro-aspirazione (eliminazione della polvere) e la vaporizzazione a freddo (eliminazione delle pieghe principali e conseguente restituzione di naturale forma e volumetria all’oggetto). La prima viene già effettuata sul pezzo all’ingresso al museo, ma viene sempre ripetuta prima di un’esposizione; eliminando la polvere eventualmente riformatasi, si libera il tessuto di tutte quelle particelle che possono essere potenziali danni, oltre a restituire lucentezza al tessuto. Attraverso queste operazioni, possiamo vedere come nella seconda figura l’abito appaia rinnovato e come abbia riacquistato l’originale luce e forma. Il corretto posizionamento di un abito sul manichino, oltre a permetterci la corretta interpretazione dell’oggetto, fornisce e contribuisce a percepire anche le forme della persona che lo ha indossato, come l’altezza e le principali misure (spalle, vita e fianchi). Questi dettagli sono spesso utili per lavorare anche sull’identificazione del soggetto a cui è appartenuto.

L’allestimento degli abiti richiede dunque una grande elasticità mentale ed una grande capacità di individuare prontamente soluzioni alternative, per poter scegliere di volta in volta il supporto più adeguato al caso specifico. In questo senso un contributo

16 Tarlatana: tessuto di cotone molto leggero, reso rigido dall’apprettatura. Da <www.treccani.it> [data

consultazione: 01/02/16]

17 Appretto: denominazione delle varie sostanze adoperate per conferire ai tessuti caratteristiche che ne

migliorino l’aspetto o il tatto, o particolari proprietà: addensante, incollante, antipiega, antimacchia. Da <www.treccani.it> [data consultazione: 01/02/16]

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significativo è dato dal manuale A Practical Guide to Costume Mounting di Lara Flecker, che cerca di esaurire tutte le possibili casistiche di montaggio di un abito. La guida risulta per molti aspetti di fondamentale importanza, suggerendo strategiche risoluzioni di problematiche; ma vedremo attraverso esempi concreti quanta maggiore importanza assume l’esperienza nell’individuare la soluzione migliore per ciascun allestimento.

Le varie modalità per ottenere manichini adatti per gli abiti di una mostra si risolvono sostanzialmente nell’acquistare manichini standard, scolpire manichini su misura oppure adattare manichini di cui già si è in possesso.

2 Manichini standard

Compatibilmente con le risorse che un museo ha a disposizione, è possibile acquistare di volta in volta manichini che rispondano al meglio alle esigenze di ogni capo. Esistono così tante tipologie di manichini sul mercato che è impossibile analizzare nel dettaglio tutte le possibilità disponibili; in questo elaborato ho preso in esame i supporti realizzati da tre delle aziende produttrici che si distinguono in questo settore e che ho osservato nella mia esperienza curriculare. Acquistare manichini aventi già di per sé le fogge adatte agli abiti che si devono esporre rappresenta sicuramente un grande aiuto nelle fasi di allestimento e montaggio degli abiti, in quanto i manichini forniscono una base già correttamente strutturata, ma quasi mai dispensano completamente dal praticare comunque piccoli adattamenti e accorgimenti che li rendano perfetti per il singolo oggetto.

a- Bonaveri

Il marchio Bonaveri di Cento rappresenta oggi un’eccellenza italiana nella produzione di manichini. Nel nostro caso parliamo di manichini – anzi busti - con silhouette storiche utili per calzare al meglio gli abiti conservati nei musei, ma l’azienda nasce come produttrice di manichini per abiti contemporanei, dunque da esporre nelle vetrine dei negozi, ed è all’avanguardia anche per quanto riguarda il design e la moda di oggi.

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L’azienda nasce nel 1950 quando Romano Bonaveri, unendo le sue doti artistiche di scultore con la sua abilità imprenditoriale, fonda il proprio laboratorio di manifattura di manichini. Nel 1958 partecipa alla Fiera Campionaria di Milano, dove ottiene un largo consenso e da cui inizia il percorso di crescita ed innovazione. La sede di Renazzo di Cento, in provincia di Ferrara, ospita sofisticati laboratori per il body-scanning, atelier di scultura, sartoria e personalizzazione; pur mantenendo l’artigianalità come requisito di base, ogni anno l’azienda produce per le case di moda di lusso manichini di design d’avanguardia o personalizzati, tali da soddisfare qualsiasi eventuale esigenza. Proprio questa possibilità di personalizzare i manichini ha reso il marchio Bonaveri uno dei più diffusi tra i principali musei che espongono abiti.

I rapporti tra l’azienda ferrarese e i musei e le esposizioni di moda iniziano quando alla ditta Bonaveri si rivolsero Umberto Tirelli18 e Piero Tosi19, due figure di spicco nel settore del costume cinematografico e teatrale italiano, chiedendo che venissero studiati e realizzati una serie di busti storici per la mostra Donazione Tirelli: La vita nel costume,

il costume nella vita (dicembre 1986 - marzo 1987), allestita nella Galleria del Costume

di Palazzo Pitti, a cui la Sartoria Tirelli aveva donato 300 costumi del cinema e del teatro. Era evidente infatti già allora che gli abiti di foggia antica male si adattavano ai busti e manichini moderni. Piero Tosi si recò personalmente nella sede della ditta a Cento per mettere a punto tali manichini in collaborazione con uno scultore che lavorava la creta20: «Un’operazione estremamente complessa e affascinante. Bisognava evidenziare ogni passaggio. Se nel Settecento era la forma conica, “a imbuto rovesciato”, della struttura toracica della donna a essere protagonista, nel periodo napoleonico era invece la volta di una silhouette più verticalizzata, in cui il punto vita era stato spostato sotto il seno. Altro cambio radicale di silhouette avrà luogo all’inizio del Novecento: il corpo

18 Costumista cinematografico e teatrale, nato a Gualtieri (Reggio Emilia) il 28 maggio 1928 e morto a

Roma il 26 dicembre 1990. Collezionista e studioso appassionato di abiti antichi, fondò nel 1964 la Sartoria Tirelli, avviando con il mondo cinematografico un intenso rapporto che si concretizzò nella collaborazione con registi prestigiosi, per i quali creò costumi straordinari per linee, scelta dei tessuti e accuratezza filologica. La Sartoria è divenuta inoltre un importante luogo di formazione e un punto di riferimento per artisti che hanno ottenuto numerosi riconoscimenti a livello internazionale. Da <www.treccani.it> [data consultazione: 05/03/2016].

19 Costumista teatrale e cinematografico, nato a Sesto Fiorentino (Firenze) il 10 aprile 1927. Studiò a

Firenze, prima all'Istituto d'arte e poi all'Accademia di Belle Arti, dove ebbe tra gli insegnanti O. Rosai. L'attività di Tosi si è legata in modo privilegiato alle regie di Luchino Visconti. Ha ricevuto nove Nastri d'argento, due David di Donatello, due BAFTA Awards, cinque nominations all'Oscar e il President's Award della Costume Designers Guild, l'associazione dei costumisti americani. Da <www.treccani.it> [data consultazione: 05/03/2016].

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femminile assume una linea, definita a ‘S’. E da Tirelli conservano un manichino originale, risalente a quell’epoca: lo utilizzai come modello per gli abiti di inizio Novecento. Negli anni trenta si volta ancora pagina: linee dal profilo femminile più moderno e dalla fisicità androgina. […]. Un progetto meraviglioso ma una vera sfida. Fino a quel momento in Italia non esistevano manichini che contemplassero i vari cambiamenti via via imposti dalla moda. Fondamentale perciò seguire passo passo la realizzazione»21.

Da quel momento, la linea di busti storici Bonaveri ha fatto il giro del mondo, rendendo il marchio celebre per i supporti a mostre ed esposizioni di moda.

Esistono 6 tipologie di busti storici realizzati da Bonaveri (Fig. 8): uno per la linea settecentesca, due per ricalcare le diverse forme dell’Ottocento, due per la linea ondulata che caratterizza i corpi delle donne nel primo decennio del Novecento, infine uno per la silhouette degli anni Venti del Novecento. Ogni tipologia di manichino è però disponibile in una sola taglia, rendendo difficile adattarli ad abiti di dimensioni più ridotte. La scocca interna è realizzata in vetroresina e rivestita di un tessuto di cotone ocra sul quale è possibile attaccare spilli per imbottiture o sottostrutture, e che fa aderire meglio l’abito, rendendone meno scivolosa la superficie. Il costo dei busti storici è significativo: si parla di circa 600 euro a manichino; per non rovinarlo, un museo tenderà a non apportare modifiche sostanziali. L’azienda non prende in generale commissioni per manichini su misura, ma è possibile ordinare il manichino senza il rivestimento esterno, in modo da poter ancora eseguire delle modifiche prima di coprirlo definitivamente. Inoltre si può ricevere la scocca del manichino divisa in quattro parti: un espediente che permette di agire sulla taglia, poiché è possibile limare le parti dove sono stati effettuati i tagli, ottenendo un manichino con misure ridotte22.

b- Kyoto Costume Institute

Akiko Fukai, direttrice e curatrice “emerita” del Kyoto Costume Institute (KCI), centro d’avanguardia per quanto riguarda lo studio della storia della moda occidentale e l’utilizzo di supporti espositivi per l’allestimento di mostre di abiti antichi, scrive a proposito degli allestimenti:

21 Tosi, 2012, p. 132.

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«Sia le esposizioni che i relativi cataloghi organizzati dal KCI […] da un lato sono organizzate in maniera scientifica, dall’altro mirano a mettere in luce l’attualità dei singoli pezzi. In altre parole gli abiti non sono esposti come oggetti di valore storico, ma come espressioni essenziali e vitali della moda e le mostre mirano a sottolineare l’eleganza ed il fascino che i singoli abiti avevano al loro tempo, come se si fossero improvvisamente ‘risvegliati’ da un lungo sonno»23.

Fondato nel 1978, il Kyoto Costume Institute è un centro di studi di moda occidentale e raccoglie, nonostante la sua giovane età, un’imponente collezione – tra le più vaste del mondo – di abiti antichi che vanno dal XVIII secolo ai giorni nostri. Da sempre questo importante centro museale si è posto il problema di capire e analizzare quale genere di manichino fosse più adatto alla singola esposizione e più specificatamente al singolo costume.

Già in occasione della prima mostra, The Evolution of Fashion 1835-1895 (aprile - giugno 1980), l’istituto realizzò i manichini su misura per gli abiti, grazie ad una collaborazione con il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York e il supporto tecnico di Nanasai Co, un’azienda che oltre ad occuparsi di pianificazione e progettazione di mostre ed eventi espositivi, produce e vende manichini di ogni genere. Da quel momento l’istituto stesso è diventato un centro di produzione di manichini interi destinati all’esposizione di abiti di musei, chiamati i “manichini giapponesi”.

Considerando che i manichini odierni non sono adatti a riprodurre le forme del corpo che sono variate nel corso dei secoli, il KCI ha disposto delle misurazioni di tutti i costumi appartenenti alle sue vaste collezioni di abiti storici occidentali, dalle quali sono state estrapolate le misure medie di ogni epoca, sulla cui base sono state prodotte 4 tipologie di manichini interi femminili, concepite per altrettanti periodi storici che vanno dal XVIII secolo sino agli esordi del XX secolo.24 Come da catalogo disponibile on line,

corredato delle rispettive misure, vediamo in ordine cronologico un primo modello studiato per la foggia del XVIII secolo, il secondo chiamato Empire Age che rispecchia le linee di moda dal 1800 al 1820, il terzo modello è rispondente alla silhouette del XIX secolo più in generale, ed infine il modello Belle Epoque per la linea 1895-191025 (Fig.

23 Fukai, 2012, p. 7.

24 KCI Mannequins, ‹http://www.kci.or.jp/exhibitions/mannequin_e.html› [data consultazione:

15/01/2016]

25 KCI Mannequins, ‹http://www.kci.or.jp/exhibitions/mannequin_e.html› [data consultazione:

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9). Corpo, testa, piedi, braccia e mani sono fatti di materiali fibrorinforzati26, mentre le

gambe sono di alluminio, e possono essere piegate liberamente. La caratteristica di questi manichini è l’estrema flessibilità: busto, braccia e gambe sono collegate mediante un’asta metallica che può essere regolata in lunghezza, permettendo quindi una grande polivalenza di questi dispositivi. L’unico manichino che non presenta la vita adattabile è il modello Empire Age, dei primi due decenni dell’Ottocento, periodo in cui il punto vita non è significativo, dato che gli abiti stretti sotto il seno scendono più morbidi sulla vita e sui fianchi, e dunque non è necessario un punto vita regolabile nella misura.

Per la versatilità che li caratterizza, i manichini del KCI sono stati adottati per le esposizioni di abiti di alcune delle più importanti istituzioni, quali il Musée de la Mode e du Costume di Parigi, il Victoria and Albert Museum di Londra e il Metropolitan Museum of Modern Art di New York27. In Italia, anche la Galleria del Costume di Palazzo Pitti ha adottato – dai suoi esordi nel 1983 - questi manichini e continua ad utilizzarli ancora oggi. La Galleria del Costume immediatamente dopo la sua nascita nel 1983 dovette infatti affrontare il problema delle strutture di supporto degli abiti, ovvero dei manichini. Con l’obiettivo di mostrare abiti interi e completi, e dunque utilizzando manichini a figura intera con arti e testa a dimensioni naturali, negli anni ’80 le possibilità di acquisto erano meno numerose rispetto ad oggi, e dal Kyoto Costume Institute, che aveva già il primato nel settore, furono acquistati svariati manichini a silhouette preformata per abiti del ‘700 e dell’800. All’epoca il KCI non aveva ancora messo in commercio il manichino Belle

Epoque 1895-1910 e perciò si procedette ad un adattamento che tramite imbottiture e

modifiche rese tali manichini utilizzabili anche per abiti del ‘900. I manichini maschili, che non erano stati ancora prodotti dal KCI, furono studiati nelle forme e realizzati appositamente dalla ditta italiana Barbaro, con sede a Calenzano (Firenze)28.

Nell’allestimento del 1985 i manichini furono incrementati, aggiungendo i nuovi studi del KCI per le silhouette della Belle Epoque (1895-1910). Per le figure degli anni Venti

26 noti con l’acronimo inglese di FRP (Fiber Reinforced Polymers), sono materiali composti da fibre lunghe

ad elevata resistenza immerse in una matrice polimerica. Le fibre hanno il compito principale di essere gli elementi resistenti del materiale ed esibiscono resistenze assiali molto elevate quanto sottoposte a trazione. La matrice polimerica, più comunemente riferita semplicemente come resina, ha invece la funzione di proteggere le fibre dall’usura ed eventuali danneggiamenti esterni, assicurare un buon allineamento delle fibre, e garantire che ci sia una buona distribuzione degli sforzi fra le fibre in modo che tutte siano sollecitate in modo pressoché uniforme. Definizione da <http://www.tecinn.com/tecn_frp.htm> [data consultazione: 05/03/2016].

27 Vedi Fukai, 2012, p. 8.

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invece si ricorse all’azienda inglese Derek Ryman, che collaborava allora con il Victoria and Albert Museum di Londra29.

I manichini del KCI, essendo ideati appositamente per gli abiti storici, hanno soddisfatto pienamente le esigenze della Galleria: assolvono alla funzione di fornire il giusto sostegno nelle zone pertinenti, assecondando le forme del corpo. Essendo composti da varie parti separabili e regolabili facilitano il montaggio degli abiti e permettono di adattare le proporzioni. Il laboratorio della Galleria procede a riempire la zona vuota con del Dacron (Fibra tessile sintetica di poliestere), tenuto fermo con una rete tubolare elastica. Nonostante i manichini siano di forme quasi perfette per calzare gli abiti, è comunque necessario realizzare le sottostrutture per simulare soprattutto le diverse fogge delle gonne30.

c- La Rosa

La storia della ditta La Rosa di Palazzolo Milanese (Milano) inizia nel 1922 quando, riproducendo le fattezze di celebri dive del cinema muto, conferisce potenza emotiva al manichino a quel tempo considerato poco più di un utensile. Da allora la Rosa diventa partner della moda e del lusso nella ricerca di una narrazione identitaria del prodotto. Nel 1969 Rachele Rigamonti, antesignana dell’imprenditoria femminile, trasforma La Rosa in una realtà industriale. L’azienda ha fornito i manichini per l’ultima mostra di rilievo nazionale svolta in più sedi: Bellissima, l’Italia dell’alta moda

1945-1968. Inaugurata presso il Museo Maxxi a Roma (02/12/2014-31/05/2015), è stata in

seguito ospitata alla Villa Reale di Monza (24/09/2015-10/02/2016) e attualmente al NSU Art Museum Fort Lauderdale, Miami, Florida (07/02/2016-05/06/2016).

La produzione de La Rosa comprende circa 80 modelli, suddivisi in manichini con testa o senza testa, con make-up o testa modellate, torsi e busti. L'azienda è in grado di realizzare prototipi su richiesta, procedendo dal bozzetto del manichino fino alla realizzazione del modello finale: i manichini sono realizzati in polistirene, una plastica completamente riciclata e riciclabile, normalmente utilizzata nell'industria del

29 Vedi Aschengreen Piacenti, 1986, p. 8. 30 Vedi Westerman Bulgarella, 1988, pp. 23-25.

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confezionamento alimentare per pellicole o vaschette, atossica, resistente, anti-shock e incredibilmente durevole31.

L’azienda La Rosa vanta una serie di collaborazioni con musei, esposizioni di moda e con alcune delle istituzioni più importanti in questo settore a livello nazionale ed internazionale.

L’inizio del rapporto con i musei per esposizioni di moda avviene nel 1986, quando La Rosa fornisce i manichini per la mostra sugli abiti di Roberto Capucci, al Museo Fortuny di Venezia, Roberto Capucci. Alta Moda abiti sa sera anni

cinquanta/sessanta. Successivamente collabora con la Biennale di Arte e Moda a Firenze

(1996), la Galleria del Costume di Firenze (2000), il Museo dell’Ara Pacis a Roma (2007), la Triennale di Milano (2015) e all’estero il Metropolitan Museum of Art, New York (1996); il Guggenheim Museum, New York (2000); il Musée de la Mode et du Textile, Parigi (2007); Cristóbal Balenciaga Museoa, Getaria, Spagna (2012); Casa Azul, Mexico City (2012/2013). Il denominatore comune di queste esposizioni è la contemporaneità degli oggetti esposti, il più delle volte di un solo stilista (Ferrè, Valentino, …) oppure - come nel caso di Casa Azul - ad un personaggio (Frida Kahlo), rimanendo comunque in un arco di tempo piuttosto contemporaneo. Questo fa sì che i manichini forniti da quest’azienda non seguano fogge particolari, ma riflettono semplicemente le forme del corpo dei nostri giorni32.

Anche la mostra Bellissima, l’Italia dell’alta moda 1945-1968, pur non essendo una monografica – raccoglie abiti contemporanei del lasso di tempo che va dal 1945 al 1968, dunque non è richiesta una forma particolare del supporto. Sono stati utilizzati i manichini della collezione ‘T’, completi di testa e arti, con un design estremamente contemporaneo (Fig. 10), scelti allo scopo di fornire una lettura attuale degli oggetti, che altrimenti sarebbero apparsi come oggetti lontani nel tempo.

A mio avviso, però, tale mostra solleva perplessità in merito a una problematica ricorrente, quella della conciliazione tra aspetti conservativi ed estetici che spesso in nelle mostre di abiti contemporanei viene meno, privilegiando la seconda. Ritengo che, nonostante gli abiti contemporanei possano magari spingere a soluzioni di allestimento più ardite, questo deve essere fatto senza trascurare né infrangere le basilari norme

31 Museo del Riciclo < www.museodelriciclo.it/autori/78/ > [data consultazione: 15/01/16] 32 La rosa ‹www.larosaitaly.com› [data consultazione: 20/01/16]

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conservative che sono valide per tutti i tessili tridimensionali, contemporanei compresi. La critica da portare a questi tipi di allestimenti è che in favore di una particolare estetica, mirante a rendere la mostra più attrattiva, si tenda a lasciare in secondo piano le corrette norme conservative degli abiti scelti. Trovo non adeguato da un punto di vista estetico e non corretto da un punto di vista conservativo l’utilizzo di manichini seduti o sistemati in posizioni che non sono neppure naturali (Fig. 11). Il trasgredire l’osservanza delle consuetudinarie norme conservative è ammesso solo nella misura in cui si individuino soluzioni che - seppur innovative - si muovano nella dimensione della tutela dell’oggetto. Ormai sempre più spesso sentiamo parlare di mostre che propongono argomenti accattivanti con l’unico obiettivo di trovare un largo consenso e su di esso lucrare, che trovano le sole ragione di essere in logiche di mercato. La moda purtroppo ha impiegato molto tempo a liberarsi dal pregiudizio di non essere degna di un museo, e ora che finalmente molti cominciano ad aprire gli occhi sull’argomento, mostre come queste fanno fare un passo indietro rispetto ai traguardi raggiunti, poiché ancora una volta la moda è venduta nella sua frivolezza e transitorietà.

3 Manichini realizzati su misura

Un’ulteriore possibilità di realizzazione artigianale di manichino, è quella su misura con strumenti e materiali normalmente presenti in un laboratorio di restauro tessile.

Scolpire un manichino personalizzato per un abito è un’operazione che richiede la combinazione del lavoro di più figure: lo scultore, il curatore, il conservatore e possibilmente anche il designer che cura l’allestimento della mostra. Questi collaborano con il fine ultimo di realizzare la migliore forma, il migliore adattamento ed il migliore supporto per l’abito. Quando si decide di realizzare un manichino su misura, è necessario da un lato prendere le misure principali dell’abito, dall’altro raccogliere la maggiore quantità possibile di informazioni riguardo la forma e le linee principali della silhouette del periodo storico cui l’abito appartiene.

Un’altra buona norma da seguire sempre quando si presenta la necessità di realizzare un manichino personalizzato per un abito, indipendentemente che sia da fare interamente o semplicemente da riadattare, sarebbe quella di realizzare delle riproduzioni

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dell’abito in tessuto che ne ricalchino perfettamente taglia, misure e forme, da utilizzare come sostituto di prova dell’originale, da maneggiare liberamente, calzare e togliere dal manichino, senza correre il rischio di danneggiare l’originale con numerose manipolazioni. Durante le fasi intermedie della realizzazione di un manichino su misura, è infatti possibile che questo si sporchi o addirittura si vengano a creare bordi frastagliati che vanno a danneggiare materialmente l’abito. Purtroppo, nonostante la costruzione di una copia sia ideale, questo non si verifica così di frequente, sia per la scarsità di risorse economiche che per la ristrettezza dei tempi in cui nella maggior parte dei casi si è costretti a lavorare. Diviene quindi necessario utilizzare l’originale anche per le prove, cercando di volta in volta di ridurre il più possibile il numero di spostamenti dell’oggetto e seguendo le norme per la movimentazione in sicurezza33.

Una modalità di scultura in laboratorio di un manichino spesso utilizzata, poiché realizzata con materiali e strumenti che sono normalmente disponibili in un laboratorio di restauro tessile, è quella mediante un sistema di dischi di Ethafoam, materiale inerte leggero utilizzato per l’allestimento e la conservazione di tridimensionali tessili, che viene scolpito in modo da adattarsi alla forma specifica di ogni abito34. Inizialmente questo metodo, elaborato da Colleen Wilson del British Columbia Provincial Museum35, prevedeva l’utilizzo del polistirolo e colla vinilica, poi rimpiazzato dall’uso dell’Ethafoam e di un solvente adesivo. Il primo passo da seguire per questo metodo è quello di prendere le principali misure di circonferenza nella parte interna dell’abito; non è possibile stabilire una regola univoca che stabilisca quali misure vadano rilevate, si deve valutare di volta in volta quali siano quelle rilevanti per il capo specifico. Le misure, leggermente inferiori alle misure reali affinché l’abito calzi comodamente senza che si creino tensioni nell’inserimento, vengono poi riportate su lastre di Ethafoam che vengono ritagliate in forme ovoidali, ottenendo così una serie di dischi allungati di differenti misure. I dischi vengono quindi posizionati uno sopra l’altro ed incollati tra loro con un solvente adesivo. Questa ‘torre’ creata con i dischi già crea il primo abbozzo del torso che calzerà l’abito. Il passo successivo è un lavoro di vera e propria scultura e rifinitura,

33 Vedi Flecker, 2013, pp. 42-43.

34 Vedi Sundstrom Niinimaa, 1987, pp. 75-84. Disponibile anche su ‹www.cool.conservation-us.org› [data

consultazione: 20/12/15].

35 Il British Columbia Provincial Museum, fondato nel 1886, colleziona artefatti, documenti ed esemplari

della storia naturale ed umana della regione della Colombia Britannica in Canada. Tra le sue molteplici e diversificate collezioni conta una raccolta di abiti e costumi provenienti da tutto il mondo. Da

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effettuate con seghetti elettrici e coltelli a lama flessibile, fino ad ottenere la forma voluta. Come già accennato, durante la fase di finitura può essere necessario anche più di una volta provare l’abito sul manichino in costruzione coprendolo con un tessuto di cotone lavato ed elasticizzato chiamato vestina (intendendolo nella forma confezionata appositamente per il manichino) al fine di proteggere l’abito dal contatto diretto con superfici non ancora perfettamente levigate o pulite. Il torso finito viene ricoperto con un tessuto di poliestere per rendere più morbida e liscia la parte di contatto tra il manichino e l’abito. Per finire, viene inserita dal basso nel centro un’asta che, poggiando su un piedistallo, rende il manichino una struttura stazionaria, che si regge in verticale autonomamente36 (Fig. 12).

Scolpire un manichino su misura non significa comunque non poterlo più riutilizzare. Un manichino personalizzato rimane un oggetto costoso, non tanto per quanto riguarda i materiali quanto per il tempo e il lavoro che richiede la sua realizzazione, e dunque, anche un manichino su misura realizzato in modo specifico per un abito può essere comunque riutilizzato con gli eventuali ed i dovuti aggiustamenti per eventuali successive esposizioni di altri capi. Senza contare che se l’abito per cui è stato realizzato tornerà ad essere esposto in una rotazione successiva o in un’altra mostra, nel momento dell’allestimento avrà già pronto il suo calco, facendo risparmiare a questo punto il tempo che era stato investito precedentemente.

4 Manichini adattati

L’utilizzo di manichini adattati, torsi oppure a figura intera, consente di esporre gli abiti ad un costo molto inferiore rispetto all’acquisto di manichini su misura.

Il lavoro di adattamento dei manichini per una mostra inizia quando viene indicata al laboratorio di restauro la lista dei pezzi che parteciperanno all’esposizione.

Per quella che è stata la mia esperienza all’interno del Museo del Tessuto di Prato durante l’allestimento della mostra Heritage, ho potuto notare che il triplice obiettivo a cui si deve aspirare concretamente in questa fase è quello di montare gli abiti in tempi rapidi, con una spesa il più possibile contenuta, e soprattutto di garantire in ogni momento

36 Vedi Sundstrom Niinimaa, 1987, pp. 75-84. Disponibile anche su ‹www.cool.conservation-us.org› [data

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il massimo livello per quanto riguarda gli standard conservativi e di sicurezza, individuando e mettendo a punto soluzioni ad hoc per ogni singolo oggetto.

Per la mostra Heritage tutti gli abiti sono stati montati su manichino, ad esclusione dei due di cui abbiamo parlato all’inizio di questo capitolo (Fig. 1 e Fig. 2), che per motivi di conservazione sono stati esposti in piano. Selezionati gli abiti da posizionare su manichino, è necessario considerare una serie di elementi che determineranno il tipo di montaggio: l’incidenza e la rilevanza che ha la durata della mostra, le necessità conservative e strutturali dei singoli abiti, la presenza di accessori, l’eventualità di inserire braccia e gambe. Per Heritage l’utilizzo di torsi sartoriali ha escluso quest’ultima problematica, ma ha comportato il creare di volta in volta delle strutture sostitutive degli arti per supportare parti specifiche degli abiti.

Il lavoro di adattamento dei manichini è un’operazione che deve necessariamente essere svolta all’interno di un laboratorio di restauro specializzato nel tessile, o comunque avvalendosi di personale specializzato che può in alternativa recarsi a svolgere il lavoro in museo, che deve comunque essere idoneo da un punto di vista climatico ad ospitare manufatti tessili. Per l’operazione di montaggio dei manichini, il Museo del Tessuto di Prato si avvale del supporto del laboratorio di restauro che ospita al suo interno, La Tela di Penelope Conservazione e Restauro Tessile, all’interno del quale lavorano restauratrici diplomate presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, specializzate appunto nel settore tessile.

I manichini scelti per la mostra Heritage sono stati dei torsi sartoriali fissati su un palo centrale, a sua volta poggiante su un piedistallo. Questo dispositivo di base/supporto può essere regolato manualmente in altezza e dunque adattato a varie tipologie di abiti.

Per un approfondimento sulla manipolazione e l’adattamento dei manichini, rimando al libro A Practical Guide for Costume Mounting di Lara Flecker a cui ho fatto e farò riferimento spesso, che prevede e prende in esame un grande numero di casi riscontrabili nel montare un manichino durante un allestimento museale, rapportandolo ad alcune delle problematiche osservate durante il montaggio di Heritage. Se sono sicuramente necessarie delle norme generali, è altrettanto importante comprendere che spesso i restauratori – dati gli infiniti scenari che si possono presentare - debbano studiare autonomamente le fogge e spesso inventare delle soluzioni ad hoc per un manufatto specifico, mantenendo comunque gli adeguati standard conservativi per quanto riguarda

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la manipolazione ed i materiali che possono entrare in contatto. Per quanto la guida al montaggio del manichino della Flecker sia estremamente dettagliata, risulta pressoché impossibile esaurire completamente la casistica infinita di fogge, con tutte le eccezioni e le particolarità che si portano dietro.

L’unico aspetto che invece si mantiene costante è il duplice obiettivo a cui mirare: idonea conservazione dell’oggetto, in modo che il tessuto non abbia tensioni e si appoggi correttamente al supporto; adeguata esposizione, che consenta la corretta lettura dell’abito, grazie a un’equilibrata silhouette e postura del manichino.37

Il Museo del Tessuto di Prato possiede numerosi manichini e perciò non è stato necessario acquistarne di nuovi per la mostra Heritage. Ma dato che le forme, ma soprattutto le misure degli abiti più antichi non corrispondono a quelle contemporanee, e nonostante si scelgano dei manichini che nella silhouette rispecchiano il più possibile quelle del periodo di provenienza dell’abito, le taglie non corrispondono. Ciascun abito e ciascun manichino possono essere davvero molto differenti, e per questo è impossibile descrivere in maniera esauriente tutte le operazioni che si possono effettuare per rendere questi due oggetti il più possibile compatibili. Ho comunque cercato di illustrare di seguito le modifiche più frequenti.

a- Dimensioni

In generale, si possono presentare due tipologie di problema, all’interno delle quali - vedremo più avanti – ne esistono altri meno rilevanti:

-Il manichino disponibile è troppo piccolo per l’abito. -Il manichino disponibile è troppo grande per l’abito.

- Il manichino disponibile è troppo piccolo per l’abito

La risoluzione di questa problematica prevede che - una volta individuata la forma che si vuole raggiungere – si riempiano i vuoti, o meglio si aumenti in maniera

37 Vedi Péerez de Andrés, 2007, p. 25. Disponibile anche in <www.museodeltraje.mcu.es > [data

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progressiva la taglia del manichino, attraverso l’utilizzo di carta velina non acida e falda per aumentare i volumi fino a raggiungere la dimensione necessaria, sempre assecondando le forme della silhouette.

Vedremo passo per passo quale è la buona norma da seguire e gli accorgimenti da tenere in mente quando si deve aumentare il volume del manichino con delle imbottiture. Successivamente, analizzeremo alcuni esempi del montaggio dei manichini della mostra

Heritage, a dimostrazione che una buona prassi non segue sempre pedissequamente la

regola, ma che un restauratore o curatore che allestisce un abito deve anche ogni volta trovare la soluzione migliore per l’oggetto specifico, anche adottando metodi alternativi.

Il primo passo è la scelta del manichino che deve essere più piccolo dell’abito, in modo da avere spazio sufficiente per inserire il materiale di riempimento dei vuoti, e ove siano disponibili manichini diversi nella forma oltre che nella misura, prendere quello che già nella sua silhouette di base assecondi o comunque tenda il più possibile alle forme dell’abito. Si procede quindi alla prova dell’abito sul manichino: un’operazione estremamente delicata, che deve essere svolta in presenza del curatore, ma soprattutto del restauratore, che meglio conosce lo stato di conservazione del pezzo e quindi anche le zone più fragili38.

A questo punto possono essere prese le misure principali anche realizzando uno schizzo del manichino che riporti i dati le misure in maniera più schematica ed intuitiva. Oltre che per la realizzazione delle imbottiture del manichino, queste misure possono servire per un’altra operazione consigliabile in generale, obbligatoria per i capi più fragili, cioè la riproduzione in tessuto degli abiti originali, da maneggiare comodamente per le prove su supporto in modo da movimentare così l’abito originale solamente nella fase finale, quando il manichino è già adeguatamente montato.

Dopo aver preso ulteriori misure, si è in grado di valutare in via teorica l’intervento da attuare, anche se poi nella pratica non sempre è possibile rispettare puntualmente quello che è stato pianificato in precedenza. La valutazione generale, considererà dove sarà necessario apporre le varie imbottiture, mirando al duplice fine di aumentare la taglia da un lato e dall’altro raggiungere la forma del manichino più adatta

38 Vedi Péerez de Andrés, 2007, p. 25. Disponibile anche in <www.museodeltraje.mcu.es > [data

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alla sua epoca. Le tipologie di forme del corpo create attraverso l’uso di particolari corsetti, soprattutto dal XVIII secolo fino al XX secolo, sono estremamente diversificate, ma è essenziale che individuarle per rendere la giusta silhouette all’abito da esporre. Per raggiungere tale obiettivo è sempre necessario uno studio delle forme dell’abito e di quelle dei corpi di moda alla sua epoca. Per lo studio iconografico, volto ad individuare fogge simili dalle quali ricavare la forma più idonea per il supporto, si utilizzano fonti figurative di diverso genere: ritratti, figurini di moda, cartamodelli originali, libri e risorse in rete, soprattutto messe a disposizione da altri musei di moda. Utili sono anche le illustrazioni delle tipologie di sottostrutture per capire il tipo di forma a cui si vuole arrivare.

Terminata la fase di studio e pianificazione, l’abito può essere rimosso e si può procedere alla imbottitura del manichino. Quest’operazione viene eseguita per mezzo di falda (ovatta di poliestere), materiale molto economico, facilmente reperibile e disponibile in vari spessori e pesi. Il processo di imbottitura di un manichino con la falda è simile a quello di una scultura con l’argilla: cercando di mantenere la superficie il più possibile liscia e ferma, si applicano uno sull’altro vari strati di falda, ritagliata in piccoli pezzi, fino al raggiungimento della forma voluta. La quantità di falda utilizzata varia sensibilmente da caso a caso. Prima di fissare definitivamente l’imbottitura si deve fare attenzione che tutti i bordi siano ben tesi, così che la figura appaia liscia, evitando deformazioni sulle giunture dei vari strati di imbottitura che possono poi essere visibili anche dall’esterno, quando l’abito è montato. A questo punto si prova nuovamente l’abito per verificare che le imbottiture calzino, dopo aver isolato le parti imbottite mediante un tessuto per evitare che resti di falda rimangano sull’abito. Quando infine si è certi che il manichino è completato, può essere ricoperto con una vestina (tessuto confezionato nella forma del manichino) e successivamente l’abito viene posizionato definitivamente39.

Il modo di procedere all’imbottitura di manichini è nei fatti diverso secondo le fogge, come esemplificano la serie di interventi per abiti di secoli differenti (XVIII-XIX-XX secolo) realizzati per la mostra Heritage.

Il Settecento è il secolo che inaugura la moda dell’utilizzo dei corsetti, che in quest’epoca intrappolavano e modellavano il corpo all’interno di una forma di cono invertito, creando una lunga e diritta linea frontale che andava a terminare in un punto

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ben al di sotto del livello della vita; il corsetto di fatto elevava la posizione del busto, modificando la forma naturale, appiattendola e spostandola verso l’alto. Se la sezione di un busto femminile tende normalmente ad un ovale, con lo stringimento dei lati e l’incremento del fronte e del retro la sezione sarà più simile ad un cerchio. Per queste ragioni, per imbottire un manichino a forma settecentesca si devono apportare una serie di strati di falda principalmente nella parte frontale superiore del busto. Si procede riempiendo soprattutto il petto, in modo da far apparire le spalle ben spinte indietro, lasciando invece più spoglio il retro e completamente intatte le parti laterali e la parte bassa del busto. Sul retro si applicano solo imbottiture in modo tale da mantenere ben verticale e diritto l’apotema del semi-cono rovesciato40 (Fig. 13).

Così la Giacchina femminile (Caraco) (Italia, fine sec. XVIII; raso lanciato: seta; dono Comune di Prato; inv. n. 85.01.15) (Fig. 14). Unico pezzo di abbigliamento femminile nella mostra Heritage del XVIII secolo, quando la linea vita inizia sensibilmente a salire verso l’alto, contribuendo a dare maggiore enfasi al busto e al petto. Per questa giacchina è stato scelto un allestimento che esclude totalmente la parte inferiore del corpo, per evidenziarne la preziosità. Il manichino utilizzato è un Bonaveri, avente già l’idonea silhouette settecentesca; pertanto è bastato inserire, nella zona del dorso e dell’alto ventre, uno spessore uniforme di falda, rispettando la forma originale, così da ottenere la giusta taglia e la corretta adesione del pezzo al manichino. Un problema che invece si è presentato riguarda la scollatura estremamente ampia che si protrae fino alla metà dei seni. Tale giacchina infatti veniva indossata al di sopra di una sorta di camicia blusante, che riduceva in parte l’ampiezza dello scollo che pur rimaneva ugualmente pronunciato, ma garantendo almeno la copertura del seno. Esporre la giacchina senza inserire questo dettaglio risultava una soluzione non adeguata, perché avrebbe presentato l’oggetto nella maniera errata. Per questa ragione si è reso necessario realizzare e apporre sul manichino un sostituto visivo di questa camicia mancante: aiutandosi con l’iconografia, è stata inserita una fusciacca di seta bianca leggerissima ripiegata a doppio a simulare la presenza di una camicia sottostante; tale soluzione permette di percepire l’oggetto esposto nella sua forma/funzione originaria e leggerlo nel modo corretto, non lasciando spazio a fraintendimenti o a interpretazioni errate.

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La silhouette dell’Ottocento, diversamente da quella settecentesca che tende a mantenersi costante nei decenni del secolo, non è standard, ma subisce forti variazioni nelle linee principali negli anni. Se l’inizio del secolo vede una forma del corpo femminile con una vita spostata sensibilmente verso l’alto nella zona immediatamente sotto il seno, con i fianchi lasciati morbidi nella tipica forma neoclassica, già gli anni Venti segnano un ritorno ad un punto vita più basso, con un suo notevole restringimento. La metà del secolo si caratterizza infatti per la tipica forma a clessidra, strettissima in vita e molto più generosa nella parte dei seni e dei fianchi41. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, e negli anni a cavallo con il secolo successivo, la silhouette acquista una nuova e differente sinuosità, che tocca il suo apice nella tipica linea a ‘S’, data dalla opposta e pronunciata sporgenza nella parte del busto tra seno e fondo schiena.42

In generale – comunque - la costruzione dei corsetti del XIX secolo si focalizza sostanzialmente sul netto restringimento della misura della vita e questo fa sì che i fianchi e il busto risultino rigonfiati, creando una silhouette ‘voluttuosa’, soprattutto se confrontata con quella dell’inizio del secolo. Per ottenere questo tipo di forma, anche in questo caso -come già per i manichini del XVIII secolo - si tende a concentrare le imbottiture sul fronte e sul retro del manichino, lasciando relativamente liberi i fianchi. Ma la forma del busto è nettamente differente rispetto a quella del secolo precedente. All’introduzione di mezzi di costrizione dei fianchi corrisponde un aumento dello spazio sul petto, che si allarga, facendo apparire i seni più lontani, contrariamente al secolo precedente, in cui erano schiacciati e protesi verso l’alto, mentre la vita deve avere una forma il più possibile liscia ed arrotondata. Infine, con l’introduzione in questo periodo dei corsetti privi di spalline, si ha una modifica per quanto riguarda la forma delle spalle che la moda dell’Ottocento vuole molto più inclinate e scese43 (Fig. 15). La forma

curvilinea delle silhouette di questo periodo si accentua visibilmente, la vita è fortemente stretta all’interno dei corsetti, mentre i fianchi e la parte superiore del busto sono più sviluppate ed estese. L’imbottitura da applicare al manichino deve dunque riflettere questa forma.

Tra gli abiti montati per la mostra Heritage appartenenti al XIX la silhouette della metà del secolo è esemplificata da l’Abito femminile di corte di Maria Giuseppina

41 Vedi Landi, 1985, p. 165.

42 Vedi Flecker, 2013, p. 85 e Pardoe, Robinson, 2000, pp. 39-40. 43 Vedi Flecker, 2013, p. 86.

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Gaetani dell’Aquila d’Aragona (Napoli, metà sec. XIX; Gros de Tours: seta; ricamo ad

ago: canutiglie, paillettes dorate; ricamo a punto posato in oro filato e lamellare) (Fig. 16). È stato necessario, come spesso accade per abiti di tale tipo ricorrere a manichini da bambino, poiché quelli da adulti presentano un punto vita di gran lunga più largo rispetto a quello dell’abito, e per utilizzarli sarebbe stato necessario rimuovere gran parte del materiale. Tale tipologia di manichini presenta però una serie di problematiche per ottenere la forma idonea, dato che sono lineari e non hanno di base nessun tipo di forme, né sul petto né sui fianchi. Il manichino dunque è stato completamente imbottito nella parte superiore con falda, in modo da ricreare completamente il seno ed il dorso e far aderire perfettamente l’abito. Per ottenere volume sui seni, sono state inserite delle imbottiture preformate (spalline), ricoperte di falda. Per dare poi una certa ampiezza ai fianchi, è stata applicata al manichino una sorta di cuscinetto a forma di ciambella, realizzato con l’inserimento della falda in una fascia di collant prive delle gambe, in modo da ricreare una zona di volume all’altezza del bacino, concentrando l’imbottitura nella parte posteriore e sui fianchi. Questo stratagemma risolve anche la problematica di stendere e aprire, la gonna che, data la pesantezza del tessuto e del ricamo in oro aggravata da lungo mantello/strascico nel medesimo tessuto agganciato all’altezza della vita nel punto di giuntura tra la gonna ed il busto, non può essere volumizzata con la sola e usuale carta velina.

Altri due abiti in mostra appartengono alla fine del secolo XIX e sono stati indossati e dalla stessa persona. Sono l’Abito da sposa di Beatrice Verity Manners (Sartoria Teresa Ventinove/Firenze; ultimo decennio sec. XX; Gros de Tours: seta; merletto a fuselli: lino; dono Francesca di Frassineto; inv. n. 02.05.05) (Fig. 17) e Abito

da cerimonia di Beatrice Verity Manners (Gonna: sartoria fiorentina, ultimo decennio

sec. XIX, Blusa: L. Rinaldini e nipote, Firenze, ultimo decennio. Gonna: tessuto operato: seta; crespo: seta; merletto a fuselli: lino. Blusa: tela: cotone; crespo: seta; ricamo ad ago: cotone, perline iron cut; dono Francesca di Frassineto; inv. n. 02.05.04 - 02 a, b) (Fig. 18) costituito da una blusa riccamente decorata con perline ed una plissettatura in chiffon, e da una gonna di seta finissima decorata con merletto a fuselli.

Nell’ultimo decennio dell’Ottocento si verifica la tendenza al restringimento della parte anteriore del corsetto e la totale sparizione della forma arrotondata della zona del ventre. Nella silhouette ritroviamo la tendenza alla sinuosità che caratterizza più in generale le arti maggiori, ma soprattutto le arti applicate di questo secolo; plasmata

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