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ABSTRACT  (ENGLISH)  3  ABSTRACT  (ITALIANO)  4  INTRODUZIONE  5

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ABSTRACT  (ENGLISH)   3  

ABSTRACT  (ITALIANO)   4  

INTRODUZIONE   5  

Mieloma  multiplo   5  

Linfociti  t  gamma-­‐delta  (γδ)   11  

PROTOCOLLO  DI  STUDIO   20  

Razionale  del  protocollo   20  

Scopo  del  protocollo   20  

Caratteristiche  dei  pazienti   26  

Valutazione  clinica   27   Valutazione  tollerabilita’   27   Analisi  citofluorimetrica   28   Analisi  statistica   29   RISULTATI   30   Risposte  cliniche   30   Tossicita’   32  

Variazioni  linfociti  T  γδ  e  sottopopolazioni  γδ   34  

Variazioni  linfociti  T   36  

DISCUSSIONE   38  

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BIBLIOGRAFIA   46  

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Abstract (English)

Multiple myeloma is a hematologic neoplasm in which major achievements have been obtained with new available drugs. New maintenance treatments have been studied to improve survival but there are still concerns due to tolerance and major side effects. γδ T cells represent a subset of T cells expressing a T cell receptor (TCR) that display a range of innate effector functions including secretion of chemokines and cell lysis in response to phosphoantigen like isopentenyl diphosphate (IPP). Several studies suggest an antineoplastic role of γδ T lymphocytes also against multiple myeloma: this functions could be enhanced in vitro by zoledronate, that increase IPP level, and further increased by interleukine 2 (IL-2).

In this study we initiated a phase II clinical trial in multiple myeloma patients as a maintenance treatment after autologous stem cells transplantation, to examine the feasibility and consequences of in vivo stimuli with zoledronate in combination with IL-2, to activate peripheral blood (PB) γδ cells in order to control disease progression. We enrolled 17 patients with 2 clinical response (11,7%), 6 progressions (35,3%) and a PFS of 57,9 %. Interestingly responder patients have the higher marrow and PB γδ levels. Treatment was generally well tolerated with systemic symptoms occurrence as major toxicity. We did not observe an increase or variation in PB γδcells but we noted an increase of CD4+/CD25+/CD127- T reg in 12/17 cases (70,2%). Thus, zoledronate + IL-2 represents a safe, feasible approach to maintain or to induce clinical responses in patients with multiple myeloma, even if in vivo γδ cells expansions was not noted. Probably patients selection should be suggested to include only responders patients in future trials. Treatment expanded PB T regs whose role on γδ cells and responses need further analysis both in vivo and in vitro.

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Abstract (Italiano)

Il mieloma multiplo è una neoplasia ematologica in cui sono stati ottenuti importanti risultati con i nuovi farmaci disponibili. La terapia di mantenimento ha mostrato miglioramenti in termini di PFS ma con notevoli tossicita’ ed effetti collaterali secondari. I linfociti T γδ hanno funzioni effettrici innate compresa l’azione citolitica in risposta a fosfoantigeni quali isopentil pirofosfato (IPP). Diversi studi suggeriscono un ruolo antineoplastico dei linfociti T γδ anche contro cellule di mieloma multiplo: tale azione e’ ulteriormente stimolata in vitro da zoledronato, che aumenta i livelli di IPP, ed interleuchina 2 (IL-2).

Il progetto consiste in uno studio di fase II in pazienti con mieloma multiplo, al fine di indagare fattibilità e tossicita’ dello stimolo in vivo con zoledronato e IL-2 come terapia mantenimento dopo trapianto autologo cosi’ da stimolare i linfociti T γδ per controllare la progressione della malattia.

Sono stati arruolati 17 pazienti con 2 risposte cliniche (11,7%), 6 progressioni (35,3%) ed una PFS del 57,9%. Interessante e’ l’osservazione che i pazienti responsivi avessero i livelli piu’ alti di linfociti T γδ sia su sangue periferico che midollare. Il trattamento è stato ben tollerato, con comparsa dei sintomi sistemici come tossicità maggiore. Non abbiamo osservato un aumento o una variazione dei linfociti T γδ, quanto un aumento dei linfociti T regolatori CD4+/CD25+/CD127- in 12 casi (70,2%). In conclusione lo stimolo con zoledronato e IL-2 rappresenta un approccio sicuro ed in grado di mantenere o di indurre risposte cliniche in pazienti con mieloma multiplo, anche se non si e’ verificata l’attesa espansione in vivo di linfociti T γδ . Miglioramenti nelle risposte potrebbero essere ottenibili con selezione dei soli pazienti responsivi. Il trattamento ha determinato un aumento dei T reg: per capirne meglio le interazioni con i T γδ ed il loro

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Introduzione

Mieloma multiplo

Il mieloma multiplo (MM) è una patologia clonale neoplastica che colpisce le plasmacellule, con un’incidenza annuale di circa 1 caso su 400000 persone rappresentando l’1% di tutte le neoplasie e il 15 % di quelle ematologiche. ll mieloma multiplo rappresenta tuttora una sfida terapeutica per il mondo ematologico poiché costituisce, ancora oggi, una malattia incurabile.

La proliferazione della neoplasia determina la produzione di una proteina in eccesso che può essere un tipo di catena pesante oppure di catena leggera delle immunoglobuline, con la possibilità di riconoscere diversi tipi di mieloma multiplo caratterizzati dalla presenza di una determinata componente monoclonale (IgG, IgA, M, D, catene leggere K e L). In alcuni rari casi le cellule neoplastiche producono ma non secernono la proteina1.

L’accumulo della massa neoplastica determina gradualmente i sintomi e segni tipici della malattia, quali anemia, insufficienza renale lesioni scheletriche: queste ultime determinano dolore osseo e fratture. In alcuni casi possono esserci anche sintomi dovuti alla presenza della proteina in gran quantità in periferia con neurotossicità, alterazioni coagulative e fenomeni riconducibili ad una sindrome da iperviscosità. La malattia solitamente appare inizialmente responsiva ai trattamenti, con miglioramento delle condizioni e della qualità di vita del paziente che rimane buona fino al verificarsi della recidiva, quando un nuovo

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trattamento è necessario. Ogni volta che la patologia recidiva la risposta clinica appare di minore entità fino a che diviene refrattaria ai trattamenti determinando il decesso del paziente2.

La diagnosi di mieloma multiplo si basa su criteri laboratoristici e clinici, necessari per distinguere situazioni pre-mielomatose senza necessità terapeutiche quali gammopatie monoclonali di significato incerto (MGUS), smoldering myeloma. La diagnosi di mieloma multiplo sintomatico necessita della presenza di componente monoclonale nel siero e/o urine (> 3 gr/dl o > 1 gr/24 ore rispettivamente), infiltrazione midollare da parte di plasmacellule neoplastiche > 10% e presenza di danno d’organo. Quest’ultimo dato e’ particolarmente importante nel definire la diagnosi e le necessità terapeutiche, e la presenza di danno d’organo e’ riassunta nell’acronimo CRAB, con cui si indicano ipercalcemia, insufficienza renale, anemia e lesioni ossee3.

All’interno della diagnosi di mieloma multiplo sono racchiuse patologie a diverso comportamento clinico, chemio responsività, e sopravvivenza sia per variabilità legate al paziente che alle caratteristiche biologiche della neoplasia stessa. Sono quindi stati utilizzati sistemi di stadiazione e prognosi per identificare pazienti a basso ed alto rischio. Attualmente si utilizza l’International Staging System (ISS)4, in base a cui e’ possibile suddividere i pazienti in 3 gruppi in base ai livelli di β2microgloblina ed albumina sierica: Stadio I con β2microgloblina < 3,5 gr/dl ed albumina sierica >3,5 g/dl: stadio II pazienti con definibili in stadio I e III, con β2microgloblina > 5,5 g/dl. I tre gruppi hanno attesa di vita progressivamente minore.

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Le caratteristiche citogenetiche alla diagnosi rivestono anch’esse un ruolo prognostico. La presenza di iperploidia e di traslocazione del gene delle catene pesante t(11:14) identificano pazienti a rischio basso/standard. La presenza di delezione di 17p, delezione 13q, mutazione del gene Rb, ipodiploidia, e t(4:14) e t (14,16), alterazioni a livello del cromosomica 1 (trisomia 1q+, delezione 1p) al contrario sono tipici di MM ad alto rischio5.

Per quanto riguarda la terapia, in base all’età ed alle comorbidità del paziente, l’approccio può essere trapiantologico oppure non trapiantologico.

Nei pazienti eleggibili, fino a 70 anni in assenza di controindicazioni, il trapianto rappresenta un obiettivo terapeutico importante che, per adesso, e’ risultato essere il trattamento di scelta con i risultati migliori sia per quanto attiene alla progression free survival (PFS) che all’overall survival (OS), particolarmente nei pazienti di età inferiore a sessanta anni 6.

Il trapianto e’ inserito nel trattamento dei pazienti non all’inizio ma dopo l’esecuzione di una terapia iniziale definita di induzione, da iniziare non appena definita la diagnosi. Quanto migliore e’ la risposta ottenuta dopo tale trattamento migliore e’ il risultato raggiungibile dopo trapianto autologo il cui fine e’ quello di “consolidare” la risposta ottenuta allungando il periodo di stabilità di malattia, libero da necessità terapeutiche.

Negli anni l’introduzione di nuove categorie di farmaci ha consentito il raggiungimento di una percentuale maggiore di risposte complete (RC) o quantomeno l’ottenimento di una risposta clinica praticamente

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in tutti i pazienti trattati. 7

Trattamenti di induzione con farmaci chemioterapici quali antracicline, ciclofosfamide e/o vincristina, in associazione con steroidi, consentivano di ottenere una quota di RC di circa il 5-10%, mentre con i nuovi farmaci (es. talidomide, bortezomib, lenalidomide) e cicli di induzione di associazione la quota di pazienti in grado di ottenere una risposta completa e’ nell’ordine del 40 % circa. Sebbene non esista un trattamento standard la pratica clinica attuale consiglia di utilizzare in induzione un ciclo di associazione che comprenda i farmaci di nuova generazione8,9,10,11,12.

La procedura di trapianto autologo, preceduta da una fase di raccolta di cellule staminali, consiste in una chemioterapia ad alte dosi in cui l’utilizzo delle cellule staminali (da qui la definizione di “trapianto”) e’ necessario per superare la tossicità dose limitante dei farmaci utilizzati, primitivamente ematologica, rendendo il periodo di neutropenia sovrapponibile a quello di un ciclo chemioterapico standard abbattendo il rischio di mortalità a circa il 5%, principalmente per complicanze infettive.

Ulteriori successi sono stati ottenuti con la metodica del doppio autotrapianto sequenziale che si è dimostrata maggiormente attiva rispetto al singolo autotrapianto14, principalmente quando la risposta al primo non sia stata completa; negli altri casi il secondo autotrapianto può essere dilazionato fino alla progressione della malattia14. E’ interessante notare come i nuovi farmaci si siano dimostrati attivi nell’indurre una risposta anche dopo recidiva post autotrapianto, confermando come il trattamento con alte dosi non

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impedisca una successiva terapia15. Nonostante il trapianto prolunghi la sopravvivenza e il periodo libero da malattia, tale approccio non e’ comunque curativo e pertanto vari autori hanno proposto una terapia post trapiantologico di mantenimento o di consolidamento. Le esperienze effettuate hanno consentito di ottenere un beneficio per quanto riguarda il numero di risposte ottenibili dopo il trapianto, anche in termine di risposta completa e di prolungare la PFS ottenibile, tanto che il ricorso al doppio autotrapianto up-front e’ stato ridimensionato 16. Il ruolo in particolare della terapia di mantenimento post trapianto nei pazienti in prima remissione di malattia e’ dibattuto poiché’ sebbene sia gli studi randomizzati con nuovi farmaci quali talidomide e lenalidomide abbiano determinato un aumento della PFS, il loro impatto in termini di sopravvivenza e qualità di vita non e’ stato cosi’ evidente. In particolare per quanto riguarda l’utilizzo di talidomide non e’ stato dimostrato un aumento della sopravvivenza in tutti gli studi e i pazienti trattati in questo modo avevano una riduzione della qualità di vita in seguito alla tossicità legata al farmaco con interruzione del farmaco stesso in molti casi. D’altra parte anche l’utilizzo di lenalidomide, sebbene con tale approccio sia stata ottenuta una PFS mediana di 3,5 anni in prima remissione, (ad oggi il risultato migliore ottenuto) e’ tuttora dibattuto per i problemi di tossicità legato alla terapia stessa e per la segnalazione di casi di seconde neoplasie durante il trattamento stesso. Sebbene un’analisi accurata di quest’aspetto abbia chiarito come il rapporto rischio beneficio sia comunque a favore della terapia, la considerazione del fatto che non si tratti comunque di un approccio “curativo” non ne pone chiara indicazione all’impiego dopo una prima linea efficace.17,18,19,20,21

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La tecnica del trapianto allogenico, utilizzato nei pazienti a maggior rischio e di età giovane rappresenta ad oggi l’unico approccio potenzialmente curativo ed i risultati dimostrano la presenza di un’azione immunologica contro il mieloma (graft versus myeloma GVM). Il dato limitante di tale terapia e’ rappresentato dalla TRM (transplant related mortality) che, nelle migliori casistiche con l’utilizzo di regimi di condizionamento a intensità ridotta, e’ intorno al 10-15%, Inoltre in circa il 50% dei pazienti si assiste al fenomeno della GVHD (graft versus host disease) che, sebbene di entità e grado variabile, determina un peggioramento della qualità di vita dei pazienti. Pertanto, anche in considerazione dei miglioramenti raggiunti con i nuovi farmaci disponibili, il trapianto allogenico e’ riservato alla minoranza dei pazienti con diagnosi di MM 22,23,.

Oltre alla terapia anti-neoplastica anche la terapia di supporto e’ importante. In particolare l’utilizzo dei bifosfonati, tra cui zoledronato, e’ consigliato in tutti i pazienti, principalmente con malattia ossea. Le cellule mielomatose determinano la produzione di citochine di stimolo dell’azione osteoclastica quali IL6, IL-11,IL-1b e RANKL.

I bifosfonati si legano in modo veloce e specifico all’idrossiapatite ossea, in particolare nelle zone di riassorbimento osseo e , nel MM, nelle lesioni osteolitiche. Zoledronato inibisce la via dell’acido mevalonico, a livello della farnesilazione dell’enzima farnesil-pirofosfato sintasi, processo fondamentale nella modificazione post traduzionale proteica necessaria per la corretta localizzazione ed attività all’interno della cellula. Alcune proteine coinvolte nell’azione litica osteoclastica vengono rese inattive in seguito a tale “blocco” con

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Linfociti t gamma-delta (γδ)

I linfociti T gamma delta rappresentano circa il 5-10 % dei linfociti T CD3+. Il primo report di una nuova classe di linfociti T con TcR eterodimerico diverso ad alfa-beta risale al 1986. Questi linfociti hanno delle caratteristiche peculiari rispetto ai linfociti T alfa beta dai quali differiscono principalmente per la capacità di riconoscere l’antigene in modo MHC indipendente, con caratteristiche a cavallo tra l’immunità innata e quella immunitaria vera e propria con proprietà tipiche dell’una e dell’altra.25,26,27

A livello timico il riarrangiamento per i loci γ,δ e β comincia a livello della cellula CD4-,CD8- con il riarrangiamento delta che precede quello degli altri loci. L’appaiamento della catena delta a quella gamma quindi indirizza i T in senso γδ e li esclude dalla maturazione alfa beta ”saltando” la formazione di precursori CD4+/CD8+. La successiva maturazione appare differente con assenza dei passaggi di selezione positiva e negativa dei T γδ e liberazione nel sangue periferica con fenotipo CD4-/CD8- nel 90% dei casi e maturazione e selezione che avvengono principalmente in stadio post-timico 28,29 Recenti osservazioni indicano come la maggior parte dei linfociti T γδ timici non incontrino l’antigene durante lo sviluppo timico e che un repertorio di T γδ antigene naive periferico e’ mantenuto attraverso un rapido turn-over30,31,32. Si ipotizza che l’incontro con il ligando durante lo sviluppo possa orientare i linfociti T γδ a produrre IFNγ mentre l’assenza di tale contatto (T- naïve) li renderebbe principali produttori di IL17. Dal punto di vista fenotipico i primi sarebbero CD27+, i secondi CD27- 33,34. Un’altra popolazione individuata sarebbe quella

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più auto-reattive che sarebbero la maggior fonte di produzione di IL4.35

I linfociti T γδ sono in grado di riconoscere un numero elevato di antigeni, sebbene il numero di segmenti V per il riarrangiamento sia minore rispetto ai linfociti B e αβ, per la maggiore variabilità a livello del segmento CDR3 del Tcr32 che appaiono dal punto di vista conformazionale meno rigidi e con dimensioni variabili rispetto ai linfociti T αβ. Questa differenza e’ stata interpreta come dovuta alla necessità dell’interazione con le molecolare MHC di classe I e II da parte dei T αβ, al contrario dei linfociti T γδ.

I linfociti γδ si possono dividere in due popolazioni principali in base al tipo di catena δ espressa. I linfociti γδ che esprimo la catena δ1 sono principalmente presenti a livello dei tessuti epiteliali della mucose, dove mantengono l’integrità dell’epitelio in seguito a danni, infezioni o processi di trasformazione. A seconda del tipo di epitelio si riconoscono riarrangiamenti Tcr conservati: a livello cutaneo Vγ5/Vδ1, a livello delle mucose dell’apparato gastroenterico (principalmente intestinali), Vγ7/Vδ1 ed a livello genitale femminile Vγ6/Vδ135,36.

Una seconda popolazione esprime la catena δ2 e si ritrova principalmente nel sangue periferico dove rappresenta l’1-10% dei linfociti T circolanti, nel 90% dei casi l’appaiamento avviene con la catena γ9 con riarrangiamento TcR Vγ2Vδ9.37

I linfociti T γδ sono spesso associati all’immunità innata per la loro rapida risposta antigenica e pronta migrazione nei siti infiammatori o sede di lesione, con effetto immediato citotossico e di cellula

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presentante l’antigene, nonché per la capacità di risposta antigene MHC indipendente. Dal punto di vista funzionale hanno ruolo citotossico contro cellule infette da virus, batterie e protozoi e anche contro cellule neoplastiche. Tale azione utilizza le stesse modalità dei linfociti T αβ citotossici quali secrezione di TNFα, e vie Fas/Fas ligand e perforin/granzyme.

Come nei linfociti T alfa-beta durante l’ontogenesi T avviene il riarrangiamento dei geni V-D-J, con riconoscimento antigene specifico e Tcr dipendente da parte della cellula, caratteristica tipica della immunità secondaria.

I linfociti T gamma delta sono in grado di riconoscere, in modo Tcr dipendente, antigeni non peptici, a basso peso molecolare, quali ad esempio precursori isoprenoidi, derivati dal metabolismo sia eucariotico che procariotico ed iper espressi su cellule infette ma anche da cellule di natura tumorale. Un’espansione dei linfociti T γ2δ9 e’ stata osservata in pazienti con malaria, tubercolosi ed altre patologie infettive mentre un loro calo e’ stato notato in caso di progressione clinica in pazienti con diagnosi di HIV.

Nel primo caso il precursore che determina il maggiore stimolo antigenico e’ il 4-idrossi 3metil but 2 enilpirofosato (HMB-PP) , mentre in caso di cellule neoplastiche e’ stato ipotizzato come lo stimolo antigenico di maggiore portata possa essere rappresentato dall’isopentil-pirofosfato (IPP).38,39

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Procarioti Eucarioti

Piruvato+ gliceraldeide 3 fosfato 3 idrossi-3 metilglutaril- CoA

Mevalonato Mevalonato

HMB-PP

IPP DMAPP IPP DMAPP

FPP FPP

Isopreonidi colesterolo isoprenoidi

Oltre al contatto diretto con i fosfoantigeni l’attivazione dei linfociti gamma delta ed il loro ruolo effettore o meno e’ regolato anche alla presenza di altri molecole di superficie e dal contatto diretto con APC (antigen presenting cell).

Per quanto riguarda il contatto con cellule tumorali appare avere un ruolo importante anche NKG2D, recettore della famiglia KIR (killer immonoglobuline like receptor) che riconosce MHC class I related chain A e B (MIC-A e MIC-B) spesso espresse su cellule neoplastiche. Il riconoscimento di MHC I sulla superficie di cellule non

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neoplastiche può agire in senso inibitorio tramite contatto con recettori della medesima categoria ad azione inibitoria NKG2A40,41. Inoltre il ruolo antitumorale dei linfociti T γδ verosimilmente dipende anche dalla presenza di altri tipi cellulari che agiscono insieme ad esse in modo sinergico quali cellule NK e cellule dendritiche. Studi in vivo hanno dimostrato come la presenza di linfociti T γδ sia necessaria per l’azione anti neoplastica delle cellule NK e come possano agire con ruolo APC per stimolare l’espansione l’azione citossica di linfociti T CD8 “killer”. 42,43

All’interno dei linfociti Tγ2δ9 si riconoscono quelle a fenotipo “naive-like” CD45RA+/CD27+ e quelle a fenotipo “central memory” CD45RA-/CD27+ che risiedono negli organi linfoidi secondari, da quelle con fenotipo “effettore-memory like” denominate TEM CD45RA-,CD27-, e a fenotipo “terminally diffentiated” TEMRA CD45RA+/CD27- che invece si ritrovano nei siti infiammatorio e sono responsabili del ruolo effettore, con la capacità di secernere IFNγ e TNFγ con note proprietà citotossiche. Le cellule CD27- sarebbe in grado di produrre citochine differenti quali IL17, IL10, IL4.44,45

L’azione antineoplastica dei linfociti T γδ e’ frutto di osservazioni in vitro ed in vivo. Le cellule neoplastiche spesso hanno uno sbilanciamento delle molecole di superficie tipo MHC I e sono pertanto riconosciute da cellule dell’immunità innata quali cellule NK rispetto alle quali i linfociti T γδ hanno sicuramente delle somiglianze; inoltre, come già descritto, in caso di neoplasie si ha un accumulo dei metaboliti della via del mevalonato che risultano essere stimolanti per crescita espansione ed azione effettrici dei linfociti T γδ. Alcune

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osservazioni in vivo sostengono il ruolo dei linfociti T γδ in senso antitumorale, come l’associazione di un loro aumento con un maggiore controllo della neoplasia e, al contrario un peggioramento della neoplasia stessa in caso di deplezione di γδ.46 In alcuni esperimenti in vivo topi γδ - sviluppavano frequentemente tumori e complicanze infettive, ed in altri l’infusione di linfociti T γδ induce remissione di masse tumorali, confermando il ruolo si sorveglianza immunologica dei γδ stesso47. Alcuni studi hanno evidenziato come il calo dei linfociti T γδ in pazienti con morbo celiaco possa determinare una evoluzione in senso linfomatoso48. Osservazioni cliniche analoghe sono presenti in letteratura in neoplasie solide (es. ca prostatico, mammario, renale) ed ematologiche (es. leucemia acuta, linfomi, mieloma multiplo). Anche in campo trapiantologico, i linfociti gamma delta svolgono un’azione rilevante: dopo l’allotrapianto la risposta completa e la sua stabilità nel tempo e’ stata associata ad una quota rilevante di linfociti gamma delta midollari49.

Inoltre in vitro l’isolamento di linfociti T γδ e la coltura insieme a cellule neoplastiche ha confermato il ruolo citotossico contro varie linee cellulari di patologie neoplastiche.50, 51

La via dell’acido mevalonico e’ target terapeutico dei bifosfonati, utilizzati nei pazienti neoplastici come prevenzione e trattamento delle lesioni ossee. Questi farmaci inibiscono la farnesilazione e determinano l’accumulo di precursori, in particolare IPP, appartenenti alla categoria dei fosfoantigeni, substrato antigenico dei linfociti T γδ. I bifosfonati inducono in vitro sia proliferazione che produzione di numerose citochine 52,53 da parte di linfociti T γδ. I linfociti così espansi

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sono caratterizzati da un rilevante effetto citotossico antineoplastico anche verso linee plasmacellulari e colture primarie di plasmacellule mielomatose 54,55 Inoltre, i linfociti T Vδ2 si sono dimostrati mediatori cruciali dell’effetto antineoplastico e, dopo espansione in vitro, capaci di controllare la crescita neoplastica in modelli animali56. Questi dati confermano l’ipotesi che i linfociti gamma delta abbiano un ruolo nel controllare la crescita di plasmacellule mielomatose e non. L’espansione dei gamma delta citotossici contro plasmacellule mielomatose dipende dall’azione combinata di interleuchina 2 (IL2) e bifosfonati e, tra questi, lo zoledronato si è dimostrato particolarmente attivo 57,58,59,60

L’interleuchina 2 (IL 2) è da lungo tempo impiegata nel trattamento di patologie neoplastiche ed ha una indicazione (da sola o in combinazione) nel trattamento delle neoplasie renali 61. La sua attività, mediata attraverso l’attivazione di cellule NK è stata studiata per anni e la reinfusione di linfociti attivati con IL2 è stata usata anche in modelli di mieloma 62.

L’interleuchina 2 è stata occasionalmente somministrata in pazienti affetti da mieloma multiplo con risultati incoraggianti ma le alte dosi impiegate hanno determinato effetti tossici reversibili. 63,64. Nelle malattie linfoproliferative, un impiego interessante è stato quello dell’uso nei pazienti sottoposti ad autotrapianto al fine di eradicare la malattia minima residua, con buon controllo di malattia anche In pazienti affetti da mieloma 65.

L’esperienza clinica con i linfociti T γδ e’ stato effettuata attraverso due modelli: l’infusione di linfociti T γδ precedentemente espansi in vitro

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(con zoledronato), oppure la somministrazione in vivo di bifosfonati (pamidronato e zoldrenato) da soli od in associazione con IL2.

Nelle due principali esperienze con infusione di linfociti T autologhi espansi 66,67 in pazienti con carcinoma renale ed adenocarcinoma polmonare a piccole cellule si sono osservate solo stabilizzazioni di malattia, senza alcuna risposta clinica.

Le esperienze con stimolo in vivo hanno avuto risultati più incoraggianti: Wilhlem2 ha riportato risposte cliniche in pazienti con patologie ematologiche (linfoma e mieloma multiplo recidivato/refrattario) trattati con pamidronato ed IL 2 e.v. In questo studio i primi pazienti trattati non avevano aumento significativo di γδ ne risposte cliniche; in una seconda fase lo stimolo in vivo e’ stato eseguito solo in quei pazienti in cui era stata dimostrata una proliferazione di cellule T γδ in vitro: in questi pazienti sono state notate risposte cliniche nel 33%. Altri autori hanno utilizzato l’associazione dello zoledronato e dell’IL-2 in pazienti con tumore prostatico non responsivo a terapia ormonale passando alla somministrazione sottocutanea dimostrando che anche tale via di somministrazione era ugualmente efficace69. Altre esperienze con descrizione di risposte cliniche sono state portate a termine in pazienti con carcinoma mammario avanzate e carcinoma prostatico avanzato, sebbene in percentuali più basse70,71.

Recentemente uno studio in pazienti sia ematologici che con diagnosi di neoplasia solida trattati con zoledronato e basse dose di IL2 s.c. ha mostrato risposte cliniche limitate solo a pazienti con leucemia acuta, con correlazione con la risposta e’ stata notata con valori pre terapia

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Protocollo di studio

Razionale del protocollo

Il razionale del protocollo di ricerca e’ stato di impostare una piattaforma di immunoterapia come “mantenimento”, sfruttando il ruolo antineoplastico dei linfociti T γδ stimolati da IL2 e zometa per controllare la neoplasia, così da evitare un mantenimento con farmaci potenzialmente tossici, che possano indurre fenomeni di chemioresistenza in vista di trattamenti successivi.

Scopo del protocollo

Scopo dello studio è di esplorare l’efficacia della somministrazione di IL-2 in associazione a Acido Zoledronico in pazienti con mieloma multiplo sottoposti ad autotrapianto. L’obiettivo primario dello studio e’ verificare il tempo alla progressione . Gli obiettivi secondari sono verificare tempo, sicurezza e tollerabilità di IL-2 e acido zoledronico e le variazioni di linfociti T γδ e relative sottopopolazioni.

Sono stati considerati i seguenti criteri di inclusione/esclusione per l’arruolamento dei pazienti nello studio

Criteri di inclusione

• Diagnosi di mieloma multiplo, sottoposti ad autotrapianto con cellule staminali

• Pazienti adulti di età compresa tra i 18 e i 70 anni

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rivalutazione midollare, in remissione parziale (RP) o very good partial remission (VGPR) con malattia misurabile (componente monoclonale visibile o immunofissazione positiva) per escludere risposte tardive o recidive

• Pazienti sottoposti ad autotrapianto, indipendentemente dal tempo trascorso dalla reinfusione di cellule staminali, in remissione parziale stabile.

• ECOG performance status < 2

• Consenso informato scritto prima dell’inizio di qualsiasi procedura di studio

Criteri di esclusione

• Pazienti in progressione o non risposta di malattia dopo autotrapianto

• Creatinina sierica > 3 mg/ml o clearance della creatinina < 30 ml/min,

• Odontopatie attive comprese infezioni dei denti o della mascella o mandibola; trauma dentale o dell’impianto, diagnosi di osteonecrosi della mascella o della mandibola, dell’osso esposto, o di guarigione lenta dopo procedure odontoiatriche • Chirurgia recente (entro 6 settimane) o programmata dei denti o

della mascella o mandibola (ad es. estrazioni, implantologia) • Calcio serico corretto (aggiustato secondo l’albumina serica) <

8.0 mg/dL (2 mmol/L) o > 12 mg/dL (3 mmol/L).

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allattamento. Non utilizzo di un adeguato sistema anticoncezionale per le donne in età fertile.

• Pazienti giudicati incapaci di collaborare durante lo studio, a giudizio dello sperimentatore.

• Ipersensibilità a Acido Zoledronico o altri bisfosfonati • Ipersensibilità a IL-2

• Pazienti con anamnesi significativa o evidenza di cardiopatia grave in corso.

• Pazienti con evidenze di infezione in atto che richiedano una terapia antibiotica

• Pazienti con bilirubina al di fuori dei valori di riferimento • Pazienti con nota preesistente malattia autoimmune • Pazienti in terapia cortisonica per altre patologie

• Presenza di altre patologie che a giudizio dello sperimentatore possono compromettere la partecipazione allo studio

• Trattamento con farmaco sperimentale nei 30 giorni precedenti l’inizio dello studio

• Patologie correlate all’osso (i.e. Paget Disease)

I pazienti sono stati trattati secondo il seguente schema di trattamento:

• Interleuchina 2: Somministrazione sottocutanea, a dosi fisse con 2 x 106UI dal giorno 1 al giorno 7 per il primo ciclo.

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• Acido zoledronico: Infusione ev il giorno 2 di 4 mg

Tale schema di somministrazione è stato ripetuto ogni 28 gg fino a progressione di malattia, per un totale di dodici mesi di trattamento. Lo studio prevedeva l’incremento di dose del 25% progressivamente ad ogni ciclo in assenza di tossicità fino ad una massima dose di 8 x 106UI. Nel caso in cui fosse verificata tossicità grado II la dose di IL 2 veniva ridotta del 50% e il ciclo successivo era iniziato a tale dose. In caso di mancata tossicità nel ciclo successivo la terapia e’ stata ripresa alla stessa dose che aveva determinato tossicità ed in caso di nuova tossicità i cicli successivi sono stati proseguiti con una dose fissa (al 50% di quella che si è dimostrata tossica). In caso di una nuova tossicità di grado III, nonostante la riduzione di dose, il paziente usciva dallo studio. Lo studio prevedeva l’interruzione del farmaco in caso di progressione clinica e ritiro del consenso informato da parte del paziente,

I pazienti durante il periodo di studio sono stati seguiti sia dal punto di vista clinico che per lo studio immunofenotipico.

Gli esami ematochimici previsti sono stati: emocromo, creatinina, azotemia, sodio, potassio, cloro, magnesio, fosfato, calcemia, VES, PCR, β2microglobulina, proteine totali + elettroforesi, dosaggio immunoglobuline, dosaggio catene leggere sieriche ed urinarie, immunofissazione siero ed urine. Tali esami sono stati condotti: alla visita di screening, al giorno 1 del primo ciclo trimestralmente.

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seguenti popolazioni T: CD3+, CD4+, CD8+, CD4+CD25+, CD8+CD25+, NK (CD16/CD56+CD3-). La tipizzazione comprendeva anche i linfociti T γδ e le relative sottopopolazioni: γδ+, γδ+/Vδ2/Vγ9, γδ+/CD27+/CD45RO+, γδ+/CD27+/CD45RA+, γδ+/CD27-/CD45RA+, γδ+/CD27-CD45RO+, γδ+ CD57+ ,γδ+ CD27+. Durante lo studio il pannello e’ stato ampliato per l’identificazione dei linfociti T reg CD4+/CD25+/CD127.

La tipizzazione linfocitaria e’ stata effettuata alla visita di screening al giorno 1 di ogni ciclo e al giorno 7 di ogni ciclo dopo il trattamento Le Indagini midollari comprendono Biopsia osteomidollare, Mieloaspirato con mielogramma, e tipizzazione linfocitaria su sangue midollare, biologia molecolare per riarrangiamento gene delle catene pesanti (IgH). Le analisi di citofluorimetria identificano le seguenti popolazioni linfocitarie: CD3+, γδ+, ed indicano l’infiltrazione midollare da parte di plasmacellule CD38+CD138+CD19-.

Le indagini midollari sono state condotte alla visita di screening, al mese +6 ed al termine dello studio.

Le indagini strumentali previste sono state PET (ed eventuale Rx mirata sulle lesioni) o, in alternativa, Rx scheletro in toto. Tali indagini midollari sono state condotte alla Visita di screening, al mese +6 ed al termine dello studio.

Riferimenti

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