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Capitolo II Il giudeo-portoghese prima e dopo la diaspora

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Capitolo II

Il giudeo-portoghese prima e dopo la diaspora

2.1 Giudeo-portoghese: proposte per una sua definizione e periodizzazione

Nel precedente capitolo sono state fornite alcune informazioni circa gli ambiti di utilizzo del giudeo-portoghese all’interno della comunità ebraica di Livorno, le possibili motivazioni che portarono alla sua adozione come lingua ufficiale e la data in cui questo uso cessò a favore dell’italiano.

Ma cosa si intende esattamente per giudeo-portoghese? La risposta a questa domanda non può prescindere da una riflessione di carattere più generale su quelle che vengono chiamate giudeo-lingue. Quali sono le caratteristiche che accomunano questi sistemi linguistici tanto da essere raggruppati sotto l’appellativo collettivo di giudeo-lingue? E ancora, posseggono questi sistemi linguistici i requisiti per essere classificati come lingue a sé? C. Hagège1, illustrando il singolare caso che rappresenta la lingua ebraica – scomparsa in prima istanza per poi rinascere dalle proprie ceneri –, ci racconta che gli ebrei, una volta approdati nei vari paesi “scelti” come meta della diaspora dalla Palestina, smisero di parlare correntemente l’ebraico, limitandolo al solo ambito scritto e liturgico, per adottare la lingua del paese ospite. Il risultato fu la formazione di una pluralità di lingue ibride, costituitesi ognuna «sulla base della lingua locale, o della lingua portata con sé in esilio, ma con un apporto lessicale, più o meno importante, dell’ebraico»2. Secondo Hagège, quindi, il minimo comune denominatore delle lingue giudaiche, a prescindere dalla loro lingua tetto, sarebbe l’interferenza dell’ebraico a livello lessicale.

Le cosiddette giudeo-lingue, dunque, seguendo la tipica dinamica dei fenomeni migratori, nacquero dal contatto linguistico della minoranza ebraica con gli abitanti dei paesi che la accolsero e dalla necessità

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Claude Hagège, Morte e rinascita delle lingue: diversità linguistica come patrimonio dell’umanità (trad. di Luisa Cortese), Milano, Feltrinelli, 2002.

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pratica di interagire in un ambiente linguistico estraneo. Tuttavia, poiché il risultato di questo contatto fu la formazione di linguaggi diversi l’uno dall’altro, aventi come lingua tetto quella del paese ospitante – seppur manifestando fenomeni ibridismo e di deviazione dalla norma – sarebbe forse più proprio parlare non di lingue a sé ma di varietà di lingue. Inoltre, ma questo è un parere del tutto personale, bisognerebbe capire se e quanto sia lecito generalizzare un fenomeno di questo genere creando un appellativo comune per indicare le lingue che un determinato popolo è andato a formare, migrando, con diverse tempistiche e in differenti parti del mondo solo perché in esse compare l’interferenza della lingua materna. Se così fosse, seguendo questo ragionamento ci si dovrebbero aspettare tanti termini equivalenti quanti sono i popoli – quelli italiano e portoghese compresi – che nella storia sono stati protagonisti di numerose migrazioni. E, a dire il vero, se non altro per quanto ci è dato conoscere, almeno uno studio è stato intrapreso sui “falares emigreses” dei portoghesi3, dove, tuttavia, con i termini portufrancês, portinglês ecc. si intendono le varianti della lingua materna dei migranti scaturite dall’influenza di superstrato esercitata dalla lingua del paese ospite, fenomeno diametralmente opposto a quello descritto per l’elemento giudaico nella penisola iberica, e affine semmai alla situazione linguistica degli ebrei che, una volta espulsi o fuggiti dalla Spagna e dal Portogallo, andarono a fondare altrove delle comunità o ad accrescere il numero di quelle già esistenti.

Olivier Durand, infatti, notando come, a partire dalla seconda diaspora, quella dalla penisola iberica, «le varie comunità ebraiche migranti rinuncino ad adottare sistematicamente la lingua del nuovo paese di accoglienza, e preferiscano continuare a parlare la lingua precedentemente appresa»4, sceglie di riservare l’appellativo di lingue giudaiche a queste ultime; giudeo-portoghese e giudeo-spagnolo sono quindi intesi dallo studioso come il portoghese e lo spagnolo parlati dal popolo ebraico non sul suolo iberico ma in Italia, Francia, Europa centrorientale e balcanica, Nord Africa ecc.

Senza addentrarci troppo in questa riflessione di carattere terminologico, tutt’altro che pacifica, per comodità d’uso continueremo a seguire la terminologia tradizionale nonostante le riserve appena esposte in merito, dando per assodato cosa si intenda per giudeo-lingue o lingue giudaiche.

3

Eduardo Mayone Dias, Falares Emigreses: Uma Abordagem ao seu Estudo, Maia, Gráfica Maiadouro, 1989.

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Tornando al giudeo-portoghese, questo può quindi essere definito molto banalmente come quella varietà di portoghese parlata dagli ebrei. È necessario però disambiguare questa definizione assai approssimativa, discriminando e periodizzando le fasi di evoluzione che tale lingua – già ibrida in partenza – ha avuto nel corso del tempo.

Una macrodistinzione può essere quella tra giudeo-portoghese peninsulare – parlato da ebrei e

cristãos-novos in Portogallo fino al periodo della diaspora che, come abbiamo visto, avvenne a più riprese tra

la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo – e giudeo-portoghese dei migrati, differente di volta in volta a seconda dei diversi percorsi che intrapresero gli esuli abbandonando la penisola iberica. Ogni comunità sefardita della diaspora, infatti, presentò una propria specificità linguistica determinata dal luogo di provenienza dei suoi membri, dai contatti con la madrepatria, dal prestigio della cultura d’origine, dai prestiti introdotti dai sefarditi di nazionalità differente, dall’influenza della lingua locale, dalla padronanza e dall’uso dell’ebraico all’interno della comunità.

All’interno del giudeo-portoghese peninsulare, inoltre, uno spartiacque dovette essere l’entrata massiccia in Portogallo di numerose famiglie di ebrei spagnoli in seguito all’espulsione del 1492, avvenimento che provocò verosimilmente l’introduzione nella lingua di numerosi termini castigliani, i quali si aggiunsero a quelli ebraici e ai numerosi castiglianismi già presenti nel portoghese padrão5.

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Come già accennato, il portoghese – specie da metà del XV alla fine del XVII secolo – fu sempre molto ricettivo rispetto all’adstrato spagnolo, sia a causa del prestigio di cui la lingua vicina godeva, soprattutto in ambito letterario, sia per questioni politiche.

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