• Non ci sono risultati.

Discrimen » Servizi pubblici e diritto penale. L’impatto delle liberalizzazioni sullo statuto penale della pubblica amministrazione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Discrimen » Servizi pubblici e diritto penale. L’impatto delle liberalizzazioni sullo statuto penale della pubblica amministrazione"

Copied!
275
0
0

Testo completo

(1)
(2)

Collana diretta da

Giovanni Fiandaca - Enzo Musco - Tullio Padovani - Francesco Palazzo

52

(3)

minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitari- stica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-crimi- nale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alterna- tive che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale”

che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interro- garsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevolezza

di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto penale,

si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche ad ap-

procci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di fondo,

la sezione Monografie accoglie quei contributi che guardano alla

trama degli itinerari del diritto penale con un più largo giro

d’orizzonte e dunque – forse – con una maggiore distanza pro-

spettica verso il passato e verso il futuro, mentre la sezione Saggi

accoglie lavori che si concentrano, con dimensioni necessaria-

mente contenute, su momenti attuali o incroci particolari degli

itinerari penalistici, per cogliere le loro più significative spezza-

ture, curvature e angolazioni, nelle quali trova espressione il ri-

corrente trascorrere del “penale”.

(4)

SERVIZI PUBBLICI E DIRITTO PENALE

L’IMPATTO DELLE LIBERALIZZAZIONI SULLO STATUTO PENALE

DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

(5)

http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-348-0107-9

Composizione: Compograf - Torino Stampa: Stampatre s.r.l. - Torino

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fa- scicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000.

Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non su- periore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02-80.95.06, e-mail: aidro@iol.it

(6)
(7)
(8)

corso di dottorato dell’Alma Mater sul rapporto tra servizi pubblici e di- ritto penale, e da allora prese corpo l’idea di questa ricerca. Ma la mia gratitudine va ben oltre, e Lui lo sa.

Sono grato al mio Maestro, il professor Filippo Sgubbi, per avermi condotto – multa per aequora - sino a qui, sempre con lo stesso entu- siasmo e con la Sua affettuosa presenza; ma anche al professor Nicola Mazzacuva, per tutti i consigli e il sostegno costante di questi anni.

Molti colleghi ed amici hanno letto il manoscritto, ed ho potuto fa- re tesoro delle loro osservazioni e dei loro suggerimenti, o anche sem- plicemente della loro condivisione: a tutti loro va la mia più profonda gratitudine, ma al professor Mario Romano va un pensiero particola- re, per la generosissima attenzione con la quale ha letto – e a tratti cor- retto – questo lavoro.

Al prof. Helmut Satzger devo un sentito ringraziamento per avermi

ospitato presso lo Juristisches Seminar della Ludwig-Maximilians-Uni-

versität di Monaco di Baviera, per diversi soggiorni nell’anno accade-

mico 2009/2010, dandomi occasione di fruire della ricchissima biblio-

teca, e della sua squisita cordialità.

(9)
(10)

(ARCHIBALDMACLEISCH, The Metaphor)

“(…) la nozione di servizio pubblico è come l’universo di Tycho Brahe, il matematico e astro- nomo che nel Seicento mise d’accordo, con sod- disfazione di tutti, il sistema tolemaico con quel- lo copernicano.

Nella nozione di servizio pubblico, come nel- le tavole di Tycho Brahe, c’è dentro di tutto, il vero e il falso, e ognuno pesca quel che gli fa più comodo. Ma dopo la cacciata dei gesuiti le teo- rie di Tycho Brahe sono state dimenticate; dopo la “caduta” dell’economia pubblica bisognereb- be fare lo stesso con la nozione di servizio pub- blico. Attraverso un’attenta analisi del linguag- gio occorrerebbe espungere i significati non co- pernicani del concetto. Solo attraverso il recu- pero di un corretto (e utile) significato giuridi- co si potrebbero eliminare gli equivoci che cir- colano attualmente, nelle leggi, nella dottrina e, inevitabilmente, in giurisprudenza”

(F. MERUSI, Le leggi del mercato, Bologna, 2002, 86)

(11)
(12)

1

8 10

10 16 23 29

31

42

54 65

68 72

79 81 INTRODUZIONE

PARTEI

EVOLUZIONE E FISIONOMIA ATTUALE

DEL CONCETTO PENALISTICO DI PUBBLICO SERVIZIO 1. Tutela penale del servizio pubblico e tutela penale nel servizio pub-

blico

2. Alle origini dell’emersione della nozione di “pubblico servizio” nel codice penale

2.1. La scelta del codice Zanardelli di affidare la gerarchizzazione delle qualifiche agli effetti penali al “criterio del magistrato” e le prime incertezze

2.2. “Funzione” e “servizio” nel contesto del concetto “ampio” di pubblica amministrazione accolto nel codice Rocco

2.3. Alla ricerca dei contenuti: dai “criteri di massima” di Antoli- sei …

2.4. (Segue): al “metodo casistico” di Manzini

2.5. Il quadro di riferimento: le nuove modalità dell’intervento pub- blico nell’economia e lo sviluppo dell’“amministrazione pa- rallela”

2.6. L’espansione delle qualifiche pubblicistiche, tra accentuazio- ni soggettivistiche ed enfatizzazioni di stampo “ontologico”.

Il problema dell’ente pubblico economico

2.7. L’erompere del diritto giurisprudenziale: l’attività bancaria co- me “servizio pubblico oggettivo” e il revirement delle Sezioni Unite

3. La riforma del 1990 e la rivisitazione delle qualifiche soggettive 3.1. L’impostazione funzionale-oggettiva delle qualifiche penali-

stiche e la perseguita emancipazione dai criteri soggettivisti- co-formali

3.2. Il criterio di delimitazione esterno e le sue intrinseche debo- lezze

3.3. Le perduranti incertezze sui confini della nozione penalistica di “pubblico servizio”: concetto “senza qualità” e, al contem- po, nuovo crinale tra pubblico e privato

3.4. Attività amministrativa di diritto pubblico e attività ammini- strativa di diritto privato

pag.

(13)

85 91

94 99 103 108 109 111 115

123 129 132

137

143 145 3.5. Crisi e profonda trasformazione del regime tradizionale dei

servizi pubblici alla fine del XX secolo. L’apertura alla con- correnza e al mercato

3.6. La difficile gestione del molteplice nel panorama giurispru- denziale, tra “vecchi” e “nuovi” disorientamenti

3.6.1. La pervicace resistenza dei criteri teleologici o ontolo- gici: il perseguimento di interessi pubblici, o la loro im- manenza, come “indici sintomatici”, e la nullificazione del processo di privatizzazione per le società a parteci- pazione pubblica

3.6.2. La distinzione per “ambiti” e “fasi” e la riemersione di ricostruzioni “olistiche”

3.6.3. (Segue): il criterio della c.d. strumentalità

3.6.4. (Segue): il criterio dell’inscindibilità della prestazione.

Il caso dell’assistenza sanitario-ospedaliera

3.6.5. Ulteriori eticizzazioni delle qualifiche soggettive: la mo- ralizzazione del rapporto di impiego

3.6.6. Orientamenti soggettivistico-formali 4. Esito intermedio

PARTEII

LA COMPLESSITÀ DEL PROBLEMA DELLE QUALIFICHE SOGGETTIVE AGLI EFFETTI DELLA LEGGE PENALE NELL’ATTUALE ASSETTO: ALCUNI CASI PARADIGMATICI 1. L’individuazione delle qualifiche penali al cospetto dell’evoluzione

del diritto amministrativo: in particolare, i mutamenti concernen- ti i regimi autorizzatori e concessori

2. Il servizio di riscossione delle imposte e l’affidamento a privati e a società miste

2.1. Attività di riscossione, “ambiti” e “fasi” e singoli atti, tra pub- blica funzione e pubblico servizio

2.2. La distinzione tra attività di accertamento con conferimento di poteri impositivi, attività propedeutiche e strumentali, e rap- porti contrattuali tra ente locale e affidatario

3. Le attività di interesse collettivo svolte da enti privati sulla base di convenzioni con la pubblica amministrazione: la gestione di un centro di prima accoglienza da parte di una ONLUS

3.1. In particolare: il vincolo di destinazione sulle somme erogate dalla P.A. (e le sue figure sintomatiche)

pag.

(14)

150 153 153 157

160

163 166 171 174 175 178

181

188 194 199 206 213 219

223 PARTEIII

L’IMPATTO DELLE LIBERALIZZAZIONI SUI PUBBLICI SERVIZI:

VERSO IL (PARZIALE) CONGEDO DALLO STATUTO PENALE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

1. Una norma definitoria ai limiti della legalità e la necessità di ulte- riori criteri interpretativi

2. Avvio ad una ricostruzione ermeneutica

2.1. L’attuale posizione della dottrina amministrativistica: la no- zione giuspubblicistica di pubblico servizio

2.2. La “concezione soggettiva temperata” come unica nozione

“giuridicamente vincolante”

3. L’esempio della giurisprudenza del Bundesgerichtshof nella circo- scrizione delle qualifiche pubblicistiche agli effetti penali (e nella definizione del confine tra corruzione amministrativa e corruzio- ne privata)

3.1. I “criteri-quadro” per l’inquadramento dei processi di priva- tizzazione: in particolare, il criterio dell’effettiva “influenza statale” (“staatliche Steuerung”)

3.2. (Segue): la liberalizzazione di taluni settori nella prospettiva penalistica: l’esempio del settore energetico nel caso Siemens 3.3. La privatizzazione solo formale e non in regime di concor-

renza: il caso delle ferrovie (Deutsche Bahn)

3.4. Public private partnership e società miste: lo “scandalo dei ri- fiuti a Colonia” (Kölner Müllskandal)

3.5. Sintesi

4. Il concetto di pubblico servizio agli effetti della legge penale: un nuovo corso

4.1. Il profilo degli interessi tutelati nello statuto penale della P.A.

e le sue indicazioni a livello ermeneutico nella ricognizione delle qualifiche soggettive

4.2. Una prima apposizione di termini per superare le ambiguità del criterio centrato sulla tipologia di fonti: regulation versus planning ovvero regulation versus command and control 4.3. Il concetto di servizio pubblico come “scala di intensità”: il

punto di vista decisivo nella prospettiva penalistica

4.4. La qualifica penalistica di pubblico servizio come voce “ad en- ciclopedia”, e non “a dizionario”: alcuni esempi

4.5. I cc.dd. obblighi di servizio pubblico “universale”

4.6. Una possibile definizione di pubblico servizio, de lege lata e de lege ferenda

5. Una postilla: il nodo delle società a partecipazione pubblica 5.1. L’irrilevanza della partecipazione societaria alla luce dell’im-

postazione oggettiva delle qualifiche pubblicistiche agli effet- ti della legge penale: precisazioni

5.2. Società a partecipazione pubblica, “imprese pubbliche”, “or- ganismi di diritto pubblico”, tra obbligo di gara e concor- renza: le indicazioni ricavabili dalla disciplina degli appalti

pag.

(15)

230 231

235 237 242

245 pubblici e la loro utilità per l’indagine sulle qualifiche pena-

listiche

5.2.1. La nozione di “organismo di diritto pubblico” e i suoi confini

5.2.2. (Segue): il caso “emblematico” dell’Ente fiera di Mila- no: né “organismo di diritto pubblico”, né pubblico ser- vizio agli effetti penali

5.2.3. La disciplina degli appalti nei cc.dd. settori speciali e la “liberalization clause”

6. Conclusioni: l’urgenza di una risposta efficace contro i fenomeni di corruzione privata

BIBLIOGRAFIA

pag.

(16)

1Ci limitiamo a richiamare, al riguardo, G. ORRU, Richterrecht, Milano, 1985, 11 ss., 26 ss., 45 ss.

2Secondo la celebre lezione di J. ESSER, Vorverständnis und Methodenwahl in der Re- chtsfindung – Rationalitätsgrundlagen richterlicher Entscheidungspraxis (1970), trad. it., di S. PATTI-G. ZACCARIA, Precomprensione e scelta del metodo nel processo di individuazio- ne del diritto – Fondamenti di razionalità nella prassi decisionale del giudice, Napoli, 1983.

Questo studio si raccoglie intorno ad una riflessione sollecitata dal- la costante espansione giurisprudenziale del concetto penalistico di “ser- vizio pubblico”, cardine di una qualifica soggettiva (art. 358 c.p.) sulla quale sono declinate, come si sa, importanti modulazioni della respon- sabilità penale, prime fra tutte quelle concernenti l’applicabilità dello statuto punitivo della pubblica amministrazione, in un quadro norma- tivo che, nella configurazione dei carichi sanzionatori, presenta ancora forti asimmetrie disciplinari tra ambito pubblico ed ambito privato, a dispetto delle commistioni, spesso fittissime, che avvincono i due con- testi.

Tuttavia, lo spunto non è solo un ennesimo esempio di “diritto pe- nale giurisprudenziale”, che peraltro – concentrandosi su di un plesso cruciale delle transizioni istituzionali ed economiche contemporanee – potrebbe già sollecitare più ampie considerazioni su una esperienza di Richterrecht così intrisa di politicità, e per lungo tempo suppletiva del- la legge

1

; quanto, piuttosto, l’aver registrato l’assoluta arbitrarietà del- la categoria in esame nelle traiettorie del “diritto vivente”, che anche al- la luce di una ricostruzione storica dimostrano come la nozione di ser- vizio pubblico “agli effetti della legge penale” sia sempre stata dominio eminente di una ambiguità che nessuna novazione legislativa, fino ad ora, è arrivata a decifrare, e che neppure i reiterati sforzi di approfon- dimento della dottrina sono riusciti a governare, lasciando campo li- bero alle più diverse precomprensioni ermeneutiche, e a metodi inter- pretativi spesso funzionali all’adozione di decisioni “già approvate” in base a criteri “sostanziali”

2

.

Anche nel panorama attuale, a dispetto della indiscutibile pregiudi-

(17)

3Si rimanda – lo si è già compreso – alla ricerca di F. SGUBBI, Il reato come rischio so- ciale, Bologna, 1990.

zialità e trascendenza del problema definitorio, e della gravosità delle conseguenze sanzionatorie, i tracciati giurisprudenziali lasciano emer- gere coordinate sfumate e impalpabili, argomentazioni contraddittorie o comunque “randomizzate”, e soluzioni ora irretite da assunzioni di vago sapore ontologico o teleologico (immanenza di un interesse pub- blico/perseguimento di finalità pubblicistiche), ora appiattite su crite- ri formalistici, ora persino curvate ad istanze eticizzanti: come quando non ci si riesce a liberare dalla tabe anacronistica che – ravvisando la rilevanza pubblicistica dietro ad ogni legame di dipendenza con l’ente pubblico – dissimula forse una forma inerziale e pervicace di tutela del

“decoro” o del “prestigio” della P.A.; ovvero quando, più subdolamen- te, sulla scorta dei più ineffabili “interessi pubblici” si interviene con generose estensioni delle qualifiche penali in contesti dove le aspetta- tive sociali risultano maggiormente deluse dallo stato assistenziale, o acutizzate da particolari frangenti.

In ogni caso, poca o nulla prevedibilità della soluzione del caso con- creto. Quasi che nella costellazione del pubblico servizio si annidi un ulteriore focolaio del “rischio penale” innescato dall’interventismo di- rigistico statale sui processi economici

3

.

In realtà, la “nozione” penalistica – dietro asserite prerogative di “au-

tonomia”, via via rivendicate nel corso degli anni – tradisce un grave ri-

tardo ed una evidente difficoltà nel recepire le profonde mutazioni, o

le autentiche scosse telluriche, che hanno sconvolto il tessuto sotto-

stante: un tessuto senza trama, che spesso disorienta gli stessi studiosi

di settore, senza consentire ricostruzioni “sistematiche”, ma che certo

si rivela radicalmente diverso rispetto al contesto economico e istitu-

zionale del 1930, dove lo Stato aveva differenti spazi di ingerenza nel

settore dell’economia, e più ristrette erano sia le attività non autorita-

tive della pubblica amministrazione, sia, soprattutto, le aree di inter-

vento riconosciute ai privati. Se allora il codice poteva, forse, fare affi-

damento su un confine meno labile tra “funzione” e “servizio”, ed ac-

consentire quindi a recepire una distinzione sulla quale ancora sono

declinate le qualifiche penalistiche, quella partizione rivela oggi una

evidente obsolescenza, ed appare sovvertita l’impronta gerarchica ori-

ginaria che collocava il “servizio” in posizione ancillare e “residuale” ri-

spetto alla “funzione”: e certo non solo perché – già da molto tempo –

non è più possibile identificare questa come “estrinsecazione di sovra-

nità” e quello, all’opposto, come semplice sintesi di “mansioni subal-

(18)

4Si veda, anche per un sintetico confronto con la tradizione dei common law coun- tries, GIUL. AMATO, Citizenship and Public Services. Some General Reflections, in Public Ser- vices and Citizenship in European Law, a cura di M. FREEDLAND-S. SCIARRA, Oxford, Oxford University Press, 1998, 145 ss., 147 ss., 150 ss.

5F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, 1883, § 2510; l’osservazione è ribadita a più riprese, ad es. da A. MALINVERNI, voce Pubblico ufficiale e incaricato di pub- blico servizio, in Noviss. Dig. it., XIV, Torino, 1967, 557 ss., 560.

terne”, che apparvero già alla metà del secolo scorso evidentemente del tutto eterogenee rispetto a quelle attività che, sempre più, venivano qua- lificate come pubblici servizi “in senso sostanziale”.

Questa messe di attività oggi dilaga nei più disparati contesti priva- tistici, e sotto le più diverse forme, tanto da far sembrare la stessa fi- gura della “concessione amministrativa” un archetipo ormai incapace di emblematizzare una costellazione in costante fermento, e ben più ar- ticolata; e tanto da far vacillare – almeno “a prima vista” – la stessa tra- dizione continentale, incline a ravvisare la cifra di sintesi del pubblico servizio nella riconducibilità ad un pubblico potere (che se ne assume- va la responsabilità complessiva), o comunque ad identificarla nell’ori- ginaria titolarità pubblicistica dello stesso, pur a fronte di una gestio- ne delegata quoad exercitium ad erogatori privati

4

.

Un po’ come il volto di Medusa, insomma, il servizio pubblico è di- venuto la sede dove le categorie tradizionali e le classificazioni conso- lidate appaiono sconvolte e mutilate, ed i loro statuti profondamente alterati, trasgrediti, o definitivamente congedati; un concetto ormai

“senza qualità” che – non diversamente dal viso della Gòrgone – è ca- pace spesso di confondere ed ipnotizzare chi lo osserva, specie se ri- guardato dall’angolatura, imprecisa e deformante, del diritto penale.

Di fatto, le trasformazioni con le quali si è dipanata l’evoluzione del- le forme e dei moduli dell’erogazione di servizi volti a soddisfare interessi della collettività – analizzate con profondità di accenti dalla scienza del diritto pubblico sotto i più diversi aspetti – hanno avuto un impatto cre- scente sulla definizione ospitata nel codice, corrodendo i già deboli ar- gini a cui erano state affidate – specie dopo la riforma del 1990 – le istan- ze di tassatività e determinatezza, fino a comprometterne ed annichilir- ne ogni capacità orientativa: con il risultato che non è affatto chiaro, al- lo stato, quale “porzione” di realtà di questo universo tanto policromo e plurale interessi davvero al diritto penale, che purtuttavia non sembra assolutamente disposto a declinare il proprio magistero punitivo.

Anzi. Così come la storia del concetto di pubblico ufficiale, per an-

ni, è stata storia di una progressiva e costante dilatazione – ciclicamente

rilevata dagli osservatori, a partire dallo stesso Carrara

5

–, alla stessa

(19)

6Si veda, da ultimo, l’autorevole monito di G. MARINUCCI, Diritto penale dell’impresa:

il futuro è già cominciato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 1465 ss., 1480 ss., segnalando come l’attuale diritto penale italiano delle imprese appare, appunto, «un’arma spuntata, radicalmente incapace di fronteggiare l’enorme crisi economica in atto e di arginare il prevedibile dilagare di bancarotte fraudolente, bilanci falsi ed altre frodi, come nella gran- de depressione del ’29 (…)».

7Era il pregiudizio che avvertiva Arthur Kaufmann nell’occuparsi del divieto di ana- logia, rievocando appunto lo “spirito maligno” della novella legislativa tedesca del 1935:

cfr. ARTH. KAUFMANN, Analogie und “Natur der Sache” – Zugleich ein Beitrag zur Lehre vom Typus (19822, 1965), ed. it. a cura di G. CARLIZZI, Analogia e “natura della cosa” – un con- tributo alla dottrina del tipo, Vivarium, Napoli, 2003, 17.

8Così, ad es., A. MANNA, Una possibile riforma dei delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica amministrazione, in AA.VV., Materiali sulla riforma dei reati contro la Pubblica amministrazione, a cura di A. MANNA, Padova, 2007, 435 ss., 466 ss., 471; O. DIGIOVINE, Le qualifiche pubblicistiche, ivi, 408 ss., 433 (sul punto, cfr. infra, parte III, § 4.6).

sorte sembra ora destinato il concetto di pubblico servizio, avviato ad una irresistibile ascesa sul campo penale proprio quando “tra le mura di casa” la dottrina giuspubblicistica ne avverte in qualche modo la “cri- si” – almeno nel senso etimologico di “divisione” –, evidenziata da con- clamate insufficienze denotative che lo riducono ormai a semplice “no- menclatura”, più che a “nozione giuridicamente rilevante”.

Certo, il penalista che si avvicina oggi a questo concetto – se è con- sentito riprendere la metafora di un grande giurista del secolo scorso – intravede quasi il rischio di sfidare un tabù: in un contesto dove lo sta- tuto sanzionatorio dell’impresa societaria – a dispetto di quanto da mol- ti anni si invocava – ha visto sostanzialmente contrarre i presidi penali- stici, mediante i più diversi esperimenti di “diritto penale simbolico” che lo hanno reso un’“arma spuntata” pericolosamente imbelle specie nell’at- tuale scenario di crisi economica

6

, chi “tocca” le qualifiche pubblicisti- che e il relativo corredo di controlli penali nell’intento di registrarne la portata e cauterizzare le accennate tracimazioni spesso dettate da in- tenti di “supplenza”, deve prepararsi al rimprovero di essere posseduto dallo stesso “spirito maligno” che ha animato il recente legislatore

7

.

Ma se si condividono le ragioni di primazia dei principi fondamen- tali sulle più disparate istanze di “politica criminale quotidiana”, si com- prende la necessità di indagare nuovamente questa sconnessa materia, alla ricerca di chiavi di lettura e direttrici ermeneutiche che possano conferire maggior chiarezza alla nozione penalistica, o – se si vuole – che possano almeno contribuire a rendere meno arbitrario il momen- to politico-valutativo dell’interprete.

In questa prospettiva, e nell’attesa di una possibile riforma indiriz-

zata da sempre maggiori consensi verso l’adozione di una figura uni-

taria di “pubblico agente”

8

e/o alla delimitazione espressa e tassativa

(20)

9In questa direzione, in particolare, M. ROMANO, I delitti contro la pubblica ammini- strazione. I delitti dei privati, Le qualifiche soggettive pubblicistiche, Commentario siste- matico, III ed., Milano, 2008, 297 ss., 315 (sul punto, si rinvia ancora alla parte III, § 4.6).

10G. CORSO, voce Liberalizzazione amministrativa ed economica, in Dizionario di di- ritto pubblico, diretto da S. CASSESE, IV, Milano, 2006, 3492 ss., 3496.

11È il monito di uno dei più attenti osservatori di questo fenomeno: R. VILLATA, Pub- blici servizi, V ed., Milano, 2008, VII.

delle ipotesi di pubblico servizio

9

, molte sono le indicazioni offerte an- cora dalla più attenta dottrina amministrativistica e, soprattutto, dal diritto europeo, artefice di un disegno di liberalizzazione economica ed amministrativa che – nonostante le molte intermittenze ed imperfezio- ni – appare di estremo rilievo, oltre che destinato a percorrere ancora

“un lungo tratto di strada”

10

, pur con gli inevitabili ripensamenti solle- citati da periodici market failures che – anche di recente – sembrano ri- lanciare l’intervento diretto dello Stato nelle strutture produttive.

In forza del vincolo comunitario, infatti, i servizi pubblici – a lungo concepiti in antitesi al mercato – ne sono divenuti una parte impor- tante, e questa inclusione ha progressivamente implicato un congedo dagli statuti originari (la riserva statale, la gestione “in forma ammini- strativa”) ed una dismissione del dirigismo statale; con conseguenze che sono state prontamente registrate anche sul piano penalistico, in ordinamenti culturalmente a noi vicini, come confermano recenti e già consolidati orientamenti del Bundesgerichtshof, inclini, come si vedrà, ad ampliare gli spazi applicativi della fattispecie di “corruzione priva- ta” (§ 299 StGB) a scapito delle fattispecie di corruzione amministrati- va (§§ 331 ss. StGB).

Sarà anche da questo nuovo episodio dell’incidenza del diritto co-

munitario sul diritto interno, dunque, che si dovrà ripartire per misu-

rare le coordinate attuali del problema, e l’effettivo e peculiare need of

protection su cui calibrare, inevitabilmente, anche il grado di attenzio-

ne penale, affinché “la conservazione della consolidata formula verba-

le” – ancora così seducente ed evocativa – non rischi di “trascinare con

sé prospettive di disciplina oramai non più in linea con la perduta tito-

larità pubblica del servizio”

11

.

(21)
(22)

EVOLUZIONE E FISIONOMIA ATTUALE DEL CONCETTO PENALISTICO DI PUBBLICO SERVIZIO

SOMMARIO: 1. Tutela penale del servizio pubblico e tutela penale nel servizio pubbli- co. – 2. Alle origini dell’emersione della nozione di “pubblico servizio” nel codi- ce penale. – 2.1. La scelta del codice Zanardelli di affidare la gerarchizzazione delle qualifiche agli effetti penali al “criterio del magistrato” e le prime incer- tezze. – 2.2. “Funzione” e “servizio” nel contesto del concetto “ampio” di pub- blica amministrazione accolto nel codice Rocco. – 2.3. Alla ricerca dei contenu- ti: dai “criteri di massima” di Antolisei. – 2.4. (Segue): al “metodo casistico” di Manzini. – 2.5. Il quadro di riferimento: le nuove modalità dell’intervento pub- blico nell’economia e lo sviluppo dell’“amministrazione parallela”. – 2.6. L’espan- sione delle qualifiche pubblicistiche, tra accentuazioni soggettivistiche ed enfa- tizzazioni di stampo “ontologico”. Il problema dell’ente pubblico economico. – 2.7. L’erompere del diritto giurisprudenziale: l’attività bancaria come “servizio pubblico oggettivo” e il revirement delle Sezioni Unite. – 3.La riforma del 1990 e la rivisitazione delle qualifiche soggettive. – 3.1. L’impostazione funzionale-og- gettiva delle qualifiche penalistiche e la perseguita emancipazione dai criteri sog- gettivistico-formali. – 3.2. Il criterio di delimitazione esterno e le sue intrinse- che debolezze. – 3.3. Le perduranti incertezze sui confini della nozione penali- stica di “pubblico servizio”: concetto “senza qualità” e, al contempo, nuovo cri- nale tra pubblico e privato. – 3.4. Attività amministrativa di diritto pubblico e attività amministrativa di diritto privato. – 3.5. Crisi e profonda trasformazione del regime tradizionale dei servizi pubblici alla fine del XX secolo. L’apertura alla concorrenza e al mercato. – 3.6. La difficile gestione del molteplice nel pa- norama giurisprudenziale, tra “vecchi” e “nuovi” disorientamenti. – 3.6.1. La per- vicace resistenza dei criteri teleologici o ontologici: il perseguimento di interes- si pubblici, o la loro immanenza, come “indici sintomatici”, e la nullificazione del processo di privatizzazione per le società a partecipazione pubblica. – 3.6.2.

La distinzione per “ambiti” e “fasi” e la riemersione di ricostruzioni “olistiche”. – 3.6.3. (Segue): il criterio della c.d. strumentalità. – 3.6.4. (Segue): il criterio del- l’inscindibilità della prestazione. Il caso dell’assistenza sanitario-ospedaliera. – 3.6.5. Ulteriori eticizzazioni delle qualifiche soggettive: la moralizzazione del rapporto di impiego. – 3.6.6. Orientamenti soggettivistico-formali. – 4. Esito in- termedio.

(23)

1Questa duplice angolatura, del resto, è quella seguita anche nell’impostazione ori- ginaria del codice penale, che affidava le diverse prospettive di tutela alla distinzione tra

“Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione” e “Delitti dei privati contro la pubblica amministrazione” (rispettivamente, Capo I e Capo II del Titolo II, Li- bro II del codice penale), giustificando la partizione con l’affermare – sono le parole del- la Relazione Rocco al Progetto definitivo di codice penale – che «l’attività stessa può costi- tuire un mezzo o un motivo del fatto criminoso». Anche questa, peraltro, non era una partizione nuova dei delicta in officio, ma ripeteva una scelta già accolta nel primo codi- ce penale per il Regno d’Italia (sul punto, cfr. N. LEVI, Delitti contro la Pubblica ammini- strazione, in Trattato di diritto penale, coordinato da E. FLORIAN, Milano, 1935, p. 2, n. 1).

2Solo a titolo di esempio, si veda Cass. 13 febbraio 2008, n. 10857, sulla posizione di garanzia (e sulla “colpa”) del gestore del servizio ferroviario (nella specie, Società Ferro- vie Nord Milano Esercizio s.p.a.) per l’inosservanza di cautele relative alla manutenzio- ne di un passaggio a livello.

1. Tutela penale del servizio pubblico e tutela penale nel servizio pub- blico

Per tradizione consolidata, una analisi dei rapporti tra servizi pub- blici e diritto penale può muovere, anzitutto, da due differenti pro- spettive: quella che segue la trama di tutela posta a presidio del servi- zio pubblico, del suo svolgimento indisturbato rispetto a condotte di sviamento, interferenze o vere e proprie aggressioni provenienti dal- l’esterno; e quella che, viceversa, segua ed analizzi il possibile inqua- dramento di patologie endemiche e, per così dire, “anaerobe”, che pos- sano contaminare dall’interno il corretto espletamento di servizi aven- ti lo scopo di soddisfare la collettività, esaminando i diversi strumenti di tutela penale nel servizio pubblico, diversamente declinati, in linea di principio, a seconda delle differenti “modalità di gestione”, e – sia detto sin d’ora – del paradigma pubblicistico o privatistico a cui le stes- se possano essere ricondotte dal punto di vista del diritto penale

1

.

Nell’attuale sistema – e specie nella prospettiva delle tutele interne – è infatti appena il caso di sottolineare come l’intensità dei controlli, e la gravosità delle responsabilità penali, aumenti significativamente di fronte all’insorgenza di attività e/o moduli operativi che il codice pena- le qualifica “pubblicistici” (sommandosi, ovviamente, alle ordinarie

“cautele” pretese nell’esercizio della singola attività

2

): e questa asim-

metria, che tuttora sbilancia i rapporti e la stessa capacità concorren-

ziale tra pubblico e privato – e che non appare certo appianata dalle re-

centi riforme dello statuto penale dell’impresa (e, in particolare, del di-

ritto penale societario) – ha sempre condizionato la ricostruzione del-

l’area coperta dal “servizio pubblico” nella geografia dell’ordinamento

penale, anche in ragione dell’assenza di analoghi presidi intesi a con-

trastare condotte caratterizzate magari da note comuni di disvalore, ma

(24)

3Per inciso, se tale perdurante asimmetria – specie nel contesto dei delitti di corru- zione, ed almeno fino all’introduzione di una fattispecie di corruzione privata che riesca a colmare le lacune tuttora avvertite al cospetto della fattispecie di cui all’art. 2635 c.c.

(sul punto, si rinvia al ricco volume collettaneo AA.VV., La corruzione tra privati. Espe- rienze comparatistiche e prospettive di riforma, a cura di R. ACQUAROLI-L. FOFFANI, Milano, 2003) e che soddisfi gli obblighi derivanti dal diritto comunitario (in ptc. derivanti dalla Decisione quadro relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato del 22 luglio 2003, 2003/568/GAI) – è avvertita in modo particolarmente allarmato (e sembra eserci- tare un forte condizionamento) nel contesto italiano, il problema della corretta perime- trazione delle qualifiche soggettive è percepito con crescente attenzione anche dove il di- slivello punitivo tra statuto penale pubblicistico e statuto penale privatistico della corru- zione nell’attività d’impresa è meno accentuato: ad es., e come si vedrà, una rinnovata at- tenzione al tema si registra in Germania, dove la questione della sussistenza della qua- lità pubblicistica determina la configurabilità ora della corruzione “affaristica” (§ 299 StGB), ora dei Bestechungsdelikten nell’ambito pubblicistico, di cui ai §§ 331 ss. StGB (cfr., ampiamente, S. NOLTENSMEIER, Public Private Partnership und Korruption, Berlin, 2009, 18 ss.: infra, Parte III, § 3).

4 Lo strumentario si diversifica poi in direzione di maggiori responsabilità, o co- munque di maggior “attenzione” penalistica, ove l’esercente un pubblico servizio non sia un semplice soggetto privato ma rivesta, altresì, la qualifica di “pubblico impiegato”: mag- giore responsabilità, ad es., in materia di corruzione, ove – ai sensi dell’art. 320 c.p. – l’i.p.s. risponde di corruzione impropria ex art. 318 c.p. solo “qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato”, e la differenziazione è ribadita anche in materia di istigazione alla corruzione ex art. 322 c.p.; maggior “attenzione”, ad es., in materia di millantato cre- dito ex art. 346 c.p. ovvero in materia di violazione della pubblica custodia di cose, ex art.

351 c.p.

realizzate da soggetti non depositari di un munus o di un officium pub- blico

3

.

In ogni caso, quale che sia la prospettiva di inquadramento, il ful- cro è costituito dalla ricostruzione della nozione di “servizio pubblico”

(art. 358, comma 2, c.p.), perché su di essa sono declinate tanto lo stru- mentario di tutele penali del servizio pubblico (ad es., artt. 336, 337, 340 c.p.), quanto lo strumentario di precipue tutele nel servizio pubblico (artt. 314, 316, 317, 320, 323, 325, 326, 328 c.p.; ma anche le fattispe- cie “qualificate” di falso ai sensi dell’art. 493 c.p., o le circostanze ag- gravanti comuni previste all’art. 61 n. 9 e n. 11 c.p.)

4

.

Da questa angolatura, è noto come la nozione occupi – nella stipu- lazione definitoria offerta dal codice penale a chiari fini prescrittivi – uno spazio intercluso tra due ulteriori nozioni, quella di “pubblica fun- zione” (che l’art. 357, comma 2, c.p. riconosce come attribuzione tipi- ca del “pubblico ufficiale”, rispetto al quale l’“incaricato di pubblico ser- vizio” è figura residuale) e quella di “servizio di pubblica necessità” (art.

359 c.p.); uno spazio solo apparentemente esiguo, perché costantemente

sollecitato da una vocazione espansiva, peraltro condivisa con l’altra

confinante figura di “agente pubblico” che spesso con la prima viene a

confondersi e a sovrapporsi, ad ulteriore conferma di come la distin-

(25)

5Cfr., al riguardo, già A. MALINVERNI, Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servi- zio, cit., 568.

6A partire dal codice penale francese del 1810, il cui art. 230 menzionava, tra i sog- getti passivi del delitto di violenza pubblica, il citoyen chargé d’un ministère de service pu- blic, figura poi inserita – con la legge 13 maggio 1963 – anche tra i soggetti passivi dell’ol- traggio ai sensi dell’art. 224. L’esempio sarà seguito anche da talune legislazioni preuni- tarie, tra le quali ad es. il codice penale sardo del 1859, che menzionava la figura tra i soggetti passivi di oltraggio (art. 260) e percosse e violenze (art. 263), e tra i soggetti at- tivi del reato di violazione di domicilio con abuso di potere (art. 205).

7Per una rassegna delle diverse opinioni dottrinali si veda, L. MAJNO, Commento al Codice penale italiano (sub art. 207), vol. II (terza ristampa della III ed.), Utet, Torino, 1922, 293 ss.; A. ZERBOGLIO, Dei pubblici ufficiali (cap. XIX), in A. ZERBOGLIO-E. FLORIAN- A. POZZOLINI-P. VIAZZI, Trattato di diritto penale, vol. III, Dei delitti contro la pubblica am- ministrazione e l’amministrazione della Giustizia, Milano, senza data, p. 218 ss., da cui pe- raltro si ricava – seppur, appunto, in un contesto di “grande incertezza” – come l’opinio- ne prevalente considerasse l’incaricato di pubblico servizio una qualifica da riconoscer- si a chi svolgesse compiti o mansioni (prevalentemente) esecutive o attuative.

zione tra funzione e servizio risulti oggi sempre più obsoleta e, per mol- ti versi, fuorviante.

Peraltro, anche quando il dettato della legge positiva non chiariva i singoli tratti contenutistici delle figure pubblicistiche, limitandosi – lo si vedrà – a prevedere la distinzione tra le diverse categorie, erano non- dimeno chiare le esigenze alla stessa sottese: da un lato, la necessità di distinguere fra semplici privati e soggetti a cui fossero demandate pub- bliche mansioni; dall’altro l’opportunità di graduare tali mansioni a se- conda della loro importanza, nell’ottica sia di attribuire “doveri mag- giori” scanditi appunto dall’importanza del munus rivestito (e forma- lizzati in specifiche figure di reato applicabili); sia di riconoscere “mag- gior dignità”, e, dunque, maggior tutela anche sul piano penale

5

.

2. Alle origini dell’emersione della nozione di “pubblico servizio” nel codice penale

2.1. La scelta del codice Zanardelli di affidare la gerarchizzazione delle qualifiche agli effetti penali al “criterio del magistrato” e le prime in- certezze

La nozione di incaricato di pubblico servizio – già venuta in rilievo in altre esperienze codificatorie

6

– guadagna centralità, nel contesto dello statuto penale della pubblica amministrazione, solo con la profon- da riforma che di questo settore promosse il codice Rocco.

In un contesto culturale dove pure già si discuteva molto dei confi-

ni tra funzione e servizio pubblici

7

, infatti, il codice del 1889 aveva scel-

(26)

8Solo per inciso, una tale collocazione sistematica, che visualizzava la peculiare ipo- tesi di ingiuria non già come un’offesa alla pubblica Amministrazione, bensì come un’of- fesa alla persona privata, sarebbe apparsa un autentico anatopismo ad Arturo Rocco, frutto di «una concezione erronea, che, di per sé, denunzia un equivoco legislativo fon- damentale sul carattere della gestione dei servizi pubblici e sulla loro tutela» (Relazione del Guardasigilli, cit., 114).

9La citazione del passo del Guardasigilli Zanardelli, tratta dai lavori preparatori del codice del 1889, è tratta da C. PEDRAZZI, Problemi e prospettive del diritto penale dell’im- presa pubblica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1966, 349 ss., 355. Una conferma della svaluta- zione sistematica del pubblico servizio – puntualmente segnalata ancora da C. PEDRAZZI, Problemi e prospettive, cit., 356 – era offerta dalla disciplina dell’exceptio veritatis, dove l’art. 394 del codice Zanardelli ammetteva il diffamatore a provare la verità dell’addebi- to nei confronti del solo pubblico ufficiale, in relazione ad un fatto allo stesso attribuito relativo all’esercizio delle sue funzioni; segno evidente che «i compilatori non avevano pensato che anche l’espletamento dei pubblici servizi potesse dare adito a censure giu- stificate da esigenze di pubblico interesse».

10Riferimenti in L. MAJNO, Commento al Codice penale italiano (sub art. 207), cit., 294, ove si sottolinea come – nella definizione dei pubblici ufficiali – il codice italiano avesse appunto seguito il modello del codice toscano (art. 165), allontanandosi – come accen- nato – dal sistema del codice penale sardo, «il quale stabiliva una gerarchia in riguardo alla maggiore o minore dignità delle persone, e distingueva (artt. 217 e 229) gli ufficiali pubblici dell’ordine amministrativo o giudiziario – gli agenti impiegati o incaricati di una

to di costruire lo strumentario di tutele penali della P.A. attorno alla so- la nozione di “pubblica funzione”, disciplinata all’art. 207 (ove appun- to si fissava il concetto di pubblico ufficiale “per gli effetti penali”), li- mitandosi ad un fugace accenno alla tutela del pubblico servizio – pe- raltro in materia di delitti contro la persona, ove all’art. 396 si preve- deva un’aggravante del delitto di ingiuria «ove il fatto venisse commesso contro una persona legittimamente incaricata di un pubblico servizio», senza tuttavia definire la relativa qualifica

8

–, ed ignorando del tutto la nozione di servizio di pubblica necessità (preveduta e disciplinata per la prima volta dalla legge sindacale 3 aprile 1926, n. 563, sui rapporti collettivi di lavoro).

Il motivo di una rilevanza tanto modesta era verosimilmente da at- tribuire alla posizione ancillare nella quale veniva idealmente colloca- ta la relativa figura: una semplice “dipendenza” della pubblica funzio- ne, nell’immaginario dell’allora Guardasigilli Zanardelli, così che – a differenza delle ipotesi in cui fosse arrecata offesa a pubblici ufficiali – nel caso di incaricati di pubblico servizio «non è offesa nella loro per- sona l’Autorità stessa»

9

.

Quale che ne fosse la ragione autentica, in ogni caso si era sostan-

zialmente evitato di stabilire «agli effetti penali alcuna gerarchia tra i

pubblici ufficiali», affidando «al criterio del magistrato di apprezzare,

di caso in caso, nella latitudine legale della pena, la influenza della mag-

giore o minor dignità del pubblico ufficiale (…)»

10

.

(27)

pubblica amministrazione – e gli agenti o depositari della pubblica forza (artt. 260 e 263).

Da tutte queste persone il codice penale sardo distingueva poi (artt. 260 e 263) le perso- ne legittimamente incaricate di un pubblico servizio».

11Peraltro, ulteriori norme estensive erano previste sporadicamente anche in altre disposizioni del codice Zanardelli e della legislazione penale speciale, ad effetti più o me- no limitati (ad es., nell’art. 284 c.p., in relazione alla falsità in atti; nell’art. 293 c.p., in re- lazione all’aggiotaggio, per i mediatori iscritti e per gli agenti di cambio; nell’art. 20 c.p., in relazione all’interdizione dai pubblici uffici, ecc.).

12Sul punto, che identificava una importante differenziazione dell’opzione del codi- ce Zanardelli rispetto alla nozione accolta nel codice penale toscano (dove tutela e vigi- lanza venivano equiparate), cfr. ancora L. MAJNO, Commento al Codice penale italiano (sub art. 207), cit., 297: «Dalla “tutela” bisogna distinguere la semplice vigilanza. Un istituto può dirsi tutelato quando sopra di esso vi sia, come organo dello Stato o della provincia o del Comune, un’Autorità tutoria per legge chiamata ad approvarne o modificarne le de- liberazioni; un’autorità tutoria per cui non si possa l’istituto considerare come ente del tutto autonomo nella propria gestione. Tali sono, ad esempio, le Opere pie, per le quali gli artt. 35 e seguenti della legge 17 luglio 1890, n. 6972, sono appunto soggette a tutela.

Tali non sono invece le casse di risparmio, poiché nella legge 25 luglio 1888, che le go- verna, indarno si cercherebbe una disposizione di tutela: e il Governo non ha rispetto ad esse che funzioni di vigilanza. Pubblici ufficiali furono all’incontro giudicati i funziona- ri degli Istituti di emissione, per essere questi stabilimenti pubblici esercitanti un ramo della pubblica amministrazione: non quelli delle altre Banche, istituti di ragione priva- ta, sopra i quali lo Stato esercita vigilanza, ma non tutela».

13Questo l’ammonimento di L. MAJNO, Commento al Codice penale italiano (sub art.

207), cit., 295, che così puntualizzava: «La funzione pubblica non si può altrimenti rav- visare che in mansioni rappresentanti una emanazione dell’Autorità. Atti compiuti a ser-

Quanto al contenuto della nozione accolta nell’art. 207, poi, questa era ricompresa tra due criteri (la cui compresenza era necessaria): uno oggettivo («coloro che sono rivestiti di pubbliche funzioni, anche tem- poranee, stipendiate o gratuite»), ed uno soggettivo, dovendosi tratta- re di soggetti «a servizio dello Stato, delle province e dei Comuni, o di un Istituto sottoposto per legge alla tutela dello Stato, di una provincia o di un Comune».

Tuttavia, la cerchia così emarginata era ampliata mediante il riferi- mento (tassativo) ad ulteriori categorie – i notai, gli agenti di pubblica sicurezza e “gli uscieri addetti all’ordine giudiziario” –, nonché a sog- getti equiparati ai pubblici ufficiali per gli stessi effetti, e cioè «i giura- ti, gli arbitri, i periti, gli interpreti e i testimoni durante il tempo in cui sono chiamati ad esercitare le loro funzioni»

11

.

Di fatto, oltre alla controversa distinzione tra tutela e vigilanza

12

, il novero e la tipologia delle aggiunte e delle eccezioni era tale che risul- tavano offuscati i confini tra le diverse categorie, tanto da sollecitare una scrupolosa attenzione nell’indugiare sulle doverose distinzioni,

«perché non avvenga – come talvolta si è visto nella pratica giurispru-

denza – di estendere irrazionalmente la nozione della funzione pubbli-

ca»

13

: a volte, infatti, si giungeva a ricomprendervi categorie che, spe-

(28)

vizio di un istituto pubblico, ma non rispondenti ad una particolare attribuzione di ca- ratteristica pertinenza dell’autorità, potranno costituire servizio pubblico, ma non pub- blica funzione. Crediamo quindi doversi adottare, per la distinzione del pubblico uffi- ciale, dalla persona incaricata di un pubblico servizio, il criterio che pubblico ufficiale sia colui al quale è affidato, benché in minima proporzione, un certo potere discrezio- nale, una determinata facoltà di esame nei singoli casi, per l’esecuzione di una legge o re- golamento; incaricato di un pubblico servizio, colui al quale, nell’interesse di una pub- blica amministrazione, è commessa una determinata opera affatto materiale, risultante da atti prestabiliti ed invariabili, senza alcuna libertà di direzione o di azione per parte di lui. In questo senso la Cassazione penale ha pronunciato decisioni, le quali si posso- no considerare fondamentali in materia, appunto statuendo che pubbliche funzioni so- no quelle soltanto che pongono chi ne è investito in rapporto col pubblico, e sono eser- citate nell’interesse e servizio pubblico – che perciò ufficiali pubblici sono coloro che so- no rivestiti di un pubblico ufficio, il quale importi l’esercizio e lo svolgimento di un man- dato avente obiettivi svariati e implicante un potere discrezionale di azione, mentre chi esercita un servizio per mandato limitato escludente ogni varietà di obietto e facoltà di apprezzamenti è semplicemente persona incaricata di pubblico servizio – e che perciò non basta la rappresentanza del Governo a conferire a chi ne è rivestito la qualità di pub- blico ufficiale, richiedendosi inoltre a quest’effetto che la rappresentanza si riferisca ad atti di gestione e di impero (…). E così vediamo annoverati fra gli incaricati di un pub- blico servizio l’amanuense, il custode, gli inservienti addetti ad una pubblica ammini- strazione, e simili altri impiegati di un pubblico ufficio destinati al servizio personale dei funzionari o a quello dei locali: gli accalappiacani e gli spazzini municipali».

14La confusione era qui frutto – appunto – di una “speciale” (e “parziale”) equipara- zione legislativa, perché ai sensi dell’art. 74 della legge 20 aprile 1871 (riprodotto nell’art.

74, T.U. 17 ottobre 1922) l’esattore era considerato pubblico ufficiale quanto all’applica- zione delle sanzioni penali per gli abusi da lui commessi nella riscossione delle imposte e negli atti esecutivi. Ora, non essendo tale soggetto pubblico impiegato (né essendo previ- sto tra i soggetti che l’art. 207, comma 2 equiparava ai pubblici ufficiali), la sua posizione di pubblico ufficiale veniva a trovarsi in una condizione ancìpite – «quasi per una sorta di polimorfismo o camaleontismo giuridico», come avrebbe scritto F. BRICOLA, In tema di concussione dell’esattore, in ID., Scritti di diritto penale, vol. II, tomo I, a cura di S. Cane- strari-A. Melchionda, Milano, 1997, 2131 ss., 2143 [già in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, 484 ss.] –, risultando pubblico ufficiale o meno quanto agli abusi, a seconda che essi venisse- ro realizzati a danno dei contribuenti (come nel caso emblematico della concussione) ov- vero della pubblica amministrazione (come nell’ipotesi del peculato), salva sempre l’even- tuale qualificazione come incaricato di pubblico servizio nell’ipotesi in cui fosse risultato soggetto passivo della particolare ipotesi di ingiuria aggravata prevista dall’art. 396. Tali ambiguità avevano quindi sollecitato tesi che – non senza forzature – ritenevano di dover qualificare tale soggetto “agente indiretto”, ovvero “organo improprio della P.A.”, al fine di considerarlo sempre pubblico ufficiale anche agli effetti della legge penale (così E. BAT-

TAGLINI, La figura giuridica dell’esattore comunale agli effetti della legge penale, in Giust. pen., 1929, II, c. 529 ss., 542 s.; sul punto, si veda ancora F. BRICOLA, op. ult. cit., 2140 ss.).

15Cfr. ancora, sul punto, la puntuale critica di L. MAJNO, Commento al Codice penale italiano (sub art. 207), cit., 300; tale categoria, peraltro, in seguito avrebbe avuto sorte analoga nel contesto della qualifica “minore” di incaricato di pubblico servizio [sul pun-

cie alla luce di ulteriori equiparazioni apportate da leggi speciali, ap-

parivano in posizione quanto meno dubbia (come nel caso degli esat-

tori)

14

, altre volte le tracimazioni arrivavano a coinvolgere categorie

che a molti sembravano del tutto eccentriche come – solo a titolo di

esempio – quella dei medici condotti comunali

15

.

(29)

to, V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano (nuova edizione completamente aggior- nata), vol. V, Dei delitti contro la pubblica amministrazione e l’amministrazione della giu- stizia, Torino, 1950, 52].

16Così A. ZERBOGLIO, Dei pubblici ufficiali (cap. XIX), cit., 235 s., che così conclude- va «Il pubblico ufficiale non è abbastanza denunciato dalle “pubbliche funzioni”, che noi non sappiamo perfettamente in che cosa consistano, per quanto ce ne possiamo forma- re un’idea approssimativa. Secondo me dunque gioverebbe rinunziare alla “formula”, e adottare, finché studî più intensi alla formula buona e vera non ci portino, il sistema di una indicazione che in taluni casi potrebbe anche essere facilmente dimostrativa. Il pub- blico ufficiale dovrebbe, in questa specificazione, essere investito di funzioni che lo ma- nifestassero al medio giudizio pubblico, quale una personalità degna di essere protetta.

Si dovrebbe poi subordinare la valutazione della qualità di pubblico ufficiale ai suoi rap- porti col pubblico, cosicché fosse più difeso o più vincolato a norma delle esigenze delle sue funzioni in corrispondenza di questi rapporti (…)».

17Relazione del Guardasigilli, cit., 114.

18Cfr. ancora la Relazione del Guardasigilli, cit., 114, ove si rileva come «tale limita- zione è in contrasto con la realtà delle cose e spiega come il codice penale del 1889, a cau-

Nonostante l’impegno profuso in dottrina, gli esiti interpretativi, dunque, erano già ondivaghi e discordi: ed è significativo come già al- lora i commentatori mettessero in luce, la “grande incertezza” nel de- finire “che cosa sia pubblica funzione e che cosa sia, invece, il sempli- ce pubblico servizio”, «incertezza – avvertiva lo Z

ERBOGLIO

– che poi si riscontrerebbe anche maggiore quando riportassi qui le discrepanze, su i singoli casi desunti dalla pratica, coi quali si tratta di stabilire se una determinata persona rivestita di quella carica, impegnata al di- sbrigo di questo o quell’ufficio, sia o non sia un pubblico ufficiale»

16

. Pur al cospetto di una definizione che mostrava già, dunque, confi- ni labili e cedimenti nella prassi, la nozione di pubblico ufficiale posta a cardine del disegno di tutela del codice Zanardelli, sarebbe apparsa eccessivamente angusta ai codificatori del 1930, risultando «sotto tut- ti gli aspetti, manchevole, e inadeguata a realizzare una compiuta tu- tela degli interessi della pubblica Amministrazione». Ciò, in particola- re, perché – nonostante le varie «aggiunzioni e assimilazioni, il propo- sito di raggiungere la necessaria compiutezza nella tutela della pubbli- ca funzione» era rimasto – nell’opinione del Guardasigilli Rocco – «al- meno in parte frustrato, come può desumersi dalle incertezze e dalle controversie sorte nella pratica (…)»

17

.

Queste, in sintesi, “le più gravi deficienze” messe in evidenza nell’ap- plicazione giurisprudenziale.

Anzitutto, quanto alla funzione amministrativa, veniva giudicato ec- cessivamente angusto il necessario legame pubblicistico con lo Stato o altro ente pubblico richiesto per la configurabilità della qualifica, e con- sistente “in un vero vincolo di dipendenza burocratica”, ovvero in un

“vero e proprio rapporto di servizio”

18

.

(30)

sa di tale angusta concezione della categoria dei pubblici ufficiali, abbia dovuto proce- dere ad una amplificazione del concetto in modo artificioso, per via di assimilazioni e di equiparazioni (…), ponendo, accanto alla categoria dei pubblici ufficiali veri e propri, una categoria, tutt’altro che perspicua e precisa, di pubblici ufficiali assimilati».

19Relazione del Guardasigilli, cit., ibidem.

20«La tutela ha per oggetto l’interesse, che costituisce lo scopo dell’ente, onde, oltre la protezione di questo, attua la protezione dello scopo proprio dell’ente, che esercita la tutela stessa, e implica quindi una vera e propria ingerenza protettiva e di controllo. La vigilanza, invece, si limita ad assicurare speciali interessi, che non appartengono all’en- te, che esercita la vigilanza, e che potrebbero rimanere danneggiati dall’attività comple- tamente libera degli istituti soggetti alla vigilanza. Nondimeno, anche in tema di sem- plice vigilanza, non può essere disconosciuto il carattere pubblico degli Istituti su cui es- sa si esercita» (Relazione del Guardasigilli, cit., ibidem).

21Relazione del Guardasigilli, cit., ove sul punto si chiosava sottolineando come «Può forse rilevarsi che tale incoerenza debba iscriversi, anche prima che al codice penale del 1889, alle leggi particolari regolatrici di tali istituti, che, in relazione ad attività pubbli- che analoghe, ora utilizzarono l’istituto della tutela, ora quello della vigilanza. Ma ciò non toglie che la tutela penale, per la restrittiva locuzione del testo legislativo, venne ad es- sere monca e insufficiente, consentendo evasioni del tutto ingiustificate».

Quanto alla funzione legislativa, si riteneva frutto di una “concezio- ne miope” l’aver trascurato deputati e senatori quali possibili soggetti attivi di reati contro la P.A., considerandoli il codice Zanardelli «in mo- do frammentario e unilaterale, soltanto, cioè, a scopo protettivo e in lo- ro favore»

19

.

Ancora con riguardo alla funzione amministrativa, appariva ingiu- stificato il limite interno dato dal riferimento agli “Istituti sottoposti per legge alla tutela dello Stato, di una provincia o di un Comune”, perché tale da emarginare al di fuori della nozione di pubblico ufficiale «tutti coloro, che sono investiti di pubbliche funzioni a servizio di enti sotto- posti non a tutela, ma a vigilanza dello Stato, o di altri enti autarchici territoriali»

20

. Una tale limitazione, infatti, aveva finito per rivelarsi “pra- ticamente improvvida”, dando luogo a “stridenti contraddizioni”: in dot- trina e giurisprudenza si era negata – ad esempio – la qualifica di pub- blici ufficiali agli impiegati della Banca d’Italia, delle Casse di risparmio e di altri enti simili, non sottoposti a tutela dello Stato e viceversa tale qualità venne riconosciuta agli impiegati del Banco di Napoli e del Ban- co di Sicilia, a quella tutela sottoposti

21

.

Infine, e più in generale, l’accentuazione del profilo soggettivo del-

la pubblica funzione si assumeva aver prodotto due inconvenienti: da

un lato, aveva ingenerato “l’equivoco che la tutela penale non tanto con-

cernesse la pubblica amministrazione, quanto la persona rivestita del-

la pubblica funzione”; dall’altro, aveva fatto sorgere “l’opinione che una

vera e propria investitura del pubblico ufficio fosse presupposto essen-

ziale per la tutela della pubblica funzione”; inconvenienti che avevano

(31)

22Così, ancora, la Relazione del Guardasigilli, cit., ibidem, in un passo molto signifi- cativo per la genesi della nuova scelta codificatoria sulla nozione di pubblico servizio. Al riguardo, Rocco sottolineava criticamente, infatti, la limitazione della tutela speciale del pubblico servizio alle sole persone vincolate alla P.A. «con un vero e proprio rapporto di impiego», poiché la giurisprudenza – su queste basi – aveva «tagliato fuori da quella par- ticolare tutela la importantissima categoria dei concessionari dei pubblici servizi, ossia precisamente quel gruppo di casi, nei quali, secondo una dottrina autorevole, dovrebbe anzi esclusivamente e caratteristicamente riconoscersi la tipica figura del pubblico ser- vizio», segnalando altresì che da quella limitazione «scaturirono poi ulteriori ondeggia- menti e deviazioni di concetti: per cui, non potendosi i concessionari dei pubblici servi- zi ricondurre sotto la tutela dell’art. 396, spesso vennero equiparati ai pubblici ufficiali per gli effetti della tutela penale, identificandosi e amalgamandosi ibridamente concetti e istituti, che faticosamente erano stati sceverati e distinti dalla più recente elaborazio- ne del diritto amministrativo».

– a loro volta – prodotto “altre deviazioni ed errori, nella determina- zione dei soggetti tutelati e dell’obietto giuridico della tutela penale”.

Ma – per quanto qui maggiormente interessa – la Relazione del Guar- dasigilli segnalava anche come “incertezze non meno gravi” avesse in- generato la determinazione del concetto di «persona legittimamente in- caricata di un pubblico servizio», menzionata – come accennato – solo come peculiare soggetto passivo della ipotesi speciale di ingiuria previ- sta all’art. 396 del codice del 1889: «essendosi la legge astenuta, per que- sta categoria di soggetti, a differenza di quanto essa fece per il pubblico ufficiale, dal fornire qualsiasi anche sommaria definizione, gli interpre- ti finirono per restringere il significato di quella locuzione, in guisa da includervi soltanto gli impiegati delle pubbliche Amministrazioni adi- biti a umili mansioni, vale a dire a una forma di attività puramente ese- cutiva e materiale, escluso ogni elemento di autorità o discrezionalità»

22

.

2.2. “Funzione” e “servizio” nel contesto del concetto “ampio” di pub- blica amministrazione accolto nel codice Rocco

Il fitto cahier de doléances, qui sinteticamente ripercorso, getta luce

sulla scelta del codice Rocco di intervenire “con mano pesante” anche

sulla definizione delle qualifiche pubblicistiche, nell’intento – conge-

niale all’ideologia statocentrica e statolatrica del regime – di appresta-

re una tutela molto estesa per gli apparati pubblici, comprovata dalla

predisposizione di una fitta trama di fattispecie, da un lato poste a pre-

sidio dei più diversi abusi e delle più diverse omissioni e “infedeltà” rea-

lizzabili nella gestione della cosa pubblica – fino a tipizzare, oltre ai di-

versi delitti “nominati”, reati “vaghi” come l’“Interesse privato in atti

d’ufficio” (art. 324 c.p., poi abrogato) o come l’autentica clausola om-

nibus dell’«Abuso innominato in atti d’ufficio» (art. 323 c.p., poi a più

(32)

23Relazione del Guardasigilli in Lavori preparatori del Codice penale – vol. V – parte II, p. 119

24Il rilievo – peraltro non incontroverso – è di F. BRICOLA, Tutela penale della pubbli- ca amministrazione e principi costituzionali, in ID., Scritti di diritto penale, vol. II, tomo I, 2387 ss., 2394 s. (e già in Temi, 1968, 563 ss.), e sarà sviluppato in particolare da F. TA-

GLIARINI, Il concetto di pubblica amministrazione nel codice penale, Milano, 1973, p. 119 ss., incontrando tuttavia anche voci di dissenso (cfr., ad es. P. SEVERINODIBENEDETTO, I delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. Le qualifiche soggettive, Milano, 1983, 10 ss.). Al riguardo, Bricola segnalava già, peraltro, come un tale accentramento di tutela, «mal si accorda, viceversa, con la vigente Costituzione la quale, sulla scia di una diffusione del- la sovranità, conferisce autonome caratteristiche e autonomi princìpi alle tre funzioni e al tipo di procedimento prefissato per l’espletamento degli atti connessi alle relative fun- zioni», rilevando ad esempio come «l’imparzialità della pubblica amministrazione e l’in- dipendenza del giudice sono (…) principi e valori autonomi attorno ai quali non può che ruotare una tutela penale variamente articolata».

riprese riformato) –, e, dall’altro, volte a reprimere ogni possibile offe- sa arrecabile ab externo alla pubblica amministrazione come ai suoi or- gani.

In questo contesto, si giustifica anzitutto l’adesione ad un concetto di “pubblica amministrazione” inteso “nel senso più ampio”, ossia – co- me espressamente chiariva la Relazione del Guardasigilli – «in guisa da comprendere tutte le ampie categorie dei soggetti di diritto pubblico, che, secondo una tripartizione ormai universalmente accolta, si distin- guono in soggetti appartenenti all’ordine legislativo, soggetti apparte- nenti all’ordine giudiziario, e soggetti appartenenti all’ordine esecutivo».

E ciò perché, si sottolineava ancora, «tutti i soggetti di diritto pubblico – a qualsiasi di questi tre ordini appartengano – sono detentori di quell’au- torità, che in essi si riverbera dall’ente, nel cui nome agiscono; a tutti aderisce quell’elemento pubblicistico, che contrassegna i fini degli enti, della cui realizzazione essi si fanno organo; e, quindi, rispetto a tutti è concepibile un’offesa, che, attraverso le loro persone, tocca la pubblica Amministrazione, compromettendone il regolare funzionamento»

23

.

Peraltro, le radici ideologiche di una simile opzione “grandangola- re” erano tanto profonde quanto evidenti, ed affondavano – come è sta- to rilevato – nella stessa “teoria dello Stato” accolta nel sistema fasci- sta: una tutela concernente non già il solo apparato burocratico, ma l’esercizio delle rispettive funzioni, si conciliava bene con l’assetto isti- tuzionale del quale il codice Rocco voleva essere espressione, assetto nel quale la sovranità veniva assunta in chiave unitaria, e la teoria del- la separazione dei poteri degradata a semplice criterio di distribuzione delle competenze

24

.

Su questa matrice, e su rime analoghe, venne ricalcata la nozione di

“pubblico ufficiale”, dilatandone anzitutto l’ambito applicativo: assu-

(33)

25Restava dunque “essenziale e decisivo” il criterio oggettivo concernente “l’eserci- zio di una pubblica funzione” (o, simmetricamente, di un pubblico servizio), come rile- vava già N. LEVI, Delitti contro la pubblica amministrazione, cit., 29, precisando al più che

«la formulazione dell’art. 357, come quella corrispondente dell’art. 358, serve tuttavia a precisare che il codice tiene tuttavia distinti gli impiegati pubblici e i semplici privati: né la distinzione è infeconda praticamente. Infatti, per coloro la cui qualità di pubblico uf- ficiale coincide con quella di pubblico impiegato ed anzi da quella in certo senso deriva (in quanto l’attività di competenza del pubblico impiegato è pubblica funzione), assume importanza decisiva l’assunzione di questa qualità personale la quale è fondata su di un criterio (…) radicalmente dissimile da quello per cui si diviene pubblico ufficiale indi- pendentemente da tale rapporto». Sottolinea giustamente l’impostazione oggettiva degli artt. 357 e 358 c.p. del 1930 anche A. FIORELLA, voce Ufficiale pubblico, incaricato di un pubblico servizio o di un servizio di pubblica necessità, in Enc. dir., vol. XLV, Milano, 1992, 563 ss., 564 s., rilevando, peraltro, come l’originaria definizione codicistica «mostrava inoltre di incentrarsi sulla natura della mansione esercitata, perché ostentava indiffe- renza per il fatto che tale funzione o servizio fossero svolti “permanentemente o tempo- raneamente”; o che lo fossero “gratuitamente o con retribuzione, volontariamente o per obbligo”. Il che poteva solo confermare l’infondatezza di criteri di qualificazione tipo quello di un’investitura particolare, o dell’appartenenza ad un certo ente o dell’occupare speciali posizioni istituzionalizzate, non in sintonia con una coerente visione oggettivo- funzionale, centrata sulla mansione in sé e per sé presa».

26Di fatto, alla luce della nuova formulazione si chiarirono diverse posizioni in cui l’assenza di legame soggettivo aveva creato difficoltà di inquadramento, come ad esem- pio quella dell’esattore (ritenuto legato alla pubblica amministrazione solo da un rap- porto negoziale, quale che ne fosse l’esatta natura giuridica), che venne ricondotto alla qualifica di pubblico ufficiale, specie con riferimento alle modalità concernenti il rap- porto di esattoria (perché questo «traducendosi integralmente in una attività di riscos- sione, presenta come dato di fatto, costante, l’esercizio più o meno esplicito di un pote- re di coazione e di impero»), ed almeno fino al momento della perdita del diritto al rim- borso (momento nel quale «l’esazione diventa “un affare che riguarda solo l’esattore”, con le relative conseguenze»): in questi termini, F. BRICOLA, In tema di concussione dell’esat- tore, cit., 2144 ss., 2150 ss., aderendo ad una impostazione “per ambiti e fasi” in esito al- la quale si concludeva, appunto, nel senso di ritenere «ogni attività di riscossione nei con- fronti del singolo contribuente (…) caratterizzata da una duplice fase, pubblicistica, l’una, privatistica, l’altra, difficilmente distinguibili prima facie, dato il continuo succedersi di una pluralità di atti di riscossione nel quadro del rapporto di esattoria», cosicché «nella fase privatistica, venuto a cessare ogni interesse pubblico, l’esattore non esercita più una

mendo l’esercizio di una “pubblica funzione” quale presupposto neces-

sario e sufficiente di una qualifica rispetto alla quale il vincolo di ap-

partenenza allo stato o all’ente pubblico, a dispetto della sua posizione

di primazia nel testo della disposizione dell’art. 357 c.p., diventava sem-

plice attributo di un sottoinsieme comunque ricompreso nel perimetro

della norma; risultando dunque un vincolo capace solo di fondare – per

così dire – una “presunzione di rilevanza pubblicistica” per la specifica

categoria dei pubblici impiegati – fatti salvi gli esigui spazi in cui po-

tessero riconoscersi mansioni svolte in regime di diritto privato – ma

non un requisito indispensabile in grado di escludere altri soggetti co-

munque depositari di analoghe funzioni

25

, come nella precedente op-

zione

26

.

Riferimenti

Documenti correlati

già Professore ordinario di Diritto penale nell’Università di Bologna Autore del libro “IL DIRITTO PENALE TOTALE

“creatori” di saperi scientifici, spettando infine al pubblico ministero prima ed eventualmente al giudice poi, un “controllo attivo sulla validità teorica di un

I piedi fermi nella difesa dei principi di un Diritto penale liberale, permetterà, oggi più che mai, di cogliere il loro tradimento, dicendoci della qualità della nostra democrazia,

L’agente provocatore e l’agente infiltrato alla luce della legge

Dipartimento di diritto pubblico, internazionale e comparato della Università degli studi di Padova; Ufficio relazioni internazionali della Universität Innsbruck.. Gli

Questo epilogo è favorito dalla dottrina dominante, che considera tali attività assolutamente innocue in relazione alla disciplina delle competenze. Secondo tale opinione, gli

Quanto all’uso di tali soglie nell’ambito delle false comunicazioni sociali, esso sembra spiegarsi soprattutto con l’esigenza di attenuare gli ef- fetti di indeterminatezza

b2) se si tratta di straniero, la sua punizione non verrà mai in di- scussione, anche ammessa la rilevanza della sola tipicità del fatto, per- ché questo non rientra