* Testo della relazione presentata al Convegno di studio sul tema “Francesco Carrara nel bicentenario della nascita” (Lucca, 3-4 dicembre 2004).
1 Prolusione al corso di Diritto criminale dell’anno accademico 1873-74, nella Regia Uni- versità di Pisa, pubblicato in Opuscoli di diritto criminale, 3° ed., Prato 1889, vol. V, p. 3 ss.
2 Il diritto e la procedura penale, ivi, p. 40.
prof. RENZOORLANDI
Università di Bologna
RITO PENALE E SALVAGUARDIA DEI GALANTUOMINI (*)
SOMMARIO: 1. Primi vagiti di una Scienza difficile. – 2. Autorità sociale vs. Stato: fine precoce di un auspicio. – 3. La Costituzione e l’inviolabilità dei diritti individuali. – 4. La salvaguar- dia dei galantuomini oggi.
1. Primi vagiti di una Scienza difficile
Francesco Carrara non ha elaborato per la procedura penale quella costru- zione sistematica che è invece stato in grado di costruire per il diritto penale.
Lo confessa lui stesso in una delle sue ultime prolusioni agli studenti dell’Uni- versità di Pisa pubblicata negli Opuscoli con il titolo “Il diritto e la procedura penale”1. Rivolgendosi al suo giovanile uditorio Carrara sosteneva che – con riguardo ai temi del diritto penale sostanziale – poco restava da aggiungere al- le conquiste già acquisite dalla dottrina. Egli invitava perciò i futuri studiosi a investire le proprie energie, le “valorose fatiche”, sulla materia del procedi- mento penale. “Questo è il campo da mietere nell’attuale vicenda delle dottri- ne penali: campo ricchissimo e in molti dei suoi angoli inesplorato, in altri su- perficialmente o tortamente esplorato … Il programma della procedura pena- le non è ancor fatto e la civiltà penale ne ha bisogno urgentissimo. Questo programma è assai più difficile che non fosse il primo, al quale consacrai le deboli forze della mia vita, perché a quello bastava la paziente assiduità del raccoglitore, mentre a questo si esige una sapienza creatrice” (corsivi miei)2.
In cosa debba consistere questo esercizio di “sapienza creatrice” Carrara cerca di chiarirlo nelle battute finali della sua prolusione, quando afferma che
“il programma della Scienza penale nella seconda sua parte, dove contempla il processo e il giudizio, deve sciogliere gli ardui problemi che tendono a gua- rentire la tutela giuridica dei consociati avverso le invasioni delle autorità
Criminalia 2006
3 Il diritto e la procedura penale, cit. p. 41.
4 Nel definire il processo misto (Programma del corso di diritto criminale, Parte generale, 10° edizione, Firenze 1907, vol. 2°, p. 310, § 852), Carrara osserva come sia “impossibile defini- re tassativamente gli speciali caratteri che (esso) può avere: appunto perché è nella natura di ogni essere misto la perpetua variabilità, derivante dalla maggiore o minore prevalenza dell’uno sull’altro elemento di cui si fa la mistura”. Affiora qui la consapevolezza di diverse combinazio- ni possibili della procedura penale, tutte compatibili con i principi di ragione e variabili a se- conda del punto in cui il legislatore stabilisce di tracciare la linea di demarcazione fra interesse repressivo e tutela dell’imputato. È qui intuita, a mio avviso, la radice politico-costituzionale del diritto processuale penale, vale a dire, il diretto collegamento di questo settore dell’espe- rienza giuridica con la dialettica individuo/autorità che trova la sua prima regolazione nello sta- tuto fondamentale della società.
5 “Ciò che distingue il giureconsulto dal leguleio è appunto questo che il leguleio crede di saper tutto in giurisprudenza, quando conosce la lettera della legge, mentre il giureconsulto in quella lettera vede una forma transitoria nella quale si estrinseca per un breve spazio di luogo e di tempo la legge suprema di ragione universale”, Necessità di profondi studi giuridici, in Opu- scoli di diritto criminale, 5° edizione, Firenze 1898, vol. I, p. 109.
6 Il diritto e la procedura penale, cit. p. 10.
sociali o troppo paurose o troppo superbe e crudeli”3. Si può anche aggiunge- re che il ruolo “creativo” del processualista (a differenza di quello, per così di- re, “collezionistico” riconosciuto al cultore del diritto penale sostanziale) di- scende dalla considerevole varietà delle soluzioni legislative astrattamente configurabili per il processo penale e dalla consapevole impossibilità di una scelta inequivocabile, condotta con la sicurezza e la linearità di un sillogismo
“in Barbara”4.
Nel campo della procedura penale si erano al più esercitati, fino a quel mo- mento, per dirla con lo stesso Carrara, i legulei, ma non ancora i giureconsulti5: abbondavano i commentari eruditi e dottissimi così come i lavori legislativi sul- la riforma del processo penale di un’Italia da poco unificata, ma difettava quel lavoro di sistematizzazione delle idee fondamentali e delle categorie concettua- li che, invece, aveva dato esiti mirabili nel campo del diritto penale sostanziale.
Pur consapevole della grandiosità della sfida, Carrara non rinuncia, in quella stessa prolusione, a indicare quello che, a suo avviso, dev’essere il car- dine destinato a sostenere la “Scienza del processo penale”.
Egli guarda al fenomeno processuale muovendo dalla sua dottrina imper- niata sull’idea centralissima di “tutela giuridica”. Fondamento della potestà punitiva – dice – è la “tutela giuridica” affidata alla “autorità sociale”6. Egli precisa poi che tale “tutela giuridica” implica la predisposizione di un pro- gramma articolato in tre parti, corrispondenti all’esigenza di proteggere il di- ritto “in tutte indistintamente le personalità che ne sono capaci”. Si tratta, in
7 Intesi come mero aggregato di persone, come sommatoria di possibili vittime di reato, non come aggregato organizzato in società.
8 Dottrina fondamentale della tutela giuridica, in Opuscoli di diritto criminale, 5° edizio- ne, Firenze 1898, vol. I, p. 266.
particolare, di proteggere
– i consociati7verso i malfattori;
– i malfattori verso l’autorità sociale;
– gli onesti verso l’autorità sociale;
Alla prima esigenza provvede l’autorità sociale con tutte le iniziative che ri- tiene opportune contro i violatori del diritto: qui sta “l’essenzialità del giure punitivo”; qui esso trova la sua causa efficiente e la sua causa finale, ma non i suoi limiti.
Tali limiti possono essere fissati considerando le restanti esigenze di prote- zione.
Dall’esigenza di proteggere i malfattori verso l’autorità sociale si ricava la necessità sia di riservare la punizione alle sole condotte atte a turbare “l’ordi- ne umano”8, sia di proporzionare la pena alla gravità della violazione, perché il reo ha diritto a non essere punito più di quel che meriti. Anche il colpevole, in quanto persona umana, vanta dei diritti. Proteggerli è propriamente il com- pito del diritto penale e della relativa scienza, impegnata massimamente nello studio del reato e nella scomposizione analitica delle sue componenti, proprio allo scopo di contribuire a una punizione, che sia ragionevolmente commisu- rata all’entità del fatto attribuitogli. È invece dall’esigenza di proteggere gli onesti verso l’autorità sociale che si ricava quello che, ad avviso di Carrara, co- stituisce il fulcro del diritto processuale penale: la presunzione d’innocenza.
Nel diritto penale, l’autorità sociale è posta di fronte al problema del “per- ché” e del “quanto” punire. Nel diritto processuale, essa è posta di fronte al problema del “chi” punire. Un diritto penale privo dei freni e dei limiti del di- ritto processuale rischierebbe di colpire alla cieca. Un diritto processuale pri- vo dei freni del diritto penale esporrebbe il colpevole al rischio di punizioni esemplari. In definitiva, il colpevole ha diritto di non esser punito oltre misura (al che deve provvedere il diritto penale, fissando in linea generale ed astratta, secondo principi di ragione, i tipi di condotte illecite e le relative sanzioni), ma, prima di esser dichiarato tale, gli vanno garantiti i diritti che spettano a ogni persona (al che deve provvedere la procedura penale, anch’essa impron- tata a principi di ragione).
9 Alla luce di queste considerazioni si capisce l’avversione che Carrara nutre per l’accusa- tore pubblico, dipendente dall’esecutivo e titolare esclusivo dell’azione penale. Egli auspica, da un lato, l’estensione del potere d’azione all’offeso dal reato (cfr. il saggio Azione penale, in Rivi- sta penale, vol. III, 1875, p. 5 ss.) e, dall’altro, un ufficio del pubblico ministero sul modello di quello istituito in Toscana nel 1838 che, a differenza di quello francese, fosse svincolato dal po- tere esecutivo (cfr. Programma del corso di diritto criminale, cit., vol. 2°, p. 351 ss., § 868.
10 “Quale è l’uomo onesto che possa stimare sicura la sua persona in faccia a un rito vizioso o inosservato? Datemi (diceva D’AGUESSAU) datemi quattro linee scritte da un uomo che io vo- glia perdere, e mi impegno di farvelo condannare come colpevole di perduellione”, Il diritto e la procedura penale, cit. p. 23.
11 Il diritto e la procedura penale, cit. p. 19.
Diritto e procedura penale si configurano pertanto come due distinti limiti all’estrinsecarsi del potere punitivo: limiti destinati – beninteso – a operare si- multaneamente nell’esperienza concreta. È tuttavia diverso (da un punto di vista concettuale) il rapporto che viene a istituirsi fra autorità sociale e cittadi- no nel diritto penale e, rispettivamente, nel diritto processuale. Nel primo, va regolato e disciplinato l’esercizio del potere punitivo inteso come reazione a una condotta ipotetica, reputata riprovevole alla stregua della tavola di valori che quel potere legittima: conseguentemente, il compito dell’autorità sociale si esaurisce qui in una classificazione delle condotte censurabili e in un calco- lo delle sanzioni che si ritengono adeguate. Nel secondo, invece, l’esercizio del potere punitivo va regolato come reazione a una condotta concreta (o, quantomeno, asserita tale), della quale, il più delle volte, appare controversa la riconducibilità al soggetto colpevole: conseguentemente, l’autorità sociale deve qui prima di tutto impegnarsi nello sforzo di evitare che il potere puniti- vo si eserciti contro la persona sbagliata. Uno può scegliere se commettere o meno un reato e, nel caso, sarà rimproverato e sanzionato per questa scelta.
Nessuno invece sceglie di diventare oggetto di un’indagine e di un giudizio penale, perché l’esser accusati dipende – nella normalità dei casi – dalla vo- lontà di altri soggetti: di ciò, per l’appunto, dev’esser consapevole l’autorità sociale nel predisporre le norme della procedura penale, le quali non riguar- dano, quindi, i soli colpevoli, bensì la generalità dei cittadini, perché ciascuno di essi potrebbe incorrere nella disavventura di essere il bersaglio di un’accusa9. Nessun uomo onesto, nota Carrara, potrebbe sentirsi al sicuro in un ordinamento che fosse retto da procedure o prassi arbitrarie10. Discende da questa semplice quanto indiscutibile premessa la nota conclusione che “il rito penale (dunque) è la salvaguardia dei galantuomini”11.
L’affermazione peraltro non è originalissima: se ne trova già traccia in Ro-
12 Ecco le parole di ROMAGNOSI, in Opere edite ed inedite, con annotazioni di Alessandro De Giorgi, Milano Perelli e Mariani 1842-1848, vol. IV, p. 443: “La procedura è fatta primiera- mente per la sicurezza della gente onesta; perocché se in natura si fosse certi che un accusato fosse reo, sarebbero inutili e irragionevoli tante indagini per non compromettere l’innocenza e per non far tremare ogni uomo onesto. Dico anche per non far tremare ogni uomo onesto, per- ché qualcuno può bensì esser padrone di non commettere un misfatto, ma non può esser pa- drone di non avere un calunniatore o di non soggiacere ad essere preso in fallo”.
Notiamo incidentalmente che persino Ferri, il quale pur si batteva fieramente contro le asse- rite esagerazioni del principio in dubio pro reo, ribadisce analogo concetto in uno dei suoi in- terventi parlamentari: “Il Codice penale è il codice per i birbanti; mentre quello di procedura penale è il Codice di garanzia per gli onesti che sono sottoposti a processo e che non sono an- cora riconsciuti birbanti” (Discorsi parlamentari sul nuovo codice penale, Napoli 1889, p. 7).
13 Il diritto e la procedura penale, cit. p. 18.
magnosi, qualche decennio prima12. Originale semmai è l’idea di fare della presunzione di innocenza il perno attorno al quale ruotano tanto la normativa processuale quanto la corrispondente “Scienza”. Tutti i principali capitoli del- la procedura penale debbono, secondo Car rara, rapportarsi all’idea che l’ac- cusa può colpire qualsiasi cittadino, sicché l’autorità sociale deve moderare l’uso degli strumenti processuali muovendo dal presupposto che gli stessi sempre incombono su un possibile innocente. Non c’è dunque da stupirsi che – nella visione del grande penalista lucchese – la presunzione d’innocenza sia capace di irradiare i propri effetti pressoché in ogni settore della normativa processuale: “la stretta adesione alle com pe ten ze, la leale, completa e tempe- stiva contestazione dell’accusa, la temperanza nella custo dia preventiva, la pienezza della prova, le cautele per la veridicità dei testimoni, le con dizioni per la legalità delle confessioni, l’ostracismo di ogni suggesto, di ogni frode, di ogni sub dolo artifizio che possa dare al falso la sembianza del vero, la critica imparziale nella valu ta zione degli indizi, il liberissimo campo all’esercizio del patronato, i favori per la di fesa, le forme sacramentali per la sentenza, i rimedi di appello o di revisione”13son tutti corol la ri del principio in questione. Og- getto della scienza processuale sono, dunque, i limiti natu rali e di ragione che discendono dalla supposta innocenza dell’imputato e coi quali l’auto rità so- ciale deve fare i conti, quando intraprende l’accertamento di responsabilità penali.
A uno sguardo attuale, siffatta conclusione può apparire al contempo scon- tata ed ec ces siva: scontata, perché nessuno dubita della centralità che la pre- sunzione d’inno cenza – oggi elevata al rango di principio costituzionale – ri- veste nella sistematica del diritto pro ces suale penale; eccessiva, perché, nono- stante la sua importanza, la presunzione d’inno cen za non occupa, nelle teorie
14 “Gli uomini avvezzi a guardare nella cieca obbedienza, nella negazione di ogni sindacato popolare, il palladio dell’ordine che troppe volte si scambiò col silenzio (come altri scambiò il progresso col movimento) configurarono nello stato, una persona ideale, di per se stante, di- stinta dalle persone reali dei consociati. E nei diritti che attribuirono a questa persona fittizia tentarono di sommergere una seconda volta i diritti degli individui.
L’errore della vecchia scuola stette nel supporre che i popoli fossero fatti per i Principi, e non i principi per servigio dei popoli.
processualistiche, quella posizione strategicamente centrale che Carrara inten- deva assegnarle. Unici, autentici corollari della presunzione d’innocenza ci ap- paiono, oggi, il divieto di usare gli istituti processuali in funzione sanzionato- ria e la regola di giudizio orientata al principio in dubio pro reo.
Vale la pena soffermarsi su questo scarto di sensibilità nella portata del principio, perché in esso si esprime, a mio avviso, la distanza che ci separa dall’approccio carrariano alle questioni del “giure punitivo” e, al contempo, le affinità che ancora si percepiscono rispetto al suo pensiero. Di questa distanza e di queste affinità è bene esser consapevoli, anche al fine di apprezzare e, semmai, valorizzare oggi gli spunti di questo illustre giurista ancora attuali per il diritto processuale penale.
2. Autorità sociale vs. Stato: fine precoce di un auspicio
Nell’esposizione sin qui svolta ho abbondato in citazioni testuali. Questo perché Carrara fa un uso rigoroso delle parole e delle espressioni che fondano il suo edificio teorico, sicché, nel parafrasare il suo pensiero si rischia a ogni momento di travisarlo. Inoltre, egli talvolta attribuisce a talune espressioni un significato o un’estensione concettuale assai diversi da quelli che, nel tempo, si è venuto associando alle stesse espressioni ancor oggi in uso (come ben dimo- stra quel che s’è appena osservato a proposito della presunzione di innocenza).
Merita qui soffermarsi su un’espressione ricorrente negli scritti di Carrara che rinvia a un concetto centrale della sua costruzione sistematica: si tratta dell’espressione “autorità sociale” volutamente impiegata al posto del termine
“Stato” per designare il titolare del potere punitivo. Siamo di fronte non già all’uso di un semplice sinonimo, bensì a una scelta terminologica rivelatrice di un atteggiamento metodologico. Carrara si rende ben conto del significato ideologico del quale, nel tempo, si è venuto caricando la parola Stato. Nelle correnti culturali che fanno dello Stato una persona a sé, distinta dagli indivi- dui che ne fanno parte, egli vede una tendenza pericolosa incline a travasare in questo nuovo ente i poteri che prima appartenevano al Principe14. L’assolu-
L’errore della nuova scuola stette nel supporre che gli uomini fossero fatti per lo Stato, e non lo Stato costituito per servigio degli uomini”: così in Varietà della idea fondamentale del giure punitivo, in Opuscoli di diritto criminale, 5° edizione, Firenze 1898, vol. I, p. 196.
15 L’espressione “Stato” compare nella parte del Programma dedicata ai “Limiti esterni del giure penale” (cfr. vol. 2°, cit. § 1028), quando si discute del contenimento territoriale della giuri- sdizione penale: nel parlare del rapporto con le giurisdizioni penali straniere, è comprensibile che Carrara ceda, per così dire, alla tentazione di personificare – nello Stato – la funzione punitiva.
16 Cfr. Dottrina fondamentale della tutela giuridica, in Opuscoli di diritto criminale, 5° edi- zione, Firenze 1898, vol. I, p. 266
tismo statualista rischia di precipitare la società in un nuovo dispotismo del tutto sganciato dai presupposti razionali, etici e religiosi che debbono costi- tuire il fondamento di ogni esperienza giuridica. È lecito supporre che pro- prio questa preoccupazione induca Carrara ad evitare accuratamente di usare il termine Stato, quando deve indicare il soggetto cui spetta l’esercizio della potestà punitiva15. Diversamente dallo “Stato” ”Principe assoluto” dominato- re incontrastato del “giure punitivo”, la “autorità sociale” che ha in mente Carrara è costituita da uomini investiti certo di potere, ma con le debolezze e i limiti di ogni essere umano; è fatta cioè di uomini in tutto simili a quelli che debbono essere giudicati.
Carrara si preoccupa di spiegare come mai gli uomini impegnati nell’“auto- rità sociale” abbiano il potere di giudicare i loro simili, considerato che l’atto del giudicare postula una superiorità del giudicante sul giudicato, mentre gli uo- mini sono uniti da relazioni di eguaglianza. Orbene, nella risposta che egli dà a questo quesito sta – a mio parere – una delle chiavi per intendere il suo pensie- ro. Tale risposta è diversa da quella data, in quel periodo, dalle prevalenti teorie del diritto pubblico. Non già la necessità di un’autorità sociale fonda il potere punitivo, bensì, viceversa, la necessità di punire i comportamenti lesivi di diritti giustifica l’esercizio del “giure punitivo” da parte dell’autorità sociale. Il diritto di punire è insomma un prius rispetto all’autorità sociale, la quale si rende ne- cessaria proprio per difendere – con adeguati mezzi repressivi – i diritti conna- turati a ogni persona. La vera scaturigine del diritto di punire e, con esso, del- l’autorità sociale, è individuata da Carrara nientemeno che nella “legge eterna dell’umanità”16. Questo ancoramento metafisico relativizza e, per così dire, umanizza, il potere punitivo. L’autorità sociale ha il compito di conservare un ordine la cui determinazione non dipende dai suoi decreti, ma da una legge di natura che trascende ogni potere umano. Essa non può servirsi del diritto pena- le come di uno strumento per governare; deve piuttosto essere al servizio del di- ritto penale, il cui fine coincide con la tutela dei diritti inalienabili della persona.
17 Citando ampiamente Carrara, Stoppato riconosce che “il fine supremo della procedura penale” è “la punizione del reo e ad un tempo la pace e la sicurezza dell’innocente”: cfr. Sul fondamento scientifico della procedura penale, in Rivista penale 1893, vol. XXXVII, p. 319.
18 Si allude, in particolare, al sistema di diritto pubblico elaborato da GEORGJELLINEK. Un titolo merita di essere qui ricordato: precisamente il System der subjektiven öffentlichen Rechte pubblicato in Germania nel 1892 e tradotto in Italia nel 1912 a cura di Vittorio Emanuele Or- lando.
19 “A coloro che ripetono la solita vuota e assurda frase della presunzione d’innocenza fino alla sentenza definitiva rispondo che molte volte il giudizio è anticipato e la condanna pronun-
È essenziale tener presente questo fondamentale postulato, anche per in- tendere nel suo esatto significato l’idea che Carrara ha della presunzione d’in- nocenza quale necessario limite al concreto esercizio del potere punitivo. Fin- ché è in corso il processo, ogni imputato va considerato come un galantuomo, per la semplice ragione che non è concesso all’autorità pubblica di far preva- lere esigenze di difesa sociale sui diritti individuali. Come si intende e come si è già accennato, qui è in gioco qualcosa di più della presunzione d’innocenza così come oggi noi la intendiamo: qui è in gioco quel complesso dei diritti fondamentali e inviolabili che nella moderna cultura costituzionale si configu- rano come diritti inviolabili della persona.
Bisogna ammettere che l’invito a vedere nelle regole del rito penale la salva- guardia dei galantuomini e a impostare in maniera corrispondente lo studio della procedura non ha avuto gran seguito. Traccia dello spunto carrariano si trova in un saggio di Alessandro Stop pa to17, il quale avrà poi un ruolo impor- tante nella riforma processuale del 1913. Ma la temperie culturale non è pro- pizia al realizzarsi dell’auspicio di Carrara. Le tesi della Scuola positiva, che patrocina una visione dell’autorità sociale agli antipodi di quella proposta da Carrara, trovano sempre più adepti. Le esigenze di difesa sociale fanno pre- mio sulle esigenze di protezione dei diritti individuali. In Germania maturano dottrine del diritto pubblico, destinate ad avere largo seguito anche in Italia, che assegnano allo Stato un ruolo centrale non solo nella tutela dei diritti indi- viduali, ma anche nella istituzione degli stessi diritti18.
Lo Stato si avvia a diventare quell’entità onnipotente che Carrara paventa- va, con conseguenze facilmente immaginabili sul terreno del diritto penale.
Quest’ultimo è ormai destinato a trasformarsi in strumento di conservazione e, se necessario, di potenziamento dello Stato. Non c’è da sorprendersi se pro- prio la presunzione d’inno cenza finisce col subire attacchi polemici sferrati con grande durezza da coloro che reclamano l’indiscussa superiorità del pub- blico sul privato19. L’ac cennata riforma processuale del 1913 – nonostante l’o-
ziata dall’opinione pubblica”, così R. Garofalo, La detenzione preventiva, in La Scuola positiva nella giurisprudenza civile e penale e nella vita sociale 1892, vol. II, p. 199.
20 Basti dire che fu in esso ripristinata l’ambigua formula dell’assoluzione per insufficienza di prove (art. 274 comma 2 e art. 421 comma 2), assente nel previgente codice del 1865. Fu, inoltre, introdotto il procedimento per decreto (ad imitazione della Strafprozessordnung ger- manica) e si andò vicini a trasporre nel sistema italiano la condanna senza processo in caso di confessione dell’imputato: una sorta di guilty plea in salsa continen ta le, contro la quale si battè con determinazione A. Stoppato proprio muovendo dalla necessità di afferma re la presunzione d’innocenza, come risulta dall’appassionata relazione da lui svolta alla Camera dei Deputati nella tornata del 15 giugno 1912 (Sul codice di procedura penale. Discorso dell’on. A. Stoppa- to, Tipografia della Camera dei Deputati, Roma 1912, p. 11).
21 Suffragato, in sede teorica, dall’impostazione idealistica di stampo hegeliano che vede nello Stato una “sostanza etica consapevole di sé”: così G. GENTILE, I fondamenti della filoso- fia del diritto, Firenze 1937, 3° edizione, p. 108.
22 Cfr. Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, in Lavori prepara- tori del codice penale e del codice di procedura penale, Roma, 1929, vol. VIII, p. 22. Per una succinta (ma informata) ricostruzione delle controversie fra Scuola positiva e scuola liberale classica intorno alla presunzione di innocenza cfr. G. ILLUMINATI, La presunzione d’innocenza dell’imputato, Bologna, 1979, pp. 13-19.
pera di Stoppato – è ben lontana dal recepire l’inse gna mento di Carrara20. E una distanza ancora maggiore si realizzerà poi con il codice di rito del 1930, nel quale si celebra al massimo livello l’idea dell’assolutismo statualista21: para digmatico, a questo riguardo, il tono perentorio col quale Alfredo Rocco, nel presentare la riforma processuale, liqui da la presunzione di innocenza bol- landola come “stravaganza derivante da quei vieti concetti, germogliati dai principi della Rivoluzione francese, per cui si portano ai più esagerati e incoe- renti eccessi le garanzie individuali”22. Altro che galantuomo: l’individuo che abbia la sventura d’incappare in un’indagine penale deve sopportare limita- zioni e compressioni di diritti arbitrariamente decisi da un legislatore ormai guadagnato all’idea della difesa ad oltranza dello Stato e pertanto definitiva- mente sganciato da quei postulati etici che Carrara metteva a fondamento del- la sua dottrina penale di marca individualistica.
3. La Costituzione e l’inviolabilità dei diritti individuali
La salvaguardia dei diritti individuali, in una prospettiva che rivela qualche assonanza con gli auspici di Carrara, caratterizza la cultura giuridica del se- condo dopo guerra. La nostra Costituzione (così come quella di altri Paesi del- l’Europa conti nentale passati per le drammatiche esperienze dell’autoritari- smo statualista) riscoprono i diritti inviolabili della persona, aprendo così la
23 Non è casuale l’interesse di un giurista come Franco Bricola all’opera e all’insegnamento di Francesco Carrara: l’idea di contenere la discrezionalità penale (soprattutto del legislatore) entro i limiti tracciati dalle scelte di valore del costituente è debitrice alle riflessioni carrariane sui limiti che l’“autorità sociale” deve rispettare nell’esercizio del potere punitivo; lo riconosce lo stesso Bricola nella bella Introduzione al Programma del corso di diritto criminale. Del delit- to e della pena, ripubblicato dal Mulino (Bologna) nel 1993.
strada a una diversa concezione del rap porto fra Stato e cittadino. La qua lifica di “inviolabile”, abbinata a diritti quali la libertà per sonale, la libertà domi ci - lia re, la libertà di comunicazione e corrispondenza, sembra ri pri stinare gli an- tichi diritti naturali che, nella cultura giusnaturalistica, limitavano ab externo le invasioni del potere pubblico. La circostanza stessa che la Costituzione “ri- conosca” i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2) induce a ritenere che tali diritti preesistano all’atto costituente: essi occupano uno spazio prenormativo, ma sono, al contempo, oggetto di una previsione normativa.
Il riconoscimento dei diritti fon damentali della persona in un testo giuridi- co, come indubbiamente la Costituzione è, rea lizza pertanto una sorta di com- promesso fra l’idea di agganciare l’autorità statale (e, con essa, la potestà pu- nitiva che ne è diretta espressione) a valori tra scen denti le norme e l’esigenza di dare un fondamento normativo alla stessa potestà. In altre parole, con l’ele- vare i diritti fon da mentali della persona al rango di “supernorme” si è ridato spessore a valori etici trascendenti l’esperienza giuridica, ma lo si è fatto cri- stallizzando questi va lori in un testo normativo. Rinasce così – sia pur in tutt’altro contesto culturale – quella se pa ratezza prospettata da Carrara fra
“autorità sociale”, cui spetta l’esercizio del potere punitivo, e va lori precosti- tuiti all’esperienza giuridica, capaci di porre un freno tanto alla discre zionalità legislativa, quanto al temuto arbitrio del giudice penale23.
Non possiamo però dire – con riferimento al tema che ci riguarda – che l’avvento della Costituzione del 1948 abbia impresso all’evoluzione del diritto processuale penale quel senso, per così dire, “umanitario” auspicato da Fran- cesco Carrara. Ciò è dovuto, in buona misura, al modo in cui i principi costi- tuzionali sono stati attuati nel processo pe nale. Nell’esperienza italiana, la len- ta e graduale attuazione di detti principi è stata im per niata essenzialmente sul diritto di difesa, vale a dire su un diritto sì inviolabile, ma suscettibile di varie graduazioni – come dirò fra poco – e che, per di più, tocca il solo im putato, non la persona in quanto tale. Quanto alla presunzione d’innocenza, tanto ca- ra a Car ra ra, essa ha bensì trovato espresso riconoscimento nella nostra Costi- tuzione, ma in un’accezione priva di quella centralità che la ricordata prolu- sione del 1873 le assegnava. Si è già osservato che il codice di procedura pena-
24 L’elenco, pressoché completo, annovera la sent. 1/1980 (in tema di divieto di concessio- ne della libertà provvisoria), la sent. 48/1994 (in tema di punibilità di imputati per fatti di cri- minalità organizzata, incapaci di provare la provenienza lecita di beni a fronte di un divario fra reddito dichiarato ed effettiva consistenza patrimoniale) e la sent. 239/1996 (in tema di misure in tema di effetti automaticamente interdittivi scaturenti dal semplice stato di pendenza di un procedimento penale).
25 In questo senso, pure Carrara va annoverato fra gli autori che aderiscono a una conce- zione etico-razionale (in definitiva, psicologica) della presunzione di innocenza di contro agli autori che sottolineano invece la natura normativa del principio: sulle caratteristiche e i limiti di tali concezioni cfr. R. ORLANDI, Provvisoria esecuzione delle sentenze e presunzione di non col- pevolezza, in Indice penale 2000, 87 ss.
26 Tale è l’analisi del principio offerta dalla citata monografia di G. ILLUMINATI, La presun- zione d’innocenza dell’imputato, Bologna 1979.
le del 1930 disconosceva apertamente la presunzione d’innocenza. Come spie- gare, allora, le rarissime declaratorie di illegitti mità fondate sull’art. 27 comma 2 cost.24? Non basta certo rilevare che l’ampia riforma processuale del 1955 aveva provveduto a espungere dal codice di rito allora in vigore le più vistose anomalie che ne minavano in più punti la legittimità costituzionale. In realtà, bisogna ammettere che, nel farsi norma, il principio della presunzione d’inno- cenza ha assunto un significato diverso e più ristretto di quello che si tendeva ad attribuirgli nel lessico ottocentesco: se, per Carrara, la presunzione d’inno- cenza rivestiva essenzialmente il ruolo di una generalissima massima d’espe- rienza, che doveva permeare l’atteggia men to cognitivo dell’autorità sociale (vale a dire, del legisla to re e del giudice) nell’esercizio del potere punitivo25, per la teoria odierna, il principio ha un valore essenzialmente normativo, che si esprime principalmente in una regola di trattamento (l’imputato non può essere trattato alla stre gua di colpevole, finché la sentenza di condanna a suo carico non sia divenuta definitiva) cui si aggiunge, a mo’ di corollario, una re- gola di giudizio (in dubio pro reo)26. Non più, quindi, un principio di etica ra- zionale, capace di permeare di sé ogni istituto del diritto processuale e di ispi- rare l’intera dinamica del perseguimento penale.
Già l’ho detto poc’anzi: l’adeguamento della procedura penale ai diritti in- violabili dell’individuo è stato realizzato, in Italia, con l’occhio attento all’im- putato più che all’individuo in quanto tale. Ritengo che l’enfasi posta dalla nostra giurisprudenza costituzionale sul diritto di difesa abbia avuto per con- seguenza l’evoluzione in senso marcatamente formalistico delle garanzie indi- viduali nel processo penale italiano. L’esercizio di tale diritto può addirittura esser sostanzialmente misconosciuto, ancorché risulti formalmente garantito, come spesso ac ca de con le difese d’ufficio. Esso, inoltre, è per sua natura mal-
27 Ad esempio, nei procedimenti per fatti di criminalità organizzata (in particolare, quelli elencati nell’art. 51 comma 3bis) la difesa, soprattutto nella fase preliminare al giudizio, è meno garantita che nei procedimenti relativi ad altri reati.
28 L’art. 24 comma 2 cost. assicura il diritto di difesa “in ogni fase del procedimento”, ma è affermazione ricorrente nelle pronunce della nostra Corte costituzionale, che il diritto in que- stione può esser variamente modulato dal legislatore in ragione delle caratteristiche e delle fina- lità delle diverse fasi processuali.
29 Art. 111 commi 3-5 cost.
30 Definire inviolabile un diritto non significa, ovviamente, escluderne la limitazione: basta leggere gli artt. 13, 14 e 15 della nostra Costituzione per comprendere che ogni libertà indivi- duale può essere legittimamente limitata per esigenze connesse con la necessità di reprimere i reati. Ma la limitazione non può risolversi in una totale limitazione del diritto, il quale, se radi- calmente negato, perderebbe il suo carattere di “inviolabilità”. Di ciò sembra ben consapevole la nostra Corte costituzionale, quando afferma, ad esempio, che anche il detenuto in esecuzione di pena vanta un residuo di libertà personale che non gli può esser conculcato (v. da ultimo, sent. 526/2000). Manca tuttavia, in giurisprudenza come in dottrina, una riflessione approfon- dita sui limiti che legge e giudice debbono osservare nel comprimere diritti inviolabili della per- sona diversi dal diritto di difesa.
31 Esemplare e molto istruttiva la recente sentenza (3 marzo 2004) con la quale il Bunde- sverfassungsgericht dichiara illegittima la normativa in tema di intercettazioni ambientali (art.
100c StPO), ritenuta lesiva della libertà domiciliare per quel nucleo incomprimibile del diritto
leabile e suscettibile di diverse modalità d’attuazione in ragione del tipo di reato da perseguire27 e in relazione alle diverse fasi del processo28. Bisogna peraltro riconoscere che la riforma costituzionale del giusto processo ha con- tribuito a rendere più preciso il contenuto del diritto di difesa, specificandone gli standards minimi con riguardo a varie situazioni dello svolgimento proce- durale29. Va detto però che concentrando la propria attenzione pressoché esclusivamente sul diritto di difesa, rischiano di restare inappagate o scarsa- mente garantite le esigenze di tutelare altri diritti inviolabili quali, in partico- lare, la libertà personale, la libertà domiciliare o la libertà di comunicazione e corrispondenza. Ciascuna di queste libertà ha – per definizione – un suo nu- cleo incomprimibile che legge e giudice debbono rispettare30. E questo nu- cleo incomprimibile si identifica con la tutela della dignità umana, vero co- mun denominatore di ogni diritto individuale.
Prossima agli auspici carrariani sarebbe, in definitiva, una legislazione pro- cessuale che avesse il proprio fulcro nel concetto di dignità umana, inteso quale elemento caratterizzante l’inviolabilità di ogni libertà individuale. In questa direzione, ad esempio, si è evoluta la procedura penale tedesca del se- condo dopoguerra, sulla spinta di una giurisprudenza costituzionale che ha fatto della Menschenwürde (Art. 1 Grundgesetz) il punto archimedico che regge l’intero sistema processuale31.
individuale che, per l’appunto, coincide con l’esigenza di assicurar tutela alla Menschenwürde;
il testo della sentenza è reperibile al seguente indirizzo web: http://www.bverfg.de/entschei- dungen/
32 La crisi del giudice istruttore è emersa, in maniera evidentissima, nel colloquio interna- zionale su Strafjustiz im Spannungsfeld von Fairness und Effizienz organizzato dal Max Planck Institut für ausländisches und internatinales Strafrecht di Freiburg, dall’8 all’11 maggio 2002 presso lo Schloß Ringberg (Baviera): gli atti del colloquio sono in corso di pubblicazione da edition iuscrim Freiburg im Breisgau.
La stessa cosa non si può dire, invece, della procedura penale italiana, evo- lutasi, come già detto e ripetuto, sotto il segno pressoché esclusivo di un mal- leabile diritto di difesa.
4. La salvaguardia dei galantuomini oggi
Riferito all’oggi, l’auspicio carrariano di un processo a misura di “galantuo- mo” si presta a una duplice, ambivalente considerazione.
Da un lato, la caduta pressoché generale delle dittature e delle corrispon- denti ideologie totalitarie che hanno caratterizzato l’intero corso del XX seco- lo, hanno reso inattuale il rischio di un autoritarismo statale (che invece in- combeva all’epoca di Carrara), le tale per le sorti della giustizia penale. Biso- gna ammettere che il rapporto fra pubblico e pri vato, fra autorità e individuo, fra stato e citta di no ha subito e sta subendo, in questi anni, trasformazioni profonde, tutte nel senso di u na riconsiderazione e rivalu ta zione degli interes- si individuali rispetto a quelli pubblici.
Così, se guardiamo all’evoluzione odierna dei sistemi penali, notiamo che pra ticamente tutti i paesi euro pei han no riformato o stanno riformando in senso accu sa torio i rispettivi ordinamenti pro ces suali. Anche nell’amministra- re la giustizia penale, dunque, lo Stato (o l’“autorità sociale”, come avrebbe preferito esprimersi Francesco Carrara) sem bra ritagliarsi un ruolo più limi- tato di un tempo, e senz’altro più rispettoso dei diritti invio la bi li della perso- na, ormai enunciati solennemente nelle carte costituzio nali di quasi tutti i pae- si occidentali. È significativo, a questo proposito, il declino progressivo del giudice istruttore, figura altamente simbolica di una giustizia penale dominata dal Sovrano: perfino dove sopravvive (come in Francia), tale organo è stato spogliato di molte delle attribuzioni che ne facevano un soggetto straordina- riamente potente32.
C’è però un’altra faccia dell’odierna situazione politica-costituzionale capa- ce di condizionare le scelte normative in campo penale. La cultura, anzi, si
33 Dottrina fondamentale della tutela giuridica, cit., pp. 270-271.
34 G. JAKOBS, Bürgerstrafrecht und Feindstrafrecht, in Foundations and Limits of Criminal
può ben dire il culto quasi parossistico dell’individuo, ha contribuito a dar particolarissimo risalto agli interessi delle vittime dei reati, per la salvaguardia dei quali si esige oggi efficienza dell’intervento pubblico sia sul piano repressi- vo sia su quello preventivo. Insomma, l’individuo non viene in considerazione solo come imputato, con tutto il corredo dei suoi diritti inviolabili, ma anche come possibile offeso dal reato, che attende adeguata tutela dalle agenzie di controllo sociale. Nella sua teorica della “tutela giuridica”, lo si è già ricorda- to, Francesco Carrara si poneva il problema di un’adeguata protezione del- l’offeso; egli riteneva che l’“autorità sociale” trovasse, nel “giure penale” e
“nell’ufficio di polizia”, la forza e i mezzi sufficienti per proteggere le possibili vittime dalle aggressioni dei “malfattori”, ma ammoniva, al contempo, di non confondere i due piani dell’intervento pubblico.
Prevenzione e repressione, arte del buon governo e giure punitivo, sono, nel pen sie ro di Carrara, non solo concetti distinti (il che è ovvio anche per noi, oggi), ma funzioni da tener asso lutamente separate nel rispettivo eserci- zio, se non si vuol cadere nel dispotismo: “Gli errori e gli abusi, pei quali la ti- rannide dei potenti convertì per tanti secoli il giure penale in un flagello dei popoli, risalgono tutti ad una sola idea cardinale, ad un solo errore che, come la idra della favola moltiplicò le sue gole per divorare la umanità. Questa idea è appunto quella di trasportare nel giure punitivo le vedute della polizia”33. Oggi c’è molta meno sicurezza nella possibilità di tener distinte queste due sfere d’attività, che vanno invece sempre più intrecciandosi, soprattutto a fronte delle minacce provenienti da agguerrite organizzazioni criminali.
Proprio la necessità di tutelare adeguatamente le possibili vittime di reati gravi, devastanti e, purtroppo, frequenti, quali sono gli attentati terroristici, è all’origine non solo di censurabili prassi criminali (come quelle messe in atto a Guantanamo-Bay o ad Abu Ghraib), ma anche di talune sconcertanti prese di posizione che rischiano di far precipitare il diritto penale in una nuova barba- rie. Ci si riferisce, in particolare, alla proposta – avanzata di recente da un au- torevole penalista tedesco – di mettere a punto un “diritto penale del nemi- co”: per far salvi i principi liberali che caratterizzano il diritto penale del citta- dino comune (il cosiddetto Bürgerstrafrecht), occorrerebbe dotarsi di un di- ritto penale speciale (il cosiddetto Feindstrafrecht), capace di fronteggiare con logica di guerra e, precisamente, di guerra preventiva, gli avversari irridu- cibili della società34. Nella stessa direzione si muove la proposta di ripristinare
Law and Criminal Procedure, Gedächtnisschrift Prof. Tseng-Hung, a cura di Yu-hsiu Hsu, Tai- pei 2003. L’Autore aveva prospettato l’idea di un “Feindstrafrecht” già anni prima, in Krimina- lisierung im Vorfeld einer Rechtsgutsverletzung, Zeitschrift für die gesamte Strafrechtswissen- schaft, vol. 97°, 1985, p. 783 ss.
35 Cfr. A.M. DERSHOWITZ, Why Terrorism Works, Understanding the Threat, Responding to the Challenge, by Alan Dershowitz 2002, trad. it. Terrorismo, Roma, Carocci, 2003. Il lavoro di Dershowitz (un libro provocatorio più che un testo di dottrina) è stato scritto sull’onda del- l’emozione suscitata dal distruttivo attentato dell’11 settembre 2001. Ma, già dieci anni prima, Niklas Luhmann in una conferenza tenuta all’Università di Heidelberg e pubblicata col titolo Gibt es in unserer Gesellschaft noch unverzichtbare Normen?, C.F. Muller Juristischer Verlag, Heidelberg 1993, ipotizzava la possibilità di torturare l’attentatore per salvare la vita di nume- rose persone, suffragando la sua affermazione con argomenti etici e giuridici.
36 Dottrina fondamentale della tutela giuridica, cit., pp. 297-298.
la tortura come mezzo per prevenire attentati distruttivi: considerato che la tortura è oggi largamente pra ti cata, di fatto, in molti Paesi, corrisponderebbe a un’esigenza di civiltà regolarla per legge, ammet ten dola in casi eccezionalis- simi tassativamente indicati, su autorizzazione di un giudice e sotto stretta sorveglianza medica, onde scongiurare effetti letali in danno del torturato35.
È ozioso chiedersi come reagirebbe Francesco Carrara a simili proposte?
Certamente denunciando la pericolosa confusione fra i piani della prevenzio- ne e della repressione penale. Ma, verosimilmente, anche accusando i loro fautori di essere dei materialisti privi di principi, che usano strumentalmente
“i fatti” per imporre soluzioni inaccettabili. “I fatti (questa formula prestigio- sa ed elastica!) i fatti che ognuno può creare, che ognuno può interpretare va- riamente a seconda del particolare interesse, o del capriccio di chi comanda, si opporranno a qualunque rivelazione del senso morale con cui voglia farsi argine a una legge iniqua o ad un giudizio ingiusto. Questa scuola … vi dirà che è legittima la tortura, perché i fatti mostrano come mercé la medesima si rendono più rare le impunità dei colpevoli”36.
Non si può certo dar torto a Carrara, quando denuncia il rischio di slitta- menti progressivi verso la barbarie, rischio insito in proposte troppo sensibili all’emozione provocata da fatti pur sconvolgenti. È facile prevedere che l’idea di giustificare la tortura, una volta affermata con riguardo all’esigenza di pre- venire gravissimi attentati terroristici, tenda ad espandersi anche alla preven- zione di altre situazioni reputate allarmanti e finisca poi col diventare un ca- posaldo dell’attività repressiva, sempre, naturalmente, in ordine a casi gravis- simi ed eccezionalissimi, suscettibili però di possibili ampliamenti a seconda delle circostanze, delle convenienze politiche e, per l’appunto, dei fatti.
Ne è conferma la reazione dell’opinione pubblica a un recente caso verifi-
37 Questo fatto, risalente al 27 settembre 2002, è noto come “Caso Daschner”: tutti i gior- nali tedeschi hanno dato ampio spazio alla vicenda, che ha profondamente scosso l’opinione pubblica (il giovane rapito era figlio di un noto banchiere di Francoforte). Per saperne di più è sufficiente digitare le parole “Fall Daschner” in qualsiasi motore di ricerca.
38 Una ampia rassegna delle opinioni registratesi al riguardo in K. LÜDERSSEN, Die Folter ist tabu – Kein Paradigmenwechsel ist geboten, in Festschrift für Joachim Rudolphi, Luch- terhand, Neuwied 2004, p. 691 ss.
39 Questa la posizione del prof. WINFRIEDBRUGGER, Das andere Auge. Folter als zweitsch- lechteste Lösung, in Frankfurter Allgemeine Zeitung, del 10 marzo 2003, Nr. 58, p. 8. Dai son- daggi effettuati risulta che circa 2/3 della popolazione tedesca condivide l’opinione del prof.
Brugger.
catosi in Germania: caso che ha provocato un appassionato dibattito sulla le- gittimità della tortura in situazioni-limite. Ecco il fatto: un adolescente, figlio di un facoltoso banchiere di Francoforte, viene rapito. Il rapitore chiede un riscatto che viene pagato dalla famiglia un paio di giorni dopo il sequestro. La polizia osserva la consegna del danaro, e identifica così il sequestratore, un giovane studente universitario che, nei giorni subito successivi al pagamento del riscatto, conduce vita normale e non tiene contatto né col rapito con con altri possibili concorrenti nel reato. Temendo per l’incolumità del rapito, la polizia arresta lo studente, il quale però si rifiuta di collaborare e di svelare il luogo dove l’adolescente è tenuto prigioniero. A questo punto, il capo della polizia decide di giocare il tutto per tutto al fine di salvare la vita dell’ostag- gio: minaccia di far torturare l’arrestato, se questi non rivelerà quanto sa in- torno al sequestro. Intimorito dalla minaccia, l’arrestato confessa il reato e svela altresì dove si trova il giovane rapito. Di lì a poco, questi verrà ritrovato privo di vita, esattamente nel luogo indicato dal suo rapitore37.
L’interrogativo che subito si pose riguardava la valutazione da dare alla condotta dell’ufficiale di polizia: andava punita o poteva esser giustificata? La maggior parte dei giuristi intervenuti sul punto ha affermato senza esitazioni che nulla poteva giustificare il ricorso alla tortura (ancorché in forma di mi- naccia) nella pur tragica situazione che s’era determinata38. Lo impediva la necessità di rispettare la Menschenwürde dell’arrestato, che si configura come limite invalicabile per l’autorità pubblica. Ma una voce dissenziente non ha mancato di rilevare come – in situazioni eccezionali – l’autorità pubblica (qui, la polizia) possa, anzi, debba difendere la dignità dell’offeso e, più ancora, la sua vita, persino a costo di comprimere, se necessario, la dignità umana del- l’offensore39.
Qui il terrorismo, come si vede, non c’entra. Eppure il ragionamento esibi- to è lo stesso che quella voce dissenziente aveva in precedenza espresso con
40 Dottrina fondamentale della tutela giuridica, cit. p. 298.
riguardo ad ipotetici attentati terroristici: di fronte a una scelta tragica, si scel- ga il male minore. Oggi lo si fa valere per finalità solo preventive, per salvare una vita umana. Ma, accettato questo primo passo, vedremo domani analogo argomento sciorinato in una discussione che verte sull’utiliz zabilità probatoria di dichiarazioni estorte con violenza, ben s’intende in vista della repressione di un reato di straordinaria gravità, che sarebbe folle lasciar impunito. Ed ec- co reintrodotta la tortura, col pretesto di salvare i diritti della vittima.
Cedere a simili tentazioni sarebbe un errore fatale, gravido di conseguenze di sa strose. Su questo punto, la posizione di Francesco Carrara, benché espressa con pa role e concetti che oggi appaiano superati, mantiene una sua indubbia attualità. “Cancel late dal giure punitivo ogni verità assoluta che la ragione dimostri; cancellate da codesta scienza tutte quelle verità conseguenti ai principi fondamentali che la buona logica pro cla ma infallibili; riducete la nostra dottrina dall’altezza di una scienza al basso ministero di una terapeuti- ca, e voi avrete una penalità, ma non avrete un diritto penale: anche il no me di diritto dovrà cancellarsi dalle pagine della vostra dottrina, perché è un ente che de ri va dai dettati della pura ragione, è un imperativo logico e non della osservazione dei fatti”40.
Suona forse inattuale il richiamo alle “verità assolute” e ai “dettati della pu- ra ragione”, in un mondo come il nostro, così disilluso e secolarizzato. Suona- no altresì obsoleti termini come “onesto” o “galantuomo”. Questo però non impedisce di affermare con forza l’esistenza, se non di verità assolute, di diritti irrinunciabili dell’uomo di fronte all’autorità pubblica: diritti non bilanciabili per nessuna ragione e in nessuna situazione, per quanto eccezionale. Le espe- rienze autoritarie che separano il nostro tempo da quello in cui visse France- sco Carrara hanno purtroppo mostrato a quali livelli di abiezione possa giun- gere una giustizia penale, quando, consegnata all’arbitrio del potente di turno, smarrisca il senso dei limiti che le sono propri, finché la si concepisca ammini- strata da uomini in una società di eguali.