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CENNI ISTRUTTIVI DI PERFEZIONE

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(1)

CENNI ISTRUTTIVI

DI PERFEZIONE

P R O P O S T I

A’ GIOVANI DESIDEROSI DELLA MEDESIMA

N E L L A V I T A E D I F I C A N T E DI

G IU SEPPE BURZIO

D A L S A C . F E L I C E G I O R D A N O

O. DI M. V.

O p e r e tt a s p e c ia lm e n te u t i l e a g l i a l u n n i d ’a m b i i C le r i .

TORINO

DALI .A S T A M P E R I A D E G L I A R T I S T I T I P O G R A F I

1846.

(2)

PROTESTA DELL’AUTORE

P e r soddisfare a ’d ecreti em an ati d a ll’Apostolica Sede, p ro testa l 'a u to re , d i n o n p re te n d e re a questo suo s c ritto , a ltr a fede , che quella fo n d ata m e ram en te so p ra l ’a u to rità u m a n a , sot­

toponendolo in tu tto al giudizio d ella sa n ta ro m an a Chiesa, di cui si d ic h iara d i v o le r vivere e m o rire obbedientissim o figliuolo.

S 'in v o can o d a ll ' E d ito re i privilegi accordati d alle leggi.

(3)

LIBRO SECONDO

C e n n i i s t r u t t i v i d i p e r f e z io n e p r o p o s ti n e l l a v it a ch i e r i c a l e d i G iu s e p p e B u r z io .

C A P IT O L O P R IM O

Giuseppe veste l’abito chiericale. Quanto ben g li cal­

zasse quest’abito dall’averne tu tti i contrassegni d i vocazione.

Giuseppe Burzio che fin d a’ più teneri a n n i , come vedem m o, sentivasi tra rre a Dio colle forti non m eno che soavissim e funicelle dell’am or suo, giunse final­

m ente a salu tar quel dì sospirato che seg n ar gli do­

veva il principio d ’u n a vita tu tta di Dio, siccom e tu tte di Dio sarebbero le cose a cui senza p iù l’avria ric h ia ­ m ato incessantem ente l’abito chiericale.

Ad ap p ag ar questo sprone di perfetta unione con Dio, che già d a anni punzecchiavagli il cuore, aveva ben egli già sperim entato un interno presentim ento

(4)

uscendo Giuseppe per v ia , vi fu uom o che pel gran concetto si avanzò a baciargli la m ano, onde egli forte adontato lo rip rese dicendo : « queste esser cose che

« non con sè m a sì col paroco doveansi praticare ».

A ddetto d u n q u e alla sacra m ilizia, ad a ltro più non pensò fuor che a com piere que’ sentim enti di alta e giustissim a idea che s e n ’era d a prim a form ato, dan­

dosi applicatam ente alla vita s p iritu a le , a cui godea di p o ter attendere di proposito, come a sacro dovere, m entre p er lo innanzi sem bravagli d ’esservisi adope­

rato solo furtivam ente.

O r, come si m antenesse fedele e costante a’suoi im ­ pegni con Dio, si vedrà dal seguito che siamo p er ri­

ferire.

C A P IT O L O II .

Giuseppe entra nel s e m in a n o arcivescovile d i Chieri.

Riconosce l’ingresso in sem inario, quale u n a g ra zia speciale d i Dio.

A ripigliare il racconto, venuta l’epoca dell’Ognis­

santi, trasferivasi Giuseppe B urzio in Torino ad og­

getto di venire in uno d e’ tre sem inarii di codest’a r- cidiocesi assegnato. A lui, come aspirante alla filosofia, toccò quel di Chieri, dove entrò pieno l’animo d ’un santo ardore d ’ inform ar se m edesim o a tu tte quelle p arti che debbono fregiar un levita, onde possa un dì cu o p rir degnam ente le pertinenze altissim e del m ini­

stero.

(5)

L’ ingresso in sem inario non fu per lui un atto indifferente o tam poco di m era n ecessità, m a quale una grazia del Cielo lo ravvisò ; siccom e grazia ella è veram ente il p articip are a’ beni di questi recinti di ecclesiastica disciplina, dove non solo v’è rip aro d a’

pericoli che talo ra nelle case secolari s’in co n tran o , m a dove anzi siete come legato a far b e n e , sì d a ll’indirizzo di savi re g o la m e n ti, sì dall’accurata istituzione con che, a norm a del T ridentino, venite scorto ad ogni dover dello stato, ed a questo quasi sospinto da tanti m ezzi corroborati dalla vigilanza d e’superiori, e dall’esim ia p ietà de’medesim i, che con ottim o discernim ento sem pre si pongono eletti tra m ille d a p o ter essere i n om nibus exem plum bonorum operum , secondo l’Apostolo, e g iusta il voler di Pie­

tro, form a fa cti gregis e x anim o.

Grazia tale codesta, che, trafficandola come può e deve q u alu n q u e le v ita , non puossi a m eno di rip o r­

tarn e abbondantissim o frutto. V erità che dall’espe­

rien za in tanti vien dim ostrata , i q u a li, se non sono tu tt i , hassi d a rip u ta re ad accidia e m ala volontà di alcuni che infra un g ran num ero ognor ritrovansi, i quali non volendo u sa r degli aiuti, che quivi sono, non è m eraviglia se non ne hanno la salu tare influenza ; non già da ascriversi sem pre, com e talora , a difetto de’ se m in a rii, vedendo riuscirne uno scapestrato , quasi che m anchi ognora in essi la debita disciplina e possan q uindi fom entare il disordine (cosa che af­

ferm ar non potrebbesi senza ingiuria al T ridentino , di cui lo spirito dee presiedere a siffatti stabilim enti, e senza oltraggio a qu esta trep id a, e tra le c u re de'

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vescovi, m eritam ente la prim a). P e r Io più non è la disciplina che m a n c h i, m a sì p u r troppo vi sono di quelli che alla disciplina ivi p rescritta o apertam ente rifiutansi, o celatam ente la sdegnano, adem piendola così in apparenza qual m ezzo necessario al fine in­

tento, m a in realtà senza spirito e senza am ore, onde ne partono senza sapere che sia vita m ortificata, vita interiore ; in som m a, privi del precipuo scopo disci­

plinare, l’istituzione della m ente e del cuore.

O r dì, che uno m anchi dal lato suo, nè si dia pena, q uanto è in sè, per far fruttare in ispirito i mezzi che vengongli som m inistrali ; con tu tta la vigilanza de’

superiori ei rim a rrà , se non peggio, u n sepolcro im ­ biancato.

Non così poteva avvenire a G iu sep p e, il q u a le , entrato appena nel sem inario di C hieri, e’ fu il 2 no ­ vem bre del 1840, subito appalesò quanto fosse verace e sincero il suo proposito di nu lla tram ettere che gli potesse far re n d ere abbondevolm ente le due grazie te s tè ric e v u te , quella cioè dell’abito sacro o r dianzi v e s tito , e questa singolarm ente del luogo di analoga istituzione, che adesso aprivagli P revidenza.

« Fin dal suo e n tra re in sem inario » (così u n testi­

monio oculare qual fu il m olto reverendo Don Gio­

vanni Bosco, stu d en te allora e prefetto nel prelodato sem inario e sacerdote ora in Torino, d irettore di fer­

vente com unità. A questi siam debitori d ’una prolissa notificazione sopra la vita tenuta dal Burzio in sem i­

nario, e questa di lui notificazione, assiem e a tre a l­

tre graziosam ente forniteci, l’una dal retto re degnis­

simo di quel sem inario , l’altra da un tal Giacomelli

(7)

prefetto che fu della cam erata di Giuseppe ed ora sa­

cerd o te al Convitto ecclesiastico di Torino; e la terza d a u n intimo di lui compagno di scuola e di senti­

m enti : som m inistrerà interam ente il fondo al n o ­ stro discorrere circa quella sua dim ora.

R itorniam o alle in terro tte parole : « Fin dal suo

« prim o en trare in sem inario dim ostrò chiaram ente

« l’alta idea della vocazione da lui a b b ra c c ia ta , ed il

« suo fermo proposito di volersi in quella abilitare

« e san tificare , tan to s’appigliava egli con ard o re

« ed accudiva con diligenza ogni m ezzo che ad u n tal

« fine lo potesse con d u rre » .

Ma come questa sua ferm a deliberazione conducesse egli praticam ente ad effetto , sarà pregio' dell’opera il farne c e n n o , p er sin g u lo , ne’ seguenti c ap ito li, a vantaggio per avventura di chi si trovasse p er anche in grado di poterla e volerla im itare.

C A P IT O L O I I I .

Delle cautele d i prudenza usate da Giuseppe nel soggiorno in sem inario.

Chi en tra nuovo in u n sem inario, sem bra che due cose debba attendere p rin cip alm en te , e sono :

La p r im a , d ’e n tra r ben addentro nello spirito, o v ogliam dire nel fine del suo ecclesiastico tirocinio, a poter così conform arvi, q u a n t’è d a sè, ogni pen- sie re ed azione.

La seconda, di sta r sull’avviso contro certi ostacoli

(8)

che, inciam pandovi dentro, l’im pedirebbero dall’ot tenere il fine anzidetto.

Le regole d ’un sem inario ne abbraccian la vita e lo spirito : o r queste non hanno nè possono avere altro fine da quello com unicato loro dalla Chiesa m e­

desim a nel T ridentino, di form are cioè gli alunni a!

doppio rilevantissim o scopo che ne adegua la voca­

zione , vo’ dire alle lettere e alla pietà.

Dall’osservanza di tali r e g o le , come dall’osser­

vanza dell’ordine in ogni corpo sociale , pende tu tto il bene dell’ecclesiastica disciplina; m a non è sem pre che dall’instabile gioventù a ciò si rifletta, tu tto ch é l’im pegno a com piere tale scopo sia creduto sì ne­

cessario negli a sp ira n ti, che ch iunque non volesse rassegnarvisi non v errebbe giam m ai accettato.

Che Giuseppe si fosse pienam ente di tale sp irito riv estito , si h a dal vedere che tu tti i suoi andam enti fino ad apice a quello conform ava.

« Dal m attino alla sera ( così la p recitata notifica­

ti zione ) non si trovava indicazione nell’orario, a cui

« non fosse puntualissim o. Ad ogni articolo del rego-

« lam ento dava la p iù g ran d e im portanza, e tu tto con

« eguale esattezza e fedeltà osservava; ed in ciò pro­

li cedeva libero e sciolto , operando per coscienza ,

« senza, mai esim ersi o rallen tare p er qualche um ano

« rig u ard o ». Fin qui la notificazione.

Ma per quanto siano grandi e reali i vantaggi d e’

sem inari, non è però, in secondo luogo, che vadano esenti da certi scogli che l’um ana debolezza suole su scitare nelle istituzioni anche più preclare e più sante.

(9)

Felicissim o perciò quel levita, che, avendo occhi di colom ba per riconoscere i beni sommi racchiusi nel suo tirocinio, solam ente che sappia giovarsene;

non m anca poi dell’avvedutezza del serpe a p rem u ­ nirsi d a’ scogli nascosti a fior d ’a c q u a , che nel porto m edesim o potrebbero delle volte presentare il n a u ­ fragio e la m orte.

Il prim o scoglio da g u ard arsi è quello d ’im battersi in qualche reo compagno p erv ertito re che d ’iniquità si faccia m ezzano. Egli è caso in buona fortuna ra ro , non però ipotetico, che e n trato uno, angioletto per l’illibatezza del cuore, sia tornato quindi un dem o­

nio p er l’influenza malefica d ’un seduttore collega, che, a dispetto della più gran vigilanza de’superiori, gli fe’bere il veleno o per un mal discorso ovver per u n libro empio conservato fra le tenebre, ed alle più severe indagini trafugato.

Ma il nostro novello chierico che in m ente aveva fresco il m onitorio ribaditogli le tante volte d a ’ reli­

giosissim i suoi precettori nel secolo, e da lui in ogni tem po osservato, di som m am ente g u ard arsi d a’mali com pagni ; quivi m edesim o fu circospetto nel tra tta r co’suoi pari, schivandosi se non dagli apertam ente s c o r r e tti, di che non v’era o c casio n e , al certo da quelli che nel far loro non dim ostrassero ecclesia­

stico spirito.

Che se con bel garbo sapea cessarsi dal far lega co’non esem plari, era poi accortissim o nel far scelta di qualche so z io , di cui le doti gliel presentassero u n vero amico secondo Dio ; il qual procedere non è già fom entare certa particolare amicizia, che, perchè

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fondata solo in n atu ra, condannasi in chi vive colle­

g ialm en te; m a sì procacciar l’am icizia stessa di Dio, che per sì fatto vincolo di cristiana carità perfezio­

nasi , e cui niuno riprova, dicendo Io Spirito Santo : Q u i tim et D eum , æque habebit am icilia m b o n a m (1).

C um v iro sancto assiduus esto (2). Am ico fid eli nu lla est comparatio (3).

Tanto appunto viene assicurato di lui nella n o ­ tificazione or or m entovata. Eccone le parole : « Con

« bella m aniera o piuttosto con p ru d e n te avvedutezza

« s i scansava d a q u e’chierici, i quali ne’ loro an d a­

ti nienti m ostrassero poco spirito ecclesiastico e ,

« sceltisi due o tr e colleghi del m edesim o corso e

« del m edesim o genio, con q uesti procurava di tra t-

« tenersi e di anim arsi a vicenda nello stalo in tra -

« preso ».

V ’è altro scoglio nella convivenza de’ chierici in sem inario, contro cui frangesi talo ra una v irtù anche ro b u sta ; q u e st’è un duplicato rispetto um ano : l’uno in ordine a’c om pagni, l’altro in ordine a’superiori.

Quello porta sovente ad ogni genere di rila ss a te z z a , e questo assai volte, ad u n ’abbominevole ipocrisia ; e sì il prim o che il secondo tien degli ordigni c e la ti, diffìcilissimi d a strigarsene.

D ichiarisi u n levita per u n ’ aperta profession di b o n tà , m entre dim ora nel sem inario, e tosto contro gli si scaglierà la b atteria degli um ani rig u ard i, che

(1) E ccli. V I . 17.

(2) I b. X X X V II. 15.

(3) I b. VI. 15.

(11)

a guisa di saette acutissim e, cercheran penetrargli nel cuore e stornarlo, quando con bu rle q uando con m ot­

teggi ed ora con dicerie (talvolta ancor c alu n n io se ), non risparm iando rincrescevoli ap p e llaz io n i, v e rb i- grazia d ’im postore, di spia, ed altri nom acci. Lo che, se è proprio solo degli im p u d e n ti, convien d ire, che tan to e tan to vi partecipano in proporzione non p o c h i, che m ostrando del rim anente appariscenza di v irtù , perch è scevri d a sconcerti n o ta b ili, non ne hanno poi la sodezza per confessar nella pratica la san tità della sublim e loro destinazione; anzi quasi a r­

rossendone, sotto varii p retesti, alm eno esternam ente la deridono in q u e ’ che hanno il coraggio di portare scoverto in fronte il m archio della reverenda lor vo­

c a z io n e , e delie cento arriva il più delle volte, che arietata la volontà dagli im peti replicati di queste m acchine infernali, se non cade affatto giacente, alla rnen tris te diviene assai languida ed infiacchita nel bene intrapreso.

Da qu esta m iseria ne c onseguita u n ’a ltra, che m en­

tre non si ha forse nè punto n è fiore di perfezione propria dello stato , si studia di farla p u r travedere agli occhi d e’superiori. In questa, u n a m orale di nuovo c o n io , e al lu tto co m odissim i si adotta, in cui sta scritto , che l’ infrangere questo e quell’articolo del re g o la m e n to , l’om ettere or l’ uno or l’altro dovere (supponi della preghiera ovver dello studio), c h e il form ar crocchi e com briccole per eludere su qualche punto la volontà o la vista di chi regge ; che il ru b a c ­ chiare ogni com estibile a cui possa con qualche frode pervenire la m ano, sono cose tu tte d a non ingerirsene

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scrupolo, rim ettendosi ad u n canone firmato forse da S a ta n a ; essere tu tti questi argom enti (purché la si possa far franca), cose lecite ad un sem inarista, s e non anche oggetto di gloria. Del resto, basta salvar le ap­

paren ze, e ad ogni legger passo che si apprenda vicino il superiore, subitam ente si affetterà u n esterno sacri­

ficato dall’adem pim ento incessante delle obbligazioni raccom andate.

Oh i delusi! che così usan d o , p iù che non i su p e ­ rio ri, ingannano se m edesim i con quella m aschera di ben posticcio, che di reale altro non h a che il m arcio in te rio re d ’una so rd id a ipocrisia.

Giuseppe rim ase trionfante di tali ostacoli ; p e r ciò, ch ’egli d a gran tem po g ettato avea nella v irtù sode r a d ic i, ed operava al cospetto di D io , a cui solo m iravano non che le azioni, i pensieri. Nè da qu alu n q u e um ano rig u ard o lasciavasi im pigliare od illanguidire n e’suoi doveri.

Che se a lui non m ancarono certe m olestie sensi­

bilissim e per p arte d e’co n d iscep o li, siccom e note­

rem o a suo luogo, ei lasciavasi d ire, nè p e rc iò torse mai piuttosto a sinistra che a d e stra.

Del che se ne h a form ale attestazione , d ice n d o si, come già sopra, che « Giuseppe operava p e r coscienza

« senza m ai esim ersi o rallen tare per qualche um ano

« rig u ard o ».

E poco appresso, d e sc ritta p er m inuto la condotta irreprensibile di lui, vien d e tto , che « fossero poi o

« non fossero presenti i superiori, il pio procedere

« di lui e ra invariabilm ente lo stesso, poiché ben si

« p u ò d ire che am bulabat c o ra m D eo».

(13)

Un terzo s c o g lio , da cui si g u a r d ò , quello fu della leggerezza e della tro p p a fam igliarità e diffu­

sione cogli stessi am ici, qual sarebbe, exem pli g ra­

zia lo schernirsi a vicenda, l’u rta rs i, il corrersi dietro folleggiando, o altro tale atto d ’inconvenevole dim e­

stichezza che ren d e l’ uomo insipido come liquore che hai lasciato incautam ente senza c o p e rc h io , ed h a p erd u to ogni m iglior suo brio.

Levato via il ritegno della m u tu a stim a, la quale deb b ’-essere sem pre indivisibil com pagna del vero am ore, rim ane il cuore svadato e disciolto n e’suoi af­

fetti, svanisce ogni bu o n sentore di v i r t ù , e dentrovi in cam bio si annidano le specie della sc io p eratezza, del fatuo, del ridicolo, e di q ueste si sp a rg o n o , la­

sciam o stare i ric re a m e n ti, m a gli stessi sacri doveri che esigono la m aggior gravità e la p iù santa a p p ren ­ sione ; senza parlare d ’altri sconcerti che ingenera un tal procedere, quali sarebbero dileggi, m orm orazioni, c talora anche m aggiori pericoli.

Una giusta via di m ezzo fu quella che tenne Giu­

seppe : col suo discreto e dolce contegno ricreava ch iu n q u e usasse con lui; all’occasione però possedeva u n a som m a destrezza per so ttrarsi, sem prechè s’ec­

citassero delle m elensaggini e scipitezze.

Ma del quanto e del come ei si guardasse d a questo anche troppo generalissim o scoglio, v errà l’acconcio ancor di p arlarne, toccando della su a m odestia.

Tali furono, siccom e sem pre nel seguito, le p ru d en ­ ziali cautele che adoperò fin dal prim o e sordire la sua carriera nel sem inario, ed in qu este com e in altre con- ferm ossi via più in q u e’pochi giorni di spirituali eser-

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cizii, che ad ogni anno scolastico si soglion prem et­

tere , in cui si aggiungono in proposito stimoli ed av­

visi i più efficaci e strin g en ti, sia per rim overe i cherici d a quegli ostacoli che il corso di lor cu ltu ra contraste­

reb b ero , sia ad affezionarli a que’m ezzi che avrannosi in m ano, capaci di ottenergli perfettam ente lo scopo del loro a ssem b ram en to , em inenza in pietà ed in let­

tere.

Il buon g io v an e, u so a seg u ir g l’ im pulsi che lo scorgessero a v irtù , gran profitto ritrasse da quel sa­

cro trid u o , rafforzando l’idea già concepita della san­

tità di su a vocazione, e l’im pegno di provedervi con porne sode le fondam enta.

C A P IT O L O IV .

Degli stu d ii d i Giuseppe nel sem inario.

In qual modo attendesse a ’m edesim i.

Uno d e’p iù sacri doveri nella carriera ecclesiastica, non v’ha d u b b io , esser quello di attendere intensa­

m ente allo stu d io , solo ed unico mezzo a procacciare quel corredo di debita scienza, che m ancando, sarebbe vana lusinga il p o ter com piere la vocazione nel suo scopo, di non p u re glorificare Iddio con l’edificazione di se m edesim o, m a e con quella d e’ prossim i.

Egli è mio p recetto, intim ò Dio nel Levitico, e pre­

cetto questo, antico e nuovo, e senza eccezione d u ra­

tu ro , che tu tti i figli di Levi facciano d ’aver la scienza voluta a dovere un dì giudicar rettam ente tra ’l profano

(15)

ed il santo : Præceptum sem piternum est in genera-, tiones vestras . . . . u t habeatis scientiam discernendi in te r san ctu m et p ro fa n u m , doceatisque filios Israel o m nia leg itim a m ea (1).

Guai però nella nuova legge a quel levita, che di tal dovere troppo più im portante, che nell’antica, un o g ­ getto se ne fa di non curanza o di n o ia , e così ab itu al­

m ente il trascu ra ; che per ciò solo andrà p a rare assai m a le , siccome quegli che il m archio si m eritò della solenne riprovazione fulm inata da Dio contro sim ile negligenza : Q uia scientiam repulisti, repellam te, ne sacerdotio fu n g a ris m ih i (2).

Giuseppe apprendeva il dover dello stu d io , quale un’obbligazione strettissim a del suo s t a to , e tu tte di fatto le attestazioni ci m anifestano, com’egli ingegna- vasi d ’adem pirla con m assim a sollecitudine.

Quanto alla sostanza de’ studii a farsi, ed egli cer­

cavaia, applicandosi a ciò, che Dio di presente da lui volea , e quindi unicam ente n e’ libri postigli in m ano d a’ p ro fesso ri, a’ quali cordialm ente atteneasi. Nel che sfuggiva il mal vezzo, con che talora p arecchi, i q uali, più vaghi di o stentare fronde lu ssu reg g ian ti, che non di raccòr fru tti m atu ri, dato u n bieco e lan ­ guido sguardo al proprio trattato , ch ’esser dovreb­

be il libro principalissim o ; non san tenersi dallo svolazzare p e r q uesto e p e r quell’altro ram o geniale di le tte r a tu r a , forse nem m eno ecclesiastica, se non anche pregiudiziosa. Miseri ! che p e r siffatta guisa

( 1 ) L evitic. X. 10. 11.

( 2) Os. IV. 6.

(16)

divenuti quali q u e’ stom achi sem p re s d e g n o s i, né mai capaci di cibo sodo, per ciò che dalia m oltitudine e diversità degli intingoli son gravem ente sp o ssa ti, ad ogni vena di um ano sapere a ppressan le labbra p re s u n tu o s e , ed avutone un leggerissim o sorso, la faran d a saccentuzzi in un crocchio di giovani in e­

sperti ; m a così versati in m ille s tu d ii, senza il pos­

sesso di uno , re stera n le più volte digiuni intorno a quello che form ar dovea il pascolo principalissim o e cotidiano.

Non è m ai, che alcuna scienza s ’acquisti, sfiorando ad un tem po, e delibando più l ib r i , nè so, chi p er qu esta via vi p erv erreb b e, chè già P luribus in ten - tu s, m in o r est ad sin g u la sensus.

Meglio fia l’adagiarsi nella gran sentenza dell’an ­ gelico d o tto re, che, ricercato u n dì del come fare p e r divenir m olto d o tto , ed egli : Leggendo u n sol libro (1).

Nè solo gli studii di Giuseppe erano nella so ­ sta n za quelli, che Dio volea da un pari suo, m a ciò che più f a , venivano d a lui coltivati nel m odo a p ­ p unto, che Iddio da lui ricercava, vo’ d ir con im pegno, con costanza, e con ispirituale profitto.

L’im pegno del n ostro chierico allo studio non po­

teva non vedersi in quel suo c u stodire con u n a specie d ’avarizia tutti que’ tem pi, che ad applicazione sco­

lastica son c o n sa c ra ti, come altresì in certo suo zelo per tu tti quegli esercizii scien tifici, che con gran vantaggio degli a lu n n i, abbondano ne’ sem inari.

( 1 ) Frigerio, in vita, lib. I, cap. XI, n° 6.

(17)

Siccom e ancora, in quel suo voler utilizzare su ’tem pi s te s s i, che ad onesto ricream ento sono concessi, ne’

quali, se già non era entrato in m aterie sp irituali, im ­ m ancabilm ente studiavasi di elaborare a vicenda, con qualche sozio, l’in g e g n o , svolgendo alcun p u n to di scuola.

Anzi, era ito tan t’oltre questo suo desiderio di com­

piere, il meglio che in sè fosse, uno scopo tan to p re­

cipuo del sem inario, quello d ’avvantaggiar nelle let­

tere , che tolse a frodare dagli occhi il necessa ro r i­

poso per consacrarlo alle veglie sopra i T rattati ; nel che, a dir v e ro , fu p iù incauto che consigliato ; n è è già, che q u e st’ultim o suo trovato si rechi in mezzo ad esem pio, che a n z i, siccome una m e n d a , lo con­

d a n n ia m o , perciocché dannoso, non che alla salute, all’esito felice ed abbondante dello studio m edesim o.

In rig u ard o di cui deesi preferire u n ’applicazione d i­

ligente sì, ed intensa, m a ad u n tem po da certi limiti c irc o s c ritta , conform e prudenza. P e r tal m odo gli spiriti vitali non si vengono violentando, e lo stu d en te trovasi più atto d ’assai alla percezion delle cose , e m eglio a p o rtata di ben afferrarle e riten erle senza tem a d ’indigestione (la quale ha p u r luogo ne’ pascoli letterari), e per g iu n ta, senza dispendio della sanità, come dovette costare a Giuseppe questa su a im m o­

derazione, dal ritrovarsi il suo tìsico già assottigliato di troppo dalia seria applicazione del giorno.

L’eccesso d ’applicazione , tu tto ch é ne’ giovani si trovi rarissim o ( m ancando anzi i più per difetto) ad ogni m odo è d a g u a rd arsen e in tem po, da che, secon­

dato l’e c c e s so , trap assa alle volte in passione, diffi-

(18)

cilissim a da sb a rb ic a re , p er certa speciosità di ch e v e ste s i, nè più riconosce alcun freno, finché giaccia vittim a di se s te s s a , qual si vede in ingegni a rre s ta ti a m ezza carriera , intiSichiti ed inetti ad ulteriori in­

com benti del m inistero.

Giuseppe aggiugnea ne’ tem pi di studio uno sp e­

ciale raccoglim ento di tutti i s e n s i, e per tal via ve­

niva egli potentem ente aiutato ne’suoi progressi ; es­

sendo un g ran vero, che u n anim o facile a spandersi fuori in leggerezze ed inezie, mai non p o trà nelle scolastiche specolazioni a d d en trarsi.

Così rico n cen trato in se stesso , dava un assoluto addio ad ogni altro pensiero, fino alla bram a di tr a t­

tenersi con Dio n ell’orazione, cui più non perm etteasi ch e a q uando a quando, a foggia di fugace scintilla, pel mezzo di aspirazioncelle e giaculatorie brevis­

sim e.

Non solam ente però , erano gli studii di lui a n i­

m ati d ’im pegno, col non perd o n arla a mezzo veruno di fatica, d ’in d u stria, di consiglio, m a erano per se­

condo c o n tin u a ti, che è q uanto dire sostenuti dalla costanza.

Giacché non era in lui quella m ania degli infin­

gardi, di rim an d ar alla prossim ità degli esam i, l’a t­

tu arsi di proposito n e’ gravi studii, d a’quali poi, per la im m aturità loro, non traggono che paglia inutile, capace forse ad illudere col suo v o lu m e , non già ad arricchire, perchè vuota nelle spighe di solide grana.

Il suo stu d iare non era a s a l ti , m a continuato, e sebbene al principio dell’anno si corrucciasse al­

q u an to dal vedersi non affatto veloce, quanto avrebbe

(19)

desiderato, nel percorrer Io stadio d e’ filosofici stu - d i i , non però si sm arriva, m a sì im plorava con più d ’ardore l’aiuto dall’A lto , d ’o n d e , più ch e dagli um ani sforzi, ne può derivare il dono della sapienza ed intelligenza.

Il perchè, da q uesta sua c ostanza, in modo speciale b enedetta da Dio, giunse a seg n are sul finir dell’anno singolari progressi. Lo che tutto ritroviam o a verbo indicato nella notificazione già m en z io n ata , là dove , seguitando, così si esprim e :

« Sollecito q u a n t’ altri mai n e’ doveri di studio , n g ran d em en te li am ava, e faceva ogni suo possibile

« p er profittarvi ; im piegava tu tto gelosam ente il

« tem po dedicato a’m edesim i, non vagando mai sopra

« a ltr i l ib r i, che non fossero quelli di scuola : volon-

« tieri partecipava a ’ c irc o li, ossia esercizii scienti-

« fici della sua classe, e li anim ava del suo concorso ;

« dove nelle disp u te, se era com m endevole p er l'a ­

« m ore ed ansia che m anifestava della verità, lo era

« anche più per q uella d iscreta e rispettosa m o d era ­

« zione che osservava nel sostenerla.

« Nelle ricreazioni am ava p u re di avere con chi il-

« lum inarsi ed esercitarsi in m aterie scolastiche. Qua-

« lora poi q u alcheduno p roposta avesse m ateria indif-

« ferente, egli si contentava di u d ire gli altri a d isco r-

« re re ; che se la m ateria concerneva cose di studio o

« di pietà, tosto si vedeva allegro e p ren d ern e p arte.

« Nello studio com une non si v edea mai neghittoso

« (giacché l’ozio gli era affatto sconosciuto). Quivi po-

« stosi in u n raccolto atteggiam ento, e fissata la m ente

« ad una applicazione la p iù intensa, attendeva solo a

(20)

« se stesso, di m odo c h e , avvenendo chi d istu rb asse

« con chiacchiere o altre leggerezze, egli pareva che

« nem m eno se ne avvedesse, alzando n e p p u re gli oc-

« chi a veder ciò che si fosse ; la su a avversione poi al

« diffondersi fuori in cose inutili, l’abito di stare in ra c-

« coglim ento e l’osservanza del silenzio ne’ tem pi de-

« biti, credo che non poco giovassero a fa cilita rg li,

« come si vede, i notabili suoi p rogressi ». F in qui la relazione.

F inalm ente furono da lui coltivati gli s tu d ii, non solo senza danno allo spirito interiore, m a con positivo profitto; e ciò egli ottenne, dando sopra gli studii la precedenza a qu ell’altro scopo che è tanto precipuo d ’un sem inario; l’informarsi ad una specchiata pietà.

E q u e s to , come fosse da Giuseppe lodevolm ente adem pito, si vedrà n e ’seguenti capitoli.

C A P IT O L O V.

Allo studio debbe aversi la pietà collegata.

Così Giuseppe.

P e r quanto deciso sia in un Levita l’impegno alle scienze, scom pagnato dalla p ietà non gli b a s ta , e corre anzi pericolo di averne una scienza che gon­

fia, come parla l’A postolo, capace di levare in alto, con solo il mal p ro , di sporre a caduta più ro ­ vinosa.

Siccom e del p a r i , la pietà sola in un c h ie ric o , dalla scienza, per lo m en sufficiente, d isgiunta, non

(21)

è bastevole che a farne un sem plice erem ita ; e al tu tto inutile tornerebbe p e r lui l’ecclesiastico m i­

n istero ; quindi è, che solam ente l’accordo di que­

sti due pregi può in trecciar al Levita u n a perfetta corona. Vero è p e rò , che a’ m olto studiosi avvien d ’ordinario, che la sottigliezza delle speculazioni di scuola ru b a fuorm isura l’applicazione dell’intelletto, p e r cui la volontà m eno si sente inchinare agli eser­

cizi pietosi, e pian piano viene om m ettendo, o tra s­

curando i m ezzi della divozione, con grave danno allo spirito.

U na tale facilità che hanno i coltivatori delle let­

tere , d ’ essere soverchio tratti al desco delle m e­

desim e, in pregiudizio della perfezione, portò l’A n- gelico ad asserire, la divozione alb erg ar per lo più ne’ petti sem plici e id io ti, e che di raro n e ’ dediti alle scientifiche disquisizioni. A ggiunse p e r altro, esser p u r p u re in m ano degli am atori della vera sa­

pienza, il p o ter essere ad un tem po divoti, e in alto g rado d iv o ti, quando alla scienza avessero un ita grande u m iltà, e ad esempio delle anim e sem plici, stu d iato si fossero di tener alla divozione aperta la vena, colla stim a e fedeltà alle p ratich e religiose (1).

Non è quindi poca lode pel nostro G iuseppe l’a­

v er, con g ran d e arm onia, riu n ite in sè due doti, cui l’um ana fralezza difficilmente com porta che vadano perfettam ente accoppiate, im pegno grande agli stu ­ dii, e prem u ra ancor più sollecita della pietà.

Ad eccitare q u est’ ultim a , era a lui di m estieri

(1) V. Fri gerio, Vita di S. Tomm.

(22)

la p ratica non in te rro tta d e’ m ezzi a p ie tà , a cosi risvegliare, e ten er ognor viva e desta la fiamma d ’un santo fervore ; ad una tal p ra tica egli generosa­

m ente si a tte n n e , e questa noi vedrem o sotto un triplice aspetto ; il prim o nel governo di se m ede­

sim o , il secondo nel tratto col prossim o, ed il terzo nell’unione con Dio.

C A P IT O L O V I.

Della p ietà d i Giuseppe nel governo d i se medesimo.

Un chierico, che si fa exprofesso seguace di Gesù Cristo., dee troppo p i ù , che non il sem plice c ri­

stiano, adem pire la condizione di tal sequela col­

l’annegam ento di se m edesim o, conform e all’invito del Salvatore : Q ui v u lt venire post me, abneget se- m etip su m . Sarebbe quindi u n intollerabile vitupero a chi, gloriandosi d ’aver assunto uno stato che in­

duce il predicar u n Dio crocifisso, avesse la cristiana m ortificazione, quale u n a voce b arb ara od ignota, sì che, ad un’occasione di tollerarsi in pace alcun chè afflittivo d e’sensi, e subito brontolando si dim enasse,

e solo, come tiratovi a forza, si suggettasse.

E p p u r, tanto avyiene a colui, che nella sua eccle­

siastica istituzione non cominciò a signoreggiare se- s te sso , contrariando sue vo g lie, e rip o rtan d o vit­

torie so p ra l’am or disordinato di sè, perciocché e’

sarà u n a rb u sto , cui a suo tem po non si raddrizzò a dovere, perciò, così cresciuto, divenne affatto r e ­

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stìo ed indocile, che u n m iracolo rip u terebb esi il fargli m u tar direzione.

In opposito, g ra n tesoro procaccia chi d a’ prim i anni va aggiogando le sue p a ssio n i, ed avrà l’uso fatto di m aneggiar l’arm e p otenti di Dio contro le im boscate che non lasciano di tram arg li, m ondo, carn e, dem onio!

Il solo regolam ento di un sem inario, quando venga da un chierico, sì come da G iuseppe, perfettam ente adem pito in tu tte e singole sue p arti, è di tal n atu ra, da form are, più che non pare, m ateria sufficientis­

sim a di esterna non m eno che interiore m ortifica­

zione.

L ’avere ogni ora del dì ad u n ’occupazione, che forse non si vorrebbe, legata ; b alzar per tem pissim o dal proprio letto nel v ern o ; fra giorno, m editazioni ed altri esercizi non pochi, a pietà consacrati ; pro­

lissità di ore decretate allo stu d io . A ggiugni la sm a­

nia giovanile di lib ertà, am m orzata dalla suggezione continua, senz’accennare alla m oderazione del vitto;

e quanto agli stessi necessari sollievi, la lim itazione di tem po, di qualità e di m odo, ed altri parecchi punti d isc ip lin a ri, che g iu sta lo stretto debito di cui incum be, vengono incessantem ente zelati: sono cose tu tte , le qu ali, sebbene talora giacciano sc ritte senza badarvisi più che ta n to , nel caso però di loro perfetta o ss erv a n za , esigono g ran d e annegam ento di se m edesim o, e m anifestano nel suggetto u n ani­

mo trionfator di se stesso, che la n orm a del suo ope­

rare non d a’sensi ha tolta, m a sì dalla re tta ragione, n ò che è un dirlo m ortificato.

(24)

In questo p artico lar genere di m ortificazione nel com andar a se stesso, rom pendo in ogni occasione le voglie della n a tu ra , si rese so p ra m odo distinto il nostro Giuseppe, m entre tale e sì fatta era la p re­

m u ra, la p u n tu alità, la costanza, unitam ente a eerta am enità e grazia, con che ogni a r ticoletto del re ­ golam ento ed ogni particella de’ suoi doveri adem ­ p iv a, che non solo (qual s ’esprim e il retto re di quel venerando sem inario) giam m ai non porse argom ento m inim o a ’superiori di dispiacenza; che anzi, di que­

sti , con quella su a esattezza e soavità di m aniere, avea provocato una speciale attenzione e benevo­

lenza, per m odo, che ne gioivano d en tro , preconiz­

zandolo giovane delle più liete speranze, d a dover riu scire col tem po un m inistro ottim o del santuario.

« E d in questa (segue a d ire il m entovato retto re) che coll’ irreprensibil condotta e coll’ esattezza a ’ doveri scientifici di cui (sono sue parole) diede ono­

rifico saggio alla m età e sul finire dell’anno, gua- dagnavasi l’affetto de’superiori, sapea, senza com ­ p rom ettersi con q u e s ti, farsi am are, e stim ar d a’

com pagni, i quali nel loro gran num ero giam m ai non poterono rilevargli anche u n a leggerissim a tras­

gressione ».

Il com plesso ad u n q u e di quelle azioni che in un sem inario vengono precettate, e ssen d o , come a c ­ cennam m o, un freno continuo alla n a tu ra ; sì par c h ia r o , che facendole egli tu tte e singole con lo spirito loro p r o p r io , e con alacrità e re tta in te n ­ zione, ciò esser non potea fuorché l’effetto di m olta v irtù , e d ’un singolare dom inio acquistato sopra di

(25)

sè , m ediante la p ratica d ell’ interiore m ortifica­

zione.

Com parve ancora quanto nel suo operare e’ fosse alieno dal secondar le tenerezze della n a tu ra , nello abbracciar con ispirito generoso, e con volontà di­

c h iarata, la p en a che sentesi in dover to llerar certe cose incom ode ed a ’sensi contrarie. E ra p e’collegh i un punto notato di edificazione ugualm ente e di m arav ig lia, vederlo sem pre uguale a se stesso , al­

legro e s e re n o , senza una parola mai di lam ento o corruccio, sia intorno all’esigenza de’ s u p e r io r i, ovvero alla lunghezza degli stu d ii, o alla m oltipli- cità degli atti p ie to s i; siccom e n è mai del poco solazzo, oppure delle vivande, quasi fossero scarse o non bene am m annite. Difetti, quanto facili a com ­ m ettersi da chi vive collegialm ente, altrettan to per- niziosi, siccome quelli che pongono il germ e ad abi­

tudini non p eritu re, di dare ascolto alle rivolte dei sensi, e così a m ar l’ozio, gli agi, fuggir la fatica e m en ar treni di lam entazioni ad ogni presentarsi di qualche penalità o disagio.

All’interiore governo delle passioni aggiunse l’e­

sterio re di tu tti i suoi sensi.

Di tu tto , che al necessario loro sollevam ento, nei sem inarii è concesso, servivasi con m olta m odera­

zione, e per quanto d a lui d ip e n d e v a , senza infran­

gere le comuni obbligazioni, cercava sem pre d ’ im ­ m olarne una parte in sacrifizio a Dio.

Quindi f u , che raro facea p arte in q u e’ diverti­

m enti, che dopo m angiare vengono a’chier ici accor­

dati , preferendo più presto una m odesta conversa-

(26)

.

zione, in cui m eschiando l’utile col dolce, le forze non meno che l’anim o veniva ricreando.

Qualora poi p er convenevolezza o condiscendenza, in che m olto ab b o n d av a, a qualche giuoco si as­

sociasse , sfuggiva i c la m o ri, gli sc h iam azz i, le g are, e per q u an to fosse vivace, sapea a suo luogo cedere bellam ente la propria ragione, p er non le­

d ere il troppo m aggior ben della pace, e non isce- m are giam m ai il lu stro d ’u n a v irtù som m am ente da lui apprezzata, e che d e’solazzi esser dee sem pre inseparabil com pagna, l’eutrapelia.

Ma quanto avesse egli dal ricream ento d e’ sensi l’anim o d istaccato , e p e r istudio di m ortificazione positivam ente anzi li re p rim e s s e , si scòrse a llo ra , q u ando, partitosi p e r alla volta di Chieri, e conse­

gnatogli dallo zio u n valsente proporzionato, perchè alla prim a e m iglior pensione del sem inario si allo­

gasse ; egli, appena veduto che tenevasi una seconda, più m odica e ris tre tta , a servigio de’ chierici neces­

sitosi; di m oto proprio, senz’ altro im pulso che la g ra titu d in e allo zio, e più, la bram a di form arsi una occasione cotidiana a m ortificare la gola ; a q u e st’ul- tim a s ’accomodò fino allo sp irare dell’anno.

Intorno al quale operato , racco n ta lo zio, come non senza sua commozione e dolce so rp re s a , rive­

nuto poi il nipotino G iuseppe, n e’ tem pi a u tu n n a li, a villeggiare seco lui alcun tem po, m entre gli altri gio­

vani, reduci d a’sem inari o collegi, portano per lo più

«'parenti note e memoriali per debiti qui e colà con­

tra tti, e non sem pre d a vera necessità giustificati, ed

<'g!i una som m a cospicua p resen tavagli fedelmente

(27)

di franchi ben circa ottan ta, prezzo della volontaria rin u n zia a quelle com odità, di cui tutto l’anno avea appo di sè il mezzo a poterne fruire.

Alla m ortificazione della gola quella accoppiò della lingua. Quindi nella notificazione, che a b ­ biam o d e tto , si vede anche per ciò com m endato, perchè il silenzio, in tu tti i debiti tem pi p re scritto , accuratam ente osservava. E qu an d o era tem po da poter p arlare, sapea contenersi con quei m odi che o r o ra vedrem o della sua m odestia. Ed è p u re un g ra n vero anche q u e s to , m a disconosciuto p er lo più dalla giovinezza, che a ben p arlare, o vogliam d ire, a frenarsi nella volubilità della lingua è neces­

sario prim a l’aver im parato a tacere.

Indizio ancora non fallevole di m ortificazione d e ’ se n s i, egli è il governo degli o c c h i, m assim e se lo si abbia in abito derivato.

Quanto l’ instabilità e leggerezza degli occhi m a­

nifesta fondatam ente nel chierico uno spirito m on­

d an o , diffuso, svagato, e talora anche peggio; tanto la com posizion d e’ m edesim i im prim e l’ idea d ’un chierico, pieno di spirito interiore, raccolto, virtuoso.

Segnalatissim o ei si rese p e r q u esta p a rte ; di fatti, venendoci d escritta la sua m odestia, s ’incontrano a questo proposito le seguenti parole ; « Notevole so-

« p ra m odo era la su a m odestia degli occhi in q u a -

« lu n q u e circostanza ; m assim e uscendo fuori del

« sem inario per la passeggiata o altro: m a in chiesa

« poi, o nelle processioni l’avresti detto un angelo,

« per quel suo sem plice e divoto contegno degli

« occhi ».

(28)

Mortificazione questa degli occhi, che non estraggo dalla cute il san g u e, m a a Dio piacesse, che venisse anche sola da tu tti i Leviti con fedeltà praticata ; che chiuse per tal m odo le po rte a’fieri ladri di ce r ti oggetti esteriori, non mai avrebbero a lag rim ar col P ro feta d ’essere stati, per la lib e rtà degli occhi, nel­

l’anim a d ep red ati !

C A P IT O L O V II.

Segue della p ietà d i Giuseppe nel governo d i se m e­

desimo ; s i dice in ispecie della sua chiericale m odestia.

La v irtù della m odestia che, conform e la defini- zion dell’Angelico, h a per ufficio di governar le m em ­ bra e le azioni esteriori dell’u o m o , avendo tr a le altre v irtù spiccato singolarm ente in G iu sep p e, ci co rre dovere di accennare d istintam ente alle gem ­ m e, che risp len d ettero in qu e sta sua corona.

E d in prim a, per ciò che è degli a b iti, e ra egli assai positivo ; c h e , anche q u e s to , al dire dello Spirito S a n to , è u n presagio delle qualità buone o ree dell’uomo. A m ictu s corporis et ingressus h o m i- nis, e n u n tia n t de il lo (1). G uardavasi ad un tem po dal rivestir abiti laceri o sconci, siccom e d a quelli, che per poco tenessero del p ro fa n o , o nel colore, opp u r nella form a.

(1) Eccli. XIX. 27.

(29)

Il gesto avea assai poco, m a regolato sem pre da c erta tinta di m atu rità e n aturalezza. Le m ani e le braccia non lasciava dondolar spenzoloni, indizio di fatua spensieratezza; nem m eno dim enavasi della per­

sona o contorceva le spalle.

E questa com posizione di tu tto s è , non solo in chiesa o in tem pi di funzioni, m a nello studio osser­

vava, e fin nella propria cam era (quand’era a casa).

A bborriva poi som m am ente, nel g e sto , ogni m i­

nim a lib e rtà ; di qui è , che conteneasi dal m e tte r, com e talo ra si pratica per istolido a ffe tto , le mani so p ra la persona d e’ com pagni ; nel che se altri d i­

fettava in rig u ard o suo, incontanente scherm ivasi con m olta ris o lu te z z a , di che abbiam o attestazione for­

m ale in q u e ste parole :

« E ra nel tratto cortese ed am orevole con t u t t i ,

« m a succedendo che qualcheduno, per quelle sue

« graziose fattezze, volesse fargli de’vezzi sopra le

« spalle od il volto, egli tu tto a d o n ta to , la s c ia m i,

« d ic e a , lasciam i s ta r e , e intanto subito spiccavasi

« di colà ».

P e r quel che è del c a m m in a re , u n giusto mezzo te n e a , schifandosi dal p u e rile , dal frettoloso, dal lento. Oltra ciò , non lasciavasi an d ar al p ru rito di correre ogni volta che fra giorno u n ’ occasion si p resen ti di m uovere ; così nè anche a quell’altro sol­

letico della g ioventù, d i volteggiar leggerm ente la te s ta d a questo lato e d a quello.

Nella sostanza p o i, e nel m odo d e’ suoi p a r la r i, egli è forza il dire che resesi perfetto esem plare.

T uttoché di n atu rale gaio ed allegro, non piacevasi

(30)

di quelle pu erilità e di certe facezie,'che non s’ad d i­

cono ad un chierico. Frem eva dentro, se udiva pro­

nunziarsi parole a doppio senso, o di m aldicenza o di m ordacità contro qualche prossim o, m assim e se superiore.

N è solam ente la sua lingua non isdrucciolava in discorsi m a li, o non del tu tto dicevoli ; che anzi per lo più non entrava fuorché in m aterie positi­

vam ente co m m en d ev o li, v e rb ig ra z ia , di studio ed anche più spesso di spirito ; lo che ben d ic e , di q u ale abbondanza fosse ricolm o il suo cuore.

Come nella so s ta n z a , così nel m odo di parlare procedeva tem peratissim o. In oziose parole, di cui sta scritto doversi re n d er conto al divino g iudizio, ei gu ari non inciam pava; p ercio cc h é, avendo ben im parato a tacere (che è via secondo S. Tom m aso a saper p a r la r e ) , non difettava per troppa lo q u a c ità , in cui raro è che le oziose p a r o le , l’una dopo l ’al­

tra, a guisa delle ciliegie, non si succedano.

E converso, siccom e avea l’anim o a soavità e gen­

tilezza inchinevole, la nota non incorreva di selva­

tico o di m isantropo, schivandosi d all’altro eccesso di tro p p a tacitu rn ità n e ’ tem pi in cui è bello di par­

lare a sua volta.

In s o m m a , qu esta v irtù d ovunque m enava seco indivisibil com pagna, e per poco non dissi che on­

ninam ente se l’avea insanguinata. T alché ogni suo fare vestiva un am m anto grazioso, n atu ra le e cele­

ste, che rapiva il cuore ; ciò che è p ro p rietà e sclu ­ siva della vera virtù .

Gl’influssi di qu esta v irtù , che parve nell’anim o di

(31)

Giuseppe aver fissata sua sede, trasparivano in lui e nelle cose sue p e r ogni verso.

Se il vedevi allo stu d io , alla ricre a z io n e , al d i­

p orto fuori di casa, od al refettorio, ovvero alla cap­

pella, od in chiesa, notavi che ogni azione, propria di quel tem po e di quel luogo, prendeva u n a tin ta proporzionata all’ indole di q u e lla , svariata s ì , m a conducente ad un com pitissim o tu tto .

F in lo studiolo ed il letto suo nel cam erone, sp i­

ravano fragranza di questa v irtù , m entre in quello non ogni cosa di sc ritti e di carte lasciava qua e là g e ttate alla v en tu ra, e questo ultim o non rilasciava abbandonato, come talora dagl’indolenti, a foggia di canile ; m a sì l’uno che l’altro , con gran d estrezza, teneva in dicevole assetto ; il qual procedere è pu r u n segno d’animo ben ordinato, cosa assai ap p rez ­ zabile in un Levita, in quanto che, se l’esperienza non falla, chi nel suo chiericato lascia le cose sue a n d ar al d iso rd in e, l’indole stessa porterà poi nelle appartenenze del m inistero; giacché raro egli è, che diversam ente riescasi dal fondo di n atu rale, form a­

tosi nella ecclesiastica istituzione.

N e’ capelli stessi vedeasi la m odestia del Burzio ; portandogli al tu tto corti circa la fro n te , ed alcun che prolissi verso le spalle.

M enomezze parranno qu este non producibili in m e z z o , quando non fossero rese im portanti dalla m iseria di alcuni, a cui s ’ intende g io v are , i quali indossando un abito il quale dice u n solenne addio alle vanità del se c o lo , apertam ente sm entisconlo portando nel volto i segni di leg g e rez z a , con quel

(32)

crine o acciuffalo nel v e rtic e , o ben condotto sui polsi.

In una parola ; della m odestia del nostro ch ie ­ rico avrebbe bastato il dire ciò che sta scritto nella notificazione di l u i , e che riferirem o nelle precise parole tra poco ; che nel Burzio veniva al vivo rap p resen tata tu tta in tera quella m o d e s tia , cui il Tridentino vien pennelleggiando m inutam ente, nel desiderio di stam parla nel cuore di tu tti i chia­

m ati nella sorte del Signore.

E perchè su r ogni parete di dim ora ecclesiastica m eriterebbe quel testo di sfolgorare a caratteri co­

lossali, com unque notissim o, non to rn erà affatto inu­

tile il p orne ancor qui la lettu ra.

S ic decet om nino clericos in sortem D o m in i voca- tos, v ita m , moresque suos omnes componere, u t ha- b itu , gestu, incessu, sermone, aliisque rebus om nib u s, n il n is i grave, m oderatu m , ac religione plenum p r æ - seferant.

L evia etiam delieta, quæ in ipsis m a x im a essent, effu g ia n t, u t eorum actiones, cunctis afferant vene- rationem .

Modestia sì ra ra e com pita, veniva in lui singo­

larm ente prom ossa dalla fuga del m ondo, o p iù ve­

ram ente da tu tto che sapesse di m on d o ; chè ehi alle cose esteriori leggerm ente affezionasi, in quelle diffonde i suoi s e n s i, nè mai po trà esser m odesto.

Così ancora l’alto concetto che aveasi in m ente scolpito dell’ecclesiastico s t a to , e l’ intim a p ersu a­

sione di dovervi, a tu tta su a possa, co rrisp o n d ere , form avangli continuo uno svegliarino, non che alla

(33)

m en te, a tu tti i s e n s i, di vigilanza e m oderazione.

A questi m ezzi efficacissimi di m odestia c h ie ri- cale, aggiugni quello spirilo della divina presenza, che, com ’è detto già sopra, presiedeva alle sue ope­

razio n i. S p irito , che raccoglie la via più com pen­

diosa, non p u re a ren d ersi in questa della m odestia, m a in ogni a ltra v irtù , quanto è lecito ad uom o, per­

fetto.

Senza nulla qui accennare alla tenerissim a divo­

zione a Maria V ergine ( ciò che sarà d ’altro luogo ) , che consistendo precipuam ente nella p ratica im ita­

zione di tu tti i celesti suoi modi ; non è a dire aiuto potente ch’ei n ’ebbe in favore di questa v irtù , cer­

cando ognora di farne in se stesso più fedele r i­

tra tto .

Non è da p reterire un bellissim o m ezzo d a lui p raticato , ch e meglio degli a ltri, chiaro ci appalesa la realtà dell’im pegno suo pel progresso e perfezio­

nam ento di q u esta virtù .

Il mezzo fu quello di som m ettere sè, ed ogni azion su a , all’occhio attento di savio am m onitore.

Indirizzatosi in fatti da certo suo collega e confi­

d en te del m edesim o c ara tte re, intavolò un trattato am ichevole, pregandolo che volesse ogni suo proce­

dere analizzar sottilm ente, e vedendolo difform ar la m enom a cosa dalle reg o le della p iù esatta m odestia, ed e g l i , coll’ au to rità e lib ertà di am m onitore ed am ico, fedelm ente gliela notasse senza risparm io ; che quella avrebbe avuta squisitissim a carità.

T anto appunto ci venne com unicato d a quel col­

lega m edesim o, che pregato da G iuseppe, passò con

(34)

lui tale officio di osservarlo bene in tu tto , e di ap­

pun tam elo , se qualche m enda gli fosse sfuggita.

Esempio q uesto degnissim o d ’ essere im itato da c h ie ric i, e da ch iunque intenda di cuore, non che alla v irtù della m odestia, alla perfezione evangelica,

Ma p u r troppo , se la giovinezza è sì sdrucciole­

vole al d ifettare, sventuratam ente è schiva d ’am m o­

nizione, la sola che rip ieg ar la potrebbe a norm a del retto !

Im però, non è a stupire, che essendo sì perfezio­

nata la m odestia di G iu sep p e, fruttasse a’ colleghi q u ale una predica non in terro tta , che nel suo silen­

zio, alto gridava a ’sensi di ognuno, perchè m iglio­

ra sse , restandone Iddio glorificato, e così, adem pito il precetto di Cristo, che alcuno, se tocca, al certo u n Levita : S ic luceat lu x vestra coram h om inibus, u t vid ea n t opera vestra bona, et glorifìcent P atrem vestru m qui in coelis est.

Anche al dì d ’oggi non se ne dileguò da’com pagni la felice im p re ss io n e , e volontieri ram m entano la specialissim a com postezza con che assisteva alle fun­

zioni di chiesa, e ’l riservato contegno, m isto di sem ­ plicità, e di gioia, con cui com pariva nelle p roces­

sioni, che u n tre o q u attro volte han lu o g o , in fra l’anno, fuori del sem inario.

Diffilando u n a di queste sacre p ro cessio n i, vi fu volta, che s’udirono distinte persone ad d itarlo , quale u n ’im m agine espressiva di S. Luigi.

Oh ! fosse pu re, che tu tti i chiam ati a’divini m i­

nisteri si riducessero, per tem po, quali sono in ob ­ bligo di figurare, uno spettacolo degno agl’occhi di

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Dio, degli angioli, e degli uom ini ! Quanto m aggior credito ne v errebbe alla religione, e peso alle eterne sue verità!

Una cosa vuol essere ancor qui rib ad ita, e noi sa­

rebbe abbastanza giam m ai ; chè a sì com pita m ode­

stia egli sapea accoppiare certo chè di n a tu ra le , di s c io lto , di so a v e , di am en o , che punto nu lla non riesciva a chicchessia di noia o d ’aggravio. Tanto più, ohe attendendo egli così diligentem ente alle cose su e , non era poi di quegli arista rch i dall’occhio to r­

vo, che le azioni altru i vanno g u atan d o , e talo ra m a ­ lignam ente frugando, e quando ancora, con d isp e t­

tose m aniere critican d o e m ordendo ; che a n z i , vivendo quasi che isolato fra m olti, non p area aver occhi, fuor solo p er in co n trare alcun che di buono, che in altri fosse, e così a foggia di ape industre farne copia p er sè, e in tan to lui esse r cieco a tu tto , che non to rn asse di sua piena edificazione.

A com pim ento di questo c a p ito lo , pogniam o in esteso il suffragio che intorno a qu esta v irtù del Bu r z io , ce ne porse in iscritto u n testim onio o c u ­ lare, il già prefetto nel suo sem inario, in q uella più volte ad d o tta notificazione.

« U na v irtù poi, così egli, che segnalatam ente lo

« distingueva, era la sua m odestia, così r a ra e com-

« p i t a , che io non la saprei esprim ere fuorché ch ia -

« m andola u n a m odestia p iù celeste che u m an a. Nè

« p e r ciò si vedea in lui om bra di c a ric a tu ra , anzi

« grande cordialità e s c h ie tte z z a , per cui m entre

« form ava la gioia d e ’ s u p e rio ri, rapiva l’am m ira-

« zione degli stessi se m in a risti,e per m e lo confesso

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« che per l’a ttrattiv a del suo m odesto tr a tta r e , per

« la candidezza del suo p a r la r e , che m ostrava la

« sincerità e p urezza dell’anim a su a, io dico, m i sen-

« tii p iù volte p ortato ad avvicinarlo, e tratten erm i

« con l u i , tu tto ch é u n notabile intervallo di studio

« e di e tà ci separasse, giacché io era allora sul finire

« del corso di teologia.

« Notevole sopra m odo (continua il m edesim o) era

« la custodia degli occhi suoi in ogni qu alu n q u e

« circostanza, m assim e uscendo fuori del sem inario

« p er la passeggiata, o altro , m a in chiesa poi, o

« nelle p ro cessio n i, l’avresti detto u n angelo, per

« quel suo sem plice e divoto contegno degl’ occhi ;

« in som m a, non sem bram i alcuna esagerazione il

« d ire, che nel Burzio si vedea effigiata quella m o­

«d estia, con tu tti i suoi atti d escritta, e caldam ente

« a’chierici raccom andata dal T ridentino in quel noto

« decreto S ic decet omnino clericos etc. ».

C A P IT O L O V i l i .

P ietà d i Giuseppe nel suo tra tto col prossimo.

Ci venne, fin q u i, rilevata la pietà di Giuseppe nel governo d a lui esercitato sopra se stesso, o vogliam d ire n e’doveri con s é ; c r è da n o tarla ne’ doveri da lui com piti co’ prossim i.

Se è d a p re star fede a coloro, che nel sem inario di Chieri hanno avuto com une col Burzio la con­

vivenza , ben è forza il d ire, che non p u re i doveri

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della carità nella sostanza, m a nella perfezione, adem ­ pisse egli co’ prossim i.

Con tu tti, che avesse a tra tta re , era G iuseppe af­

fabile, m ansueto, garb ato , presto sem pre ad appor­

ta r loro aiuto, quando non venisse per ciò dalle sue obbligazioni sto rn ato . Fosse p u r um ile il servigio richiesto, e di qualche suo peso, tan to che il potesse, non rifiutavasi. Circa di che, ci venne osservato, che la sola perizia sua nel m aneggiare il rasoio, o nel far a ltre correlative funzioni, esercitate già u n a volta nel secolo, diegli m ateria non poca di p ratica re sovente la virtuosa sua condiscendenza e piacevolezza.

Ma, g u ard a m ai, che l’um anissim o suo tra tto tra ­ lignasse un pochissim o in troppa dim estichezza ; scintilla capace talora a risvegliar g ran d ’ incendio ; a n z i, q uest’ u n a e ra la v o lta , come già notam m o, ch ’ ei m ettevasi sopra se stesso, quando abusando a l t r i , per av v en tu ra, delle graziose di lui m aniere, si fosse ardito di m enargli so p ra, carezze o altrettali m odi leziosi, che ancor di lontano s ’opponessero alla santità e riserv atezza di chi s’è addetto agli altari.

Comechè G iuseppe sortito avesse spiriti vivaci e ard en ti, non però lasciavasi, n e ’d isgustosi in contri, facili ad avvenire nel convitto di m olti, tra s p o rta r a parole di d ispetto, o a sentim enti di s d e g n o , tanto m eno a progetti di qualche v endetta. T u tt’ al p iù si vedea lui non esser di bronzo, in quel tignersi d ’un prim o m oto d ’involontario ro ss o re ; m a tale era il governo ottenuto su le proprie passioni, che i lim iti della ragione e v irtù non valicavano mai.

Lo c h e , anche meglio potrà vedersi al fatto se­

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g u en te, il quale ne dice q u al fosse la disposizione del Burzio, non solo in favore d e’ prossim i a lui in­

clinali, m a e verso q u e’m edesim i, che ebbero a ca­

lunniarlo e p erseguitarlo.

Vi fu tem po nell’anno, c h e la specchiata b ontà del B urzio, che non potea non vedersi e non essere da tu tti notata, trassegli addosso, unitam ente a certo suo com pagno, con cui era solito u sare nelle ricreazioni, l’invidia e l’astio di alcun malevolo, che forse, in sì savia condotta, leggeva un tro p p o cocente rim p ro ­ vero alla sua. Or questi arriv a a tan to , che com pone calunnia, e m ena ciurm erie contro il Burzio e com­

p ag n o ; essi quindi sono tradotti spie da ben g u a r­

darsen e, essi delatori malevoli presso de’ superiori, e che so io. Non b a s ta : si fabbrica un com m ento, che essi sono i m edesim i, che certe insolenze nello studio han p ra tic a te , e certe m ancanze al reg o la­

m ento, di cui se ne vuol d a r p arte al retto re del se­

m inario.

Quel m isero calunniatore com unica agli altri d el­

l’a tra sua bile il veleno, e passa di chierico in chie­

rico, di cam erata in c am era ta, fino a ch e, appena più trovasi in sem inario chi prevenuto non s ia , e non dichiarisi contro del Burzio e del suo collega.

Se ne avvede il buon giovane, e dapprim a ne pal­

p ita , come è proprio di buona coscienza, nell’an ­ sietà di non forse avervi posto argom ento; e rivolto al c o m p a g n o , si scam biano confidentem ente l’af­

fanno : « sopra noi è levata g ran d e tem pesta; che fare? che d ir e ? che riso lv ere? come se d a rla ?»

Cercano a vicenda di riconfortarsi l'un l’altro alla

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meglio ; in fine, Giuseppe, che nel testim onio della pro p ria coscienza h a scoperto un porto sicuro, ove rip ara re, allegram ente dice al com pagno : « lasciam o

« che dica ognuno a sua posta, giacché non ti rico rd a

« ciò che nell’etica abbiam o studiato je r l’altro? Con­

« scia mens recti, fam æ m endacia r is it? «

Cresce intanto la b u rrasca, e i due chierici sono m inacciati da questi e d a quegli : loro dover tra poco ricevere una buona castigatoia d a’ superiori.

Q uesti, di fatto, alle ud ite im putazioni, tu tto ch é non sappiano darsene pace, già intendono chiam are a sé i due denunziati come colpevoli.

Nel suo silenzio stupiva il buon giovane a tale con­

d o tta in alunni del S antuario, ed appena potea c re ­ d ere a ’suoi occhi che fosse vera. Solam ente esprim ea al com pagno u n sentim ento di suo dolore, che più che al proprio, m irava al torto che a Dio faceano, ed a se m edesim i, gl’autori d e’loro danni, dicendo, stupefatto altam ente : « Ah no, che questo non è un

« fare d a chierici, chiam ati a predicare agli altri ! » In questo m ezzo tem po, il com pagno gli disse : che era da doversi andar, eglino stessi, d a’ su p e ­ rio ri, e così prem unirsi da ulteriori sin istri, invo­

cando , ed attestando la p ro p ria innocenza; m a G iuseppe a lui, con p rudente non meno che avve­

duto consiglio : « Se noi ci facciamo d a' superiori

« a tra tta r n o stra causa, avranno allora gli avver­

« sari nostri un argom ento alle m ani in p ro loro,

« e noi più non p o tre m o , com e fin o ra , afferm are

« che giam m ai non furono per noi fatti d e ’rapporti

«

a’superiori, a conto de’nostri compagni ; e poi vi

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« è a ltr o : che, scoprendosi la v e rità , i caporioni

« della tram a ne a v re b b e ro , c e rto , una punizione

« e sem p lare; il meglio è, che lasciam o ogni cosa in

« m ano alla P rev id en za, e ricordiam oci in fine che

« Gesù Cristo ha patito qualcosa di p iù ».

In q u esta, la P rovidenza accorse ella stessa a pro­

teggere gl’innocenti. Il già citato prefetto di sem i­

nario viene in chiaro di tu tta la cosa; si reca quindi a dovere di sincerarla presso d e’ superiori, i quali in cam bio di biasim o a’pretesi d e lin q u e n ti, danno ad entram bi, significazioni di lode ed amorevoli ec­

citam enti a voler sem pre continuare con pari sa­

viezza.

E d ecco, p e r tal via, ogni tem pesta sedala.

O ttenuto così il trionfo, tanto più debito, q u an to men ricercato alla loro innocenza, restava a Giuseppe la riserv a di qualche v endetta so p ra de’ suoi nem ici, e la si tolse ad effettuar di presente : però nella fog­

gia de’Santi, esternando con tu tti sentim enti di sin­

cerissim o affetto, e prodigando graziosi servigi a ’ca- lunniatori m edesim i, i quali, da ta n ta m ansuetudine ed u m iltà, finirono d’esser costretti a v en e rare la sua virtù , e p ro fessarsig li, p iù che prim a non erano , buoni amici.

Nel che tu tto , non saprebbesi ben definire quale meglio cam peggiasse v irtù , se la carità del p ro s­

sim o suo, o veram ente l’um iltà e la m ansuetudine ; v irtù tu tte e tr e indispensabili d a aversi, perchè nel tratto co’ n ostri simili si riesca in ogni circostanza conform e gli esempi del g ran prototipo Gesù Cristo.

Al fatto n a rra to , che s’ebbe per cingolo di buona

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