• Non ci sono risultati.

Riflessioni sull’ inizio dell'analisi

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Riflessioni sull’ inizio dell'analisi"

Copied!
172
0
0

Testo completo

(1)

Riflessioni sull’ inizio dell'analisi

Kathrin Asper, Meilen

(1) C. G. Jung, “ Medici- ne and psychotherapy ”, in The Practice of Psy-

chotherapy, C. W. vol.

16, N. York, Pantheon Books, 1954, pp. 85 ss.

La complessità dell'inizio dell'analisi — l'analizzando è in una situazione in cui da solo non sa più come si- stematizzare il flusso di informazioni e in un primo momento neppure l'analista lo sa — richiede una compensazione attraverso una visuale che metta ordine nella “ massa confusa ” dell'inizio e chiarisca la nigredo, cioè Io stato in cui ancora brancoliamo nel buio. Sebbene Jung abbia sostenuto che è necessario essere molto prudenti con la diagnosi (1), l'analizzando proprio all'inizio ha un profondo bisogno di avere una risposta alla domanda che Io tormenta:

“ Che cosa mi succede? ” Non occorre che questa visuale

sia una diagnosi clinica, poiché la descrizione in parole

della sua complessità psicologica è talvolta già abbastanza

liberatoria. L'oscurità dell'inizio è spesso chiarita

dall'osservazione e dall'interpretazione delle reazioni

soggettive dell'analista. A questo proposito mi ricordo di

una giovane donna, che mi aveva conosciuto in uno dei

miei corsi. Quando mi telefonò ne fui lieta, perché allora mi

era stata immediatamente simpatica e mi aveva anche

colpito per la sua intelligenza. Nella prima seduta mi

raccontò la storia della sua vita, che era

(2)

piena di avvenimenti insoliti e che in molti punti mi fece l'impressione di una favola. Varie volte e per un certo periodo era riuscita, lei che proveniva da condizioni molto modeste, a farsi strada e ad avere successo nel suo lavoro, per il quale però non possedeva alcuna formazione.

Ma questi periodi erano stati sempre di breve durata e piuttosto casuali. Ella stessa me lo raccontò con in volto lo stupore di una “ Goldmarie ” (2).

Mentre raccontava, mi chiedevo continuamente se quelle cose fossero vere o se invece non fosse un po' un'imbrogliona. Nello stesso tempo mi vergognavo delle mie reazioni e tentavo di reprimerle, poiché non potevo e non volevo pensare di essermi ingannata a tal punto sulla intelligenza e sulla essenza della paziente.

Quando poi mi formai un giudizio, mi chiesi se la sua intelligenza non funzionasse in modo un po' autonomo e non fosse scarsamente integrata all'insieme della personalità. Per questo il suo sviluppo professionale sembrava così casuale e fantastico? Se l'intelligenza era parte del “ Sé grandioso ” nel senso di Kohut (3), agiva quasi esclusivamente nella fantasia e si mostrava nella realtà solo in alcuni momenti casuali? L'interpretazione della reazione di controtransfert doveva dimostrarsi appropriata. Nata in un ambiente piccolo borghese, del tutto privo di senso artistico, non aveva avuto alcuna possibilità di svilupparsi e gli stimoli che il suo ingegno aveva avuto, se mai ne aveva avuti, erano stati del tutto casuali. Senza una formazione professionale le mancava la posizione e la possibilità di sperimentare le sue capacità nella vita di tutti i giorni. A ciò si aggiungeva il fatto che ella non credeva di potersi sviluppare nell'ambiente della sua infanzia. Forti sensi di vergogna si sovrapponevano ai suoi progetti professionali e alle sue esigenze narcisistiche.

Questo tema si presentava sempre nei suoi sogni, e partico-larmente caratteristico era il motivo onirico che la rappresentava da sola su un'isola meravigliosa o la mostrava immersa nella contemplazione di una montagna maestosa. Queste immagini oniriche sembrano

(2) Vedi Grimm, “ La si- gnora Molle ”, Le fiabe del

focolare, Torino, Einaudi,

1961, p. 112.

(3) H. Kohut, “ Attivazione

terapeutica del Sé

grandioso ”, Narcisismo e

analisi del Sé, Torino, Bo-

ringhieri, 1976, pp. 109 ss.

(3)

(4) Ibidem.

(5) C. G., Jung, “ Scopi della psicoterapia ”, in // problema dell'Inconscio nella psicologia moderna, Torino, Einaudi, 1964, pp. 67-68.

essere l'espressione delle fantasie del suo “ Sé grandioso ” (4). A poco a poco il problema divenne più conscio e il motivo onirico si trasformò: ella lasciò l'isola e venne verso gli uomini, verso le persone “ che portavano cartelle nella scuola ”. Quest'ultima immagine onirica era un'esperienza

“ riconoscibile ” e in conseguenza di essa cominciò a prendere più sul serio i suoi progetti professionali e a vergognarsene dì meno. In questo caso la mia reazione di controtransfert aveva portato a una visuale con cui si po- teva lavorare.

Mi sembra importante che la visuale, che viene assunta all'inizio in riferimento alla problematica, venga trovata insieme (5). Quando cominciai a interessarmi del tema, volli tener presenti queste parole di Hermann Hesse: “ In ogni inizio c'è un incantesimo ”. Cominciai a interessarmi della parola “ incantesimo ” {Zauber} e ne scoprii l'affinità con l'inglese antico teafor, che significa colore rosso, ocra [Duden]. Il significato deriva dal fatto che per rendere visibili le rune le dipingevano di colore rosso. Mi sembra che quest'origine della parola Zauber (incantesimo) rap- presenti una buona immagine di ciò che accade nel- l'analisi, però all'inizio ha un significato particolare. Il rosso è generalmente considerato il colore della vita; le rune venivano dipinte di rosso, affinchè risaltassero sulla pietra grigia e divenissero visibili. Allora mi sembra importante che la

<<

scrittura

>>

in un primo momento incomprensibile

— l'incomprensibile con cui l'analizzando viene da noi —

sia letta nel vissuto, cioè che si assuma una visuale per

l'esperienza comune e che non si inseriscano gli analiz-

zandi in qualcosa di abitudinario e di già noto. La visuale

deve essere cercata là dove la runa si riempie di colore, di

vita, quindi là dove viviamo un'esperienza comune. È

un'esigenza legittima dell'analizzando sapere che cosa

abbia. Nella medicina convenzionale si può dare un

farmaco in base alla diagnosi. L'idea: descrivo la mia

malattia e ricevo un farmaco per essa, è presente anche

nei nostri analizzandi, poiché essi traggono la loro idea dal

modello medico. Eppure la problematica psicogena non è

una malattia in senso

(4)

proprio, non è il disturbo funzionale di un singolo organo, ma comprende l'essere umano nella sua totalità.

A questo proposito mi viene in mente un'analizzanda, che pure mi descrisse la sua “ malattia ” e voleva da me la ricetta. Venne da me per dei sensi di vuoto, di assurdità e di sconforto. Precedentemente era stata da un analista maschio e sapeva ciò che aveva: depressione dovuta a un complesso materno negativo. Mi disse di aver

“elaborato” la problematica patema con l'analista precedente e di voler ora “elaborare” con me la problematica materna. Oltre alla diagnosi, mi portò anche un preciso piano di lavoro. Ciò suscitò in me delle resistenze, sentivo “qualcosa” dentro di me che diceva:

Non posso farlo, non l'ho ancora sentito In lei! La richiesta dì “elaborare” la problematica materna mi sembrava troppo razionale; avevo la sensazione che ci fosse come uno schermo tra me e l'esperienza. Avevo anche l'impressione che ella esigesse sempre una prestazione e volesse anche fare di me una figura esigente. Sentivo tutto questo, ma per il momento non avevo altra scelta che chiedere della madre. Tuttavia, procedendo con il programma, notavo che anche con queste domande non andava bene. Mi restava solo la possibilità di tenere consapevolmente nell'ombra la mia reazione di controtransfert, nella speranza di poterla usare almeno in seguito in modo proficuo. Ella mi descrisse sua madre come una persona estremamente coscienziosa, dominante e sempre esigente. Per la sua capacità era sempre stata in una posizione dominante ed era rispettata sotto ogni aspetto. L'analizzanda aggiunse anche che tutti si erano interessati sempre della madre e mai di lei, che ella, in verità, era apparsa sempre come una filiazione della madre. Questa analizzanda faceva di me un'ascoltatrice, ma permetteva anche che io

“partecipassi all'esperienza”? In nessun modo; ella

descriveva e raccontava, ma sembrava piuttosto chiedere

conferma del suo programma. Sapevo anche che era

venuta da me su consiglio dell'analista precedente e non

di sua iniziativa. Allora mi venne in aiuto la mia reazione

di contro-

(5)

transfert. Mi divenne chiaro all'improvviso che tra noi si ripeteva la stessa cosa che mi aveva appena descritto:

anch'io mi informavo della madre e non di lei e così fu possibile rompere il ghiaccio: da ascol-tatrice divenni

“partecipe dell'esperienza”. Allora mi descrisse la sua solitudine, la sua tristezza, il suo isolamento, la sua debolezza e le sue tetre malinconie. Aveva fatto proprio ciò che gli esseri umani con un complesso materno negativo non riescono a fare, mostrare cioè le proprie ferite. Così io fui concepita in modo diverso. Verso la fine dell'ora l'analizzanda mi disse che aveva parlato tanto di sé e non aveva affatto trattato la problematica materna;

però le aveva fatto bene, ma la prossima volta avremmo dovuto “ elaborare ” la madre. Si staccò dì nuovo da sé e si ritrovò nell'esperienza materna per lei negativa. Potei allora dirle che ciò che aveva comunicato era un'espe- rienza strettamente connessa con la madre. Essendosi permessa di guardare se stessa per un momento, si era anche comportata in modo materno e mi aveva reso

“partecipe dell'esperienza”. Ora avevamo una visuale comune e avevamo fatto un'importante esperienza comune. Per restare nell'analogia della runa:

in questo caso la runa grigia era diventata rossa, la scrittura cifrata dell'inizio poteva essere letta nel vissuto e la grigia teoria era sostituita da un'esperienza comune.

(6) Bolte - Polivka, Anmer- kungen zu den Kinder — und Haus — marchen der Bruder Grimm, Hildensheim, Olms, 1963, I, 21, p. 168; III, 130, p.

60.

Inizio delle fiabe e inizio dell'analisi

L'inizio delle fiabe e l'inizio dell'analisi hanno spesso in comune qualcosa di affascinante. Vorrei esporre ciò basandomi su due fiabe, “ Cenerentola ” e “ Occhietto, Duocchietti, Treocchietti ”.

Le due fiabe sono simili tra di loro, in particolare per

quanto riguarda la situazione iniziale (6). Nella prima la

matrigna e le sorellastre sono responsabili delle pene di

Cenerentola, nella seconda la madre e le sorelle sono

causa di sofferenza per Duocchietti. Tuttavia, diverse

varianti di quest'ultima fiaba — è citata soprattutto la prima

versione nota di Montanus dell'anno 1560 — indicano che

anche

(6)

in essa si tratta di una parentela da matrigna. La differenza delle pene delle due eroine sta nel fatto che Cenerentola è obbligata a fare i lavori più umili, mentre Duocchietti deve sì lavorare, ma soffre soprattutto a causa delle sorelle che sono caratterizzate da un numero abnorme di occhi. Inoltre a Duocchietti manca il padre, mentre Cenerentola ha ancora un padre relativamente buono. Rivolgiamo ora l'attenzione a due analizzando, di cui illustrerò la problematica e l'esperienza di transfert basandomi per ciascuna su una delle due fiabe citate.

“ Cenerentola ”

L'analizzanda che ho citato prima aveva un fortissimo senso del dovere e aveva una morale del lavoro già acquisita nell'esperienza con la madre; secondo le sue premesse soggettive doveva sempre guadagnarsi

il diritto alla vita con il lavoro e con le prestazioni, e giustificarlo con particolari sforzi. La sua richiesta, nella prima seduta, di elaborare con me la problematica materna, suonava come una richiesta di prestazione e tendeva a spingermi nel ruolo della matrigna e anche a esorcizzare le sorellastre, poiché ella parlava del suo lavoro come di qualcosa che non era mai abbastanza buono e mi presentava ogni volta dei casi per confermarlo. Dava libero corso alla sofferenza. Nel momento in cui arrivava a parlare della sua vera esperienza, “ piangeva ” come Cenerentola sulla “ tomba di sua madre ” (7). La possibilità di que- st'espressione relativa alla sofferenza significava un primo passo sulla via della trasformazione (e doveva anche essere valutata positivamente dal punto di vista della prognosi), poiché all'inizio dell'analisi ero qualcosa di più dell'assenza della madre buona, più di una “ tomba ” della madre buona morta come in “ Cenerentola ”. Per un breve momento aveva osato dire che la sua sofferenza consisteva nella sensazione soggettiva di vuoto e nell'assenza di una 'madre buona, e senza saperlo mi aveva concepito come una madre buona. Le mie resistenze caddero: la paziente si era permessa di guardare se stessa in modo ma-

(7) Grimm, Le fiabe del focolare, cit., p.100.

(7)

terno. Non credo che si possa “ produrre ” una tale trasformazione; essa si verifica, come direbbe Jung, Deo concedente. Ciò che possiamo “ fare ” è affinare la nostra capacità di percezione, per esempio attraverso l'immagine di una fiaba, e così accorgerci del ruolo 'in cui gli analizzandi vogliono spingerci. Anche se in seguito questa analizzanda ricadde ancora in un atteggiamento da matrigna e da sorellastra, vedendo anche me nello stesso modo, questa piccola, ma importantissima trasformazione avvenuta nella prima seduta era diventata indicativa e promettente per me come analista. L'immagine della fiaba, che io le comunicai e alla quale potemmo sempre far riferimento in relazione alla dinamica esistente tra noi, ci aiutava a orientarci e aveva, come direbbero i fratelli Grimm, il “ verde ”, che è proprio delle fiabe, che

“soddisfa, e placa senza stancare” (8).

“ Occhietto, Duocchietti, Treocchietti ”

Una delle mie prime analizzando nella prima seduta mi colpì per il modo affannoso in cui parlava. Ciò che mi impressionava particolarmente era il continuo mutare della visione di sé. Una domanda inquieta su ciò che per l'amor di Dio dovesse ancora fare, per sentirsi più tranquilla, si alternava con l'affermazione che non fosse nient'altro che questo o quello. Il tono della voce, la mimica e i gesti non erano omogenei ed erano soggetti a improvvisi mutamenti.

Un tono interrogativo e un inquieto lampo degli occhi accompagnavano le sue parole. Un linguaggio elevato e delle asserzioni tristemente rassegnate su se stessa erano sostituite da affermazioni di propositi avviati. Dopo la seduta rimasi con l'impressione di essere stata davanti a un caleidoscopio, la cui composizione di immagini mutava continuamente. Indirettamente e direttamente nella prima seduta mi ero attenuta al principio di aggiungere sempre un'altra visuale e di inserirmi nella molteplicità delle visioni o di sostenere con una conferma univoca l'affermazione di un animus negativo nel senso di una visione unilaterale.

(8) Grimm, “Vorrede 1856 ”, KHM, Zurich, Manesse, vol. I, p.

13.

(8)

Mi sembrava però che il suo problema consistesse proprio nel fatto di non potersi accettare, di non essere mai soddisfatta e di dover cambiare sempre tra una visione unilaterale e una molteplicità di immagini di se stessa. In fondo, era troppo egoista per poter sopportare le ambivalenze. Alla base c'era un disturbo originario nei rapporti, che alimentava costantemente il carente senso di autostima. Parecchio tempo dopo mi venne in mente la fiaba di “ Occhietto, Duocchietti, Treocchietti ” come matrice di quest'esperienza e ciò ci aiutò nell'orientamento. Per restare nell'immagine della fiaba:

era importante mantenere le molteplici visuali e non cadere ne in una visione unilaterale ne in una triplice o molteplice, ma sostenere la sua propria normale duplice visione.

Ella aveva sofferto per un padre tirannico e a causa di circostanze sfavorevoli non aveva avuto un'esperienza sufficientemente positiva neppure con la madre, sebbene questa la comprendesse più del padre. Una zia fanaticamente religiosa, che viveva nella stessa casa, aveva saputo inculcarle nell'infanzia l'idea che nella vita ci fossero il comportamento giusto e la via giusta. Da un punto di vista biografico questa zia personificava la visione unilaterale. Lo splendore carente negli occhi della madre e la perdita della guida del padre erano stati ulteriormente responsabili del suo disturbo di identità, e ciò aveva portato al desiderio di avere una conferma dagli occhi degli altri, ma nello stesso tempo aveva portato anche alla paura di essere annientata dallo sguardo di un occhio estraneo. Per questo motivo ella concepì l'ambiente che la circondava come una molteplicità di visuali rivolte su di lei oppure come una visuale unilaterale, secondo se introiettava la zia o la propria insicurezza. Nel corso dell'analisi si determinò un transfert speculare, (9) che portò a un rafforzamento del suo senso di autostima e contemporaneamente affermò la sua normale duplice visione. Sotto la guida dell'analisi, l'analizzanda aveva dipinto molto e aveva tentato di rappresentare le sue esperienze e le sue sensazioni. Le immagini diven-

(9) H. Kohut, Narcisismo e analisi del Sé, cit., pp. 109 ss.

(9)

nero per me più profondamente comprensibili nel momento in cui si trovò la fiaba della madre cattiva con le sorelle dalla visione triplice e unilaterale e a loro volta resero la fiaba più trasparente. La paziente aveva dipinto due immagini dopo circa due mesi di analisi e in esse aveva espresso la sensazione di essere tenuta stretta da un essere superiore. Se ci si immedesima emotivamente nelle immagini, si chiarisce non solo Io sfondo biografico, ma anche l'esperienza di sé. Nella stretta di figure superiori, che distolgono lo sguardo da lei, può solo contorcersi e sentirsi come un verme.

Qualunque cosa faccia, qualunque atteggiamento o visuale assuma, il pugno è più forte e la comprime. Circa due anni dopo disegnò altre due immagini. La pro- blematica era diventata più conscia e non si svolgeva più sott'acqua, come nella prima immagine, o in una nebbia grigia come nella seconda, quindi a livello inconscio. Nella terza immagine l'analizzanda rappre- senta se stessa fissata da molti sguardi: li deve temere tutti, vorrebbe piacere a tutti, vorrebbe rassomigliare a tutti, vive l'esperienza di sé distesa a terra, sotto una linea al di sotto del livello degli altri esseri umani, spesso rinchiusa nella camera nera della depressione, come è rappresentato nella quarta immagine.

Anche in questo caso l'immagine della fiaba era divenuta indicativa, aveva chiarito l'esperienza della situazione iniziale e aveva spiegato meglio la pro- blematica. Credo che il non essere caduta nei ruoli verso cui mi spingeva il suo transfert e il riferimento alla sua profonda carenza di un centro affettivo abbiano resa proficua l'analisi.

Sebbene le immagini delle due fiabe si somigliassero ed

entrambe le analizzando avessero in comune un fondo

di depressione e di carente fiducia originaria, la

conoscenza della differenza tra le immagini delle due

fiabe rese possibile un esame più approfondito delle

difficoltà. In “ Cenerentola ” si pone l'accento sul lavoro e

ciò vale anche per la prima analizzanda, che con il suo

sforzo di prestazione si conforma all'esagerato senso del

dovere che si os-

(10)

serva spesso nei depressi. Anche per lei, come per

“Cenerentola”, il padre era stato abbastanza buono. Per la seconda analizzanda il padre era stato tirannico e negativo ed era morto relativamente presto. L'impronta supplementare data da un padre negativo era corresponsabile del fatto che la sua problematica non si esprimesse tanto in un lo efficientista ma piuttosto in un profondo disturbo dì identità, per il quale la situazione iniziale della fiaba “Occhietto, Duocchietti, Treocchietti”

dava una buona immagine.

Inizio dell'analisi alla luce della saga e della fiaba

Vorrei ora considerare l'inizio dell'analisi alla luce di alcuni tratti essenziali della saga e della fiaba.

Tra i numerosi generi di letteratura popolare spiccano in particolare la fiaba e la saga. I fratelli Grimm s'interessarono principalmente di esse e definirono

“storica” la saga e “poetica” la fiaba (10). Come ha dimostrato Max Luthi, i vari generi di letteratura popolare illustrano ciascuno un diverso modo dell'essenza umana (11). La saga e la fiaba rappresentano due generi che si integrano riguardo alla loro immagine dell'uomo e del mondo. Nella fiaba l'essere umano è in qualche modo protetto, la saga invece lo rappresenta in condizioni di insicurezza (12). Se la saga è il “ racconto di un episodio ” (13), che spesso termina con una “dissonanza irrisolta (14), la fiaba descrive un processo che risolve la situazione iniziale di conflitto e fa uscire dalla crisi l'eroe come un essere trasformato (15). L'insicurezza, l'irruzione di un'altra realtà incomprensibile e la “prossimità” della trasformazione fanno del protagonista della saga un essere dubbioso, che indaga le cause e cerca di dare una spiegazione basandosi sulla “ verità ” della saga (16). La psicoanalisi si è interessata della fiaba molto presto: già un anno dopo I’Interpretazione dei Sogni di Freud apparve un saggio di Friedrich von der Leyen su “Sogno e Fiaba” (17), e in seguito dovevano aumentare le voci che indicavano un'affinità tra la fiaba e il sogno. È noto che questo ramo della ricerca della psicologia analitica è stato

(10) Grimm, “Vorrede 1865”, Deutsche Sagen, I.

(11) M. Luthi, “Das Bild des Menschen in der Volksliteratur”, Volksliteratur und Hochiiteratur, Berna, Francke, 1970, pp. 9- 10.

(12) Ibidem, pp. 15-16.

(13) W. E. Peuckert, . Die Welt der Sage”, Vergleichende Sagenforschung, Wege der Forschung, Darmstadt, Wissenschaft-liche Buchgemeinschaft, 1969, vol, CUI, p. 153.

(14) L. Rohrich, Marchen und Wirklichkeit, Wiesbade, Steiner, 1964, p. 13.

(15) V. Kast, Das Bose im Marchen, Fellbach, Bonz, 1978.

(16) M. Luthi, “Das Bild des Menschen in der Volksliteratur ”, op. cit., pp. 14-16; L. Rohrich, Marchen und Wirklichkeit, op. cit., p. 15. W.

E. Peuckert, “ Die Welt der Sage ”, op. cit., p.

135.

(17) F. von der Leyen, “ Traum und Marchen

”, Marchenforschung und Tiefenpsychologie, Wege der Forschung, Darmstadt, Wissenschaftliche Buch- gemeinschaft, 1969, vol. Cll, pp. 1-12.

(11)

(18) C. G. Jung, “Fenomenologia dello spirito nella fiaba”, in G/i ar- chetipi e l'inconscio collettivo, Opere, 9, 1, Torino, Boringhieri, 1980, p. 210.

(19) G. Isler, Die Sennenpuppe, Basilea, Krebs, 1971.

(20) L. Rohrich, Marchen und Wirklichkeit, op. cit., p. 23.

approfondito in modo decisivo dalle opere di Jung e dei suoi allievi, e in esse la fiaba come affermazione dell'essenza umana sembra avvicinarsi di più al mistero della vita (18). La psicologia del profondo si è interessata della saga in misura molto più limitata (19). La ragione di ciò forse sta nel fatto che nella fiaba vengono offerti al protagonista per l'adempimento dei suoi compiti degli aiuti, che per lo più mancano nella saga. Lutz Rohrich dice a questo proposito: “La saga mostra il dominio del demoniaco, la fiaba il dominio sul demoniaco” (20). Inoltre l'ipotesi della psicologia analitica che nella psiche ci sia uno strato più profondo — l'inconscio collettivo — che è sano e trova la sua migliore espressione immaginale nella fiaba, può essere un altro motivo del particolare apprezzamento della fiaba nella psicologia analitica.

Poiché le fiabe mostrano dei processi, sono interessanti anche dal punto di vista dell'energetica psichica; il finalismo lì postulato trova la sua migliore espressione nella fiaba.

Riassumendo in breve, i tratti fondamentali della saga e della fiaba possono essere visti nelle coppie di opposti sfiducia-fiducia e passato-futuro. Confrontiamo ora alcuni tratti fondamentali della saga e della fiaba con l'esperienza dei nostri analizzandi. Da un punto di vista terapeutico, vorremmo che i nostri analizzandi, come gli eroi delle fiabe, trovassero la fiducia e si dedicassero a un processo che tende al futuro e allo sviluppo della vita. Però un gran numero di persone non viene da noi con un “ atteg- giamento da fiaba ”, di fiducia, ma si può piuttosto parlare per analogia di un “ atteggiamento da saga ”, di sfiducia:

essi hanno smesso di avere fiducia nella vita e si trovano

in uno stato di dissociazione dall'inconscio. Si spaventano

di fronte all'irruzione dell'ignoto, per esempio di fronte a un

sintomo tirannico, e non sono più in grado di superare una

situazione interna o esterna. Come i protagonisti delle

saghe, sono insicuri, isolati e sopraffatti da dominanti inter-

ne o esterne. Il protagonista della saga, come abbiamo

detto prima, è un essere dubbioso e indagatore e

s'interessa specialmente delle cause di un avveni-

(12)

mento. Quest'atteggiamento rivolto al passato, se lo si trasferisce sui nostri analizzandi, ha due aspetti, uno positivo e uno negativo. Nella forma negativa i nostri analizzandi sono spesso rinchiusi all'inizio in un atteggiamento meditativo, che non è proficuo. Si tratta allora di mutare questa disposizione nell'atteggiamento positivo della ricerca del passato. All'inizio di una terapia l'interesse per la biografia è essenziale molto più che in seguito. Tuttavia, non sempre può essere assunto questo positivo “ atteggiamento da saga ”, ossia di ricerca, perché parlare dei genitori equivale spesso a infrangere un tabù. Così un uomo piuttosto giovane sognò una volta di aver visto il padre in abiti trasparenti e di averglielo fatto notare e per questo il padre gli aveva dato uno schiaffo. Guardare i genitori, osservarli al di là della “ Persona ”, era per lui un sacrilegio e per molto tempo non riuscì a parlare della sua infanzia triste con un padre estremamente severo, dominato dalla Persona e che osservava tutto. L'impossibilità di parlare non si fondava solo su un senso di colpa, ma era anche con- nessa con un transfert inizialmente negativo, nel quale anche io ero diventata una figura genitoriale, che voleva osservare tutto in modo critico. Egli quindi si guardò bene dal parlare di ciò che si rivelava nel motivo di un sogno, nel quale, mentre era insieme a qualcuno, all'improvviso gli cadeva a terra la borsa e un'infinità di piccole palline di legno per fare catene si spargeva per terra. Egli le raccoglieva in tutta fretta, cercando di farsi notare il meno possibile. (Il padre in lui, che anche illecitamente voleva osservare tutto e che nel sogno si era presentato allusivamente con abiti trasparenti, fu in un primo momento tenuto fuori dall'analisi e se ne poté parlare solo molto tempo dopo).

In tali momenti iniziali, costellati dall'imago negativa dei

genitori, quando i sensi di colpa vietano di parlare

apertamente dei genitori, spesso non è possibile “

l'atteggiamento da saga ” della ricerca del passato. Mi

sembra perciò proficuo cercare di realizzare il transfert

non tanto nel passato, ma nelle immagini collettive che

l'analizzando ha dello psicologo e della

(13)

(21) A. GuggenbuhI-Craig, “ Der Schatten des Psy- chotherapeuten ” in J. B.

Wheelwright, The reality of the psyche, New York, Putnam's, 1968.

(22) G. Wohmann, Paulinchen war allein zu Haus, Darmstadt, Luchterhand, 1974.

(23) K. Frey, Als Psychologe habe ich versagt, Zurigo, Hecht, 1978.

(24) C. G. Jung, Praxis der Psychoterapie, G. W., 16, Olten, Walter, 1971, pp. 20-22.

(25) C. G. Jung, “ Scopi della psicoterapia ”, op. cit, p. 68,

sua professione. La scelta che l'analizzando incon- sciamente ha fatto tra queste immagini, spesso coincide con il comportamento dei suoi genitori ed equivale all'Ombra dello psicologo come ficcanaso, ciarlatano e poliziotto, che mira a provocare il transfert nell'analizzando o a dargli l'illusione del Paradiso senza dolore. Per il mio analizzando si trattava di entrambi i casi. Egli mi vedeva come poliziotto ficcanaso e come ciarlatano, perché in fondo si aspettava da me il Paradiso e la propria perfezione. Un discorso sull'Ombra dello psicologo può gettare un ponte per far rivivere all'analizzando l'esperienza dei suoi genitori e per indurlo a usare il positivo “ atteggiamento da saga ” della ricerca del passato. Questi aspetti dell'Ombra dello psicologo sono stati descritti assai acutamente da Adolf GuggenbuhI-Craig nel suo saggio “ L'Ombra dello Psicoterapeuta ” (21). Anche nella letteratura moderna sono rappresentati questi aspetti dell'Ombra; per esempio in “ Paolina era sola a casa ” di Gabriele Wohmann (22), una coppia di genitori che hanno una cultura psicologica considerano possibile la realizzazione dell'età dell'oro per mezzo della psicologia. Nel romanzo dell'autore zurighese Kurt Frey, “ Ho fallito come psicologo

” (23), si mostra l'Ombra come poliziotto e ficcanaso.

Nel corso dell'analisi si verifica spesso un passaggio più o meno percettibile da un atteggiamento riduttivo a uno prospettico. Per analogia con l'atteggiamento dei protagonisti della saga e della fiaba possiamo parlare in questo caso di un passaggio dall' “ atteggiamento da saga ” all'“ atteggiamento da fiaba ”. Al centro della discussione non c'è più “ la provenienza ”, ma “ lo scopo ”. C. G. Jung, in relazione al suo contrasto con Freud, si è interessato a fondo di questo passaggio. Nel suo saggio “ Che cos'è la psicoterapia? ” egli definisce, tra l'altro, l'atteggiamento freudiano “ catartico-riduttivo ” (24) e ritiene che l'es- senziale che egli ha da dire cominci là dove cessa la terapia e inizia lo sviluppo (25). Per terapia egli intende l'elaborazione del passato, per sviluppo l'individuazione.

Jung definisce “ sintetico ” il metodo che usa

(14)

in questa seconda parte dell'analisi e ciò è sinonimo della capacità di vedere nei sogni e nelle fantasie la finalità e l'aspetto “ riconoscibile ”, per trovare così l'orientamento per il cammino della propria vita. Per restare nel nostro paragone con la saga e con la fiaba, possiamo dunque dire che la sostituzione della visuale riduttiva e l'adozione di quella sintetica equivale alla sostituzione dell'

"atteggiamento da saga” con I' “atteggiamento da fiaba”. Vari autori si sono occupati delle difficoltà di questo passaggio, anche se non sempre come tema principale, ma come pro- blema secondario. Mi sembra che Plaut (26) e Newton/Redfearn (27) abbiano considerato le difficoltà essenziali, quando mettono in rilievo che gli individui che hanno un rapporto negativo con se stessi hanno difficoltà a fantasticare, ad aprirsi al futuro e a riferirsi al linguaggio simbolico dell'inconscio. In altri termini: manca loro l'

“atteggiamento da fiaba” della fiducia e della franchezza, sono chiusi nel negativo “atteggiamento da saga” e rimuginano invece di chiedere semplicemente e di indagare il passato. Solo l' “atteggiamento da fiaba” della fiducia in- frange il “dominio del demoniaco”.

Credo che all'inizio dell'analisi sia importante tener presente che non possiamo aspettarci dai nostri analizzandi un

“atteggiamento da fiaba” e che non possono essere più usate neanche le possibilità dell' “atteggiamento da saga”.

All'inizio dell'analisi “viviamo insieme” la negativa

“esperienza da saga”, che si esprime nell'isolamento, nel sentirsi sopraffatti e nel rimuginare, e possiamo rintracciare solo con molta cautela II punto in cui si chiarisce il passato e si schiude il futuro.

In alcune riflessioni appena abbozzate ho tentato di afferrare l'atmosfera dell'inizio dell'analisi. Dal “vaso”, che dapprima viene utilizzato gradualmente, attraverso il transfert e il controtransfert siamo arrivati al processo che all'inizio si presenta in modo analogo alla differenza tra saga e fiaba e che, semplicemente in quanto processo vitale, oscilla tra saga e fiaba, tra impossibile e possibile.

Trad. di LUCIA RISPOLI

(26) A. Plaut, “ Reflections about not being able to imagine ”, The Journal of Analytical Psychology, vol. 11, n. 2, 1966, pp. 113 ss.

(27) K. Newton, J. Redfearn, “ Die Wirkliche Mutter und die Ich-Selbst Beziehungen ”, Zeitschrift fur Analytische Psychologie. vol. 9, n. 1, 1978, p. 3.

(15)

Psicologia analitica e terrorismo politico

Giuseppe Bartalotta, Roma

« Dolce rivoluzione, vorrei che le mie lacrime di donna si

trasformassero in pallottole ». Questa frase fu scritta sulla

facciata di una scuola di Milano poco dopo la morte del

leader politico Aldo Moro, evento che segna la fase più

acuta del terrorismo in Italia fino ad oggi. « Dolce

rivoluzione, vorrei che le mie lacrime di donna si

trasformassero in pallottole ». Solo una strega

medioevale o una feroce Medea dei nostri giorni, un «

animus negativo» come diremmo noi junghiani, aveva

potuto desiderare di trasformare in un mezzo di morte le

lacrime, questa espressione dell'anima umana che nella

nostra cultura è stata assegnata per lo più alla donna,

perciò un uomo che piange è così poco maschile. E poi

un uomo che piange difficilmente avrebbe potuto sparare

le pallottole delle tante guerre e repressioni che hanno

ucciso miliardi di uomini nel corso della storia. Una frase

del genere, scritta da una donna, lascia atterriti,

esterrefatti, ma anche inchiodati a un interrogativo: quale

è la « luce » di una simile ombra, di quale contraddizione

essa è un polo? Quando iniziai a scrivere queste note, mi

sentii meno sicuro, rispetto a quando avevo proposto

questo

(16)

tema, di poter trattare un argomento così scottante;

c'era veramente da prendere in considerazione un fe- nomeno che a tutta prima sembrerebbe frutto di una patologia psicopatica più che di una dinamica umana e storica. In quel momento mi venne in mente una frase di Jung che dice:

« L'incontro con se stessi è infatti una delle espe rienze più sgradevoli, alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo che ci circonda. Ora la figura del Diavolo, giustamente, è una proprietà estremamente preziosa e molto piacevole; in effetti fino a che erra all'esterno di noi, come un Icone rug gente, si sa dove si trova il Male; egli è in quel de mone personale che esiste da sempre sotto questa o quella forma.

A mano a mano che aumentò la coscienza, il demonio è stato demolito dopo il Medio Evo. Ma al suo posto ci sono degli uomini a cui noi siamo grati di cedere la nostra Ombra. Con quanta voluttà, per esempio, si leggono i giornali che riferiscono dei crimini. Un criminale inveterato diventa un personaggio popolare perché egli alleggerisce considerevolmente la coscienza degli altri uomini, in quanto questi sanno ora dove si trova il Male »(1).

C'era in questa frase di Jung quanto era sufficiente a incoraggiamenti ad affrontare l'argomento.

Prima di affrontare il discorso sul terrorismo in chiave di dinamica psichica, sarà necessario accennare brevemente all'aspetto sociologico del problema. Anzitutto possiamo affermare che il terrorismo è un fenomeno universale di questi ultimi anni, esploso in Occidente in forme cruente di guerriglia, nel mondo comunista in forme di contestazione culturale represse nei manicomi e nei lager. Dobbiamo perciò chiederci quando e come è nato il terrorismo e so- prattutto chi sono i terroristi.

Per quanto concerne il quando, un anno di riferimento è il 1968: la contestazione giovanile, che si era andata maturando nella scuola e nelle aggregazioni politiche dei gruppi giovanili, scopre che non ha senso riformare la scuola in una società giudicata malata e che è necessario invece scendere nelle

(1) C.G. Jung, «Gli archetipi dell'inconscio collettivo», Opere, 9, Torino, Boringhieri, 1980, p. 19. Vedi anche Eranos Jahrbuch 1934, Zurich, Thein Verlag, 1935, pp. 87 e 200.

(17)

piazze per contribuire con gli altri a migliorare la « qualità della vita ». Nasce così quel tentativo di incontro degli studenti, da una parte, con gli uomini di cultura (Marcuse, Adorno, Sartre), dall'altra con la classe operaia, tentativo che caratterizzò quel periodo sessantottesco.

Tralascio qui, per brevità, ogni altra considerazione, ma mi preme sottolineare che la rivolta giovanile si caratterizza anche per l'individuazione dei nuovi nemici da combattere, accanto al tradizionale padrone « capitalistico », che quasi passa in secondo ordine. I giovani scoprono che l'alienazione non è solo quella marxistica dello sfruttamento del lavoro e del

<<

plus valore » e che ben altre alienazioni esistono nella società, alienazioni prodotte da altri tipi di rapporti sociali, rapporti che, attraverso la religione, la famiglia e i mass media condizionano la libera realizzazione dell'uomo. Tutto ciò nella rivolta giovanile costituirà una rivoluzione nella rivoluzione in quanto mentre fino a quel momento nella storia le rivoluzioni erano state articolate in senso verticale, era cioè una classe subalterna che si ribellava ad una classe egemone, ora l'individuazione dei « nuovi nemici » avverrà all'interno delle classi stesse, in genere le classi alte o medioborghesi. Ciò articolerà la lotta in senso orizzontale, all'interno delle classi stesse: avremo così le lotte delle minoranze etniche, del femminismo, degli studenti, degli omosessuali, dei « diversi » di ogni genere.

E poiché tutte le rivendicazioni che si andranno for- mulando dovranno necessariamente passare attraverso il filtro dell'organizzazione politica, si verificherà nell'uomo quella che i sociologi chiamano la « scoperta del privato » e cioè che il « privato è politica ». Tutto ciò non significherà individualismo ma un nuovo uso della politica che, da ora in poi, accanto all'aspetto amministrativo e formativo della società, dovrà prendere in considerazione l'uomo con i suoi bisogni che appartengono alla sua sfera più privata e quindi alla sua evoluzione come individuo.

Jung, che come è noto, parlando del processo di indi-

viduazione, aveva sempre paventato la dissoluzione

(18)

dell'individuo nella massa, sarebbe oggi certamente d'accordo con chi sostiene la necessità della « ricerca del privato » da parte del singolo, e dell'interesse della politica alla sua sfera « privata ».

Dobbiamo ora accennare sul dove nasce il terrorismo.

Nei regimi democratici-parlamentari dell'Occidente, come è noto, il popolo è chiamato ogni 4-5 anni ad eleggere un partito o un gruppo di uomini che lo rappresenteranno politicamente nei vari organi dello Stato. In tal caso il potere decisionale del cittadino per quanto riguarda le leggi che regolano la società, è affidato ai politici. Il cittadino può certo far sentire la sua voce e la sua critica, ma i mezzi attraverso cui egli può esercitare questi suoi diritti, (il voto, il partito, i mass media) sono in genere mezzi controllati da quello stesso potere a cui la critica dovrebbe indirizzarsi. È questo certo un grosso limite dei regimi democratici-parlamentari che solo in parte l'opposizione riesce a contenere, date le inevitabili collisioni esistenti tra maggioranza e opposizione. Con la rivolta giovanile nascono, o meglio, si moltiplicano quei gruppi in genere definiti anarchici o extra- parla-mentari, combattuti aspramente dalla politica ufficiale.

Sarà proprio in questi piccoli gruppi che nascerà una nuova opposizione al potere politico ed in genere la proposta di una nuova società sganciata dai valori fin qui perseguiti. In questi gruppi extraparlamentari si formeranno le leve della clandesti- nità o del terrorismo. Ma chi sono i terroristi?

La brevità entro cui sono costretto mi permette solo di analizzare le caratteristiche più importanti e comuni a quasi tutti i terroristi, senza consentirmi di soffermarmi su interessanti biografie dei singoli.

L'estrazione sociale del terrorista tipo è quella della media borghesia; sono in genere figli di funzionar! dello Stato, liberi professionisti, commercianti.

Il loro quoziente intellettivo è decisamente superiore alla media;

la cultura è di livello universitario, anche se in molti casi, per

contestazione alla scuola, non

(19)

è stato conseguito il diploma di laurea, dopo aver superato brillantemente tutti gli esami. In genere hanno ricevuto una solida formazione religiosa in famiglia, in molti casi essi provengono da esperienze religiose fatte nelle Parrocchie o in Istituzioni religiose.

L'itinerario formativo del terrorista è perciò quello del giovane proveniente dalla media e piccola borghesia: studi regolari, buoni voti, educazione religiosa, matrimoni spesso consacrati in Chiesa, ideologia di tipo marxistico.

Le donne terroriste, inferiori per numero, non sono però affatto inferiori agli uomini per abnegazione alla causa e ardimento nella lotta. Ciò premesso diamo uno sguardo alle motivazioni psicosociologiche che un giovane può avere nell'aderire a gruppi anarchici ed extra-parlamentari.

Queste motivazioni si possono così sintetizzare:

— il bisogno di liberazione da un sistema socioeconomico repressivo che fonda la sua conservazione sull'uso dei mass media, della religione, della scuola, della polizia;

— un bisogno di esperienza individuale, al di fuori della massificazione e del consumismo. Tale esperienza individuale è sperimentata in genere nell'uso della droga e nell'appartenenza a gruppi politici, comunità Hippies, ecc.;

— l'adesione a una ideologia, in genere proiettata in un uomo-mito, la quale propugni un futuro di libertà e di giustizia sociale in cui ogni uomo possa realizzare se stesso;

— una visione religiosa e totalizzante della vita, legata ad

una rigida polarizzazione del bene e del male. La scelta

rivoluzionaria trova, in tale visione rivoluzionaria, sia

componenti morali, come il bisogno di una giustizia

universale, sia componenti più strettamente religiose,

come il bisogno di un assoluto e di una appartenenza

transcendentale. Questo bisogno di religiosità è giustificato

soprattutto dalla secolarizzazione della Chiesa e dalla

relativa perdita di valori religiosi che da una parte ha

sottratto al controllo sociale vaste fasce dì popolazione

dall'altra

(20)

ha lasciato nell'uomo quel vuoto di religiosità, che soprattutto i giovani hanno cercato di colmare, vivendola in nuove ideologie politiche o religiose (religioni e filosofie orientali, marxismo, maoismo, ecc.). Fatte queste premesse, necessariamente sommarie, sulle caratteristiche psicosociologiche del terrorismo, quale ipotesi noi junghiani possiamo fare su tale fenomeno?

A mio parere scarterei le tematiche junghiane dell'ar- chetipo del Puer, che potevano interpretare in parte le psicodinamiche della prima rivolta giovanile, ma che non possono più spiegare la lotta armata rivoluzionaria del terrorismo, soprattutto per le caratteristiche organizzative che fanno del terrorismo tutt'altro che una rivolta goliardica, lo penso che il terrorismo attuale è ipotizzabile da un punto di vista psicodinamico soprattutto nell'ambito delle tematiche junghiane dell'Ombra, sia quelle riguardanti l'Ombra archetipica sia quelle riguardanti l'Ombra personale. In Italia il terrorismo ideologico trovò nell'Università di Trento uno dei capisaldi della sua organizzazione teorica e rivoluzionaria. Trento è una tranquilla cittadina provinciale della più cattolica regione italiana:

gente laboriosa, gentile, rispettosa dell'autorità e dei ruoli sociali in genere. Nel 1545 Trento fu la sede del famoso

“Concilio di Trento" che più tardi doveva dar luogo a quella grande risposta reazionaria, al mondo rinascimentale, che fu la Controriforma. Nel 1962, pochi anni prima di quell'anno cruciale della rivolta giovanile che fu il 1968, viene fondata a Trento l'Università di Scienze Sociali, sul modello della Kritische Universitat di Berlino.

Questa Università di Trento, come si diceva, doveva subito diventare il luogo più importante in Italia della con- testazione giovanile prima e del Terrorismo poi.

Concilio di Trento, 1545, Università di Scienze Sociali .di Trento, 1962: Una concidenza storica? Una nemesi? Chi potrà dirlo!

I primi e più importanti gruppi e relativi leaders ri-

voluzionari si formarono proprio in quest'Università di

Scienze Sociali, intorno a quella « Controuniversità » che

Curcio, uno dei leaders della rivolta ar-

(21)

mata, organizzerà con altri. La « Controuniversità » o « Università negativa » era una contestazione ideologica in cui venivano tenute lezioni e corsi che reinterpretavano in forma critica le lezioni e i corsi regolari tenuti nell'Università dai professori. Per definire questa « Università negativa » cito una frase dello stesso Curcio:

« Lanciamo l'idea di una Università negativa che riaffermi nelle Università ufficiali, ma in forma antagonista alle lezioni ufficiali, la necessità di un pensiero teorico, critico e dialettico che denunci ciò che gli imbonitori mercenari chiamano ragione » (2).

Questa Università negativa, che vedeva nelle sue fila gli studiosi più diligenti, nasceva sulla scia di quella « controcultura » che visse nelle attività culturali underground i momenti culturali della rivolta giovanile. In quegli anni ogni valore della società fu contestato, non ci fu arte o cultura ufficiale che non trovasse una contro-cultura o una contro- arte a mettere in crisi valori acquisiti, fenomeno questo che in ogni campo dette luogo, tra l'altro, al costituirsi di avanguardie, le quali, con le dovute eccezioni, hanno in molti campi trasformato gusti e tendenze culturali della società. La Storia certo sistemerà molti giudizi su quella che fu la rivolta giovanile, come sempre scarterà il grano dalla gramigna; ma come ieri di fronte alla rivolta giovanile, così oggi di fronte al terrorismo, l'uomo, quello che ha in mano i destini del mondo così come il comune uomo della strada, si è posto, si pone oggi in un confronto critico di fronte al terrorismo, questa immensa Ombra che in alcuni momenti e in alcuni paesi soprattutto sembra travolgerlo?

Ha saputo, sa oggi cogliere l'uomo da questa Ombra che ha di fronte, il messaggio, certo disperato, che essa può contenere? Ancora Jung mi viene in aiuto:

« .. in realtà l'accettazione del lato d'ombra della natura umana sfiora addirittura l'impossibile. Si pensi che cosa significa accettare la giustificazione del l'esistenza di ciò che è irragionevole, di ciò che è assurdo e di ciò che è male! Ma questo vuole l'uomo

(2) A. Silj, Mai più senza fucile, Firenze, Vallecchi, 1979, p. 43.

(22)

moderno; vivere con quello che è; sapere che cosa è; ed è per far ciò che mette da parte la storia. Vuoi essere non storico, per vivere sperimentalmente e accertare quale valore e significato abbiano le cose in sé, a prescindere dalla testimonianza dei presupposti storici » (3).

Certo una vita che non tenga conto della Storia è un artificio che fa dell'uomo un alienato o una macchina che è lo stesso. E la Storia è quella dì sempre, è il frutto delle grandi contraddizioni che non sono fuori dell'uomo e della natura, ma nell'uomo e nella natura stessa. Il Terrorismo, così come ogni altro Male che da sempre ha attraversato il cuore e la mente dell'uomo, nasce e vive nell'uomo.

Il Terrorismo, di cui stiamo parlando, è nato in questa società, non sul pianeta Marte, è nato nella classe borghese che è la classe dominante in Occidente, esso è manipolato, con sofisticatissimi fili, da uomini senza scrupoli, i quali invisibilmente manovrano i gruppi terroristici, di cui non condividono affatto le ideologie, ma di cui si servono per mantenere nella società quella confusione che per loro è l'ambiente ideale ai loro intrighi politici ed alla conservazione del loro potere.

Cito qui Jung: « Primitiva o no, l'umanità sta sempre sull'orlo di azioni che essa stessa compie ma non controlla.

Per fare solo un esempio, il mondo intero vuole la pace, e il mondo intero si arma per la guerra, seguendo il detto: si vis pacem, para bellum. L'umanità non può nulla nei confronti dell'umanità, e degli dèi, come sempre, le additano la via del destino. Oggi gli dèi sono chiamati " fattori ", nome che deriva da facere = fare. I " fattori " stanno dietro le quinte del teatro del mondo. È così, nelle cose grandi come nelle piccole. Per quanto riguarda la coscienza, siamo padroni di noi stessi, sembriamo addirittura noi i " fattori "; ma se varchiamo la porta dell'Ombra, ci accorgiamo con spavento che di questi " fattori " siamo oggetto » (4). Un pessimismo questo di Jung verso i grandi reggitori del mondo che ci deve far riflettere trattando un argomento come questo.

Se crediamo alla dinamica così come prospettataci

(3) C.G. Jung, « Psicoterapia e cura d'anime », in Psicologia e religione (0pere.

11), Torino, Boringhieri, 1979, p. 324.

(4) C. G. Jung, « Gli archetipi dell'inconscio collettivo », op.

cit., p. 21.

(23)

(5) C. G. Jung, « Ueber den indischen Heiligen. Vorwort zu H. Zimmer:

' Der Weg zum Selbst », G.

W. 11, Olten, Walter Verlag, p. 14.

(6) C. G. Jung, «

Interpretazione psicologica del dogma della Trinità>>, in Psicologia e religione, op. cit., p. 175.

da Jung, al grande equilibrio del nostro sistema psichico dove ogni espressione conscia o inconscia deve analogicamente coesistere con il suo opposto in un continuo processo, ebbene dobbiamo anche credere che le stesse leggi degli opposti correlati regolano la Grande Anima dell'umanità. Ricordo che i terroristi sono esseri umani, spesso tra i più intelligenti e colti, con un passato non certo diverso dagli altri per sentimento e formazione, e, ripeto, essi sono nati e vissuti tra di noi e più specifica mente nella classe borghese. Certo forse essi saranno i più deboli psichicamente, ma forse proprio per questo i più vicini a quelle grandi verità dell'inconscio e delle sue leggi.

Ancora Jung: « Impazzire non è un'arte. Ma estrarre saggezza dalla follia è senza dubbio il colmo dell'arte. La pazzia e non l'intelligenza è la madre dei saggi » (5).

« Estrarre la saggezza dalla follia », un compito questo ardimentoso ma che, presuntuosamente o meno, è anche il compito di uno psicoterapeuta. Egli, uomo come gli altri, ha l'«

esperienza della pazzia »; egli ogni giorno si pone di fronte alla pazzia, non arbitro, ma partecipe delle grandi contraddizioni dell'anima umana che producono spesso i sintomi della malattia mentale.

Non diversamente dovremo porci di fronte al terrorismo, trovare il coraggio di un confronto, di un riferimento che ci coinvolga come uomini e psicoterapeuti, incontrare il Grande Male che ci attraversa con la stessa umiltà con cui siamo costretti ad in - contrare ogni giorno la nostra ombra personale. Perché non sappiamo, ed invece dobbiamo sapere qualcosa che sta nel grande Male. Ci ammonisce Jung:

« II Dio luminoso percorre il ponte uomo passando dal lato

diurno, ma l'ombra di Dio, dal lato notturno. Chi deciderà in

questo tremendo dilemma, che minaccia di spezzare il povero

vaso con terrori ed ebbrezze mai conosciute? Appunto la

rivelazione di uno Spirito Santo dall'uomo stesso. Come un

giorno l'uomo si rivelò da Dio, così quando l'anello si chiude,

anche Dio può rivelarsi dall'uomo » (6).

(24)

Cercare Dio nel terrorismo, cercare la luce in un'Ombra così grande in questo secolo di grandi interrogativi sul destino dell'uomo?

Fiduciosi o meno, noi abbiamo il dovere di confrontarci con questa grande Ombra che è il terrorismo. All'angolo di un ponte, nel cuore della vecchia Roma, c'è una lapide su cui è scritta una poesia di una donna sconosciuta, a ricordo di una ragazza non ancora ventenne, Giorgiana Masi, uccisa in quel posto il 19 maggio 1977, durante una manifestazione di giovani extraparlamentari.

Questa è la poesia:

Se la rivoluzione di Ottobre fosse stata di Maggio Se tu vivessi ancora

Se io non fossi impotente di fronte al tuo nemico Se la mia penna fosse la mia arma vincente coraggio nato dalla rabbia strozzata in gola Se l'averti conosciuta diventasse la nostra forza Se i fiori che abbiamo regalato

alla tua coraggiosa vita alla nostra morte almeno diventassero ghirlande

nella lotta di noi tutte donne Se...

non sarebbero le parole a cercare di affermare la vita ma la vita stessa senza aggiungere altro.

Se in questi puntini che seguono l'ultimo « Se » ciascuno di noi,

uomini e donne, avesse scritto un suo atto di coraggio, un

impegno a un confronto ormai improrogabile, quella lapide,

quella morte, più o meno simile a tante altre, sarebbe stata

evitata. Certo queste mie povere parole non avrebbero oggi

alcun senso, se mai ne abbiano uno, perché la vita, quella vera

non necessita di parole.

(25)

Jung e la nuova coscienza

Fred J. Blum, Hemel Hempstead

1.

Tema centrale nel pensiero di Jung è il passaggio da una modalità di coscienza dominata dall'inconscio collettivo alla personalità individuale.

Questo passaggio caratterizza sia l'evoluzione del genere umano dalla participation mystique propria dell'uomo arcaico fino alla consapevolezza consciamente differenziata dell'uomo moderno, sia la crescita e lo sviluppo dell'individuo verso quella personalità che rappresenta il frutto del processo d'individuazione.

Questo tema esprime così la spinta fondamentale del processo evolutivo. Jung si rende perfettamente conto della natura critica delle trasformazioni in atto nel nostro tempo.

Parlo intenzionalmente del "nostro” tempo, anche se Jung

è nato più di cento anni fa, e quindi le sue intuizioni

creative 'precedono gli sviluppi dell'epoca attuale di una o

due generazioni. Stando così le cose, è più che notevole

che Jung abbia effettivamente previsto, più di mezzo

secolo fa, la crisi del nostro tempo e le potenzialità —

così come i pericoli —

(26)

2.

Jung fu il pioniere di una nuova consapevolezza di cui noi, che viviamo una svolta decisiva nella storia, possiamo scorgere con maggior chiarezza la struttura e le linee fondamentali. Al fine di rendere più fruibili le sue intuizioni, le esamineremo in un ampio contesto storico, indicando come Jung avesse già una visione precisa della natura e del significato della nuova coscienza che sta sorgendo ai nostri giorni.

Lo schema 1 mostra due linee curve che arrivano a un punto di intersezione e di rottura nella nostra epoca. Una di queste linee abbraccia tutta l'era patriarcale;

l'altra, più corta, inizia all'incirca dall'anno 1000, con il mondo medioevale, e si spinge fino al 1500, introducendo quella che definiamo normalmente epoca moderna, che parte dal Rinascimento, dalla Riforma e dall'Illuminismo, e culmina nella rivoluzione industriale. Chiameremo tale periodo, che si sta avvicinando alla sua fine, era postmedioevale.

che l'accompagnano. Ne rintracciamo un esempio nel suo saggio // problema psichico dell'uomo moderno (1). In questo lavoro, scritto nel 1928 e ampliato nel 1931, Jung ha perfettamente riconosciuto che “L'anima dell'Occidente si trova in una posizione inquietante”, affermando allo stesso tempo che siamo “ soltanto all'inizio di una nuova èra spiritualistica ” (2).

Scosso dalla prima Guerra Mondiale, da lui vissuta come sintomo della morte di una civiltà, Jung riuscì a vedere attraverso i veli che proteggevano il mondo Occidentale dall'“ abisso ” che gli si apriva dinanzi. “ L'Occidentale vive nella nube vaporosa del suo autoincensamento, che deve impedirgli di vedere il suo vero volto ” (3). Queste parole, scritte mezzo secolo fa, profetizzarono la situazione della nostra epoca, in cui la “ nube vaporosa ” sta perdendo il potere di nascondere la realtà effettiva in cui ci troviamo.

(1) C.G. Jung (1928), “II problema psichico dell'uomo moderno ”, in // problema dell'inconscio nella psicologia moderna, Torino, Einaudi, 1971.

(2) Ibidem, pp. 292 e 297.

(3) Ibidem, p. 293.

(27)

Schema 1

modalità dì coscienza

La tabella che segue indica le caratteristiche della curva più corta del processo evolutivo, che costituirà l'argomento principale del nostro studio.

TABELLA 1 Modalità di

coscienza mediovale

Modalità di coscienza postmedioevale

Coscienza della Nuova Era

simbolo segno

sostanza forma

qualità quantità sintesi

emozione pensiero delle

soggetto oggetto caratteristiche

intemo esterno essenziali

spirito materia delle

anima psiche modalità di

coscienza

gruppo individuo medioevale

valore fatto e

fede scienza postmedioevale assoluto relativo

teleologia causalità eternità del

tempo

tempo misurabile

La modalità di coscienza medioevale era centrata sul simbolo, nel senso in cui Jung lo intendeva, cioè come espressione di una realtà di vita più profonda. Era un mondo diretto dall'interno e lo spirito aveva in esso un posto centrale.

La coscienza dell'uomo era dominata dalla fede; intensa era l'esperienza della qualità e della sostanza delle cose. Il tempo era sentito più come eternità che come il movimento regolare di un orologio.

(28)

La nascita della modalità di coscienza postmedioevale relegò il mondo dell'età di mezzo al ruolo di una realtà secondaria o terziaria, e conferì un'importanza di primo piano a quegli aspetti del reale che il mondo medioevale aveva trascurato (4). La sostituzione del segno al simbolo è un'espressione drammatica del fenomeno, una trasformazione che mutò radicalmente l'intera visione del mondo dell'uomo occidentale. La coscienza fu identificata con una razionalità di cui il segno matematico, che definisce il mondo “reale” esplorato dall'uomo postmedioevale, è l'espressione più chiara. Questo era un mondo di fatti scientificamente osservabili — un mondo riducibile a calcoli quantitativi applicabili a corpi materiali che si muovono nello spazio esterno secondo un tempo misurabile. Questo mondo riduceva il senso di personalità alla psiche di un individuo isolato, e in esso la causalità sostituì la teleologia come modalità dominante per spiegare le relazioni tra gli oggetti.

La nuova era in cui ci muoviamo risulta essenzialmente da una sintesi degli aspetti della realtà che furono primari nelle modalità di coscienza medioevale e postmedioevale. Tale sintesi equivale a una “ riscoperta ” di quanto venne trascurato nell'era postmedioevale, e a una attivazione della “ funzione trascendente ”, in grado di creare una nuova e più alta unità tra gli aspetti più autentici delle modalità di coscienza medioevale e postmedioevale.

(4) J. Locke, Saggio sul-

l'intelletto umano, lib. Il,

cap. 8.

3.

L'opera di Jung tendeva al superamento di un tipo di razionalità orientata essenzialmente sull'oggetto esterno, che relegava nell'ombra il mondo inferiore, e costringeva l'uomo postmedioevale in una situazione di “ primitiva incoscienza ” (5). La trasformazione derivante dal fatto che

“ la coscienza moderna si è in parte ritirata dalle realtà materiali esteriori, per rivolgersi verso la realtà soggettiva inferiore ” (6), costituisce il bisogno fondamentale dell'uomo che definiamo “ moderno ”, e Jung notava che “ l'enorme accrescersi, nel mondo intero, dell'interesse per la

(5) C. G. Jung, op. cit., p.

277.

(6) Ibidem, p. 285.

(29)

(7) Ibidem.

(8) Ibidem, p. 291.

(9) Ibidem, p. 300.

(10) Ibidem.

(11) J. Locke, op. c;f., lib.

Il, p. 1.

(12) C.G. Jung, op. cit., p.

277.

psicologia ” (7), avviatesi quasi mezzo secolo prima, diventa ai “ nostri ” giorni un fenomeno ovvio. Egli comprese con chiarezza che “ gli dèi che dobbiamo detronizzare sono gli idoli, i valori del nostro mondo cosciente ” (8).

Jung non ha rifiutato le acquisizioni positive del mondo postmedioevale, come quella di un corretto approccio scientifico alla vita, ma ha compreso che il tipo di scienza che caratterizza la nuova era è totalmente differente dalla scienza dell'epoca postmedioevale. Egli si è riferito specificamente alla teoria della relatività di Einstein, come a un esempio della radicale trasformazione della nostra visione del mondo, che dal determinismo e dal materialismo tende a una nuova sintesi di spirito e materia, interno ed esterno, soggettivo e oggettivo, anima e corpo.

Per Jung, l'anima è “ l'aspetto inferiore della vita del corpo

”, e il corpo è “ la rivelazione esteriore della vita dell'anima

” (9).

Tema centrale nella vita di Jung fu proprio la ricerca di una nuova sintesi. Egli sapeva di dover ancorare tale sintesi allo sfondo universale dell'" unica ” psiche del genere umano, e affermò esplicitamente: “ In certo modo noi siamo parti di una grande anima unitaria... di un uomo unico, immenso ” (10). Una tale concezione della psiche è in stridente contrasto con quella di John Locke, il filosofo dell'età postmedioevale che riduceva l'anima a una tabula rasa, come una pellicola fotografica impressionabile dal mondo esterno. Locke presumeva che l'ambiente modellasse la psiche dei singoli individui secondo l'immagine della cultura cui appartenevano, e non a caso egli credeva che il sogno facesse parte di una realtà incompatibile e del tutto separata dal mondo fattuale oggettivo dell'uomo postmedioevale (11).

La sintesi che Jung si sforzò di realizzare abbracciava le

realtà essenziali del mondo postmedioevale e di quello

medioevale, e il suo atteggiamento era teso a cogliere gli

aspetti fondamentali di entrambe le visioni del mondo. Egli

accettava di esse alcuni elementi e rifiutava quelli

incompatibili con la “ conoscenza più alta e più vasta ” (12)

di cui c'è bisogno

(30)

oggi. In particolare rifiutava le identificazioni collettive che sottendono la modalità medioevale di intendere la fede, l'assoluto, ecc.; ma allo stesso tempo, fu profondamente influenzato da alcuni aspetti del pensiero medioevale, come l'alchimia.

Possiamo illustrare meglio la radicale trasformazione di coscienza implicita nella visione junghiana della realtà, riferendoci alla sua concezione della sincroni-cità. Uno degli esempi di sincronicità offerti da Jung nel suo saggio [13) è l'apparizione di uno scarabeo sulla finestra del suo studio nel momento preciso in cui una paziente gli parlava dello scarabeo d'oro comparso in un suo sogno come simbolo di trasformazione. Altri esempi si riferiscono alla precognizione di eventi che accadranno in un momento successivo, e alla conoscenza (per esempio, attraverso un sogno) di fatti che si verificano in altri luoghi. Gli esperimenti parapsicologici di Rhine (14) danno ulteriori illustrazioni dei fenomeni sincronistici. La caratteristica comune degli eventi sincronistici consiste nel fatto che essi

“ relativizzano ” il tempo e lo spazio, nel senso che avvengono indipendentemente dalla nostra concezione di uno spazio tridimensionale e di un tempo unidimensionale (15). Essi relativizzano quindi l'idea che la realtà consista di oggetti che si muovono nello spazio — su cui si basa

il principio di causalità — in altre parole viene rela-tivizzato il principio guida che regola la comprensione dei fenomeni nel mondo postmedioevale. La sincronicità indica infatti "

un principio di nessi acausali ”, e apre alla nostra comprensione una realtà che l'uomo postmedioevale non poteva afferrare, ma che era viva nella visione del mondo medioevale. Jung ha penetrato questa realtà con l'aiuto degli strumenti empirico-scientifici del mondo postmedioevale usando ancora una volta il metodo sintetico che caratterizza tutta la sua attività.

Il principio sincronistico ci schiude una nuova immagine della realtà, intesa come un ordine globale dotato di un significato profondo, capace di rivelarsi nella coincidenza di eventi interni-soggettivi-perso-nali ed eventi esterni- oggettivi-universali. In questo

(13) C.G. Jung (1952), “ La sincronicità come principio di nessi acausali ”, in La dinamica dell'inconscio, Opere voi. 8, Torino, Boringhieri, 1976, pp. 447- 550.

(14) Ibidem, pp. 461, 469, 503, 541 e ss.

(15) Ibidem, p. 485 (archetipo dell'ordine), p. 475 (coincidenza di significato).

(31)

modo si realizza l'unificazione di una visione del mondo centrata sugli aspetti esterni e oggettivi della vita e di quella che invece si riferisce agli aspetti interiori e soggettivi.

4.

La natura sintetica della nuova coscienza si esprime in diversi modi. Il fatto stesso che essa risulta dalla sintesi delle visioni del mondo medioevale e post-medioevale, indica la sua comprensività. Ma dato che la visione medioevale del mondo è, nella sua stessa struttura, affine a quella del mondo Orientale, la nuova coscienza equivale anche a una sintesi di molti aspetti delle dimensioni di coscienza orientale e occidentale. Non è neanche necessario ricordare l'importanza che Jung attribuiva alla comprensione dell'Oriente.

Se guardiamo nuovamente la tabella 1, possiamo capire quali trasformazioni fondamentali siano necessario per l'unificazione delle caratteristiche principali della coscienza medioevale e di quella post-medioevale.

Aspetti della realtà che sono stati finora percepiti come opposti, mentre non esprimono altro che le diverse visioni del mondo, vanno riunificati in una nuova totalità realizzabile solo quando nella nostra psiche si verificano due movimenti:

1) un movimento verso il profondo, dove rintracciamo la realtà archetipica universale; 2) un'ulteriore dif- ferenziazione della coscienza.

II movimento nel profondo equivale a un avvicinamento a quella realtà che, sebbene universale, si manifesta con varie modalità nei diversi stadi del processo evolutivo e nelle differenti culture. Potremmo dire che ci muoviamo verso le fondamenta universali al fine di realizzare delle visioni del mondo storicamente e culturalmente diverse.

Senza questa discesa nel profondo non è possibile

ottenere una nuova sintesi, ma soltanto un miscuglio di

vari aspetti di culture diverse. Jung ci ha ripetutamente

messo in guardia dalla pura e semplice accettazione della

(32)

visione del mondo orientale senza integrarla nella nostra tradizione occidentale.

Un falso pluralismo, da una parte, e un'unità monolitica, dall'altra, costituiscono i pericoli reali in un periodo di fondamentale trasformazione della coscienza, che pone il compito di una nuova e più alta unità tra gli opposti medioevale-postmedioevale e Oriente-Occidente.

L'unità della nuova coscienza è multidimensionale.

Questa sua caratteristica indica la necessità di ar- monizzare le diverse dimensioni simbolo-segno, qualità- quantità, interno-esterno, riconoscendo il loro vero significato universale, e questo è possibile solo nel momento in cui si verifica la differenziazione tra ciò che è universale, e quindi eterno e senza tempo, e ciò che è collegato al tempo e alla cultura e, perciò, unico. La chiave per comprendere la struttura e la dinamica della nuova coscienza è data proprio da una simile differenziazione, resa possibile e attuale dalle intuizioni della psicologia del profondo. Fino ad ora la realtà universale e le sue espressioni particolari sono state spesso confuse tra loro. Storicamente o culturalmente, al fenomeno unico veniva attribuita una validità universale;

cioè, si conferiva una sanzione assoluta e universale alle verità parziali delle diverse intuizioni scientifiche o religiose. Per quanto riguarda il mondo Occidentale, il legame tra cultura e tempo (sintesi di Roma, Atene e Gerusalemme) che costituisce un aspetto essenziale della Cristianità, era intrecciato con i suoi aspetti universali e atemporali in un modo che sanzionava il legame stesso tra tempo e cultura, dandogli un significato universale.

Nella nuova coscienza possiamo operare una distinzione

tra il nucleo e l'essenza universale di ogni manifestazione

vitale e le espressioni storicamente, culturalmente e

personalmente determinate della realtà archetipica

universale. Questa differenziazione favorisce un nuovo

processo dinamico di sviluppo: differenziare l'universale

da ciò che è unico (storicamente, culturalmente e

personalmente) schiude la via verso la fonte o centro della

vita. La nuova totalità

(33)

comporta quindi un nuovo centro in ciò che è essen- zialmente e universalmente umano, il che equivale a essere centrati nel nucleo divino della nostra vita e della vita in genere.

Parlando di un centro universale, intendiamo dire che la realtà universale e profonda della vita ha una sua struttura, un suo modello e un suo ordine. La sincronicità ci fa capire che questo ordine ha un significato che trascende gli eventi della vita quotidiana, che sembrano spesso esserne privi. Inoltre, la sin-cronicità rende evidente che il senso del nostro destino, della nostra vita personalmente unica, è intrecciato con una realtà ultima e transpersonale: esiste una connessione tra il soggettivo e l'oggettivo, tra l'interno e l'esterno, tra l'universale eterno e il personale unico. Grazie alla prospettiva della nuova coscienza possiamo comprendere questa intima con- nessione senza identificare l'universale con l'unico.

Possiamo avere coscienza di noi stessi come mèmbri di un gruppo particolare, di una specifica cultura o civiltà;

possiamo essere consapevoli della nostra unicità personale, e anche renderci conto delle peculiarità di altre epoche e delle altre civiltà. Una tale coscienza si radica nel suolo universale della vita, e conduce a una relazionalità nuova e più profonda. Tutto ciò è necessario affinché la nuova totalità sia una vivente realtà di esperienza.

Per comprendere questa nuova totalità dobbiamo oc-

cuparci di un'ultima caratteristica della coscienza che sta

emergendo. Nello schema 1 ho mostrato come nella

nostra epoca vadano a confluire due movimenti distinti: la

fine dell'era postmedioevale e quella di un'epoca più

lunga, l'era patriarcale. Oggi stiamo riscoprendo il

significato del femminile. Esso svolge un ruolo importante

nella psicologia di Jung, e non è un caso che Neumann

abbia visto nelle sculture di Henry Moore una

riemergenza dell'archetipo femminile. Questo sviluppo

rende possibile raggiungere una nuova unità tra maschile

e femminile, in una sintesi più alta e profonda. La nuova

totalità si basa sul riconoscimento dei principi universali

maschile e femminile, e su una chiara differenziazione tra

ciò

Riferimenti

Documenti correlati

The percentages of the different bacterial phyla present in each soil site, and the percentages observed in the whole study site (values consisting of an average of what obtained in

home equity release instruments is an important determinant of the timing and dimension of wealth depletion with old age. We estimate household head characteristics most

Abbreviations: C30; European Organisation for Research and Treatment of Cancer 30-Item Core Quality of Life Questionnaire; LC13; European Organisation for Research and Treatment

The current study utilised geographical information system (GIS) to collate and map the distribution of STH infections from available empirical survey data in Peninsular

The definition using firm size produces the next highest incidence of informal employment for the most part, although at times this measure gives a lower share of informal

The durability analysis of concrete structures in contact to external sulfate solutions requires the definition of a proper diffusion-reaction model, for the computation of

Table I compares the permittivity obtained using the calibration line obtained in Fig.12 and the measurement of the samples using the ring resonator