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una voce della carità

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Academic year: 2022

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Pubblicazione trimestrale fondata da San Luigi Guanella nel 1892 - Anno CXXIX - numero 1 - I Trimestre 2021

Periodico edito dalla Provincia Italiana della Congregazione dei Servi della Carità - Opera Don Guanella

Cronaca di Casa

Notizie dalla Comunità Religiosa e dalla Casa

pagina

7

Ricordando le nostre radici

Caterina Guanella pagina

16

Don Guanella ci parla

La fiducia nella Provvidenza pagina

20

Un anno per San Giuseppe

Implorare la sua intercessione e imitare le sue vitù

pagina

11 inserto speciale

1 2021

una voce

della carità

(2)

Pubblicazione trimestrale fondata da San Luigi Guanella nel 1892 - Anno CXXIX - numero 1 - I Trimestre 2021 Periodico edito dalla Provincia Italiana della Congregazione

dei Servi della Carità - Opera Don Guanella

Cronaca di Casa

Notizie dalla Comunità Religiosa e dalla Casa

pagina 7

Ricordando le nostre radici

Caterina Guanella pagina 16

Don Guanella ci parla

La fi ducia nella Provvidenza pagina 20 Un anno per San Giuseppe

Implorare la sua intercessione e imitare le sue vitù

pagina 11inserto speciale

1 2021

una voce della carità

SOMMARIO

PERIODICO TRIMESTRALE FONDATO DA

SAN LUIGI GUANELLA ANNO CXXIX

N. 1 - I TRIMESTRE 2021

LA DIVINA PROVVIDENZA

Periodico edito dalla Provincia Italiana della Congregazione dei Servi della Carità Opera Don Guanella

DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE Casa Divina Provvidenza

via Tomaso Grossi 18 - 22100 Como (Italy) tel. (+39) 031 296711 - fax (+39) 031 296898 sito web: www.operadonguanellacomo.it e-mail: como.direzione@guanelliani.it Direttore responsabile

Mario Carrera Direttore di redazione Marco Maesani Progetto grafico Gianmario Colciago

Collaboratori di questo numero Bruno Capparoni, Federica Carlone, Elisabetta Caronni, Silvia Fasana, Gianfranco Fumagalli, Nando Giudici, Marco Grega, Mariolino Mapelli, Eva Musci, Joseph Nweke Fotografie

Archivio Fotografico Guanelliano, Alberto Bellomo – MB Digital Innovation, Adriano Folonaro, operatori

Impaginazione e stampa a cura di Arti Grafiche Frattini Bernate Ticino (MI)

Autorizzazione Tribunale di Como decreto 27.06.1978 n. 3/48 Pubblicazione periodica

Poste Italiane SpA, spedizione in abb. post.

Iscrizione ROC n. 1219 del 12.12.1989 CON APPROVAZIONE ECCLESIASTICA In copertina:

Sagrada Familia del pajarito

(Bartolomè Esteban Murillo, circa 1650)

3

EDITORIALE

» Uno sguardo diverso sulla vita

4 SAMARITANUS BONUS

» «Rispetta, difendi, ama, servi la Vita» (Prima parte)

7

CRONACA DI CASA

» Uomini e religiosi positivi in tempo di pandemia

» Nuovi arrivi

» Una ripresa graduale

» L’importanza di condividere esperienze

11 INSERTO SPECIALE

» Un anno per San Giuseppe

15 STORIE DI CASA

» Gianfranco

16 RICORDANDO LE NOSTRE RADICI

» Caterina Guanella

18 FEDE E ARTE

» «Venite, benedetti del Padre mio»

20 DON GUANELLA CI PARLA

» La fiducia nella Provvidenza

22 ANEDDOTI DI PROVVIDENZA

» Abbiate fede: non vi lascerò mai soli

23

AIUTACI AD AIUTARE I NOSTRI POVERI

INFORMAZIONI

CENTRALINO: 031.296711; Direzione Casa Divi- na Provvidenza: como.direzione@guanelliani.it, sito www.operadonguanellacomo.it; Santuario del Sacro Cuore: rettore@santuariosacrocuore- como.it, sito www.santuariosacrocuorecomo.it;

Museo “Don Luigi Guanella”: 031296711 (don Marco Maesani), museodonguanella@guanellia- ni.it; Servizio Civile Volontario: 031.296783 (sig.

ra Elisabetta Caronni), serviziocivile.nord@gua- nelliani.it; Volontari per RSA: 031.296774 (sig.

Carlo Guffanti); Pia Opera: 031.296718 (don Mariolino Mapelli), mapelli.mario@guanelliani.it

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EDITORIALE

UNO SGUARDO DIVERSO SULLA VITA

S

crivo queste righe mentre sta ini- ziando la terza ondata COVID all’i- nizio di marzo. Almeno così ripetono i mass media.

Viviamo così ormai da più di un anno con questo compagno di viaggio.

A volte può sembrare lontano e quindi ci comportiamo come se non ci riguar- dasse. Vedi ad esempio, i molti assem- bramenti e le violazioni delle norme anti contagio. Questo atteggiamento, che appare dettato da superficialità istintiva è, a mio avviso, significativo del bisogno che abbiamo di relazione e incontro tra noi.

A volte addirittura siamo così angoscia- ti da questa pandemia tanto da non vivere più. Preoccupati e ansiosi ci affi- diamo alla ricerca scientifica nell’ atte- sa che tutto finisca con la vaccinazione.

Invece questo atteggiamento, che ap- pare eccessivamente irrazionale, espri- me la necessità umana di sicurezza e protezione.

Questo è quanto vediamo, magari spe- rimentiamo e ci viene riferito dai mass media.

Ma per noi della Casa Divina Provviden- za c’è dell’altro.

Io scrivo del coronavirus non più per sentito dire ma per esperienza diretta.

Infatti il virus è tornato a farci visita e compagnia lo scorso gennaio ed è ri- masto con noi poco più di un mese. Era già stato nella Casa di riposo lo scorso anno e questa volta ha coinvolto anche tutti gli altri ambiti della Casa.

Molti degli ospiti e dei religiosi hanno vissuto il contagio. La maggior parte in

modo asintomatico; qualcuno in modo leggero; solo alcuni hanno avuto biso- gno delle cure ospedaliere.

Tutti, possiamo dire, abbiamo toccato con mano cosa vuol dire “il coronavirus”.

Proseguiamo la nostra riflessione attra- verso la presentazione di tre brevissime testimonianze raccolte in casa. Tutte condivise nella serenità, che vi posso assicurare, non è data unicamente dal- la guarigione.

Un nostro operatore confidava che nell’esperienza pesante della malattia ha riscoperto il valore della fede.

Una nostra operatrice ha affermato:

«Questa esperienza mi ha cambiato le priorità della vita».

Personalmente ho avvertito con urgen- za la necessità di cogliere il senso e il valore di questa prolungata esperienza che ha coinvolto tutti in Casa.

Ecco come queste tre semplici testi- monianze ci dicono che la malattia ha aiutato a riflettere, a guardare con at- tenzione la propria vita e il suo valore.

Si ripete spesso che dopo il coronavirus non si è più gli stessi.

Se questo cambiamento consiste nel rendere abituale la riflessione, la malat- tia non sarà solo una parentesi doloro- sa nella vita.

Nel nostro contesto culturale dove la superficialità, l’istintività e la mancan- za di speranza sono largamente diffusi, raccogliere come esito di una pesante malattia uno sguardo diverso sulla vita è il segno di qualcosa di nuovo che sta già accadendo.

don Marco Maesani

(4)

«Rispetta,

difendi, ama,

servi la Vita»

(San Giovanni Paolo II)

1) Introduzione. Il “Caso”

Olanda: il primo paese che ha legalizzato l’eutanasia

Iniziamo la nostra conoscenza sul recente documento della Santa Sede dal titolo Sama- ritanus bonus con una breve introduzione: in essa prende- remo in considerazione alcuni pensieri del professor olandese Theo Boer, docente di bioetica e per dieci anni membro del- la Commissione ministeriale sull’eutanasia nel primo paese ad averla legalizzata cioè i Pae- si Bassi: la pratica eutanasica in Olanda da last resort solution è diventata negli anni the defau- lt way to die: da estrema ecce- zione per pazienti con requisiti strettissimi a modo abituale di morire. Il pensatore olandese ha cominciato a considerare che l’eutanasia «non ha che fare col dolore fisico, ma con

qualcosa d’altro. Con la dispe- razione. La mancanza di senso.

E con un clima di morte, dove l’offerta genera la domanda»

(Tracce, Ottobre 2020, p. 18).

La legge sull’eutanasia in Olan- da nella sua forma definitiva risale al 2002: nel primo anno della sua applicazione i casi erano stati 1883 per la mag- gior parte pazienti malati di cancro, nel 2019 sono saliti a 6369 ma soprattutto con al- tre diagnosi: hanno iniziato ad esserci varie patologia tra cui sofferenze psichiche, disabilità, autismo… fino a persone con acufeni pazzeschi alle orecchie.

Il dramma più acuto restano i casi di richiesta per i bambini.

Se poi una argomentazione a favore dell’eutanasia è sta- ta sempre la prevenzione dei suicidi, questi invece sono au- mentati in Olanda del 35%; i casi di eutanasia del 150%.

Considerando ancora il caso Olanda si pensa che in alcuni suoi territori di questo paese i morti a causa dell’eutanasia raggiungano il 12%.

di DON MARIOLINO MAPELLI

SAMARITAnuS BOnuS

(Prima parte)

La speranza credibile è quella professata da Cristo sulla Croce

Il frontespizio della Lettera Samaritanus bonus

(5)

La Divina Provvidenza 1-2021 / 5 Per concludere queste rifles-

sioni di apertura nel Parla- mento nei Paesi Bassi si di- scute una nuova legge che apre la pratica dell’eutanasia a tutti coloro che abbiano su- perato i 75 anni indipenden- temente della malattia di cui soffrono.

2) L’eutanasia: una sfida culturale e antropologica per noi cristiani

Il professor Boer fa ancora considerazioni molto impor- tanti su questo argomento e dice: «Noi dipendiamo da al- tro: dagli altri e da Dio. Ma in un mondo secolarizzato, l’affermazione semplice che la vita è data provoca questa reazione – Vale per te, non per me – La sfida è antropo- logica, sul fatto che la pretesa di autonomia dell’uomo, del controllo assoluto, restringe la natura stessa dell’umano…

Quello che trovo pericoloso è l’idea che la morte sia la solu- zione a tutti i problemi della vita… È molto grave istituzio- nalizzare la morte, avere una società dove uccidere è una procedura medica, quando la società deve proteggere la vita… Bisogna fare tutto il possibile per alleviare le soffe- renze dell’altro. Bisogna lavo- rare, e lavorare. Più di tutto, bisogna ascoltare. Essere vici- ni. Essere presenze» (Tracce, Ottobre 2020, p. 21).

I cristiani devono affrontare queste sfide nell’attuale mo- mento storico: è un impegno culturale dove i soli argomenti religiosi sono da pochi ascol- tati o condivisi, ma bisogna esserci con la forza della no- stra testimonianza di fede e di

preparazione culturale e pro- fessionale in campo medico e psicologico.

La lettera Samaritanus bonus sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita della Congregazione per la Dottrina della Fede è una rispo- sta forte ed articolata alla men- talità di morte assai diffusa in molti paesi della nostra Euro- pa: è un documento sulla vita e sulla sua difesa dalla nascita fino alla morte.

La Samaritanus bonus fin dal suo inizio è una ferma condan- na dell’eutanasia, attiva e pas- siva, e di ogni possibile forma di suicidio assistito; il documento stesso, poi nella sua ampiezza, contiene delle norme assai pre- cise su eutanasia, accanimento terapeutico, cure di base come alimentazione e idratazione, terapie analgesiche, obiezioni di coscienza, ruolo della fami- glia, accompagnamento pasto- rale e formazione degli opera- tori sanitari.

3) «La miseria più grande consiste nella mancanza di speranza di fronte la morte»

Colpisce un pensiero chiaro e preciso: «La miseria più gran- de consiste nella mancanza di speranza di fronte alla mor- te. Questa è la speranza an- nunciata dalla testimonianza cristiana, la quale, per essere efficace, deve essere vissuta nella fede, coinvolgendo tut- ti, familiari, infermieri, medici, e la pastorale delle diocesi e dei centri ospedalieri cattolici, chiamati a vivere con fedeltà il dovere d’accompagnamento dei malati in tutte le fasi della malattia, e in particolare nelle fasi critiche e terminali della vita».

Il documento invita, sull’esem- pio del Buon Samaritano fin dall’inizio, a prendersi cura del prossimo: l’intervento diretto della medicina attraverso gli operatori sanitari (medici, in-

La relazione di cura medica è un atto di giustizia

(6)

fermieri ecc.) trae origine da una situazione umana precaria e di difficoltà, segnata dalla fi- nitezza e dal limite, che recano in sé la vulnerabilità del sog- getto umano.

Il documento così si espri- me: «Il nostro essere creatu- re - finite -, e pure destinate all’eternità, rivela sia la di- pendenza dai beni materiali e dall’aiuto reciproco degli uomini, sia il nostro legame

originario e profondo con Dio. Tale vulnerabilità dà fon- damento all’etica di prender- si cura, in particolare modo nell’ambito della medicina, intesa come sollecitudine, premura, compartecipazione e responsabilità verso le don- ne e gli uomini che ci sono affidati perché bisognosi di assistenza fisica e spirituale».

Per la dichiarazione va eviden- ziato poi anche che la relazione

di cura medica è un atto di giu- stizia: «La cura della vita è dun- que la prima responsabilità che il medico sperimenta nell’in- contro con il malato. Essa non è riducibile alla capacità di gua- rire il malato, essendo il suo orizzonte antropologico e mo- rale più ampio: anche quando la guarigione è impossibile o improbabile, l’accompagna- mento medico infermieristico (cura delle funzioni fisiologiche essenziali del corpo), psicolo- gico e spirituale, è un dovere ineludibile, poiché l’opposto costituirebbe un disumano ab- bandono del malato. La medi- cina, infatti, si serve di molte scienze, possiede anche una importante dimensione di arte terapeutica che implica una relazione stretta tra paziente, operatori sanitari, familiari e membri delle varie comunità di appartenenza del malato: arte terapeutica, atti clinici e cura sono inscindibilmente uniti nella pratica medica, soprattut- to nelle fasi critiche e terminali della vita».

L’ascolto del malato termi- nale apre alla speranza unito a tanto amore e compassio- ne nel senso profondo che questo termine indica nel suo significato. «Di fron- te alla sfida della malattia e in presenza dei disagi emo- tivi e spirituali in colui che vive l’esperienza del dolore, emerge, in maniera inesora- bile, la necessità di saper dire una parola di conforto, attin- ta alla compassione piena di speranza di Gesù sulla Croce.

Una speranza credibile, quel- la professata da Cristo sulla Croce, capace di affrontare il momento della prova, la sfi- da della morte». n

Il Buon Samaritano (Vincent Van Gogh, 1890)

SAMARITAnuS BOnuS

(7)

La Divina Provvidenza 1-2021 / 7

Nuovi arrivi

Sono giunti in Italia, all’aeroporto della Malpensa, don Vincent Selva- raj e don Louis Praveen Raj, dopo mesi di attesa e rinvii a causa del COVID. Diamo loro il benvenuto nella nostra Provincia ringraziando- li per la generosità con la quale si sono resi disponibili a vivere la loro missione lontano dalla propria pa- tria. Dopo la necessaria quarante- na preventiva don Praveen si inse- rirà nella Casa Madre di Como nel settore delle nuove povertà (Tetto della Carità, Rifugio don Guanella, Comunità Profughi) nel quale ha già operato per alcuni mesi da diacono prima di rientrare in India per l’or- dinazione sacerdotale. Don Vincent,

che già è stato in Italia nel nostro Seminario Teologico di Roma per gli anni di Teologia, si inserirà per alcuni mesi nella Comunità di Provincia, per es- sere poi destinato, in seguito ad una Comunità. Rivolgiamo un particolare augurio a don Praveen, novello Sacerdote ordinato lo scorso 12 novembre!

L

’inizio del nuovo anno 2021 per la comunità religiosa gua- nelliana in Como ha coinciso con la diffusione progressiva e capilla- re del Coronavirus tra i confratelli di comunità e tra gli ospiti accolti nei diversi servizi di carità. É stato un tempo terribile. Difficile e inu- tile domandarsi chi ha dato e chi ha ricevuto in termini di contagio.

Meglio pensare che tutti abbia- mo la possibilità di condividere…

anche la malattia e la sofferenza.

Il COVID, seppure attenzionato e scongiurato con ogni forma di precauzione, è giunto improvviso durante le vacanze di Natale. L’e- sperienza della sofferenza e della paura ci ha visti solidali e uguali a tanti fratelli, ci ha resi partecipi del dolore e dei disagi sperimen- tati da tante famiglie in questi tempi. Tutti gli otto religiosi della comunità religiosa sono risultati positivi al tampone del 4 genna- io e siamo stati costretti all’iso- lamento, ciascuno nella propria camera. Tanti di noi hanno avuto la necessità dell’ossigenoterapia domestica. Per altri questo non è bastato e si è dovuto ricorrere anche al ricovero ospedaliero e alle terapie intensive. Solo dopo due mesi dall’innesco della prima miccia la situazione è sembrata volgere al meglio, con il rientro in comunità di tutti i confratelli, dopo la degenza e la riabilitazio- ne post-ospedaliera.

Come comunità di consacra- ti abbiamo provato a rileggere nelle fede questa esperienza. É stato certamente un tempo di

prova: riconosciamo però, con onestà, di essere stati visitati non solo dall’angelo della mor- te, che semina paura e angoscia (e tutti ne abbiamo provata), ma anche da angeli di misericordia.

Tali si sono mostrati anzitutto quei confratelli e quelle persone amiche che sono corsi immedia- tamente in nostro aiuto. A loro va infinita gratitudine e ricono- scenza. Si sono presi cura della nostra salute, hanno provvedu- to ai nostri bisogni e ci hanno sostituiti nel ministero del San- tuario e nei servizi della Casa.

Abbiamo davvero sperimentato la bellezza e la ricchezza del vin- colo di fraternità. La reclusione dei “positivi” è stata pure una condizione di estrema povertà e svuotamento: ci siamo però

sentiti chiamare a vivere vicini e solidali a tanti sofferenti. Nel dolore abbiamo sperimentato la precarietà della vita, la contigui- tà con la morte… e anche una certa aridità spirituale. Ma insie- me abbiamo potuto riscoprire che tutto è dono, che l’esistenza è un miracolo, che ogni respiro è gratuito.

Per tutto questo la comunità re- ligiosa ha il dovere di celebrare con fede e riconoscenza il Signo- re. La preghiera di tanti amici e benefattori affezionate alla casa ha alimentato l’olio delle nostre lampade anche quando le riserve personali parevano venute meno.

Oggi torniamo a vivere e a servire Dio e i fratelli, ritemprati nel cor- po, impreziositi di doni e irrobu- stiti nella fede. n di DON NANDO GIUDICI

Uomini e religiosi positivi in tempo di pandemia

n dalla comunità religiosa

CROnACA di casa guanelliana

Don Vincent (a destra) e don Praveen (a sinistra)

(8)

E

ccoci a quasi un anno dall’i- nizio di questa terribile pan- demia che ha mutato tanti aspetti della vita quotidiana di ciascuno di noi. Le Case di Ri- poso stanno ancora affrontan- do un periodo particolarmente complesso, non solo dal punto di vista sanitario ed assistenzia- le, ma anche in termini di rior- ganizzazione e gestione dell’e- mergenza ancora in corso.

La vita di tutti i giorni nelle strutture per anziani, in cui la routine assume un significato particolare per le persone che ci vivono, ha sicuramente ri- sentito bruscamente di questa situazione anomala; in parti- colare per quanto riguarda la sfera affettiva, la lontananza dai familiari, dagli affetti più cari e da coloro che danno più conforto nei momenti di diffi- coltà ha scavato un solco pro- fondo, ancora oggi difficile da colmare.

Alla luce di questo è neces- sario ora ritrovare e garantire una stabilità quotidiana e una buona qualità di vita, special- mente adesso che ci troviamo costantemente a fronteggiare sentimenti di incertezza, pau- ra, timore e angoscia legati a questa terribile malattia.

Anche la nostra Casa si è dovu- ta conformare alle linee guida per arginare il più possibile il rischio di contagio e questo ha giocato negativamente sui no- stri anziani, che si sono dovuti adattare alle stringenti norme di prevenzione e isolamento che abbiamo dovuto mettere in atto.

Dopo un periodo di aperture/

chiusure, di zona gialla, aran- cione e rossa (per utilizzare i termini diffusi in questi tem- pi) oggi con lo stabilizzarsi della situazione, con l’arri- vo e la somministrazione dei vaccini, abbiamo ripreso ad

“impegnare” maggiormente

il tempo dei nostri ospiti in maniera più costruttiva, at- traverso l’inserimento di pro- poste ricreative, attualmente strutturate nei reparti. Ab- biamo pensato a una ripresa graduale, a giorni alterni, con delle proposte di diverso ge- nere, come la visione di do- cumentari di vario genere e interesse, opere liriche e pro- poste ludiche a rotazione set- timanale nei diversi piani.

Abbiamo ripreso anche l’atti- vità individuale di Pet-Therapy con i gatti residenti nella RSA.

Nella sala gatti al primo piano si svolgono a cadenza settima- nale momenti di incontro indi- viduale di stimolazione senso- riale con l’animale (coccole e giochi) secondo il desiderio e bisogno degli anziani coinvolti nel progetto.

Per quanto riguarda la recita del Santo Rosario e la cele- brazione della Santa Messa, gli anziani ospiti hanno po- tuto riprendere a seguire le funzioni religiose, momenta- neamente attraverso la filo- diffusione, grazie alla presen- za di don Joseph, sacerdote guanelliano della nostra co- munità religiosa, celebrati quotidianamente dalla cap- pella interna della Casa. n

«Le cicatrici sono il segno che è stata dura, il sorriso è il segno

che ce l’hai fatta»

(Madre Teresa di Calcutta)

CROnACA di casa guanelliana

di FEDERICA CARLONE - Educatrice Professionale della RSA “Don Guanella”

Una ripresa graduale

n

dai nostri anziani

(9)

La Divina Provvidenza 1-2021 / 9 di ELISAbETTA CARONNI

L’importanza di condividere esperienze

n dai nostri ospiti stranieri

M

entre si stanno riprenden- do pian piano le abitudini passate e le giornate tornano a seguire i ritmi degli impegni quotidiani, vogliamo raccon- tare e rileggere la vicenda che abbiamo vissuto a inizio d’an- no: il contagio da COVID-19 ha toccato molti di coloro che abitano nella Casa Divina Prov- videnza. È forse presto per fare grandi riflessioni, ma è impor- tante condividere le esperienze di chi è vicino a noi.

Kawsar, giovane di venti- due anni, arrivato in Italia nel 2017, a Como in Casa Divina

Provvidenza ha vissuto prima nella comunità dei minori stra- nieri non accompagnati e ora è nella comunità con chi è in attesa del riconoscimento del- la richiesta d’asilo. Ha lasciato la sua famiglia in Bangladesh e mai come in questo perio- do ne ha sentito la mancanza.

Ha visto gli operatori e anche alcuni amici ammalarsi, ma dice di non aver avuto pau- ra per la salute perché tra di loro in comunità, tutti giova- ni d’età, i sintomi non sono andati per nessuno oltre una brutta tosse. Lui stesso non

ha avuto sintomi. Il vissuto fa- ticoso di questa esperienza è per lui legato alla solitudine e all’isolamento. Non ha voluto informare la famiglia di essere positivo al tampone del CO- VID, perché ha pensato che si sarebbero preoccupati più del dovuto, ma così facendo ha rinunciato alla loro vicinanza in questo momento, a sentire da loro una parola che gli sa- rebbe stata di conforto. Le sue giornate prima del contagio erano scandite dall’impegno nella scuola guida per avere la patente e dal servizio in Croce

(10)

CROnACA di casa guanelliana

Azzurra per il 118. Proprio di questo parla con grande entu- siasmo: ha seguito la forma- zione; adesso è coinvolto nei turni come soccorritore e ne- gli accompagnamenti in ospe- dale e ha deciso di seguire la formazione avanzata. Poi, per più di un mese ha dovuto in- terrompere tutto e chiudersi in camera. All’inizio pensava di trovare così il tempo di stu- diare, ma non riusciva a con- centrarsi… Forse il pensiero per chi stava male, come don Marco e gli amici che sentiva tossire forte, forse solo il non sopportare di essere lì fermo senza sapere quanto sarebbe durato e cosa sarebbe suc- cesso… È stata dura davvero, continuare a schiacciare gli stessi tasti sul telefono, vedere immagini che scorrevano da- vanti senza lasciare traccia…

così il tempo è passato. Il pri- mo giorno di libertà dopo la quarantena è finalmente arri-

vato e lo ha passato passeg- giando con gli amici, facendo sport, mangiando fuori e su- bito dopo tornando in Croce Azzurra per ritrovare i colle- ghi e riprendere l’impegno da dove lo aveva lasciato.

Diversa l’esperienza di Amoe- ur, di cinquantacinque anni, di cui trentuno in Italia. Lui vie- ne dalla Tunisia ed è ospite da tre anni presso il “Tetto della Carità” della Casa Divina Prov- videnza. Il suo mestiere era quello del manovale e ci tiene a mostrare le sue mani forti e callose a prova del fatto che vuole darsi da fare e ha tanta voglia di ricominciare a lavora- re. Il COVID-19 ha segnato la sua storia delle ultime settima- ne, per lui in modo imprevisto, perché non si ammala facil- mente e, invece, una mattina, sveglio come d’abitudine mol- to presto per la preghiera, ha cominciato ad avvertire uno strano freddo e da lì è iniziata

la sua malattia. In pochi giorni sono comparsi gli altri sintomi, febbre, fatica a respirare, che lo hanno costretto a un lun- go ricovero per avere suppor- to nella respirazione, prima, e, poi, per la riabilitazione.

Sono state settimane dure, ma Amoeur continua ad intercala- re il suo racconto con le parole

«Grazie a Dio!». Ascoltandolo sembravano inizialmente stri- dere con ciò che raccontava, ma poi è stato bello capire come la fede in un «Dio che sa ciò che deve essere» cui af- fidarsi, gli abbia dato in quei momenti molta consolazione.

Nonostante abbia sentito gli infermieri che gli misuravano i parametri dire: «È ancora vivo?», quindi perfettamente consapevole del pericolo che stava correndo, dice di non avere mai avuto paura, perché

«se sai che Dio è con te, non devi mai avere paura». Ricorda i volti e i nomi dei paramedi- ci e dei sanitari che lo hanno seguito fino dalla comunità e poi accompagnato in ospe- dale, continua a ringraziare dicendo che il suo pensiero andava sempre a chi sapeva stare peggio di lui; così ha tro- vato la forza per andare avan- ti. Oggi è finalmente uscito dall’ospedale; vive ancora gli strascichi della malattia, soffre di dolori, fatica visibilmente a fare alcuni movimenti, ma non se ne lamenta. Anzi, dice che soffre di insonnia e ne par- la come di un’occasione per pensare a ciò che di bello c’è nella sua vita, ai suoi figli e di immaginarseli vicini, tenen- dogli compagnia quando non dorme. n

Amoeur Kawsar

(11)

LA DIVINA PROVVIDENZA

1-2021

una cittadella per la

carità

Inserto

inserto

speciale un anno per San Giuseppe

di DON bRUNO CAPPARONI

«Implorare la sua

intercessione e imitare le sue virtù»

P

apa Francesco ci ha colti di sorpresa quando lo scorso 8 dicembre 2020 ha indetto un «Anno di San Giuseppe».

In quei medesimi giorni, noi “addetti ai lavori” stavamo ri- cordando un anniversario, i 150 anni dalla proclamazione di San Giuseppe a Patrono Universale della Chiesa. Infatti l’8 dicembre 1870, in un’epoca particolarmente dramma- tica per il Papato a seguito della presa di Roma da parte dell’esercito piemontese, il papa Pio IX aveva voluto procla- mare San Giuseppe come protettore della Chiesa. Ma Papa Francesco ha voluto che San Giuseppe non fosse soltanto ricordato da pochi storici attenti agli anniversari, ma da tutti i fedeli della Chiesa, che ha invitato ad una rinnovata devo- zione verso il Padre putativo del Signore.

Lo ha fatto tramite una Lettera Apostolica dal titolo Patris corde (Con cuore di padre), in cui il Papa tratteggia con bre- vità ed efficacia la figura di San Giuseppe. Con la medesima data dell’8 dicembre, sempre per disposizione del Papa, la Penitenzieria apostolica ha emesso un decreto in cui si con- cedeva l’indulgenza plenaria, indicando le pratiche proposte per ottenerla.

Natività (Sandro Botticelli, 1482-1485)

11

(12)

La lettera apostolica, breve ma densa di insegnamento, presenta san Giuseppe nel suo esercizio di paternità verso Gesù. Il Papa indi- vidua sette caratteristiche di tale missione, e nel numero sette ha forse in mente i Settenari che la devozione cristiana ha dedicato al santo Patriarca. Il Papa ripete il nome padre, seguito da sette attributi in successione: amato;

nella tenerezza; nell’obbedien- za; nell’accoglienza; nel coraggio creativo; lavoratore; nell’ombra.

Come si nota, abbiamo una specie di litania, che riflette tematiche e sensibilità tipiche di Papa France- sco. Tutta la lettera è volta ad indi- care prima di tutto San Giuseppe come modello ed esempio di vita, ma nella parte conclusiva il Papa invita anche alla preghiera rivolta a lui. Scrive il Papa: «Lo scopo di questa Lettera Apostolica è quello di accrescere l’amore verso que- sto grande Santo, per essere spin- ti a implorare la sua intercessione

e per imitare le sue virtù e il suo slancio. Infatti, la specifica missio- ne dei Santi è non solo quella di concedere miracoli e grazie, ma di intercedere per noi davanti a Dio, come fecero Abramo e Mosè, come fa Gesù, “unico mediatore”, che presso Dio Padre è il nostro avvocato, sempre vivo per interce- dere in [nostro] favore».

Il Decreto della Penitenzieria, che è parte integrante anche se distin- ta della lettera, presenta il dono della indulgenza e le modalità per ottenerla. Oltre a ripetere le con- dizioni consuete per ogni indul- genza plenaria, introduce anche alcune pratiche specifiche, come una meditazione sul Padre nostra della durata di almeno mezz’ora o un ritiro spirituale con una medi- tazione su San Giuseppe o anche l’esercizio di un’opera di miseri- cordia in suo onore. Tutto ciò è rivolto «al fine di perpetuare l’af- fidamento di tutta la Chiesa al po- tentissimo patrocinio del Custode di Gesù» e la durata è stabilita fino all’8 dicembre 2021, allo sco- po che «ogni fedele sul suo [di san Giuseppe] esempio possa raffor- zare quotidianamente la propria vita di fede nel pieno compimento della volontà di Dio».

In una parola, lo scopo dell’Anno di San Giuseppe vuole rinnovare la nostra fiducia in San Giuseppe quale patrono di tutta la Chiesa.

Agli inizi del protettorato di San Giuseppe

Da quando San Giuseppe è presen- te alla devozione cristiana? Sembra questa una domanda priva di sen- so e ci viene spontaneo rispondere:

da sempre! In realtà la risposta a questa domanda è più complessa.

Infatti, se vogliamo documentare storicamente l’epoca in cui i cri-

stiani hanno cominciato a invoca- re la protezione di San Giuseppe, dobbiamo ritornare ad un’epoca abbastanza recente della storia cri- stiana, cioè alla fine del Medioevo.

E prima? Prima San Giuseppe era

La Lettera Apostolica di Papa Francesco Patris Corde

Cappella di San Giuseppe nel Santuario del Sacro Cuore di Como:

la pala rappresenta il Transito di San Giuseppe (1944, ritocco Carlo Cocquio 1955), il paliotto è un altorilievo in marmo

bianco di Carrara con La Sacra Famiglia (Vitaliano Marchini 1944) Cappella di San Luigi Guanella e

della Beata Chiara Bosatta: formella di marmo a bassorilievo (Emilio Monti,1964), raffigurante il Transito di San Giuseppe: «Patrone morientium»

inserto

speciale

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presente in un modo più “discre- to”. Era presente a tutti coloro che leggevano e meditavano il Vange- lo di San Matteo, che è il vangelo

“giuseppino”. Era davanti agli oc- chi dei cristiani che contemplava- no le icone bizantine o le raffigu- razioni occidentali della Natività di Gesù. Era presente a quanti (e non erano pochi) avvicinavano i Vange- li apocrifi con il segreto desiderio di sapere qualcosa della infanzia di Gesù e della vita di Nazareth.

Dai Vangeli apocrifi la figura di San Giuseppe ha assunto elementi presenti ancora oggi, quali la raffi- gurazione di un’ età avanzata o il bastone fiorito.

D’altra parte non abbiamo docu- menti antichi che ci trasmettano preghiere rivolte a San Giusep- pe (come ve ne sono di rivolte a Maria) e anche il calendario liturgico della Chiesa ha iniziato a celebrare il ricordo di Giusep- pe in epoca abbastanza vicina a noi. Insomma, possiamo dire che nella storia cristiana la devozione a San Giuseppe dipende quasi da una sua “apparizione”, nel senso che è a partire dal secolo XV che di essa vi sono segni sempre più abbondanti. È quasi come se san Giuseppe abbia preso l’ iniziativa e si sia imposto alla attenzione della Chiesa.

Giovanni Gersone (1363-1429) è un nome forse poco noto ai let- tori di queste pagine, ma era un teologo e un autore spirituale im- portante nella sua epoca. La sua riflessione lo condusse a scoprire l’importanza di San Giuseppe e la trasmise ad altri maestri, anch’es- si forse a noi poco noti, come il cardinale Pierre d’Ailly (1350- 1420) o il gesuita Francisco Sua- rez (1548-1617), per citare i più importanti diffusori del culto giu- seppino.

Ma il nome più noto a tutti è quello di Santa Teresa di Gesù. La grande maestra carmelitana è una testimone validissima di devozio- ne a San Giuseppe. La sua affer- mazione, trascritta dal suo famoso Libro de la vida, è riportata anche dal decreto della Penitenzieria che abbiamo ricordato: «Ad altri Santi sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o quell’altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso san Giuseppe esten- de il suo patrocinio su tutte».

La devozione di Santa Teresa d’A- vila per San Giuseppe fu trasmessa la mondo carmelitano e i carmeli- tani ne furono veicoli validissimi al di fuori dei loro conventi. Da loro fu introdotta in Francia nel XVII e XVIII secolo, dove il cardinale Pierre de Bérulle (1575-1629) e San Fran- cesco di Sales (1567-1622), i gesu- iti e tutti i francescani la accolsero e la diffusero. Dalla Spagna la de- vozione si diffuse anche nel Nuovo Mondo: già nel 1555 San Giusep- pe fu eletto patrono del Messico, mentre nel 1678 fu nominato pro- tettore delle missioni in Cina.

Il secolo di don Guanella

Soprattutto il secolo XIX è stato quello del “trionfo” universale del culto a San Giuseppe. Il contributo fondamentale è venuto dal Papa Beato Pio IX (1792-1878). Abbia- mo ricordato prima di tutto la sua proclamazione di san Giuseppe a patrono universale della Chiesa 150 fa; ma possiamo anche ricor- dare che egli nel 1847 aveva este- so la festa del Patriarca a tutta la Chiesa, mentre prima era ufficial- mente un culto locale. Inoltre que- sto Papa aveva contribuito alla dif- fusione della devozione tra i fedeli con la concessione di indulgenze alla preghiere rivolte al Santo. Ba- sti ricordare quella concessa da Pio IX alla preghiera dei Sette dolori e allegrezze di San Giuseppe, anche alla sua forma breve, a favore degli infermi.

Sarebbe lunghissimo fare l’elenco dei Santi del secolo XIX che hanno mostrato una devozione speciale a san Giuseppe. A noi preme dire una parola sul nostro fondatore San Luigi Guanella. Egli ha attin-

La Colonia agricola di Monte Mario a Roma (foto d’archivio)

un anno per San Giuseppe

LA DIVINA PROVVIDENZA

1-2021

Inserto 13

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to la devozione al Santo Patriarca dal contesto parrocchiale e poi in seminario e nella comunità dioce- sana di Como. In questo non vi era nulla di diverso da ciò che manife- stavano gli altri sacerdoti suoi con- temporanei.

Quando ha iniziato le sue fonda- zioni, ha proposto nelle case, agli ospiti e ai religiosi, le devozioni tradizionali al Santo, specialmente durante il mese di marzo. Ha inti- tolato alcune case a San Giuseppe, in particolare quelle femminili di Belgioioso e di Stimianico.

Ma il momento più elevato di que- sta sua devozione a San Giuseppe si è avuto a Roma. Nel 1903 egli si impegnò nella gestione della Colo- nia San Giuseppe, avviata a Monte Mario dal Capitolo di San Pietro per l’educazione e il recupero so- ciale della gioventù romana.

Soprattutto il riferimento al nostro Santo ha avuto il suo momento for- te nella fondazione del complesso parrocchiale della zona Trionfale, la costruzione di una grande chiesa di- retta dall’architetto Aristide Leonori nel 1908 e con la elevazione del- la stessa a parrocchia nel 1912. La scelta di San Giuseppe era legata al nome di battesimo del papa Pio X.

Oltre all’avvio di una complessa attività pastorale nel quartiere di Prati, che allora stava sorgen- do, don Guanella avviò presso la chiesa una Pia Unione, intitola- ta al Transito di San Giuseppe.

Questa iniziativa suscita una sor- presa, ma se ci pensiamo bene essa rientra perfettamente nella cornice di fede di don Guanella, perché ha i suoi punti di forza nella fiducia illimitata al «gran mezzo della preghiera» per usa- re una famosa parola di Sant’Al- fonso de’ Liguori, e in una devo- zione profonda a san Giuseppe.

Inoltre la Pia Unione sgorga an- che della carità creativa di San Luigi Guanella, perché ebbe una intuizione luminosa di aiutare dei bisognosi molti particolari, i morenti. Coloro che sono pros- simi all’ultimo momento come si possono aiutare? La medicina non può più nulla, ma la pre- ghiera può tutto; ecco la sem- plice e luminosa intuizione del nostro fondatore. Ed ecco che nasce e cresce la Pia Unione del Transito di San Giuseppe, con il suo sviluppo ammirevole che sta ancora oggi a testimoniare la ge- nialità di fede di don Guanella.

San Giuseppe

modello e intercessore

Negli ultimi cinquant’anni le de- vozioni hanno subito un affievo- limento o, a parlare da pessimisti, un tramonto. La devozione a san Giuseppe ha subito le stesse sfide di quella alla sua santissima Sposa, Maria. Il Papa San Giovanni Paolo II, anche per contrastare questa tendenza, ha dato alla Chiesa la esortazione apostolica Redemp- toris custos del 1989. Ora Papa Francesco ha aggiunto la sua lette- ra Patris corde, che sta suscitando interesse e consenso. Forse è un segno che la devozione a san Giu- seppe non è solo un retaggio del passato.

Due sono gli approcci che il cre- dente ha davanti quando si acco- sta a San Giuseppe: trovare in lui un modello di vita evangelica e avere in lui un avvocato ed inter- cessore. Il primo approccio sembra quello che predomina nell’attualità ed è anche avvalorato dai docu- menti pontifici. Noi allora voglia- mo spendere una piccola parola per il secondo approccio, quello di richiamarci alla preghiera a San Giuseppe perché è amico di Dio e padre putativo di Gesù.

Nella preghiera vi è qualcosa di meno controllabile; si tratta di mendicare qualcosa e poi aspetta- re la risposta, se e quando verrà.

In questo la preghiera risponde solo alla fede, che parte dal ri- conoscimento di Dio come Dio e di noi come sue povere creature.

Pregare San Giuseppe (senza di- menticare il suo esempio lumino- so...) è quello che ci ha insegnato don Guanella ed è quello che vo- gliamo riscoprire in questo Anno di San Giuseppe, oltre a lasciarci guidare da lui come modello di credente e padre. n

Esterno della chiesa di S. Giuseppe al Trionfale a Roma (foto d’archivio)

inserto speciale inserto

speciale un anno per

San Giuseppe

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La Divina Provvidenza 1-2021 / 15

C

onfesso che quando, all’età di sei anni, mia mamma decise di iscrivermi al collegio

“Don Guanella” provai per lei un grande risentimento; avevo perso il papà all’età di tre anni e ora, con questo allontanamento dalla famiglia, mi sentivo parti- colarmente tradito. Solo con il tempo ho capito che in realtà mia mamma aveva fatto la scel- ta giusta; lei doveva lavorare per mantenere me e mia sorella ado- lescente e, al rientro dal lavoro a servizio, spezzarsi la schiena in campagna: sarei stato abbando- nato a me stesso mentre intro- durmi all’Istituto Don Guanella avrebbe significato darmi basi solide per il mio futuro, inse- gnamenti con saldi principi e la possibilità di condivisione delle esperienze.

Certo, come immagino lo sia per tutti, anche i miei nove anni all’Istituto sono stati corredati da esperienze sia positive che negative; tuttavia il tempo tende a mitigare ciò che ci ha dato di- spiacere o sofferenza, mentre af- fiorano sempre più i bei ricordi.

Ogni volta che passo da Como non posso esimermi dall’entrare nel cortile, chiudere gli occhi e rivedermi bambino, mi sembra persino di sentirne i profumi, come quando la mattina arriva- va il furgoncino per la consegna del pane e noi “monelli” aspet- tavamo che rallentasse nel salire la piccola rampa che c’è tra i due cortili per saltare sul furgone e sottrarre rapidamente qualche panino fragrante; tuttora, il pro- fumo del pane appena sfornato mi riporta a quei tempi.

Entrare nella chiesa attigua all’i- stituto mi emoziona ancora, sebbene sia stata ristrutturata e quindi si presenta diversamente rispetto ai miei tempi; ricordo il

giorno della prima Comunione quando avevamo potuto occu- pare la parte di chiesa normal- mente dedicata ai fedeli mentre di prassi il nostro posto era nella parte sul retro dell’altare e si sa, specie per i bambini, l’erba del vicino è sempre più verde, quin- di il fatto di poterci sedere nella parte aperta al pubblico era mo- tivo di gioia e soddisfazione.

Molte sono state le persone che hanno accompagnato il mio percorso e che ricordo con estremo piacere: don Mansueto che mi ha accolto e introdotto al mio arrivo, fratel Elli e fratel Cattaneo, don Mario Brusa, don Alippi, e altri, in particolare don Pietro Bruletti che cito per ulti- mo solo per dedicargli qualche parola in più. Don Pietro è sta- to per me una persona speciale, il mio primo assistente, bravo, comprensivo, simpatico, a volte forse un po’ rustico, ma con un cuore grandissimo. È stato tal- mente importante per me che non solo ne serbo il ricordo, ma negli anni non ho mai mancato di andare a fargli visita nei vari posti dove si trovava: Como, Nuova Olonio, Dubino, Fraci- scio, ecc. Quando ho conosciuto

la donna che ora è mia moglie da quasi quarant’anni, il primo pensiero è stato di chiedere a don Pietro di celebrare il nostro matrimonio e, successivamente, di battezzare la nostra seconda figlia e sono estremamente feli- ce di questa scelta.

Tornando alla mia vita “guanel- liana”, a fine anno scolastico si tornava a casa per un breve pe- riodo e poi subito in colonia a Gualdera; anche quelle vacanze fanno parte del mio bagaglio di vita, ancora più bello del perio- do scolastico, la meraviglia di trovarsi in un posto così vicino al cielo, il divertimento con gli altri ragazzi e poi, diciamolo, in va- canza anche la cinghia dei dove- ri si allenta notevolmente. Che belle escursioni, i canti tutti in- sieme e anche il momento della preghiera era sublimato dal tro- varci in un vero e proprio Eden!

Sono trascorsi molti anni, ne ho ormai compiuti settanta- due, ma penso che certi ricor- di e certe esperienze restano e resteranno sempre vivide nella mia memoria e spesso mi trovo a ringraziare quella scelta ma- terna che mi ha dato così tante opportunità! n di GIANFRANCO FUMAGALLI

STORIE di casa

Gianfranco

Gianfranco Fumagalli è il quinto da sinistra della prima fila; il giovane in alto a sinistra, all’epoca ancora chierico, è Pietro Bruletti

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Q

uest’anno vogliamo ricor- dare il doppio anniversa- rio del centottantesimo della nascita e del centotrentesimo della morte di Caterina Guanel- la, sorella prediletta del nostro Fondatore. Figura ancora poco conosciuta, è stata però una presenza fondamentale nella sua vita di sacerdote e di inizia- tore di un carisma, una donna che, pur rimanendo nel mondo, ha saputo affiancare un grande testimone della carità come don Luigi, ne ha condiviso le scelte in favore degli ultimi, lo ha so- stenuto con stima e preghiera nei momenti difficili. Una vita semplice, umile, senza eventi grandi o eclatanti, ma ricca di fede e di carità, un esempio sempre attuale di santità laicale.

Caterina nasce il 25 marzo 1841 (un anno prima di Luigi)

a Fraciscio, ottava dei tredici fi- gli di Lorenzo e Maria Guanella e viene battezzata il giorno se- guente.

Luigi e Caterina crescono in- sieme ed è proprio negli anni della fanciullezza che nascono e si radicano i sentimenti di stima e di affetto che uniran- no per sempre i due fratelli.

Di questo periodo è un tenero ricordo di don Guanella nelle sue memorie autobiografiche

«Luigi e Caterina, la sorella, dai sette ai dieci anni chiosa- vano i fatti dei santi che nella persona dei poveri vedevano la persona stessa di Gesù Cri- sto. Di poi si recavano al prato superiore alla casa dove era un grosso masso con dentro certi vuoti come marmitte. Allora si diceva: “Facciamo qui la mine- stra dei poveri”. E si metteva terriccio ed acqua in quel cavo di marmitta e si rimescolava e si diceva con infantile ingenu- ità: “Quando saremo grandi faremo così la minestra dei po- veri”»1. Crescendo, Caterina si dedicherà ai lavori comuni alle donne del suo paese, modulati sul ritmo delle stagioni; la sua operosità quotidiana è scandi- ta dalla preghiera, dalla comu- nione frequente, dalla lettura di libri sacri, dalla partecipazio- ne attiva alla vita della parroc- chia. Decisa a consacrare tutta la vita al Signore fa un propo- sito di verginità cui rimarrà fe- dele fino alla morte. «So che da giovinetta la Serva di Dio col fatto e colle parole faceva intendere che a lei non basta-

va una virtù comune, ma che voleva ad ogni modo progre- dire nella virtù, come riputava suo grande dovere. Senz’avve- dersene e senza pretenderse- lo, ella era chiamata alla virtù eroica dei Santi»2. Quando nel 1868 don Guanella si trasferi- sce come economo spirituale a Savogno, su invito dei geni- tori, Caterina lo raggiunge. Vi- vendo per diversi anni con lei, don Guanella ne sperimenta la presenza discreta e vigile, l’in- coraggiamento fedele, descri- vendola come «angelo di buon esempio»3 , soffermandosi ad ammirare in lei la consigliera, la cooperatrice nelle cose quo- tidiane della casa, l’animatrice spirituale della gioventù fem- minile, l’insegnante elementa- re, la maestra di carità e di sol- lecitudine verso gli infermi e i poveri. Anche a Savogno, don Guanella riconosce di nuovo il ruolo determinante di Cateri- na, che sapeva superare ogni contrarietà con la forza della preghiera e dell’abbandono nelle mani di Dio, godendo di

«alto credito di virtù»4.

La vicinanza spirituale tra Cate- rina e Luigi non viene meno ne- anche quando egli, nel gennaio del 1875, ottiene il permesso dal Vescovo di recarsi a Torino presso don Bosco. La sorella tornerà invece nella sua casa natale a Fraciscio per assistere l’anziana madre vedova, e qui rimarrà fino alla morte. Caldeg- gia la costituzione della Figlie di Maria nella chiesa parrocchiale di Campodolcino e ne diventa

Caterina Guanella

di SILVIA FASANA

Ricordando le nostre RADICI

Immaginetta di Caterina Guanella fatta stampare da don Luigi

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La Divina Provvidenza 1-2021 / 17 Direttrice generale nel gennaio

del 1888, vista da tutte le com- pagne come «madre e maestra, che precedeva coll’esempio e colla preghiera»5.

Quando la madre si ammala gravemente, Caterina l’accu- disce giorno e notte fino alla morte, avvenuta il 10 settem- bre 1879. Don Luigi allora la in- vita ad andare con lui a Como, ma lei rifiuta.

«Io conosceva l’indole della Serva di Dio e la invitai per con- venienza a recarsi da me dopo la morte della madre, benché fossi convinto che ella non avrebbe abbandonata la sua cara solitudine e sapessi che in cuore meditava il proposi- to d’istituire in parrocchia una casa di ricovero per le zitelle che ne avessero abbisognato, per aiutarsi insieme nei bisogni della vita e per l’aiuto scambie- vole della vita cristiana, quasi in religiosa comunità. Dopo la morte della madre, la Serva di Dio, rimasta più libera di sé, concentrò tutte le sue forze nell’unione con Dio più intima, nelle opere di pietà e nell’eser- cizio più vivo di apostolato fra le giovani Figlie di Maria del paese e in cura di ammalati […]. Negli ultimi anni di vita, il suo pensiero era sempre in contemplazione delle cose ce- lesti»6, mentre una grave ma- lattia le consumava le forze.

Morirà il 13 giugno 1891.

«Il D. Luigi ritenne nel proprio convincimento che la sorella fosse inspiratrice e cooperatri- ce nelle sue opere di beneficen- za, e stando in difficoltà conti- nue e gravi, pensava almeno confusamente alla sorella e ne aveva speciale conforto a pro- seguire nel cammino intrapre- so»7. Subito dopo la sua morte

don Luigi incarica il nipote don Lorenzo Sterlocchi di scriver- ne una biografia, pubblicata a Como dalla Tipografia della Piccola Casa della Divina Prov- videnza e, su sollecitazione di ambienti della Curia Romana, don Luigi si decide dopo alcuni anni a iniziare le pratiche per il processo di canonizzazione, L’11 gennaio 1910 viene co- stituito a Como il tribunale ecclesiastico per l’esame della causa; nel settembre 1913 gli atti completi vengono inviati a Roma presso la Sacra Congre- gazione dei Riti. Purtroppo però il processo alla fine non ha esito felice principalmente a causa di involontari errori di procedura.

Ora i resti di Caterina riposano in una cappellina attigua alla chiesa della Casa S. Maria della Provvidenza a Lora, accanto a quelli di suor Marcellina Bosat- ta e di altre Superiore Generali della Congregazione femminile fondata da don Guanella. n

1 L. Guanella, Le vie della Provvidenza, (VdP), (1913-1914), in Scritti inediti e postumi, VI, Centro Studi Guanelliani Roma, Nuove Fron- tiere Editrice, Roma 2015, 709-710.

2 L. Guanella, Deposizione sulla serva di Dio Caterina Guanella, (1910), in Scritti inediti e postumi, VI, Centro Studi Guanelliani Roma, Nuove Frontiere Editrice, Roma 2015, 530.

3 L. Guanella, Deposizione… o. c., 518.

4 L. Guanella, VdP, p. 735.

5 L. Guanella, Deposizione… o. c., 526.

6 L. Guanella, Deposizione… o. c., 527-528.

7 L. Guanella, Dichiarazione, Roma, 8 febbraio 1909, manoscritto, copia in ASG Como.

La camera di Caterina nella casa di Fraciscio

I piccoli Luigi e Caterina mentre giocano a preparare la minestra per i poveri, monumento antistante Casa Guanella

(Alfredo Vismara, 2005)

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di DON MARCO GREGA

«Venite, benedetti del Padre mio»

FEDE e arte

«Venite, benedetti del Padre mio» (Torildo Conconi, 1986) nel Santuario del Sacro Cuore di Como

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La Divina Provvidenza 1-2021 / 19

N

el nostro Santuario, in una delle tele che ne impre- ziosiscono il soffitto, si trova un’interessante raffigurazione di don Guanella benedicente.

Se ci portiamo al centro del transetto e alziamo gli occhi, vediamo incastonata la tavo- la Venite, benedetti del Padre mio, opera di Torildo Conconi (1986).

Don Guanella, rappresentato nell’atto di benedire, affian- cato da suor Chiara Bosatta e da mons Aurelio Bacciarini, ha di fronte a sé i suoi poveri e una folla di fedeli. Dietro a lui, con colori tenui ma luminosi, è rappresentata la SS. Trinità:

Gesù benedicente, il Padre e lo Spirito Santo in forma di co- lomba.

La raffigurazione comunica una precisa visione teologica ed ecclesiologica che il visita- tore attento è invitato a co- gliere e ad assumere entran- do nel Santuario e recandosi, per una preghiera, all’altare di San Luigi Guanella e del- la Beata Chiara Bosatta. Don Guanella appare come la pro- secuzione e la manifestazione della benedizione di Gesù, una benedizione da intender- si non come semplice gesto della mano, ma come atto e senso della sua intera vita.

Tutta la vita di Gesù, infatti, è stata Rivelazione nella sto- ria di quell’amore sorgivo e fontale che è la Trinità e don Guanella, come tutti i Santi, con la sua vita e le sue ope- re è stato la continuazione di quella benedizione, riverbero e manifestazione dell’amore di Dio che ama gli uomini e si china su di loro con un cuo- re di Padre. Di quell’amore la Chiesa, con ogni sua espres-

sione pastorale e caritativa, nel cammino della storia è chiamata ad essere sacra- mento vivo ed efficace.

Mi permetto un aneddoto.

Una maestra di una scuola materna parrocchiale aveva portato la sua classe a visita- re una chiesa con numerose figure di Santi rappresentate sulle vetrate luminose. Rien- trando a scuola il parroco do- manda ai bambini: «Chi sono i Santi?». Uno di loro, con l’im- mediatezza tipica dei bambini, ricordando ciò che poco prima aveva visto, prontamente ri- sponde: «Sono quelli che fan- no passare la luce». Stupenda definizione della Chiesa e dei Santi: la Chiesa e i Santi fanno passare la luce, la luce di Dio, il suo amore! Don Guanella con la sua carità operosa ha fatto passare la luce di Dio. La sua umanità, abitata e alimentata dall’amore di Dio, è diventata bella, luminosa, icona e trac- cia della bellezza di Dio e così egli è diventato uomo e prete luminoso, che ha diffuso luce.

Con la sua carità operosa, la sua persona e la sua azione si sono fatte benedizione per tanti poveri.

Nella scia di questa rilettu- ra prende allora significato anche il fatto che, accanto a don Guanella, nella tela siano poi rappresentati suor Chiara e mons. Bacciarini: con loro sono raffigurati i Figli e le Fi- glie spirituali di don Guanella, i Servi della Carità e le Figlie di Santa Maria della Provvidenza.

Quasi in una catena di bene- dizione discendente da Dio, come il Fondatore pure essi sono chiamati, con la loro vita, con il loro agire, con le loro opere, a riflettere e a trasmet-

tere l’amore, la carità di Dio per tutti gli uomini e fra di essi per i più poveri, per gli ultimi della vita. Le Congregazioni e le Opere da lui fondate devo- no perciò essere la continua- zione di questa benedizione per tante persone affaticate e sole nella vita.

Infine, di fronte a don Guanel- la sono rappresentati i poveri, che lo hanno provocato e con- quistato con la loro presenza, i poveri per i quali don Guanella ha avuto una predilezione spe- ciale ed è stato benedizione vi- vente di Dio.

Da sempre le opere d’arte nel- le nostre Chiese svolgono una funzione catechetica tanto più efficace quanto più l’osser- vatore si lascia interpellare e quasi coinvolgere in un dialogo personale con il messaggio che l’opera esprime. Chi visita il Santuario è perciò inviato non solo a guardare ma a riflettere, a farsi delle domande e infine a pregare.

E così, osservando la tela e specchiandosi in don Gua- nella, ognuno può immer- gersi nel Vangelo per riascol- tare nuovamente il grande comandamento evangelico:

«Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tut- ta la tua mente. Questo è il grande e primo comanda- mento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossi- mo come te stesso» (Mt. 22, 37-39). L’amore di Dio e l’a- more dei poveri, due amori che purificano ed esaltano la nostra umanità e la possono rendere benedizione per gli altri con la stessa concretez- za e passione di don Guanel- la e suor Chiara. n

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In un momento difficile come quello che stiamo vivendo, don Guanella ci è vicino e prega per noi. Cosa ci raccomanderebbe, come ci consolerebbe e inco- raggerebbe se fosse ancora tra noi e ci potesse parlare? Ci invi- terebbe a guardare a Dio, padre buono e ci raccomanderebbe ad avere fiducia nella sua Provvi- denza. Ascoltiamo le sue parole.

Q

uel Dio, che veste i gigli del campo con un abito che neanche Salomone indos- sò mai, non lascerà mancare alcuna cosa a chi lavora unica- mente per lui e per la maggior gloria del suo nome1.

N

oi siamo come pulcini sotto le ali della divina Provviden- za madre. Dobbiamo in tutto e

sempre affidarci a quella divina Provvidenza che tutto dispone in tempo, in peso, in misura2. Lasciamoci sempre governa- re dalla divina Provvidenza. Il Signore sapientissimo sa tirar fuori il bene dallo stesso male.

Il Signore onnipotente da un male grave vale a trarre un bene maggiore3.

T

u in ogni dubbio benché grave della vita prega Dio e poi lascia fare dalla provviden- za del Signore4.

M

olto può e vuole la Provvi- denza divina, più che non la prudenza o la previdenza umana5.

Q

uel cuore che ha ben fer- ma e radicata la fede non si spaventa delle difficoltà, per- ché sa benissimo che Dio ama e non abbandona quelli che confidano in lui6.

L

a Provvidenza conviene me- ritarsela: credendo ferma- mente in lei; aspettando i suoi tempi e i suoi modi; allonta- nando le ansietà; faticando di buona lena7.

I

l primo aiuto della divina Prov- videnza è l’aprirsi davanti a sé in modo chiaro la via da percor- rere e il sentirsi l’energia suffi- ciente per poterla percorrere8.

S

i evitino ugualmente i due torti che si fanno alla Prov- videnza, sia col fare spese inu- tili e superflue, sia con il non

La fiducia nella Provvidenza

a cura di SILVIA FASANA

DOn GuAnELLA ci parla

La statua della Divina Provvidenza

nella prima chiesa del Sacro Cuore di Como (inizi secolo XX)

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La Divina Provvidenza 1-2021 / 21 concedersi il necessario per il

vitto, il vestito, la salute, poi- ché dobbiamo avere fiducia che la Provvidenza, nostra ma- dre benigna, non ci lascerà mai mancare ciò che è richiesto dai nostri bisogni9.

M

i preme d’invitare tut- ti ad avere una grande fede nella provvidenza del Signore, la quale ci assisterà sempre10. n

Le opere di don Guanella indicate nelle citazio- ni sono tutte pubblicate nei volumi I-VI dell’O- pera Omnia, Centro Studi Guanelliani Roma, Nuove Frontiere Editrice, Roma, a cui si riferi- scono i numeri di volume e di pagina.

1 Cfr. L. Guanella, Regolamento dei Servi della Carità, (1910), IV, 1280.

2 Cfr. L. Guanella, Regolamento dei Servi della Carità, (1910), IV, 1341.

3 Cfr. L. Guanella, Da Adamo a Pio IX. Quadro delle lotte e dei trionfi della Chiesa universale distribuito in cento conferenze e dedicato al clero e al popolo – I, (1885), II/1, 84.

4 Cfr. L. Guanella, Nel mese dei fiori. Una mas- sima scritturale esposta in ogni dì nella vita della Beata Vergine, (1884), I, 938.

5 Cfr. L. Guanella, Regolamento dei Servi della Carità, (1905), IV, 1184.

6 Cfr. L. Guanella, Un saluto al nuovo anno 1889, (1899), III, 1144.

7 Cfr. L. Guanella, Massime di spirito e metodo d’azione, IV, 56.

8 Cfr. L. Guanella, Norme principali per un Regolamento interno nella Piccola Casa della divina Provvidenza in Como, (1894), IV, 111.

9 Cfr. L. Guanella, Norme a praticarsi nelle Case dei Servi della Carità per un più ordi- nato funzionamento delle stesse e una più intera osservanza della vita regolare, (1915), IV, 1366.

10 Cfr. L. Guanella, Lettere circolari ai Servi della Carità, XXI, Como, 15 agosto 1913, IV, 1410.

Madonna

della prima linea

Il pittore camerunese Afran, gran- de amico dell’Opera don Guanel- la, che collabora con la Casa gua- nelliana di Lecco e la Cooperativa Sociale Cascina “Don Guanella”

di Valmadrera, ha voluto “rivisi- tare”, attualizzandola ai tempi difficili che stiamo vivendo, l’im- magine della Madonna della Prov- videnza, con tanto di mascherina chirurgica e tuta degli operatori della Croce Rossa, chiamandola

“Madonna della Prima Linea”.

Scrive Afran nella presentazione dell’opera: «Oltre ad essere un omaggio e una testimonianza di gratitudine nei confronti dei tanti tra medici, infermieri e altro per- sonale sanitario che hanno lottato in prima linea con abnegazione, andando in alcuni casi fino a do- vere pagare della propria vita…

La Madonna della Prima Linea, essendo una rivisitazione della Madonna della Provvidenza, vor- rebbe anche e soprattutto essere un messaggio di speranza. Si può rinascere e si può contare su un alleato speciale. Non siamo soli».

Maria, madre della Divina Provvidenza, un titolo mariano molto caro

a don Guanella

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