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Ancora a proposito della superabile crisi del processo civile - Judicium

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Academic year: 2022

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VINCENZO VIGORITI

Ancora a proposito della superabile crisi del processo civile

I - Il Convegno auspica un confronto su temi centrali dell’esperienza sulla giustizia civile. Tralasciando il “giusto processo” che è nozione mutuata dalla Costituzione americana dove da due secoli si parla di due process, a significare non solo garanzia di legalità, ma soprattutto di giustizia e correttezza sostanziali (V em.

del 1787-1789 e XIV em. del 1868), mi propongo di svolgere tre rilievi che tengono conto dell’esperienza comparativa.

1) - In nessun Paese europeo la giustizia civile è ridotta nelle condizioni in cui si trova in Italia.

La situazione in cui versa il nostro processo civile, lesiva dei diritti di tutti, ma in particolare di quanti nel processo e col processo lavorano, è per certi aspetti inspiegabile. Il nostro sistema di diritto sostanziale e processuale è raffinato, quasi all’eccesso, le risorse finanziarie destinate al servizio giustizia sono di grandezza analoga a quelle devolute negli altri Paesi, e il personale giudicante togato è numericamente consistente e, di regola, professionalmente adeguato.

Fino ad un recente passato, fra il nostro e gli altri ordinamenti europei non c’era un divario così profondo, divario che invece adesso è impressionante. Solo in punto di durata la differenza non è più di mesi bensì di anni, con le conseguenze che conosciamo sull’effettività della tutela.

Le criticità sono molte, sono state ampiamente individuate nel documento di sintesi, come in altri dedicati allo stesso argomento1 e su di esse non è il caso di

Testo dell’intervento al Convegno svoltosi a Roma il 2-3 marzo 2012, presso la Corte di Cassazione, promosso dall’Unione Nazionale Camere Civili e dal Centro Studi dell’Avvocatura Civile Italiana, su “Il giusto processo civile:

alla ricerca della ragionevole durata e della ragionevole qualità”.

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soffermarsi. Si parla di un afflusso molto consistente di procedimenti in tutte le Corti;

si pensa che la compagine sociale italiana sia particolarmente litigiosa; ci si duole che il 50% dei processi finisca con sentenze di mero rito; si denuncia la propensione all’impugnazione. Per fortuna, almeno questo documento, non parla della

“strumentalizzazione” dei processi da parte della professione forense, a cui è prassi attribuire la maggiore responsabilità del dissesto.

Le indagini, anche di recente promosse presso gli Uffici giudiziari, hanno regolarmente ricevuto la stessa risposta: con le risorse disponibili non si può fare di più. Tutti lamentano l’incompletezza degli organici, e molti auspicano l’aumento del numero dei giudici, quasi non si sapesse che la cosa è ora semplicemente impossibile.

Certamente, ci sono distretti e circoscrizioni felici, dove grazie all’impegno di dirigenti e di singoli magistrati i tempi sono ragionevoli e la qualità, per quanto possibile, controllata, ma sono appunto situazioni eccezionali, frutto della buona volontà dei singoli (“nel buio totale anche un lumicino è utile”, Viazzi), che non possono illudere sulla bontà del sistema.

Sul piano dei rimedi, a parte qualche ritocco dell’ordinamento giudiziario, si insiste a lavorare sulla struttura del processo, che è ormai un’autentica fatica di Sisifo.

Per di più, senza chiarezza di obiettivi, perché prima si privilegiava la diversità dei riti, auspicando tutele differenziate per forme e contenuti, mentre adesso prevale la tendenza contraria, e quindi il favore per la semplificazione e l’uniformità. In ogni caso l’impegno riformista profuso in questi anni è diretto ad incidere e migliorare l’apparato del processo, e quindi ad intervenire all’interno dell’esistente, vedendosi con diffidenza ogni possibile alternativa all’accesso alla giustizia statale. Un atteggiamento questo che fortemente differenzia il nostro sistema da quelli europei, e che visti i risultati appare poco costruttivo.

II - 2) Metodo comparativo e contributo della comparazione.

1 Ne riferisce il Primo Rapporto sulla Giustizia Civile in Italia, presentato dal Presidente dell’Unione Nazione Camere

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Si registra in tutti i settori, compresi quelli più marcatamente “locali”, un forte interesse per le esperienze di altri Paesi, interesse che non è solo aspirazione al conoscere, ma è anche esigenza di confronto nella ricerca di soluzioni operative per i problemi che gli ordinamenti più avanzati sono chiamati a fronteggiare. Naturalmente, più di tutto, l’appartenenza all’Unione Europea rende impossibile liquidare la diversità come irrilevante ai fini interni (“altri climi, altre genti,” si diceva) e quasi costringe lo studioso a dover lui giustificare gli scostamenti dalla prassi degli ordinamenti a cui siamo legati, in un’ottica che considera “affidabile” solo quanto generalmente condiviso.

Ma il metodo comparativo non è facile da utilizzare, e chi pensa di poter acquisire senza troppo impegno qualche informazione, e sulla base di questa avventurarsi in trapianti più o meno radicali rischia cocenti delusioni.

Per offrire un elaborato fruibile, occorre impegnarsi nell’acquisizione di tutte quelle nozioni collaterali di carattere ordinamentale, che sono il presupposto indispensabile per un’indagine seria non limitata all’estrinseco. Ad esempio, volgendosi alla common law, è noto che il sistema di reclutamento dei giudici deve tener conto del ruolo dominante della giurisprudenza nella gerarchia delle fonti; che le scelte di ordinamento giudiziario e l’organizzazione delle Corti sono da tale fattore determinate, e che la struttura del processo civile inevitabilmente riflette e attua le precedenti opzioni. Nessuno dunque potrebbe occuparsi dello strumento di tutela studiando solo i dati strutturali di carattere formale, senza farsi carico dei fattori che ne condizionano modo di essere e funzioni, e questo sia che ci si limiti a percepire somiglianze e diversità, sia che si voglia proporre l’adozione o suggerire il rifiuto, dell’esperienza straniera.

Trovare equilibrio non è tanto semplice e la pressione è significativa. Qualcuno addirittura chiede di integrare l’indagine giuridica con l’approfondimento della matrice filosofica o religiosa delle norme, oppure di indicare il sostrato sociale e quello economico delle regole, o addirittura gli aspetti antropologici, in una rincorsa

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sempre più ardua verso mete peraltro ignote. Sono inviti ad avvicinarsi a saperi che un giurista di solito non è in grado di apprezzare, per cui conviene resistere alle tentazioni, restando fedeli al proprio compito, già di per sé non agevole.

III - L’occasione congressuale non può essere utilizzata per un’esposizione troppo dettagliata, ma è preziosa almeno per dire qualcosa sulla struttura del processo di common law, scegliendo quello federale americano, e avvertendo che esso è per certi aspetti diverso da quelli degli Stati, però con omogeneità nelle scelte fondamentali.

Ovunque gli atti introduttivi (pleadings) delimitano il contenuto delle domande e delle risposte. L’iniziativa si assume con un atto di complaint, dove sono indicate le ragioni del chiedere e le pretese, e a queste il convenuto risponde con un atto che contiene le sue ragioni (answer). Segue la fase istruttoria, quasi totalmente gestita dalle parti, nella quale si utilizzano i c.d. discovery devices, espressione che designa le iniziative di valenza probatoria. Nell’ambito di questi è ricorrente la richiesta di rispondere, per scritto, e obbligatoriamente, con vincolo di verità, a una serie spesso molto consistente di domande rivolte alle parti, ai testi, con richieste di ammissioni e/o di produzioni.

Segue la fase dibattimentale (trial) nel corso della quale si acquisiscono le prove, si discute la causa, e quindi si va in decisione: nel caso di jury trial il giudice trae le conseguenze di diritto dall’accertamento dei fatti operato dalla giuria. Non ci sono comparse conclusionali o altri scritti difensivi di carattere finale e riassuntivo che posticipino nel tempo la pronuncia.

Il tratto essenziale è il seguente: il giudicante interviene pochissimo prima della fase decisoria e quando, nella fase finale, conosce compiutamente della controversia, la decide senza ritardo. Verso questo modello muovono altri sistemi anche continentali. Ad esempio quello spagnolo, il cui processo civile riformato nel 2000, adesso prevede un’udienza preliminar per la delibazione delle questioni controverse,

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e quindi un’udienza di trattazione, acquisizione delle prove, discussione e decisione, attuando i principi di oralità, concentrazione, e immediatezza condivisi e propugnati in tutta Europa.2

Non solo ma la stessa tendenza si registra nell’arbitrato internazionale, persino nell’ambito dei Paesi di civil law, dove è frequente che gli arbitri all’inizio si limitino a dare indicazioni per lo svolgimento della fase istruttoria,affidata comunque alle parti, e concentrino quindi la cognizione in un periodo breve, con discussione finale seguita dalla pronuncia del lodo.

IV – 3) Le alternative alla giustizia statale.

Com’è noto, nel nostro sistema, come in tutti i maggiori, se il diritto sostanziale riconosce una situazione soggettiva di vantaggio (pretesa), quella situazione deve poter essere azionata in giudizio senza bisogno dell’autorizzazione di nessuno (art. 24 Cost.; art. 47 Carta dir. fondam. dell’Unione europea). Parafrasando il motto dei movimenti americani per i civil rights, viene da dire one right – one judge, a significare che la tutela giurisdizionale di qualunque diritto dev’essere comunque garantita.

Trattasi di una conquista della prima metà del secolo scorso che chiude un processo evolutivo che in un remoto passato vedeva la tutela giurisdizionale garantita solo per un numero limitato di situazioni (specificatamente in common law, per i reati più gravi, per le imposte dovute alla Corona, e per la grande proprietà terriera), numero progressivamente ampliato fino alla situazione attuale, dove gli ostacoli insistono sul piano economico e sociale, ma non giuridico.

Volgiamoci adesso a una importante presa di posizione del Presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, che compare nella sua Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2011, svolta a Roma il 26 gennaio 2012. Si legge dunque che vi sarebbe finalmente “consapevolezza che la

2 La legge regolatrice del processo spagnolo è la Ley de Enjuiciamiento Civil emanata all’inizio del 2000, poi più volte modificata: fra i primi commenti ved. F. Ramos Mendez Guía para una transición ordenada a la LEC, Barcelona, 2000.

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giurisdizione è una risorsa limitata, delicata, costosa e preziosa, e perciò da non sprecare disperdendola in mille rivoli sul territorio o impegnandola a tutela indiscriminata e inefficace di una miriade di beni, mentre invece va riservata per meglio garantire beni fondamentali, affidando altri legittimi interessi a valide e diverse alternative di tutela”.

Al momento le uniche due proposte che potrebbero valere come alternative accettabili sono l’ADR e il coinvolgimento degli avvocati nella gestione del contenzioso, entrambe fortemente sostenute dall’Unione Europea.

La prima opera al di fuori del processo, e intende favorire la sistemazione negoziale della controversia. L’istituto è visto con favore, tanto che nell’Atto per il mercato unico (del 2011), la Commissione ha stabilito che una delle dodici Azioni Chiave da intraprendere sia proprio quella tesa a promuovere la risoluzione stragiudiziale delle controversie. In effetti l’Unione, già attiva nel settore, si è impegnata in tal senso con direttive, workshops, studi sull’effettivo operare dell’istituto nei vari Paesi, formalmente limitandosi all’ADR nelle controversie trasfrontaliere, ma in realtà suggerendo la diffusione dell’alternativa anche a livello nazionale.

C’è un equivoco che deve essere ancora chiarito. L’ADR nasce come strumento facilitativo della composizione negoziale ed è inutile, anzi controproducente, tentare di trasformarlo in un simil processo destinato all’accertamento di ragioni e torti. Trattasi di un’ambiguità di fondo che segna anche la proposta di Direttiva del 29 novembre 2011 concernente le controversie transfrontaliere dei consumatori, dove da un lato, si chiede agli Stati membri di impegnarsi in uno sforzo organizzativo importante (molte sedi, personale qualificato, ogni possibile garanzia)3, ma dall’altro si nega l’obbligatorietà del tentativo negoziale, col rischio che nessuno si giovi dell’apparato4, e si ammette che le parti possano

3 Ne trattano gli artt. 5-7, dove tra l’altro si vuole che venga predisposto un numero ampio di organismi di ADR in tutto il territorio nazionale; si chiede che le persone fisiche incaricate della risoluzione alternativa possiedano “le conoscenze, le capacità e l’esperienza necessaria”, si pretende la gratuità delle procedure, e una durata minima delle stesse, si pretende la motivazione (art.9).

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esperirlo anche senza valersi dell’assistenza di un legale5. L’ambiguità sta appunto nel fatto che l’ADR non è processo, e non può aspirare a farsi tale, pena una declaratoria di incostituzionalità, che affosserebbe definitivamente uno dei pochi tentativi accettabili di offrire agli sfortunati litiganti una sede più accessibile di sistemazione delle controversie.

V - Anche il coinvolgimento dei laici nella decisione delle controversie è misura auspicata dall’Unione Europea impegnata in una vasta indagine, ancora in corso (e non facile da organizzare). Trattasi peraltro di misura meno innovativa della precedente, di carattere endoprocessuale, con antiche e consolidate tradizioni nell’esperienza comparativa, dove il maggior numero di controversie risulta decisa da laici (avvocati e non).

In Italia, il potenziamento del ruolo dei laici è misura più gradita dell’ADR, perché comunque è attività che rientra nell’ambito giurisdizionale, interna all’apparato di tutela statale, in linea con la tradizione nazionale. In questo momento, più che all’istituzione di sezioni specializzate, si pensa ad aumentare le competenze e il ruolo dei giudici di pace e dei giudici onorari presso il Tribunale (ma più dei primi che dei secondi). L’orientamento va incoraggiato, con impegno di tutti a trovare soluzioni più che sollevare eccezioni ed opporsi a qualunque iniziativa appena diversa dal ritocco di qualche termine processuale. Certamente, i problemi ci sono: i laici coinvolgibili possono essere solo gli avvocati, esclusi i portatori di saperi non giuridici; occorre calibrare la durata degli incarichi, individuare le cause di incompatibilità e prevedere controlli, ma tutto sommato non c’è nulla di impossibile.

Se dagli altri la giustizia civile funziona, perché non dovrebbe anche da noi?

5 Art. 8, I c., lett. b: “le parti hanno accesso alla procedura senza essere obbligate a ricorrere a un professionista legale;

tuttavia le parti possono essere rappresentate o assistite da terzi in qualsiasi fase della procedura”.

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