Relatore:
Per. Ind. SILVANO SIMONCINI
PIANORO – BOLOGNA
CONVEGNO DI VIAREGGIO 3-4 OTTOBRE 2003
Sollecitazioni meccaniche e lesioni
Il perito meccanico è in grado di fornire al medico l’entità, o quantomeno l’ordine di grandezza, delle sollecitazioni meccaniche conseguenti ad una collisione, calcolando le accelerazioni intese in senso algebrico, vale a dire positive o negative ; in realtà il più delle volte si tratterà di
decelerazioni conseguenti ad urto, nonché di forze
applicate al corpo di coloro che sono stati coinvolti in collisioni: può trattarsi di pedoni, di motociclisti o di automobilisti.
Nei capitoli successivi si fa una breve sintesi delle unità di misura e delle principali leggi fisiche a cui si farà costante riferimento nella successiva trattazione.
Si adotterà il Sistema di Misura Internazionale,
abbandonando il cosiddetto “Sistema degli ingegneri”, ormai in disuso in ogni Paese.
LE UNITA’ DI MISURA: IL SISTEMA INTERNAZIONALE
LUNGHEZZA METRO m.
MASSA CHILOGRAMMO Kg.
TEMPO SECONDO sec.
s
VELOCITA’ v = ---- m/sec.(Km/h)
t v
ACCELERAZIONE a = --- m/sec²(g)
t
FORZA F = m . a 1 Kg.f = 9,8 N Newton(N)
LAVORO L=F.s 1 Kg.m = 9,8 J
Joule(J) L
POTENZA P=---- 1 CV = 735 W =
t = 0,735 Kw
Watt(W)
Nelle tabelle precedenti si riportano le unità di misura ed i relativi simboli per le grandezze maggiormente impiegate.
La velocità, come si vedrà meglio in un capitolo
successivo, corrisponde nel moto uniforme allo spazio percorso nell’unità di tempo.
L’accelerazione invece rappresenta la variazione di velocità, sempre con riferimento all’unità di tempo e così pure la forza quale prodotto della massa per
l’accelerazione; il lavoro prodotto della forza per lo spostamento che la stessa forza produce; la potenza il lavoro prodotto nell’unità di tempo.
Nei calcoli si dovrà porre la massima attenzione
nell’impiego delle unità di misura sopra indicate: ad esempio per la velocità si adopererà sempre il mt/sec.
(il riferimento al Km/h ha una sua indiscutibile
rilevanza pratica, ma tale unità di misura non potrà essere impiegata nei calcoli) così come
l’accelerazione va espressa in mt/sec². e non in g.; la potenza in Watt e non in cavalli.
Ad esempio la potenza di un’autovettura viene spesso indicata in cavalli, mentre nella carta di circolazione è espressa in Kwatt (è sufficiente dividere il valore
indicato in Kwatt per 0,735 ed ottenere la potenza espressa in cavalli).
LA VELOCITA’ NEL MOTO UNIFORME
1 m/sec. = 3,6 Km/h
Quindi per passare dai Km/h al m/sec. si divide per 3,6 v = 50 (Km/h) / 3,6 = 13,88 m/sec.
Per un pedone
v = 4 (Km/h) / 3,6 = 1 m/sec. circa Con una corsa lenta
v = 8 (Km/h) / 3,6 = 2,2 m/sec.
A 100 Km/h
v = 100 (Km/h) / 3,6 = 27,7 m/sec.
Come si è già indicato nei capitoli precedenti, l’unità di misura per la velocità è rappresentata dal mt/sec.:
una velocità espressa in Km/h dovrà pertanto essere divisa per 3,6 (che ovviamente si ricava dal rapporto esistente fra metro/chilometro e secondo/ora).
Ad esempio un pedone che attraversa la strada a
velocità normale, circa 3,5-4 Km/h, avanza con una velocità di 1 mt/sec..
CINEMATICA: MOTO UNIFORME – VELOCITA’ COSTANTE
Si è nell’ambito della cinematica finché la velocità rimane costante. Lo spazio è
s = v . t Esempio:
v = 90 Km/h = 25 m/sec. se t = 4 sec.
s = 4 . 25 = 100 m. da cui si ricava
s s
V = --- t = ----
t v
Spesso nelle ricostruzioni degli incidenti stradali si confonde cinematica con dinamica.
La differenza è sostanziale: un corpo che si muove ad una certa velocità in assenza di forze applicate a quel corpo la velocità rimane costante: si è nell’ambito della
cinematica.
Ad esempio un’autovettura che procede a 90 Km/h, 25 mt/sec., dopo 4 secondi avrà percorso uno spazio di 100 metri.
Esiste inoltre un rapporto diretto fra le tre grandezze, spazio, velocità e tempo, come indicato nella tabella precedente.
DINAMICA: MOTO UNIFORMEMENTE ACCELERATO O RITARDATO
Tutte le volte che ad un corpo si applica una forza se ne varia la sua velocità.
Si entra nell’ambito della dinamica:
v
a = --- m/sec²
t
Si passa dalla cinematica alla dinamica tutte le volte che si applica ad un corpo una forza F.
Si otterrà come risultato una variazione di velocità: tale grandezza è rappresentata dall’accelerazione quale
variazione della velocità nell’unità di tempo.
Si ha pertanto:
F
a = --- m
Da cui si ricava che tutte le volte che ad un corpo si applica una accelerazione a viene sottoposto ad una
forza F = m . a
Unità di misura:
9,8 m/sec² = 1 g.
Lo spazio percorso:
1
s = --- . a . t² 2
se a = 1,5 m/sec² t = 3 sec.
lo spazio percorso sarà:
s = 6,7 metri
L’unità di misura dell’accelerazione è il mt/sec².
Spesso si fa riferimento all’accelerazione di gravità, che com’è noto corrisponde a 9,81 mt/sec², e viene indicata con il simbolo g.
Decelerazione:
Nel caso di frenata, con coefficiente f = 0,7
la decelerazione risulta:
d = f . g = 0,7 . 9,81 = 6,8 m/sec
²Con una frenata di 15 m la velocità è data dalla formula:
v = 2 . a . s = 2 . g . f . s = 14,3 m/sec. = 52 Km/h
Il coefficiente cosiddetto “di efficacia frenante” f con valore indicato nella precedente tabella pari a 0,7,
dipende, oltre che dallo stato dei pneumatici, dallecondizioni del fondo stradale.
Mediamente si considera pari a 0,7 per l’asfalto asciutto e pari a 0,5 (o 0,55) per l’asfalto bagnato,
coefficiente che si riduce in caso di fondo innevato a 0,3-0,2 od anche 0,1-0,2 con superficie ghiacciata.
La formula per il calcolo della velocità nel moto uniformemente decelerato (frenata) ci consente di
calcolare la velocità in funzione della lunghezza della traccia di frenata: ad esempio con una traccia frenata di 15 metri si azzera una velocità di circa 50 Km/h su fondo stradale asciutto.
Si faccia però attenzione come tale formula può essere impiegata solo nel caso in cui il veicolo si areresti al termine della frenata senza collidere.
LA COLLISIONE
La collisione non è altro che una decelerazione molto violenta.
Ad esempio un’autovettura che procede alla velocità di 50 Km/h, con una brusca frenata può arrestarsi in uno spazio di 15 metri in un tempo, tenuto conto della velocità media da 50 a 0 pari a 25 Km/h, 7,6 mt/sec., di circa:
15
t = --- = 2 secondi 7,6
La stessa autovettura, come si vede nel quadro
successivo, sottoposta a prove di crash alla velocità di 55 Km/h, si arresta dopo avere subito uno
schiacciamento dei lamierati nella parte frontale per 60 cm., in un tempo di 0,08 secondi.
La decelerazione, che nel caso di una normale frenata risulta :
d = f . g = 0,7 . 9,8 = 6,8 mt/sec²
aumenta enormemente, come si vede nella tabella successiva, e raggiunge i 191 mt/sec², corrispondenti a 19,5 g.
Come si vedrà meglio nei grafici successivi, il quadro lesivo è funzione non solo della decelerazione a cui è sottoposto il corpo, ma prevalentemente della
decelerazione di picco che può, in prima
approssimazione, considerarsi pari al doppio della decelerazione media, come indicato nella tabella successiva, cosicché si raggiungono i 39 g. di
decelerazione.
Nelle due tabelle successive si fa ancora riferimento alla prova di collisione alla velocità di 55 Km/h
contro ostacolo rigido, con schiacciamento del frontale dell’autovettura di circa 50-60 cm. e
conducente regolarmente ancorato dalla cintura di sicurezza.
Ebbene, lo stesso conducente viene sottoposto al momento dell’urto ad una forza di ben 2730 Kg.,
vale a dire il suo corpo acquista un peso, al momento dell’urto, simile a quello di un furgone medio, tipo DUCATO, parzialmente carico.
E’ evidente che il conducente, od anche il
trasportato, non hanno alcuna possibilità di porre in atto un’azione di protezione avvalendosi della forza muscolare, ma qualsiasi protezione non può che
essere di tipo passivo (cinture di sicurezza) od attivo (airbag).
In un capitolo successivo vedremo quale tipo di
protezione può garantire un corretto allacciamento delle cinture di sicurezza.
DECELERAZIONI – VIS LESIVA
Urto di un’autovettura di grossa cilindrata 1500 Kg.
contro ostacolo rigido.
Velocità d’urto 55 Km/h = 15,3 m/sec.
Profondità delle deformazioni 60 cm. = 0,6 m.
S 0,6
Tempo d’urto t = ---- = --- = 0,08 secondi
Vm 7,6 v 15,3
d = --- = --- = 191 m/sec² = 19,5 g t 0,08
La decelerazione di picco:
dp = 19,5 . 2 = 39 g.
Nel momento di picco il corpo è proiettato in avanti con una forza:
F = m . a = 70 . 39 = 2730 Kg.
vale a dire il peso di un medio autocarro tipo
DUCATO, con oltre metà del proprio carico.
DECELERAZIONI E VIS-LESIVA
Lo si è già indicato ripetutamente: il quadro lesivo- fratturativo che subisce colui che è coinvolto in una collisione dipende direttamente dal grado di decelerazione a cui lo stesso è sottoposto.
Ricordando la decelerazione:
v d = ---
t
è quindi evidente che il suo valore è direttamente proporzionale alla velocità, ma inversamente proporzionale al tempo.
Si tratta quindi da un lato di ridurre la velocità di
collisione, dall’altro di aumentare il più possibile il tempo in cui tale decelerazione si realizza.
Quando purtroppo tale tempo si riduce a valori molto bassi, le lesioni saranno inevitabilmente gravi.
Ciò accade nel caso di urti frontali contro ostacoli rigidi, muri, pali, alberi.
Per contro anche urti che si producono a velocità
elevate ma risultano parzialmente tangenziali rispetto all’ostacolo, ad esempio la collisione decentrata
contro un albero, che consente all’autovettura di
sfuggire oltre l’ostacolo con una velocità residua che andrà ad esaurirsi in successivi scarrocciamenti,
ridurranno in modo importantissimo il quadro lesivo per gli occupanti.
Quando, viceversa, l’urto è diretto, frontale, baricentrico, cioè centrale, si possono avere sollecitazioni meccaniche elevatissime.
Ad esempio: un ciclista od un motociclista che
procede alla velocità di 20 Km/h e va ad impattare frontalmente un muro, o altro ostacolo rigido, un albero od un palo, battendo ad esempio il capo ed
ipotizzando una deformazione della teca cranica di 2 cm. (probabilmente sono già troppi), si ottiene una immediata riduzione della velocità che, ad esempio, dai 20 Km/h si annulla in un tempo:
s 0,02
t = --- = --- = 0,0072 secondi vm 2,77
a cui corrisponde una decelerazione:
5,55
d = --- = 770 mt/sec² = 79 g.
0,0072
Come si vedrà in una tabella successiva, tale valore rappresenta già la soglia massima tollerabile per il corpo umano.
Si tenga presente che con tale decelerazione il corpo viene scagliato contro l’ostacolo con una forza:
f = m . a = 70 . 79 = 550 Kg. = 55 Q.li
(è il peso di un autocarro di grosse dimensioni), tutto ciò con la velocità di soli 20 Km/h!
Non debbono, di conseguenza, creare incredulità lesioni che possono prodursi all’interno di un’autovettura con velocità d’impatto decisamente modeste.
Nelle successive figure si indicano due punti, nella scocca di qualsiasi autovettura, ad alto rischio,
rappresentati dai robusti montanti.Così il montante centrale del fianco sinistro, che si trova mediamente ad una distanza di 15-20 cm. dal capo del conducente (M1 nella successiva figura).
Nel caso di tamponamento disassato l’autovettura
subisce un moto rototraslatorio (sagoma tratteggiata), cosicchè il capo del conducente A arretrando (nel
moto relativo con la scocca dell’autovettura, in realtà è l’autovettura che subisce un’accelerazione in
avanzamento in seguito al tamponamento) finisce con l’interferire con il montante che dal punto M1 all’urto si porta nel punto M2 nel corso del moto rotatorio.
Si ha quindi un impatto violento della nuca, o della zona temporale, contro il robustissimo montante, dotato il più delle volte di un modesto rivestimento, con possibilità di produrre lesioni anche gravissime.
Nella successiva figura si considera l’urto dell’autovettura contro un ostacolo X, con conseguente moto rototraslatorio in senso orario.
Il capo del trasportato A subisce uno spostamento inerziale in avanti S, mentre il montante destro del parabrezza, M1, si sposta, nella fase rotatoria, nel
punto M2.
Il capo va quindi ad interferire direttamente con il montante e, anche in questo caso, si possono produrre lesioni gravissime, anche in caso di collisioni a velocità relativamente modeste.
Nella figura successiva si indicano i punti ad alto rischio:
A – montante anteriore destro del parabrezza B – specchietto retrovisore interno
C – montante centrale laterale
ANCORA SULLE MODALITA’ DI
DECELERAZIONE E LA CONSEGUENTE VIS-LESIVA
Nella figura successiva si considera l’urto di un motociclo contro la fiancata di un’autovettura: la ruota anteriore fa da fulcro, si solleva la parte posteriore del motociclo ed il trasportato supera d’un balzo il tetto dell’autovettura e può finire anche ad una distanza di molti metri dal punto d’urto.
In questo caso il trasportato subisce lesioni non gravi, in quanto la sua velocità si è esaurita in un tratto piuttosto lungo (con strisciamento o rotolamento al suolo).
Per contro il conducente, che si trova in una posizione più avanzata, non riesce a superare la sagoma dell’autovettura, impatta violentemente contro la fiancata sinistra, subendo lesioni spesso gravissime in quanto, lo si ripete per l’ennesima volta, l’azzeramento della sua velocità avviene in un
tempo molto breve.
Le sue possibilità di difesa sono rapportate unicamente alla deformabilità dei lamierati dell’autovettura (modeste per le parti scatolate - montanti e bordo del tetto) e alla deformazione dello strato di polistirolo espanso del casco.
SOLLECITAZIONI MECCANICHE AL
LIMITE DELLA TOLLERABILITA’ PER LA RESISTENZA UMANA
Si tratta di una tabella pubblicata sulla rivista
“Quattroruote” di alcuni anni fa.
Il crash-test faceva riferimento ad un urto contro ostacolo rigido ad una velocità di 55 Km/h, con vetture di massa medio-alta.
Il manichino era regolarmente ancorato con le cinture di sicurezza.
Ciò nonostante, come si può rilevare dalla successiva tabella, il conducente, ed in alcuni casi anche il
passeggero, subiscono decelerazioni al capo al limite della resistenza umana (80-90 g.)
Significativa anche la forza esercitata sulla cintura di sicurezza, vicina al limite della resistenza umana (che può raggiungere gli 850-900 Kg., il ché significa che un corpo di massa di 70 Kg. viene scagliato contro le
cinture di sicurezza con una forza corrispondente al peso medio di una “PANDA”).
Tutte le considerazioni svolte in questo capitolo, ed anche nei capitoli successivi, fanno riferimento a
sollecitazioni meccaniche che si producono in un tempo non superiore ai 3 millesimi di secondo.
Nelle schede successive si riportano i valori
dell’energia cinetica assorbita per deformazioni permanenti.
Si ricorda che l’energia cinetica è il vero nemico da fronteggiare nel caso di collisione, in quanto tale
energia deve essere in qualche modo dissipata,
possibilmente nel tempo più lungo, così da azzerare la velocità dell’automezzo.
La formula per il calcolo dell’energia cinetica, per un corpo di massa M, risulta
1
E = --- . M. v² 2
Come si vede quindi è proporzionale al quadrato della velocità ed è solo per tale ragione che, ad incrementi di velocità apparentemente modesti, corrisponde in realtà un aggravio, in termini di conseguenze lesive,
elevatissimo.
Ad esempio un’autovettura che procede alla velocità di 50 Km/h ha energia cinetica proporzionale al quadrato della velocità, quindi semplificando al massimo,
diciamo 5 . 5 = 25.
La stessa autovettura che procede con soli 20 Km/h in più (70 Km/h) ha energia cinetica proporzionale a
7 . 7 = 49.
Come si vede passando dai 50 ai 70 Km/h l’energia cinetica praticamente raddoppia.
Ed è proprio l’energia cinetica che dovremo
“consumare” con la frenata oppure, purtroppo, al momento dell’impatto con le deformazioni.
Nelle tabelle successive si riportano tre casi di
collisione che interessano autovetture di elevata o media cilindrata con diverse velocità d’impatto.
Ciò ha l’unico scopo di fornire una indicazione pratica riguardo la quantità di energia in gioco, espresse in
Joule.
ENERGIA CINETICA E LAVORO PER DEFORMAZIONI PERMANENTI
1°) MERCEDES:
velocità d’urto v = 55 Km/h contro ostacolo rigido:
Energia cinetica:
E = 0,5 . m . v
² = 0,5 . 1500 . 15,3 .15,3 = 175.000 JCome si vede con urto alla velocità di 55 Km/h contro ostacolo rigido si producono danni gravissimi alla scocca dell’autovettura e, in questo caso, anche al capo del conducente, in quanto una insufficiente protezione della cintura di sicurezza, per un fatto puramente geometrico, consente al capo di raggiungere la corona del volante e quindi di subire decelerazioni molto elevate, di circa 170 g., che potrebbero quindi essere mortali.
2°) FIAT TIPO
p = 1000 Kg. v = 50 Km/h = 13,88 m/sec.
Energia cinetica:
E = 0,5 . 1000 . 13,88
² = 96.000 JouleCome si vede con collisione a 50 Km/h contro ostacolo rigido tutta l’energia cinetica si trasforma un deformazioni permanenti per circa 90-100.000 Joule.
3°) VW GOLF:
p = 1000 Kg.
v = 15,3 Km/h = 4,3 m/sec. contro ostacolo rigido Profondità delle deformazioni 19 cm. = 0,19 metri Energia cinetica:
e = 0,5 . 1000 . 4,3² = 9.140 Joule
Si tratta di urto a velocità limitatissima, circa 15 Km/h, e con deformazioni di circa 9.000 Joule.
Le decelerazioni che subisce la scocca non superano i 5 g., con riferimento ad una profondità delle
deformazioni di 19 centimetri.
s 0,19
Tu = --- = --- = 0,088 sec.
v . m 2,15
decelerazione:
v 4,3
d = --- = --- = 48,8 m/sec² = 5 g.
t 0,088
LE CINTURE DI SICUREZZA
In questo capitolo ci proponiamo di comprendere le ragioni tecniche per cui un corretto allacciamento delle cinture di sicurezza può in realtà salvare la vita.
Come sempre si fa riferimento a velocità medie di collisione di 50 Km/h con urto contro ostacolo rigido.
Si tenga presente che tale velocità, che può apparire troppo bassa per gli incidenti che avvengono nei tratti extraurbani od autostradali, in realtà rappresenta un
test notevolmente severo: la maggior parte degli incidenti non accade con riduzione velocità
notevolmente superiore al valore già indicato di 50 Km/h.
Ad esempio nel caso di un urto alla velocità di 100 Km/h da parte di un’autovettura contro altro veicolo di massa simile fermo, i due veicoli proseguono nella fase postcollisione con velocità inferiore a 50 Km/h, e quindi con decelerazione del veicolo tamponante da 100 a 50 Km/h ed accelerazione del tamponato da 0 a 50 Km/h.
Anche nell’urto frontale fra i due veicoli di massa
simile che procedono ciascuno a 50 Km/h, è pur vero che la velocità relativa è di 100 Km/h ma, in realtà, i due automezzi si “stoppano” reciprocamente, cioè
riducono ciascuno la propria velocità da 50 Km/h a 0.
Come si vedrà in un capitolo successivo risulta poi importantissimo l’angolo d’impatto e quindi lo
scarrocciamento sulla via di fuga postcollisione, che riduce in modo drastico le decelerazioni anche nel caso di velocità elevate.
Nelle tabelle successive si riportano le decelerazioni, che peraltro già conosciamo, nel caso di collisione di un’autovettura contro ostacolo rigido alla velocità di 50 Km/h abbiamo una decelerazione media di 20 g. ed un’accelerazione di picco attorno ai 40 g.
Nella successiva tabella si riporta lo stesso crash a 50 Km/h, senza l’uso delle cinture di sicurezza.
E’ necessario comprendere bene qual è il meccanismo riguardante le decelerazioni nell’uno e nell’altro caso.
Nel caso del mancato allacciamento della cintura di sicurezza il veicolo urta con la parte frontale
l’ostacolo, inizia uno schiacciamento progressivo per 50-60 cm. ma, in tale lasso di tempo l’occupante,
completamente libero, mantiene la velocità costante di 50 Km/h e nel momento in cui l’automezzo si
arresta definitivamente, nel momento di massima compenetrazione dei lamierati, l’occupante impatta violentemente contro il volante, contro il cristallo
parabrezza o contro il cruscotto possedendo ancora, lo si ripete, la propria velocità iniziale di 50 Km/h.
L’arresto avviene in modo pressoché istantaneo,
usufruendo di uno schiacciamento modestissimo (4, 5, 6 cm., deformazione del volante, del cruscotto, del
cristallo parabrezza) e quindi con decelerazioni che vengono decuplicate rispetto a ciò che si verifica con cintura regolarmente allacciata che consente al
trasportato di far corpo unico con la scocca.
Si riporta ancora la tabella ricavata dalle prove di crash effettuate dalla rivista “Quattroruote”, ove si evidenzia come con urto alla velocità di 55 Km/h contro ostacolo rigido si raggiungono, e spesso si superano, i valori corrispondenti alla massima
resistenza del corpo umano.
CON O SENZA CINTURA?
1°) Con cintura:
v = 50 Km/h contro ostacolo rigido sd = 0,6 m
d = 20 g.
2°) Senza cintura:
Lo schiacciamento è quello modestissimo della volta cranica contro il cristallo parabrezza, massimo 4-5-6 cm.
sd = 0,06 m
e la decelerazione, naturalmente, aumenta di
dieci volte, quindi è uguale a 200 g.
LE GRANDI FORZE IN GIOCO SU OGNI PARTE DEL CORPO UMANO NEL CASO
DI URTO CENTRALE BARICENTRICO
Si è visto nei capitoli precedenti come anche con velocità dell’ordine dei 40-50 Km/h si possono facilmente raggiungere decelerazioni elevatissime.
L’arresto avviene in modo pressoché istantaneo, usufruendo di uno schiacciamento modestissimo (4, 5, 6 cm., deformazione del volante, del cruscotto, del cristallo parabrezza).
Si è constatato come in un numero significativo di incidenti con grandi decelerazioni, si produca la rottura nel punto di collegamento dell’aorta con il cuore.
Nella tabella successiva si indicano le forze a cui è assoggettato il cuore, per il quale si è ipotizzato un peso di 300 Kg., con decelerazioni di 30 g. (9 Kg.) , con decelerazioni di 20 g. (6 Kg.) e con decelerazione di 200 g. (60 Kg.).
Tale forza si esplica mediamente dopo 6-7 centesimi di secondo dal momento del primo contatto.
La rottura è dovuta all’improvviso spostamento in
avanti della massa del cuore, che oscilla con una certa libertà nella cavità toracica, mentre l’aorta è
maggiormente ancorata: da qui il distacco fra i due corpi
Forza di trazione del cuore sull’aorta nell’urto frontale
Peso 300 gr d = 30 g (con cintura) F = m x a = 0.3 x 30 = 9 kg
Peso 300 gr d = 20 g (con cintura) F = m x a = 0.3 x 20 = 6 kg
Peso 300 gr d = 200 g (senza cintura)
F = m x a = 0.3 x 200 = 60 kg
L’USO DEL CASCO
E’ incredibile quanti anni siano stati necessari per rendere obbligatorio l’uso del casco per tutti i conducenti i motocicli ed i ciclomotori: evidentemente il legislatore è rimasto bloccato per anni non da considerazioni di carattere tecnico, ma di altra natura.
In decine e centinaia di casi si è dovuto constatare come il mancato uso del casco sia stato all’origine delle lesioni mortali, e ciò non può certo meravigliare se si considerano le due successive tabelle che indicano le decelerazioni con e senza casco.
Nel caso di uso del casco l’urto viene “ammortizzato”
dal rivestimento interno, il cui spessore risulta essere attorno ai 3 cm.: la velocità d’impatto viene quindi ad azzerarsi nello spazio corrispondente allo
schiacciamento, appunto di 3 cm. già indicato.
Seguendo la procedura di calcolo già indicata si
perviene ad una decelerazione di 51 g., con urto a 20 Km/h contro ostacolo rigido (si veda tabella
successiva).
Nell’ulteriore tabella si ripete il calcolo d’urto con velocità a 20 Km/h senza casco: lo spazio di azzeramento della velocità è quella consentito dallo schiacciamento dell’epidermide e dei pochissimi tessuti sottostanti e dell’elasticità della teca cranica, ipotizziamo 4-5 mm., certamente non di più.
Si giunge ad una decelerazione, nel caso d’urto, di ben 314 g., quindi ampiamente al di sopra di qualsiasi possibilità di tolleranza da parte del corpo umano.
IL CASCO
1°) Con casco.
Velocità d’urto v = 20 Km/h = 5,55 m/sec.
Schiacciamento del casco S = 0,03 m. cioè 3 cm.
0,03 5,55
t = --- = 0,011 d = --- = 504,5 m/sec
²
= 51,4 g.2,77 0,011
2°) Senza casco.
V = 20 Km/h = 5,55 m/sec.
S = 0,005 m.
0,005 5,55
t = --- = 0,0018 d = --- = 3083 m/sec
²
= 314 g.2,77 0,0018
PERCHE’ SI MUORE CON UN URTO A 40 Km/h MENTRE CI SI PUO’ SALVARE CON
UN URTO A 130 Km/h
Spesso si dice che è inutile approfondire più di tanto le ricostruzioni meccaniche degli incidenti in quanto a volte ci si salva con urti avvenuti ad alta velocità, altre volte le lesioni risultano mortali con collisioni a velocità decisamente più ridotte.
In realtà è possibile al perito meccanico ricostruire la dinamica degli incidenti e valutare quali siano state caso per caso le decelerazioni, e quindi le forze in gioco.
Nella sottostante scheda, in corrispondenza del punto A, si considera una collisione di tipo frontale: tutta la velocità dell’automezzo si azzera in meno di un decimo di secondo.
Nello schema B si indica un urto con angolo di incidenza di 45°.
La velocità V si scompone nelle due componenti: Vp perpendicolare, che viene azzerata dall’ostacolo, e Vt la componente tangenziale che corrisponde a quella di fuga.
La velocità Vp risulta, come si vede, ridotta del 30%
rispetto a quella totale.
Nel caso C, con angolo di incidenza di 20° (è il caso di urti di tipo autostradale contro new-jersey o guard- rail) la velocità perpendicolare, cioè quella azzerata nel momento dell’impatto, corrisponde al30
% della velocità d’urto mentre la componente Vt tangenziale, cioè la velocità di fuga, corrisponde al 94% della velocità d’impatto.
RAPPORTO FRA ACCELERAZIONE E VELOCITA’
Spesso le riviste tecniche riportano i grafici
riproducenti le accelerazioni, positive e negative, a cui è sottoposto il corpo nel caso di collisione.
Non si debbono confondere tali grafici con quelli rappresentanti le velocità e neppure supporre che vi sia una similitudine fra l’andamento dei grafici stessi.
Nella sottostante figura è rappresentato l’andamento delle decelerazioni in senso algebrico, quindi di rallentamento (d tratteggiato – dall’1 al 5) e di accelerazione, quindi valore positivo (punteggiato dal 5 al 9).
Nel sottostante grafico si indica l’andamento della velocità, ad esempio del corpo di una persona che si trova su un’autovettura coinvolta in un incidente.
Nel tratto 1-3 la decelerazione raggiunge il valore massimo, e quindi a questo corrisponde l’abbassarsi della velocità dal punto I’ al punto 3’, con un punto di flessione nel punto 2 (2’).
Il valore della velocità poi continua ad abbassarsi fra i punti 3’ e 5’ in quanto, come si vede, la decelerazione prosegue sia pure in quantità sempre più ridotta fino al punto 5, ove si azzera.
Il corpo poi, per una sorta di rimbalzo, subisce
un’accelerazione nel senso originario di provenienza fra i punti 5 e 9 e corrispondentemente la velocità
aumenta in modo via via crescente dal punto 5’ al 7’, per poi continuare a crescere dal 7’ al 9’, sia pure in quantità più ridotta.
Nei due grafici sottostanti si riportano dapprima la velocità e quindi le decelerazioni ed accelerazioni riferite al movimento del capo di un conducente un’autovettura sottoposta a collisione.
Nel tratto 0-1 la velocità rimane più o meno costante, quindi l’accelerazione è nulla.
Nel tratto successivo, da 1 a 3, la velocità si azzera e corrispondentemente la decelerazione passa da 1’ a
3’, raggiungendo il valore massimo nel punto 2’, a cui corrisponde la massima riduzione di velocità nel
punto 2.
La velocità poi inverte segno (parte tratteggiata del primo grafico) ed aumenta via via in senso opposto rispetto a quello originario fra i punti 3 e 5.
Corrispondentemente abbiamo un incremento di
velocità, quindi accelerazione riportata fra i punti 3’ e 5’ nel sottostante grafico, con un valore di picco nel punto 4’ corrispondente al momento di massimo
incremento di velocità (punto 4).
La velocità poi si riduce ancora a 0 fra i punti 5 e 7 e, corrispondentemente, si ha una decelerazione che
raggiunge ancora una volta il valore di picco nel punto in cui la velocità si riduce più rapidamente (punto 6) e così via.
Nel successivo disegno si indica nella parte alta l’andamento delle accelerazioni e decelerazioni e
nella parte inferiore l’andamento delle corrispondenti velocità, nel caso di tamponamento.
Il veicolo nel punto 1’ viene tamponato, la velocità aumenta rapidamente fino al punto 3’, a cui
corrisponde l’accelerazione 1-3 nel primo grafico con valori di picco nel punto 2 ove maggiore è
l’incremento di velocità.
Nel tratto successivo 3’-5’ la velocità del veicolo tamponato si riduce per esaurimento dell’energia
cinetica dovuta all’attrito volvente o, più direttamente, ad un’azione frenante e, corrispondentemente, si ha
una decelerazione che raggiunge il suo valore massimo nel punto 4.
In conclusione non è possibile avere un’intuizione immediata dell’andamento del grafico delle
accelerazioni in funzione di quello della velocità, se non ripetendo le considerazioni sopra esposte.
PERIZIA AFFIDATA CONGIUNTAMENTE AL MEDICO ED AL PERITO MECCANICO
Presso alcuni tribunali è invalsa, da alcuni anni,
l’abitudine di conferire incarico congiuntamente al perito medico ed a quello meccanico, in casi
particolarmente complessi.
Il perito meccanico, ricostruendo la dinamica dell’incidente, è in grado di indicare al medico quantomeno l’ordine di grandezza delle sollecitazioni meccaniche a cui sono stati sottoposti gli occupanti un veicolo al momento della collisione.
Spetterà poi al perito medico stabilire l’eventuale
nesso di causa fra tali sollecitazioni meccaniche ed il quadro lesivo-fratturativo dell’infortunato.
Un esempio: in un incidente stradale rimanevano coinvolte tre autovetture, così come indicato nel sottostante schema.
Una MERCEDES – veicolo A – veniva a collisione frontale con una GOLF – veicolo B.
In seguito all’urto questa autovettura veniva respinta all’indietro e raggiungeva la posizione 2, ove veniva urtata ancora frontalmente, in questo caso sul lato destro, da una ESCORT E, che precedentemente la seguiva.
La GOLF, subiva un ulteriore repulsione e rotazione, raggiungendo la posizione H, mentre la ESCORT si arrestava nel punto G.
Il conducente la GOLF veniva quindi sottoposto a due successivi urti, entrambi di notevole violenza, e
riportava lesioni mortali.
Il Magistrato chiedeva a quale delle due collisioni fossero riferibili le lesioni mortali.
Purtroppo, dopo l’incidente, era stata effettuata una semplice descrizione, peraltro molto sommaria,
relativa all’esame esterno del cadavere, mentre mancava l’autopsia.
Il Magistrato predisponeva la riesumazione del corpo e, come già detto, affidava l’incarico congiuntamente al medico ed al perito meccanico.
Il primo urto:
In seguito alla prima collisione, molto violenta, la
GOLF effettuava una violenta rotazione (R1) in senso antiorario e contestualmente veniva respinta
all’indietro.
In questa fase il capo del conducente H si spostava inerzialmente in avanti, mentre l’autovettura effettuava la rotazione, per cui il capo finiva con il collidere violentemente contro il montante anteriore sinistro nel punto R2.
Anche il corpo si abbatteva violentemente fra il
volante e la porta lato sinistro, mentre gli arti inferiori, in particolare quello sinistro, producevano grave
danneggiamento del sottostante cruscotto.
In realtà venivano rintracciati capelli sul montante anteriore sinistro ed una grande quantità di materiale ematico in corrispondenza del cruscotto e del pannello interno porta.
R2
H K
R1
Il corpo del conducente, in seguito al moto
rototraslatorio in repulsione seguito dalla GOLF, era pertanto sottoposto ad una forza di repulsione Fr1 e ad una forza Fr2, dovuta alla violenta rotazione del
veicolo e quindi con una risultante R che proiettava il corpo K verso lo schienale, in particolare del sedile passeggero, il cui telaio risultava gravemente
danneggiato.
La ricostruzione della dinamica dell’incidente per questa prima collisione portava ad una velocità della MERCEDES di 54 Km/h, la velocità della GOLF di 65 Km/h e quindi una velocità relativa di 105 Km/h.
Tenuto conto del rapporto fra le nasse si calcolava una velocità di repulsione della GOLF attorno ai 25 Km/h e quindi complessivamente la velocità della GOLF
passava dai 65 Km/h ad una velocità, in senso
opposto, di 25 Km/h, con un V di circa 90 Km/h.
Corrispondentemente il corpo era sottoposto ad una decelerazione dell’ordine di parecchie centinaia di g.
e, quindi, con riferimento ad una massa del corpo di 70 Kg. il corpo stesso, in questa prima collisione, era sottoposto ad una forza di quasi 2000 Kg., ben 20 Q.li.
Non vi è dubbio che si è trattato di un urto di estrema violenza.
K
R
Secondo urto: GOLF – ESCORT.
L’urto interessa la parte anteriore destra della GOLF.
Il corpo, accasciato fra i due sedili, viene proiettato contro le strutture interne inferiori dell’abitacolo sul lato destro, secondo la direttrice F.
La ricostruzione dinamica porta ad una velocità della ESCORT di 63 Km/h, velocità della GOLF già indicata di 25 Km/h ed una velocità di uscita dall’urto, ancora della GOLF, di 26 Km/h.
In conclusione quest’ultima è sottoposta ad un V, cioè ad una variazione di velocità complessiva di circa 50 Km/h.
In questo caso la decelerazione risultava attorno ai
100 g. e quindi nettamente inferiore a quella calcolata per il primo urto.
La relativa forza applicata al corpo risultava attorno ai 700 Kg.
C A B
F
Primo urto MERCEDES-GOLF Velocità all’urto Mercedes 54 km/h
Velocità all’urto Golf 65 km/h
Velocità di uscita dall’urto della Golf 40 km/h dV = 65 + 40 = 105 km/h
Secondo urto FORD ESCORT Velocità Escort 63 km/h
Velocità Golf 25 km/h
Velocità uscita dall’urto della Golf 26 km/h dV al secondo urto 25 + 26 = 51 km/h
L’autopsia evidenziava:
- al capo: si osserva linea fratturativa che interessava la sua porzione immediatamente posteriore in
corrispondenza della calotta sinistra, frattura diretta posteriormente ad esaurirsi sul profilo della sutura.
All’emicranio destro si rileva l’esistenza di una linea di frattura ben evidente e diastasata lunga 9 cm., che partendo dalla porzione appena posteriore all’arco
costituito dalla squama temporale si dirigeva in alto e posteriormente.
- collo, torace, addome: il collo presenta il grande corno sinistro dell’osso ioide spezzato alla sua base.
A livello prevertebrale si poteva cogliere, pur in assenza di fratture, una notevole ipermobilità delle vertebre
cervicali fra il quinto e sesto elemento e fra questo ed il settimo.
- torace: all’apertura numerose fratture costali.
- polmone: è interessato da una vastissima lacerazione pleuroparenchimale all’intero lobo inferiore.
Integro il polmone destro.
- fegato: si reperta una lacerazione capsulare alla base del lobo sinistro.
- al tronco: emitorace sinistro, frattura del capo articolare della prima costa, frattura del capo
articolare seconda, terza, quarta e quinta costa,
frattura sulla linea ascellare anteriore ottava costa, frattura del capo articolare nona costa.
- emitorace destro: doppia frattura prima costa con decorso fortemente obliquo, frattura estremamente obliqua di seconda costa.
- arto inferiore sinistro: frattura completa del terzo superiore del femore sinistro, con monconi nettamente spiroidi.
Conclusioni:
Il vettore traumatico di energia molto rilevante deve avere agito nello stesso senso della direzione dell’asse di frattura.
In pratica considerando un solo impatto vi è stato un punto di applicazione monolaterale che ha consentito una deformazione elastica laterale dell’ovoide cranico, fino a superare la resistenza elastica ed a determinare l’apertura lungo una linea trasversale, davanti ai margini anteriori delle rocche petrose.
Questo vettore, secondo le ricostruzioni tecniche, sembra avere agito nella prima fase del sinistro e si può facilmente spiegare con un violentissimo urto della superficie laterale sinistra del capo contro il montante anteriore sinistro della vettura.
Non si ritiene che l’applicazione del vettore
traumatico responsabile della vasta frattura cranica sia stato applicato sull’emicranio destro perché qui vi è stata una maggior diastasi ed un maggior sviluppo della porzione della linea di frattura, quindi una
morfologia chiaramente indiretta.
Per quanto riguarda il torace, le fratture dell’arco delle prime coste testimoniano sul lato sinistro
l’applicazione di una potentissima energia, poiché la prima e la seconda costa sono elementi scheletrici assai protetti e molto più resistenti alle fratture.
Inoltre i decorsi fratturativi delle coste di sinistra erano trasversali all’asse delle coste, quelle delle coste di destra erano assai obliqui.
Si ha pertanto conferma di un vettore traumatico che ha coinvolto l’emitorace sinistro, mentre un
meccanismo indiretto, mediato dall’ampia
deformazione della gabbia toracica, deve avere
provocato le meno numerose, ma più oblique fratture costali destre.
Infine, per quanto riguarda la frattura femorale, il livello fratturativo non ha interessato il terzo medio ma un terzo diafisario, il prossimale, ed è inoltre da rilevare la morfologia obliqua della frattura.
Il vettore traumatico si é esplicato lungo l’asse dell’elemento scheletrico.
Si tratta cioè di un effetto fratturativo in armonia con il principale urto frontale del corpo seduto, che forza principalmente sul piede sinistro fino a vincere la
resistenza longitudinale dell’asse diafisario.
In conclusione è da ritenere che il primo urto,
violentissimo, sia all’origine delle lesioni mortali subite dal conducente la GOLF.
PROVE DI CRASH: SOLLECITAZIONI MECCANICHE SUBITE DAL PEDONE IN
COLLISIONE CON AUTOVETTURA Si tratta di prove di collisione, con simulazione mediante manichini, e calcolo delle sollecitazioni meccaniche subite nelle varie parti del corpo (capo,
collo, torso, tronco, arti inferiori) predisposto dal Dott.
Hermann Steffan dell’Università di Graz, secondo un programma di calcolo denominato PC-CRASH,
distribuito in Italia dalla PERAURTO.
Si riportano quattro serie di prove, con riferimento a diverse velocità d’urto ed a diversa massa ed altezza del pedone investito.
PRIMA PROVA: COLLISIONE ALLA
VELOCITA’ DI 50 Km/h CON ADULTO ALTO MT. 1,70 E PESO KG. 70
L’urto interessa naturalmente dapprima il frontale dell’autovettura e gli arti inferiori del pedone, che carambola poi sul cofano ed urta violentemente contro il cristallo parabrezza; supera il tetto dell’autovettura e quindi cade a terra.
Il grafico riporta le sollecitazioni meccaniche
espresse in accelerazioni mt/sec² in funzione dei tempi espressi in decimi di secondo.
Le sollecitazioni fanno riferimento alla direzione
longitudinale rispetto al senso di marcia del veicolo, asse delle X; trasversale, asse delle Y; verticale, Z, ed inoltre un ultimo grafico riproduce la risultante
complessiva, cioè sommatoria delle varie componenti.
Le sollecitazioni si riferiscono al collo, al torso, al capo, al femore sinistro.
Da rilevare come l’urto che produce il più grave quadro lesivo al capo riguardi l’impatto con il parabrezza ove, appunto al capo, si raggiungono i 215 g.
Analoghe sollecitazioni al torso, con accelerazione di picco ancora sui 230 g. (sicuramente mortali).
SECONDA PROVA: COLLISIONE CON UN PEDONE DI ANNI 11, ALTEZZA CM. 140, PESO KG. 33, VELOCITA’ CI COLLISIONE 50
Km/h
Come si può rilevare anche dalla simulazione, il corpo viene caricato ancora sul cofano, tuttavia raggiunge il parabrezza solo nella parte inferiore.
E’ da ritenere che il quadro lesivo più grave si produca nell’urto frontale (320 g. nel corpo completo) ed anche nell’impatto contro il cofano, mentre al momento del lancio si raggiungono solo 95 g. ed ancora 220 g. nella successiva rovinosa caduta a terra.
TERZA PROVA: VELOCITA’ D’URTO 50 Km/h, BAMBINO DI ANNI 6, ALTEZZA CM.
110, PESO KM. 20
Come si vede anche dalla simulazione il manichino avvolge la parte frontale dell’autovettura e viene immediatamente respinto, senza che si produca caricamento né urto contro il parabrezza.
E’ un urto “secco”, che porta al momento del distacco e del lancio a ben 690 g..
Molto lunga la proiezione, con una caduta che produce un ulteriore decelerazione di 630 g.
E’ persino superfluo sottolineare come si tratti inevitabilmente di lesioni mortali.
QUARTA PROVA: ADULTO ALTEZZA MT.
1,70, PESO KG. 70, VELOCITA’ D’URTO 30 Km/h
Non vi è caricamento e quindi il corpo non raggiunge il parabrezza e, naturalmente, le sollecitazioni sono
decisamente inferiori rispetto alle prove precedenti, con un picco di 20 g. al torso; ancora sollecitazione attorno ai 20 g. al femore.
Si tratta, in questo caso, di sollecitazioni che potrebbero risultare nettamente al di sotto dei limiti di massima resistenza del corpo umano.
CONCLUSIONI
Non si deve cadere nella tentazione di una schematizzazione eccessiva, e quindi di una
standardizzazione dei vari tipi di sollecitazione.
E’ evidente che una collisione rappresenta sempre un fenomeno estremamente complesso e che pertanto va valutato caso per caso, in funzione non solo delle dimensioni del corpo umano, ma della configurazione e delle dimensioni del frontale del veicolo.
Inoltre, per questo tipo di indagine, è necessario potere esaminare gli automezzi, o quantomeno avere una
ottima documentazione fotografica degli stessi e potere possibilmente disporre, oltre che dell’esame estero del corpo, anche dell’esame autoptico, nonché dei rilievi planimetrici e delle tracce dell’incidente individuate dall’Autorità Giudiziaria.
In questo caso il perito è in grado di fornire al
medico l’entità delle sollecitazioni meccaniche ed, almeno per quanto riguarda l’ordine di grandezza, con un sufficiente grado di approssimazione.