• Non ci sono risultati.

Ancora una riforma dell’art. 360 n. 5 cpc: basta, per favore, basta! - Judicium

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Ancora una riforma dell’art. 360 n. 5 cpc: basta, per favore, basta! - Judicium"

Copied!
5
0
0

Testo completo

(1)

MICHELE FORNACIARI

Ancora una riforma dell’art. 3601 n. 5 cpc: basta, per favore, basta!

SOMMARIO: 1. La nuova riforma. – 2. Assenza di fondamento della lotta del legislatore contro il controllo della motivazione da parte della Cassazione. – 3. Inefficacia della riforma nel senso voluto ed anzi maggiore idoneità del quadro normativo conseguente a consentire il controllo della motivazione: riferibilità del nuovo art. 3601 n. 5 cpc al solo omesso esame dei fatti rilevanti. – 4. Segue: nullità della sentenza sia in assenza di motivazione, sia in presenza di una motivazione inidonea. – 5. Conclusione semiseria ma sentita.

1. La nuova riforma

Ci risiamo: la furia riformatrice del legislatore non conosce tregua. E siccome, come sanno i jazzisti, quando si sbaglia l’errore va ripetuto, per dare l’impressione che non di un errore si tratti, ma di una cosa voluta, il legislatore, non pago da un lato del capolavoro dell’art. 360bis cpc, introdotto nel 2009, dall’altro della brillante riforma dell’art. 3601 n. 5 stesso codice, operata nel 2006, per un verso esporta anche al giudizio di appello il modello dell’inammissibilità per manifesta infondatezza, per altro verso interviene di nuovo sul suddetto art. 3601 n. 5, riportando la lancetta del tempo al 1942, mentre per altro verso ancora cancella tout court la ricorribilità per vizio di motivazione in caso di “doppia conforme” in fatto. Ma non solo. In sede di conversione, evidentemente convinto che più si complicano le cose più il processo funzionerà bene, ha pensato bene di modificare anche l’art. 342 cpc, non si capisce bene se colorando di impugnazione in senso stretto l’appello o esportando in qualche misura anche a quest’ultimo il balordo principio di autosufficienza dell’atto di impugnazione. Ulteriormente, sempre in sede di conversione, ha finalmente espunto dall’art. 3453 cpc l’incomprensibile riferimento all’indispensabilità delle nuove prove (a volte per caso ci si coglie), salvo poi farsi immediatamente perdonare dell’unica cosa sensata realizzata, riciclando tale riferimento nell’art. 702quater1 stesso codice.

Così, in sordina, nel corpo di un provvedimento legislativo con il quale è difficile riuscire a comprendere il nesso (cosa c’entrino le riforme appena riassunte con lo sviluppo personalmente mi sfugge), vengono introdotte una serie di novità, forse non rivoluzionarie, ma certo non di dettaglio1.

Su una sola di esse vorrei peraltro in questa sede in particolare soffermarmi, in quanto esemplare, a mio avviso, dell’inanità di questa sconsiderata frenesia normativa, vale a dire del nuovo intervento sull’art. 3601 n. 5 cpc.

2. Assenza di fondamento della lotta del legislatore contro il controllo della motivazione da parte della Cassazione

1 Criticamente sull’intervento normativo v. BOVE, Giudizio di fatto e sindacato della corte di cassazione: riflessioni sul nuovo art. 360 n. 5. c.p.c., in www.judicium.it; CAPONI, La riforma dell’appello civile dopo la svolta nelle commissioni parlamentari, ibidem; CONSOLO, Lusso o necessità nelle impugnazioni delle sentenze?, ibidem; DE CRISTOFARO, Appello e cassazione alla prova dell’ennesima “riforma urgente”: quando i rimedi peggiorano il male (considerazioni di prima lettura del d.l. n. 83/2012), ibidem.

(2)

In principio era … il nulla: l’art. 517 cpc 1865 non conteneva, com’è noto, alcun riferimento al vizio di motivazione. Poi venne il codice del 1942, e comparve, come motivo di ricorso per cassazione, l’“omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (art. 3601 n. 5, secondo il suo testo originario). Da lì a poco, la novella del 1950 modificò tale previsione, sancendo la ricorribilità “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”.

Nel 2006, il legislatore intervenne di nuovo, sostituendo alla formula appena riportata quella dell’“omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Oggi, come riferito, si torna pressoché letteralmente alla formula originaria del codice del 1942, stabilendosi che il ricorso può essere proposto “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Fino ad oggi, a dispetto dei differenti scenari normativi, nulla è sostanzialmente cambiato nel controllo della motivazione da parte della Cassazione, che, anche all’indomani del codice del 1942 e poi delle relative riforme, ha continuato ad adoperare i criteri elaborati già sotto il codice del 18652.

Già il dato di fatto dovrebbe dunque intanto indurre a chiedersi se abbia senso (i.e.

ragionevoli prospettive di successo) l’ostinazione nel cercare di imbrigliare il controllo in questione, ma soprattutto insinuare se non altro il dubbio se quest’ultimo rappresenti effettivamente un male da combattere, o se viceversa la continuità storica dell’operato della Cassazione in proposito non testimoni della sua fisiologica appartenenza al giudizio di legittimità. Possibile, detto altrimenti, che da 150 anni la Cassazione continui ostinatamente e masochisticamente a sobbarcarsi un’incombenza che non le compete?

La risposta a tale domanda è ovviamente negativa e la ragione è presto detta. Tutto sta ad avere ben chiaro che controllo della motivazione circa la ricostruzione del fatto non significa verifica nel merito di tale ricostruzione; vale a dire autonoma e diretta valutazione del materiale di causa al fine di operarne una propria, da sovrapporre a quella del giudice del grado precedente.

Significa, al contrario, verifica circa la correttezza del ragionamento seguito in proposito da tale giudice. Una volta che questo sia chiaro, risulta allora del tutto evidente che in questione non è affatto un giudizio di fatto, bensì, a pieno titolo, uno di legittimità, come tale pienamente spettante alla Cassazione3.

Certo, non sempre il confine fra controllo della motivazione e giudizio di fatto si rivela in concreto così netto ed univoco. Questa non è però se non una delle tante manifestazioni della generale difficoltà, che spesso si incontra nel passaggio dall’enunciazione di un principio alla sua applicazione. Né, d’altro canto, la prassi evidenzia, in materia, un tasso di errore particolarmente elevato, vale a dire una particolare propensione della Cassazione ad eccedere i limiti del proprio controllo e ad impingere nel campo del giudizio di fatto4.

Da nessun punto di vista, né teorico né pratico, si giustifica insomma l’accanimento del legislatore contro il controllo della motivazione da parte della Cassazione. Ma soprattutto, ciò che maggiormente importa, tale accanimento non si giustifica sotto il profilo assiologico. La motivazione dei provvedimenti del giudice non rappresenta infatti un aspetto accessorio e marginale dell’esercizio della giurisdizione. All’opposto, ne integra una componente di importanza fondamentale, per non dire quella più importante tout court. E’ dunque non solo lecito, ma utile

2 V. in proposito BOVE, Il sindacato della corte di cassazione. Contenuto e limiti, Milano 1993, 231 ss. e ID., Giudizio di fatto, cit., § 2.

3 Sul punto v. amplius BOVE, Giudizio di fatto, cit., § 3.

4 In proposito v. ancora BOVE, Giudizio di fatto, cit., § 3.

(3)

(certo molto più utile che per molti requisiti procedimentali5), ed anzi essenziale, che in relazione ad essa esista un controllo da parte della Cassazione. Che questa, pur senza censurare direttamente la ricostruzione del fatto fornita dal giudice del merito, operi un controllo circa la congruità della giustificazione addotta in proposito6.

3. Inefficacia della riforma nel senso voluto ed anzi maggiore idoneità del quadro normativo conseguente a consentire il controllo della motivazione: riferibilità del nuovo art. 3601 n. 5 cpc al solo omesso esame dei fatti rilevanti

Chiarito questo, per quanto concerne poi le presumibili conseguenze della novella, alla luce dei precedenti è francamente abbastanza difficile ipotizzare svolte radicali. Anzi, il ritorno alla formulazione originaria del codice del 1942 potrebbe addirittura rivelarsi, paradossalmente, più favorevole ad un pieno e libero controllo della motivazione da parte della Cassazione.

Beninteso: la storia sta a dimostrare che tale controllo è insensibile al dato normativo contingente. Anche l’affermazione appena compiuta ha dunque un valore essenzialmente teorico.

Non foss’altro in via meramente accademica, mette tuttavia conto spendere in proposito qualche rapida considerazione.

Pur con l’ovvia consapevolezza che quello in questione è, ad altri livelli, un tema complesso e difficile, a livello elementare nella motivazione in fatto possono isolarsi tre aspetti: in primo luogo il giudice deve prendere posizione circa l’esistenza/inesistenza e circa le caratteristiche dei singoli fatti (direttamente o indirettamente) rilevanti; in secondo luogo egli deve spiegare le ragioni sulla base delle abbia maturato la relativa convinzione; in terzo luogo occorre valutare se le prime (le ragioni addotte) siano o meno idonee a fondare la seconda (la convinzione maturata). A livello definitorio, riterrei di poter affermare che il primo aspetto rappresenta l’“esame” del fatto, il secondo integra quella che, per distinguerla dalla motivazione nel suo complesso, o generale, potremmo indicare come “motivazione specifica”, il terzo quella che potremmo indicare come

“idoneità” di quest’ultima. Corrispondentemente, laddove il giudice trascuri di prendere posizione su un certo fatto, laddove cioè nella motivazione generale non si trovi traccia di esso, saremo in presenza di un omesso esame; laddove viceversa egli prenda posizione in proposito, ma non fornisca in proposito giustificazioni, non indichi cioè le ragioni per le quali ritiene che il fatto in questione esista o meno e presenti o meno determinate caratteristiche, saremo in presenza di un’omessa motivazione specifica; laddove infine egli abbia indicato tali ragioni, ma queste non supportino adeguatamente la convinzione circa l’esistenza/inesistenza e circa le caratteristiche del fatto, saremo in presenza di una motivazione inidonea.

Ciò premesso, è abbastanza evidente che l’art. 3601 n. 5 cpc, nella sua attuale formulazione, si riferisce ormai esclusivamente al primo dei suddetti aspetti. Non solo cioè l’idoneità della

5 Per non portare che un solo esempio, si pensi all’incompetenza per territorio: una volta scongiurata la scelta del giudice ad opera della parte o quella della causa ad opera del giudice (evenienza questa a fronte della quale appare sufficiente garanzia il controllo da parte del giudice di appello), a me francamente non pare così grave (una volta che la decisione sia ben motivata) che la causa sia decisa dal giudice x oppure dal giudice y.

6 Sul punto v. anche il § 4.

(4)

motivazione, ma anche la sua presenza risulta a questo punto, vuoi quanto alla motivazione generale7, vuoi quanto alla motivazione specifica, estranea alla previsione in discorso.

Non per ciò solo essa deve tuttavia ritenersi estranea al giudizio di cassazione tout court.

Rimane infatti pur sempre la norma generale dell’art. 3601 n. 4 cpc e di certo non basta la presenza della specifica previsione del n. 5 ad impedire o a limitare l’operatività di tale, generale, disposizione, per la medesima ragione per la quale essa non è impedita, né limitata, dalla presenza dei nn. 1 e 2, specificamente riferiti alla giurisdizione e alla competenza.

In questo contesto normativo, l’interrogativo da porre – con una salutare semplificazione del problema – è dunque allo stato quello se la presenza di una motivazione e la sua idoneità siano o meno requisiti di validità della sentenza; o, specularmente, se la carenza e l’inidoneità della prima determinino o meno l’invalidità della seconda.

4. Segue: nullità della sentenza sia in assenza di motivazione, sia in presenza di una motivazione inidonea

Quello appena enunciato essendo l’interrogativo, non c’è peraltro dubbio, non foss’altro sulla base dell’art. 132 cpc, il quale impone che le sentenze siano motivate, che, per quanto concerne la presenza della motivazione, vuoi generale, vuoi specifica, la risposta non può che essere positiva.

Altrettanto non può però non valere, a quanto mi pare, anche per l’idoneità della motivazione e ciò già solo sulla base del medesimo art. 132 cpc. Necessità di motivazione non può infatti significare che requisito di validità della sentenza è la presenza di una motivazione quale che sia. Operare una lettura di questo tipo vanificherebbe infatti totalmente il significato precettivo della previsione ed anzi la renderebbe intimamente contraddittoria, dato che le farebbe imporre la necessità di una cosa inutile (tale è, con tutta evidenza, una motivazione qualsiasi), e dunque, per definizione, non necessaria.

E’ peraltro soprattutto sul piano sistematico che si apprezza la necessità, quale requisito di validità della sentenza, di una motivazione idonea. Come già sopra sottolineato8, la motivazione dei provvedimenti del giudice rappresenta infatti un elemento essenziale e qualificante dell’esercizio della giurisdizione. E’ dunque semplicemente assurdo pensare di accontentarsi in proposito di una motivazione purchessia, anziché di una in grado di giustificare razionalmente le conclusioni raggiunte.

Per non portare in proposito che un paio di esempi, poniamo che il giudice, dato atto che numerosi, attendibili, testimoni hanno riferito che Tizio era a Torino, concluda che ciò non impedisce la sua contemporanea presenza a Milano, dato che la scienza non esclude con certezza l’ubiquità delle persone, oppure, a fronte di risultanze istruttorie incerte, ritenga verosimile che Tizio abbia aggredito Caio, data l’irascibilità e la violenza degli appartenenti al segno zodiacale di Tizio; ebbene: nessuno, credo, sarebbe disposto ad ammettere la validità di una sentenza fondata su simili corbellerie.

Appurato questo, chiarito cioè che requisito di validità della sentenza è non semplicemente la presenza di una motivazione, bensì la presenza di una motivazione idonea, l’interrogativo – che

7 Rimane peraltro fermo che, in totale assenza di motivazione (o in presenza di una motivazione meramente apparente), risulterebbe comunque integrato anche l’omesso esame di tutti i fatti rilevanti.

8 § 2.

(5)

rappresenta poi il nocciolo del problema – diventa a questo punto quello di stabilire cosa significhi

“idonea” e, specularmente, “inidonea”. Vale in sostanza a dire, ponendoci nella prospettiva dell’impugnazione, quali siano i vizi logici denunciabili, ed è precisamente a questo proposito che, secondo quanto anticipato, l’attuale quadro normativo si rivela, a ben vedere, più favorevole ad un pieno controllo della Cassazione, rispetto al precedente.

Fino ad oggi dovevamo infatti fare i conti con l’art. 3601 n. 5 cpc, il quale faceva riferimento alle categorie della motivazione insufficiente o contraddittoria (oltre che di quella omessa) e questo rappresentava oggettivamente un ostacolo, perché non tutti i vizi logici possono essere ricondotti a tali due categorie, quantomeno ove esse vengano intese rigorosamente. Oggi, che tale riferimento è venuto meno, le cose diventano indubbiamente più semplici. Premessa da un lato la necessità, quale requisito di validità della sentenza, di una motivazione idonea, e data dall’altro la mancanza di indicazioni di sorta, a livello normativo, circa i parametri di tale idoneità, non si vede infatti sulla base di cosa sarebbe lecito operare distinzioni, tali che l’illogicità x possa essere denunciata e l’illogicità y no. Qualunque limitazione non potrebbe cioè che risultare arbitraria, ragion per cui non rimane che un’unica soluzione, vale a dire quella di un rinvio generalizzato ai canoni del comune ragionamento razionale, con piena censurabilità, dunque, di qualunque tipo di vizio logico.

5. Conclusione semiseria ma sentita

Molto rumore per nulla, verrebbe allora da dire, citando Shakespeare. Ma un’altra, meno neutra e pacata, è in realtà la suggestione letteraria che, su un piano più generale, sovviene.

Esiste un aforisma di Oscar Wilde, secondo il quale “la vita è quello che succede mentre pensiamo ad altro”. Di esso esistono poi, almeno a quanto mi consta, almeno due varianti. La prima è quella di John Lennon, secondo la quale “la vita è proprio quello che ti succede mentre sei impegnato a fare altri progetti” e la seconda è quella, che personalmente ho sentito pronunciata da Uma Thurman nel film (in effetti migliore del titolo in italiano) Lo sbirro, il boss e la bionda (titolo originale Mad dog and glory), secondo la quale “la vita è quello che succede mentre stai aspettando di viverla”.

Si tratta di una riflessione, oltre che acuta e vera in generale, singolarmente pertinente con riferimento all’attuale condizione del processo.

Per un verso, fondendo e parafrasando le due varianti, potrebbe infatti dirsi che “il processo è quello che si celebra nelle aule di giustizia, mentre gli esperti sono impegnati a progettare come farlo funzionare”. Per altro verso, visti gli esiti fallimentari ed anzi controproducenti di tale impegno e delle conseguenti riforme a getto continuo, viene spontanea, traendo spunto dalla versione originaria ed interpretando, sono convinto, i sentimenti, non so se dei giuristi, ma sicuramente di molti pratici del diritto, una preghiera nei confronti dei suddetti esperti: piuttosto che continuare con questo diluvio di riforme, potreste, per favore, pensare (e dedicarvi) ad altro?

Riferimenti

Documenti correlati

Spostamenti per il tour multietnico Pranzo e cena del 10 febbraio, pranzo dell’11 febbraio 2017 Supplemento stanza singola (a notte) - Costo € 30 Il pernottamento è previsto presso

a) La riformulazione dell'art. 54, convertito con modificazioni, dalla L. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio

(7 anni, peso: 26 kg) è condotto in PS per aver presentato cefalea, vertigine, vomito e dolore addominale in seguito al consumo di carne grigliata, cotta utilizzando

È un libro talmente scomodo - questo che la semiologa Valentina Pisanty dedica all'insuccesso dei Guardiani della memoria (Bompiani) sovrastati dal ritorno delle destre xenofobe -

Passando al ricorso incidentale proposto dalla Casa di Cura Mater Dei s.p.a., con il primo motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione

Esempio emblematico (unica Regione in Italia): la possibilità, espressa nel recente Piano Socio- Sanitario Regionale di affidare la direzione dei servizi sanitari clinici,

Ciò posto, può dirsi che il criterio della “integrale trascrizione degli atti”, pur se probabilmente non incompatibile con la lettera della previsione, non è soddisfacente:

21 Cost., 51, 59 e 595 c.p., perché trattandosi di intervista al difensore della parte richiedente la restituzione dell’immobile, dell’eventuale lesività doveva rispondere