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La 'Ndrangheta e la strada. Gruppo esperienziale con gli agenti dell'unità mobile di Reggio Calabria

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con gli agenti dell'unità mobile di Reggio Calabria

Emanuela Coppola, Ivan Formica

Narrare i gruppi

Etnografia dell’interazione quotidiana

Prospettive cliniche e sociali, vol. 9, n° 1 - 2, Aprile 2014

ISSN: 2281-8960 Rivista semestrale pubblicata on-line dal 2006 - website: www.narrareigruppi.it

Titolo completo dell’articolo

La 'Ndrangheta e la strada. Gruppo esperienziale con gli agenti dell'unità mobi- le di Reggio Calabria

Autore Ente di appartenenza

Emanuela Coppola Università di Messina Ivan Formica Università di Messina

To cite this article:

Coppola E., Formica I., (2014), La 'Ndrangheta e la strada. Gruppo esperienziale con gli agenti dell'unità mobi-

le di Reggio Calabria, in Narrare i Gruppi, vol. 9, n° 1-2, Aprile 2014, pp. 101-112 - website:

www.narrareigruppi.it

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gruppi nel sociale

La 'Ndrangheta e la strada. Gruppo esperienziale con gli agenti dell'uni- tà mobile di Reggio Calabria

Emanuela Coppola, Ivan Formica

Riassunto

La mafia calabrese sembra animata da una bramosia di potere senza precedenti nelle al- tre organizzazioni criminali e una capacità di offuscare la propria presenza tale da renderla un'ovvia e inevitabile componente del sistema sociale statuito, saldamente insinuata nelle nor- me di convivenza comunitarie.

Nello studio qui esposto, si è voluto esplorare le rappresentazioni e i vissuti degli agenti dell'u- nità mobile di Reggio Calabria. L'analisi qualitativa del testo, effettuata tramite un apposito sof- tware, ha fatto emergere due supercodici (Aggressione ai legami sociali within solitudine; No libertà encloses paranoia). In altre parole, il vissuto di “solitudine” è spazialmente interno al vissuto di “aggressione ai legami” e “l'assenza di libertà” include il vissuto di pericolo costante e sistematico (“paranoia”); ciò significa che l'elaborazione emotiva sulla mafia, nel corso del processo di gruppo, ha portato alla luce categorie di pensiero connesse alla coartazione dello spazio relazionale che si articolano lungo le dimensioni emotive della solitudine e dell'angoscia paranoidea. Nell'ultima sessione di lavoro, è emersa, nei partecipanti, tutta la contraddizione interna e la confusività che la 'Ndrangheta provoca loro, i quali si trovano, da un lato, a com- batterla e, dall'altro, ad evitare di esserne in qualche modo lambiti, rischiando così di fugare, oltre la mafia, il rapporto stesso con il mondo.

Parole chiave: 'Ndrangheta, forze dell'ordine, gruppo, solitudine

'Nndrangheta and the street.

Experiential group with Reggio Calabria flying squad policemen

Abstract

Calabrian Mafia seems to be animated by a hunger for power with no precedent in oth-

er crime organizations, and an ability to hide its presence so much to make it an obvious and

inevitable component of the decreed social system, deeply crept into the community cohabita-

tion norms.

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In the study we will present below, we have aimed at investigating on Reggio Calabria flying squad policemen’s representations and lived experiences. The qualitative analysis of the text, carried out through dedicated software, has pointed out two super codes (aggression to social connections within solitude; no freedom encloses paranoia). In other words, “solitude” as lived experience is spatially contained in “aggression to connections” and “the absence of freedom”

encloses the lived experience of constant and systematic danger (“paranoia”). This means that the emotional elaboration on Mafia, carried out during the group process, has highlighted thinking categories connected to the coercion of relational space which articulate themselves along the emotional dimensions of solitude and paranoid anguish. In our last working session, the participants revealed all their internal contradictions and the confusion ‘Ndrangheta causes in them, since on one hand they have to fight against it, and on the other they try to prevent it from affecting them, thus risking to escape not only Mafia, but the relation they have with the world.

Keywords: ‘Ndrangheta, law enforcement agency, group, solitude

1. Introduzione

Se gli studi su Cosa Nostra, da un vertice psico-antropologico-clinico, hanno visto maturare negli ultimi 30 anni numerosi studi, riflessioni e ricerche (Di Maria et al., 1989, Fiore 1997, Lo Verso 1998, Lo Verso 1999, Di Maria, Formica, 2005, Di Maria, Formica, Lo Coco, 2007, Lo Verso, 2013), solo recentemente, l’organizzazione mafiosa calabrese, denominata ’Ndrangheta, ha iniziato a destare l'interesse dell’opinione pubblica a fronte di una storica coltre di omissioni e cecità che le hanno permesso di crescere, in larga parte, indisturbata, operando nell’ombra e tessendo una ragnatela internazionale di accordi e interessi criminali. La ’Ndrangheta, attualmente, è la mafia più potente del mondo. Capace di camaleontiche trasformazioni, giganteggia ovunque, riuscendo ad adeguarsi bene alle nuove esigenze di mercato, senza mai veni- re meno alle proprie caratteristiche, regole e valori come il silenzio e il vincolo di san- gue (Gratteri et al., 2008). Essa è l'unica organizzazione criminale italiana ad essere in- serita nella blacklist del Dipartimento del Tesoro americano che annovera, fra i nemici mondiali da combattere, Al Qaeda, lo Jihadismo islamico e appunto la ’Ndrangheta, tale è la sua capacità di infiltrazione e di inquinamento del mercato a livello mondiale.

Secondo l'Eurispes (2008) le famiglie della ’Ndrangheta, le famose ‘ndrine, godono di un fatturato di oltre 44 miliardi di euro ogni anno, il 2,9 % del nostro Pil, costituendo un cartello nel regime quasi monopolistico dell’importazione della cocaina in Europa (dal cui traffico ricava 27 miliardi di euro l’anno, pari a due terzi dei suoi profitti.

L’altra fetta è ottenuta tramite il controllo degli appalti e dei lavori pubblici, dalla pro- stituzione, dal traffico d'armi, dal racket e dall’usura) (Nuzzi, 2010). Si annovera, così, tra le aziende più ricche, aggressive e invasive del mondo. Possiede un’elevata capacità d’infiltrazione nel sociale, nell’economia e nelle istituzioni, anche in zone non tradi- zionalmente interessate dal fenomeno mafioso. Vantando filiali in quasi tutta Italia, la

’Ndrangheta è riuscita a portare a termine il suo decennale disegno di colonizzazione del Nord e del Centro con ramificazioni in Europa, Africa, Asia, America e Oceania.

Non a caso, è la preferita dai produttori di droga (Arlacchi, 2007), perché considerata la più affidabile e la più impermeabile tra le mafie: non parla, né si pente. La segretezza prima di tutto.

La ’Ndrangheta ha una fenomenologia subdola, è una mafia fumosa che gioca con le

presenze e le trasparenze. Dal punto di vista psicologico, sembra in grado di suscitare

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nelle comunità locali meccanismi di difesa, spesso arcaici (dissociazione, controllo on- nipotente, capovolgimento e annullamento retroattivo) impattando fragorosamente la psiche di coloro ne sono vittime o che, per diverse ragioni, sono costrette a entrare in contatto con questa organizzazione.

Precedenti lavori (Coppola et al., 2010; Coppola, 2011a; Formica, Coppola 2012) han- no messo in evidenza la specificità psicologica della mafia calabrese, sia nella sua strut- tura organizzativa, sia nell’impatto sul territorio e sulle comunità locali. Mostrando molteplici punti di contatto con Cosa Nostra siciliana come la struttura verticistica e il dogmatismo familiare, la mafia calabrese sembra animata da una bramosia di potere senza precedenti nelle altre organizzazioni criminali e una capacità di offuscare la pro- pria presenza tale da renderla un’ovvia e inevitabile componente del sistema sociale statuito, saldamente insinuata nelle norme di convivenza comunitarie.

Nello studio qui di seguito esposto abbiamo voluto indagare le rappresentazioni e i vissuti degli agenti dell’Unità mobile di Reggio Calabria. Organo di polizia che, inevi- tabilmente, s’imbatte nel controllo (fisico e psicologico) del territorio da parte dell'or- ganizzazione criminale calabrese. L’unità mobile di Reggio Calabria si occupa della ge- stione delle masse e dei grandi eventi e la mafia ha sempre irretito il potere della folla strumentalizzandolo a proprio piacimento attraverso manipolazioni, più o meno espli- cite, di ideali e valori culturali a fondamento di specifiche realtà territoriali. Pertanto, gli agenti che esercitano la propria funzione in questi contesti si trovano spesso a fron- teggiare l’arroganza mafiosa, annidata nei rituali delle collettività locali (feste di paese, processioni religiose, manifestazioni sportive, ecc.). La 'Ndrangheta di strada, quella che non si vede, ma che opprime, vieta, ferisce è il nemico principale di quest’organo di polizia.

2. La ricerca-intervento: metodologia, setting e strumenti

Nel corso dell’ultimo ventennio, coerentemente al modello teorico gruppoana- litico soggettuale (Lo Verso 1994, Di Maria, Formica, 2009, Lo Verso, Di Blasi, 2012) che supporta gli studi sulla psicologia del fenomeno mafioso, è stato messo a punto un dispositivo di ricerca-intervento denominato gruppo di elaborazione-clinico sociale. Si tratta di uno spazio dialogico che, oltre a rivelarsi un ottimo set(ting) per la rilevazione di dati di ricerca psico-antropologici, consente l’avvio di processi trasformativi e, in primo luogo, elaborativi rispetto a tematiche difficili quali le ricadute della presenza mafiosa sulla vita delle persone e sulle comunità. Il gruppo di elaborazione dischiude una moltiplicazione fluttuante e discontinua di espressioni verbali e non verbali, di immagini e narrazioni che comunque sottendono un continuum di coerenza tematica.

Questa pluri-determinazione del processo comunicativo rappresenta la regola stessa di un metodo psicologico-clinico di cui si avvale la gruppoanalisi. Infatti, un’attenzione non rigidamente focalizzata permette la ‘mobilità’ su possibili differenti livelli di espe- rienza compresenti nello stesso momento, facilitando l’associazione tra contenuti mentali diversi, di persone diverse (Giorgi et al., 2009, Coppola, 2011b).

Gli interventi del conduttore sono per lo più di tipo connettivo ed esplorativo che vei-

colano, rispettivamente, una funzione di raccordo atta a favorire la connessione fra i

partecipanti (Di Nuovo, Lo Verso, 2005;) e una funzione del chiedere, sia per aumen-

tare le informazioni, sia per aumentare la comprensione di ciò che è stato detto, di ciò

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che viene provato, come sentimento, stato d’animo (Pontalti, 1998; Giannone et al., 2006).

Il conduttore fa da collante, stimolando l’attività associativa del gruppo perché egli cu- stodisce quella coerenza tematica funzionale a contenere e a dare senso alle disloca- zioni narrative e semantiche.

I gruppi di elaborazione clinico-sociale consentono di rilevare i vissuti (aspetti emo- zionali e cognitivi) dei partecipanti connessi alla presenza mafiosa nel territorio sicilia- no, diventando incontro tra diverse soggettività in ordini spazio/temporali differenti.

A partire dai processi psicodinamici, il gruppo di elaborazione clinico-sociale veicola nei suoi membri funzioni integrativo-elaborative con l’obiettivo di sensibilizzare i par- tecipanti circa le ricadute del fenomeno mafioso.

Nello specifico, il lavoro qui proposto ha previsto l’articolarsi di tre sessioni gruppali di due ore e trenta ciascuna a cui hanno preso parte 30 agenti dell’unità mobile di Reg- gio Calabria.

Le adesioni sono stare raccolte al temine di un incontro seminariale sulla psicologia del fenomeno mafioso, nel corso del quale sono stati ricapitolati i nuclei tematici principa- li del lavoro di ricerca condotto negli anni. Dal raccordo complesso tra teoria di rife- rimento e ricerche sul campo sono emersi importanti stimoli e spunti di riflessione che sono stati, successivamente, ripresi nei gruppi.

I gruppi, psicodinamicamente orientati, sono stati audioregistrati e analizzati attraverso una metodologia di analisi testuale ispirata alla Gruonded Theory ed integrata da un ap- proccio ermeneutico-costruttivista. Il trattamento dei dati grezzi è stato supportato da un software di analisi testuale, Atlas.ti, da cui sono emersi grafici che descrivono il pro- cesso di costruzione della teoria sottostante la narrazione dei partecipanti.

3. Risultati

Come si evince dal primo albero semantico, la prima fase del gruppo mostra gli agenti protesi nello sforzo di narrare episodi avvincenti di arresti eclatanti, battesimi di

‘Ndrangheta e sparatorie attraverso i quali viene messo in evidenza il potere comuni- cativo della ‘Ndrangheta e l’efferatezza delle esecuzioni.

La mafia calabrese viene descritta come ‘schifosa’, come la ‘più sanguinaria’ capace di

‘mistificare la realtà’. Simultaneamente, come messaggio tra le righe di questi racconti,

sembra emergere la necessità, da parte degli agenti, di catturare l’attenzione del co-

mandante, inaspettatamente presente durante lo svolgimento dei lavori. La scelta di

non escludere dal gruppo l’autorità, interpretata dal dirigente del servizio di polizia, ha

un preciso fondamento epistemologico ispirato alla teoria della complessità (Morin,

1986) e coerente con la metodologia impiegata. La complessità dei fenomeni umani

prescrive la necessità di coglierli nel loro autentico dispiegarsi nel mondo-ambiente,

senza tagli o riduzionismi che ne snaturerebbero il senso profondo. Non a caso, la

presenza del comandante s’intreccia con i contenuti, espliciti ed impliciti, che lo spazio

gruppale inizia a comporre al tal punto da far emergere una qualche associazione tra il

potere seduttivo della mafia e il bisogno dei partecipanti di sedurre il proprio superio-

re.

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Nel corso di questo primo incontro, il tema della seduzione emerge sempre più chia- ramente e, gradualmente, il gruppo perviene alla consapevolezza di subire il potere se- duttivo della mafia e di esserne talmente stregati da drammatizzare, nel capo psichico, il fascino per il potere nell'atteggiamento di esaltazione del proprio operato dinanzi al comandante. Si giunge così a riconoscere che la mafia seduce inconsciamente anche la polizia.

Nonostante ciò, non è chiaro se la trappola psicologica della seduzione nasconda an- che una concrezione di paura negata che si trasla in comportamenti automatizzati.

Prende avvio un processo di riconoscimento del potere mafioso e delle sue innumere- voli declinazioni (‘potere comunicativo’, ‘potere assoluto’ ecc..) e di come tale potere impedisca la crescita e l'emancipazione della popolazione calabrese che subisce supi- namente la prevaricazione dell'organizzazione.

Si tratta di temi che appesantiscono il gruppo che chiude la prima sessione con un

clima fortemente depressivo in cui al potere della ’ndrangheta fa da contraltare

l’impotenza della polizia.

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All'inizio della seconda sessione il clima del gruppo è cambiato radicalmente rispetto all'apertura della prima sessione: dalla tensione narrativa che sosteneva racconti sedu- centi ed efferati sulla 'Ndrangheta si passa ad un tono emotivo grave che riconduce gli operatori della squadra mobile nella realtà del proprio ruolo e, nello specifico, di lavo- ratori che inciampano nell'impotenza e nella difficoltà di svolgere il proprio dovere.

La sosta nella curva deflessiva dell’umore risulta un transito breve, i partecipanti cer-

cano di risalire la china dell’impotenza e ancora una volta il dibattito si accende. Con

un costo però. Quello di dover volgere lo sguardo fuori dal gruppo, al di là dei propri

vissuti, aggirando la riflessione su di sé con la ricerca di una ragione scientifica per la

propria disfatta che forse è rintracciabile in una superiorità biologico-gentica dei ma-

fiosi.

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Si prova così, attraverso un esercizio intellettualizzante, a comprendere le origini dar- winiane della mente mafiosa. Si disquisisce della capacità dell'organizzazione di elimi- nare ‘l'erba marcia’ e far germogliare solo gli esponenti migliori. Ci si chiede se la fred- dezza con cui vengono gestiti gli affari criminali avvicinino lo ’ndranghetista alla cate- goria dei serial killer o al regno animale.

Si tratta di uno scivolamento difensivo che, anche in questo caso, dura poco perché,

ancora una volta, il gruppo mostra un viraggio emotivo e ritorna ad occuparsi dei pro-

pri vissuti ritrovando in quella posizione depressiva la possibilità di produrre nuovi si-

gnificati. L’oscillazione del clima da acceso/passionale ad impotente/depressivo evi-

denzia il tentativo di mettere insieme emozioni e ideazioni antinomiche rispetto al

proprio ruolo e alla propria appartenenza istituzionale che, in vero, appare attraversata

da una forte sfiducia nei confronti dello Stato. Sembra che attraverso l'organo di poli-

zia della squadra mobile si possa penetrare nel tessuto connettivo delle forze dell'ordi-

ne. Qui il conflitto tra la fedeltà allo Stato e lavoro sul territorio si fa più stridente per-

ché costantemente dilaniato dal confronto con la strada, con la sofferenza e l'impo-

tenza. «É più facile decidere dove sta il bene e dove sta il male da dietro una scrivania ...quando si

sta per strada nulla è così scontato».

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Avviene un’importante messa in gioco del gruppo che si sveste della corazza protetti- va dell’uniforme per guardarla criticamente. Si apre una fase dialogica che occuperà tutta la terza sessione in cui le narrazioni eclatanti lasceranno il posto ai racconti più intimi e personali. Il poliziotto torna uomo e si interroga su cosa significa lavorare sot- to l’oppressione della ’Ndrangheta, che non lascia spazio perché è ovunque e sempre altrove, al tempo stesso, che non si può combattere perché è invisibile appiattita nel sottosuolo di città addormentate, o forse miopi, dinanzi alle ferite che ogni giorno vengono inferte alle loro terre.

Sembra forte la necessità di ribadire che dietro la divisa c’è la persona (come si evince anche dalla ripetizione nella categoria ‘mia’ ‘personale’) quasi a rivendicare un diritto di soggettività che oltrepassa e trascende il ruolo di funzionari dello Stato, uno Stato che risulta ambiguo nel contrasto alle mafie. Su questa scia narrativa che assume le pose del racconto autobiografico, il nastro dei ricordi si riavvolge proiettando scene antiche, infantili, teatro dei primi incontri con la ’Ndrangheta.

Si evocano incontri precoci nelle piazzette vicino casa in cui ci si trova a giocare con il

figlio di un 'ndranghetista, si riesumano le parole dei genitori sulle famiglie di mafia, si

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condivide una prossimità con il fenomeno fino a quel momento sconosciuta o, incon- sciamente, taciuta. Improvvisamente la mafia non è più un oggetto, semplicemente da studiare o da combattere, ma diventa parte integrante del racconto delle proprie origi- ni e dei propri luoghi. L’oggettivazione del fenomeno svanisce e lascia il posto al per- sonale rapporto rappresentazionale con la 'Ndrangheta. Una prossimità che, come al- lora, c'è ancora e che si ritorce contro gli operatori di polizia. Gli stessi strumenti di contrasto e di salvezza (le intercettazioni) possono tramutarsi, rapidamente, in spietati meccanismi di controllo e di condanna. Il perimetro del proprio spazio vitale si re- stringe fino a diventare claustrofobico perché ogni incontro può essere fonte di peri- colo, ma questa volta il persecutore non è la mafia, è lo Stato, perché, in Calabria, die- tro ad un volto insospettabile, un amico d'infanzia, un conoscente di vecchia data può nascondersi un criminale. Gli operatori di polizia denunciano una violenta aggressione ai legami sociali e uno strozzamento della libertà personale che la mafia compie sui cit- tadini e di cui lo Stato, più o meno intenzionalmente, può diventare strumento esecu- tivo.

Il vissuto paronoideo dilaga perché non solo la ‘’Ndrangheta è una mafia diluita’ che

penetra ovunque, in modo impalpabile, ma le stesse tecniche e strategie per contrastar-

la (gli informatori, le intercettazioni ecc...) devono essere usate con cura perché ri-

schiano di colpire indirettamente chi le utilizza per combattere la criminalità organiz-

zata.

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L’analisi del testo ha fatto emergere due supercodici (Aggressione ai legami sociali wi- thin solitudine; No libertà encloses paranoia), tra di loro associati, che rappresentano il cuore tematico della teoria nascente. Il vissuto di ‘solitudine’ è spazialmente interno al vissuto di ‘aggressione ai legami’ e ‘l’assenza di libertà’ include il vissuto di pericolo co- stante e sistematico (‘paranoia’); ciò significa che l’elaborazione emotiva sulla mafia, nel corso del processo di gruppo, ha portato alla luce categorie di pensiero connesse alla coartazione dello spazio relazionale che si articolano lungo le dimensioni emotive della solitudine e dell’angoscia paranoidea. Il gruppo ha provato a combattere questi sentimenti riposti nelle pieghe delle narrazioni sin dalla prima sessione, attuando quei meccanismi difensivi in grado di compartimentalizzare le emozioni e isolare l’affetto.

Quando in gruppo, attraverso il confronto con laltro, le tutele psicologiche hanno cominciato a scricchiolare è emersa, nei partecipanti, tutta la contraddizione interna e la confusività che la 'Ndrangheta provoca loro, i quali si trovano, da un lato, a combat- terla e, dall’altro, ad evitare di esserne in qualche modo lambiti, rischiando così di fu- gare, oltre la mafia, il rapporto stesso con il mondo.

4. Riflessioni conclusive

Il contributo di ricerca esposto rappresenta un frammento di conoscenza da aggiungere al quadro di riflessioni e acquisizioni sulla psicologia delle organizzazioni mafiose. All’insegna di un sapere che non procede per grandi ritrovamenti, ma per piccole costruzioni di senso sugli avvenimenti umani e mondani, riteniamo che lo sve- lamento dei significati emozionali che le mafie veicolano nei contesti può rappresenta- re un contributo alla comprensione del fenomeno e una possibilità per accogliere la sofferenza e lo smarrimento di coloro che si trovano a contatto con queste realtà spie- tate e mortifere.

Le mafie suscitano una diabolica sindrome da accerchiamento in cui tutto il mondo diventa pericoloso ed è difficile fidarsi dell’altro. In Calabria, si viene psicologicamente schiacciati da un potere, simultaneamente, invisibile e onnipresente. Tale contraddi- zione ravvisata dai partecipanti del gruppo sembra dipendere anche dall’appartenenza ad un contesto storico, geografico e antropologico (inteso come serbatoio di significa- ti) che incardina le sue prassi su logiche di potere (sull’altro) di cui le comunità locali hanno una conoscenza atavica, poggiata su una memoria storica ampiamente condivi- sa. Questo ‘sapere locale’ non equivale, in alcun modo, ad una collusione criminosa con le famiglie mafiose, ma corrisponde, nella maggior parte dei casi, ad un irretimen- to dentro equilibri delicatissimi in cui il silenzio e il ritiro dalla scena sociale diventano l’unica strategia per proteggere se stessi, i propri affetti, la propria integrità fisica e psi- cologica. Come afferma Rosy Canale autrice del libro “La mia 'Ndrangheta”:

“Per ogni calabrese, la 'Ndrangheta è qualcosa che sta conficcata dentro, insinuata tra le viscere. An- che quando sei estraneo alle 'ndrine e sei onesto [...] Ma ognuno di noi conserva in sé il veleno e l'an- tidoto. Conosce la verità e non sa nulla. Saluta tutti e non riconosce nessuno”.

Su tale doppiezza coattiva, la mafia calabrese ha costruito il suo potere e la sua forza

psicologica capace d’insinuare un’inflessione paranoidea nell’organizzazione semantica

e affettiva delle relazioni sociali poiché tale ambiguità è dentro e fuori le 'ndrine, in pe-

riferia come in città, nelle banche come nei mercati rionali. La 'Ndrangheta è ovunque

e in nessun luogo.

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L'esperienza di gruppo con gli agenti dell’unità mobile ha permesso l'emersione di contenuti e significati emozionali antinomici che la 'Ndrangheta utilizza per proiettare un’immagine sfocata e incomprensibile di sé ‘infettando’ i legami sociali e minando la libertà esistenziale dei cittadini.

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