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RAFFAELLO SANZIO Raffaello Urbino il Venerdì Santo del 6 aprile 1483 Venerdì Santo

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RAFFAELLO SANZIO

Raffaello nasceva ad Urbino il Venerdì Santo del 6 aprile 1483, alle tre di notte e morì il Venerdì Santo dell’aprile del 1520 a Roma, alle tre di notte.

E’ tradizionalmente unito ai due artisti Leonardo e Michelangelo, per costituire quella che viene definita, “ la triade solare “ del Rinascimento italiano. Raffaello è stato definito l’interprete di un ideale bellezza classica, canonica, fu ritenuto il miglior pittore, colui che dipinge per grazia infusa, per dono naturale senza sforzo, raggiungendo la perfezione.

Pur essendo attivo come architetto, Raffaello rappresenta il pittore rinascimentale per eccellenza, quello che più di ogni altro ha portato la pittura ai massimi livelli di bellezza e armonia.

Un artista solare, ha lavorato sempre con grande impegno e continuità, dotato di una capacità esecutiva che lo hanno portato a ricevere l’appellativo di divino. Egli guarda, e studia tutto ciò che gli si pone di fronte, facendone un prezioso bagaglio culturale.

Raffaello è figlio di un mediocre pittore, rimase orfano di madre all’età di undici anni, vive però in un ambiente come quello urbinate uno dei principali centri artistici rinascimentali caratterizzato da artisti come Piero della Francesca. Abbandonò ben presto la sua città natale, svolse un apprendistato presso il Perugino, da cui apprese il senso della grazia e dell’armonia.

Nel 1504 a Firenze ebbe modo di entrare in contatto con i due maggiori artisti fiorentini viventi Leonardo e Michelangelo. Furono questi anni di intensa attività lavorativa e di studio da cui apprese la grande lezione della pittura fiorentina.

Raffaello trae da Piero della Francesca, la visione prospettica cristallina, la

razionalità matematica, la solenne idealizzazione, associate all’armonia stilistica del suo disegno, prende da Leonardo il senso della prospettiva aerea dello sfumato nella rappresentazione del paesaggio.

Nel 1508, si trasferì a Roma dove grazie a Donato Bramante, urbinate come lui, entrò nel giro degli artisti protetti da papa Giulio II. Fu il pontefice ad affidargli una delle più grandi occasioni per dimostrare la sua grande qualità, si trattava degli affreschi delle stanze vaticane.

Il lavoro consisteva nel decorare con un programma iconografico complesso ed articolato, quattro ambienti di nuova costruzione all’interno dei palazzi Vaticani: la stanza della Segnatura, Stanza di Eliodoro, Stanza dell’incendio di Borgo, Stanza di Costantino.

Morto Giulio II nel 1513, con il nuovo Pontefice Leone X, l’importanza di Raffaello crebbe a dismisura, nel 1514, alla morte di Bramante, fu nominato architetto della Basilica di San Pietro. L’anno successivo fu nominato commissario alle antichità di Roma, si trattava di una specie di sopraintendenza al patrimonio storico-artistico della città. Da questo momento i suoi interessi artistici si spostano sempre di più verso l’architettura, anche se non abbandonò mai la sua attività di pittore, tutto interrotto dalla sua prematura scomparsa il 6 aprile del 1520 all’età di trentasei anni.

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Raffaello, Lo Sposalizio della Vergine, 1504, olio su tavola , m.1,70x1,17, Milano Brera

Quando esegue questo dipinto Raffaello ha circa vent'anni. Ha appena compiuto la sua formazione presso il Perugino ed ha già realizzato le sue prime opere.

Lo Sposalizio è il capolavoro conclusivo del suo periodo giovanile. È firmato e datato 1504, data riportata sul fregio del porticato del tempio, e gli è stato richiesto dalla famiglia Albizzini, per la cappella di San Giuseppe, nella chiesa di San Francesco a Città di Castello, ora si trova a Milano a Brera.

L'opera di Raffaello, naturalmente, risente degli insegnamenti del maestro il Perugino, come già aveva notato il Vasari, e precisamente si riferisce a due opere peruginesche: l'affresco con La Consegna delle Chiavi del Vaticano e la pala con Lo sposalizio della Vergine, conservato a Caen .

Ma si tratta di un'influenza soltanto formale ed esteriore, perché Raffaello conquista presto la sua autonomia stilistica. Nel confronto tra le composizioni del Perugino e la tavola di Raffaello si possono rilevare somiglianze e differenze.

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Perugino, Sposalizio della Vergine, 1500-1504, olio su tavola Caen (Francia) Nell'affresco vaticano Perugino dispone un gruppo di figure in primo piano, sullo sfondo di una piazza con un tempio ottagonale e due archi trionfali ai lati.

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Pietro Perugino, Consegna delle chiavi a San Pietro, 1481-1483, affresco, 335 x

550 cm. Città del Vaticano, Cappella Sistina

Lo schema compositivo della tavola di Raffaello riprende l'affresco della Consegna delle chiavi per:

• la presenza dei due gruppi di personaggi a destra e a sinistra

• il tempio a pianta centrale nel fondo

• la prospettiva indicata dalla pavimentazione della piazza Mentre si riferisce allo Sposalizio del Perugino per:

• la scelta dello stesso soggetto

• la forma centinata della tavola

• diversi personaggi e gli stessi atteggiamenti di alcuni di essi

• la porta aperta del tempio che lascia vedere il paesaggio in lontananza

Le differenze rispetto al maestro sono molto più numerose delle somiglianze. Raffaello, si riferisce all'opera di Caen, più che all'affresco di vent'anni prima, ma introduce alcune trasformazioni fondamentali:

La tavola di Raffaello è molto più piccola di quella di Perugino

I personaggi si invertono da destra a sinistra. La collocazione del gruppo delle donne a destra, nel dipinto del Perugino, è a sinistra, in quello di Raffaello, può essere posta in relazione con la posizione dei rispettivi altari nei quali dovevano essere collocate le opere, una situazione che forse comportava una diversa distribuzione dei gruppi maschile e femminile di fedeli.

Nella tavola di Perugino i personaggi sono schierati su una linea e si affollano, mentre Raffaello li dispone secondo una curva, sembrano meno vicini tra loro e lascia vuoto lo spazio davanti al sacerdote.

Nel modo in cui sono raggruppate le figure si scorge anche una misura di intervalli più equilibrata rispetto al Perugino.

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Raffaello dispone le teste delle figure allo stesso livello (isocefalia) allontanandone alcune dal gruppo in primo piano.

Le diminuite proporzioni delle teste ne indicano la relativa distanza. Nello stesso tempo le figure meno vicine fanno cerniera fra il primo piano e lo sfondo, dove per ben quattro volte la scala umana interviene a definire le grandi distanze in una scena vastissima, contro un paesaggio che nel rettangolo della porta del tempio si perde nell'infinito, senza alcuna delle precisioni rappresentative del paesaggio di Perugino.

Il sacerdote del Perugino è perfettamente diritto e costruito sull'asse centrale del dipinto appare fermo e rigido.

Quello di Raffaello è sbilanciato verso destra, piega la testa e il busto e appare più sciolto e dinamico.

Sulla destra Raffaello introduce maggiore movimento nei singoli personaggi: San Giuseppe sta muovendo un passo avanti, il ragazzo che spezza il rametto assume una posa molto più naturale di quello del Perugino.

Ma le differenze più importanti si riscontrano nella costruzione dello spazio e nell'immagine del tempio al centro.

Il tempio ottagonale del Perugino, massiccio e pesante, grava sulle figure, tende ad avvicinare e chiude lo spazio dello sfondo. E' come un fondale architettonico in uno spazio che ha una profondità determinata, composto da piani paralleli in successione.

Il tempio di Raffaello non è incombente come quello di Perugino. E' molto più leggero, costituisce una sosta per l'occhio, dà respiro al quadro. Diventa un organismo aereo e armonioso, è il centro visivo da cui si genera uno spazio circolare, infinito, molto suggestivo.

L'effetto di rotazione è intensificato dal numero dei lati, che da 8 diventano 16, dal portico che circonda il cilindro centrale, più slanciato; e dalle sinuose volute di raccordo.

Sorge su una gradinata più alta e sembra essere allontanato prospetticamente dal digradare delle lastre bicrome del pavimento.

Il tempio di Raffaello diventa il perno di uno spazio circolare, alle cui leggi si sottomette tutto ciò che c'è intorno, la piazza, il paesaggio e le figure disposte a curve concentriche e gruppi.

Nelle forme architettoniche usate Raffaello era a conoscenza degli studi che venivano condotti da Bramante e Leonardo sull'architettura a pianta centrale, rispondenti a un modello ideale di perfezione.

Proprio in quegli anni Bramante realizza la costruzione del Tempietto di San Pietro in Montorio a Roma, ed è molto probabile che Raffaello si sia ispirato al progetto

bramantesco, forse anche come omaggio all'amico e maestro.

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Madonna col Bambino e San Giovannino detta “Madonna del Cardellino”

Data di produzione: 1506 Dimensioni: 113 x 88 cm

Dove si trova: Kunsthistorisches Museum, Vienna

La datazione dell’opera è certa, poiché troviamo riportato proprio sull’orlo del vestito della Vergine una data, ovvero M.D.VI. Stando alle fonti, l’opera venne realizzata per Taddeo Taddei, poi successivamente venne data a Ferdinando d’Austria che la portò con se, fino a giungere nel 1773 nelle collezioni imperiali viennesi, più precisamente all’interno del palazzo del Belvedere .

La scena che Raffaello ci propone vede protagonisti la Vergine Maria, Gesù

Bambino e San Giovanni Battista (anch’esso bambino). Lo schema che i personaggi formano è piramidale, dove Maria è il vertice; l’ambiente che li circonda è un

ambiente naturale, con una breve traccia in fondo a sinistra, di qualche costruzione.

Gesù Bambino si appoggia alle gambe della madre mentre cerca di tenersi in piedi, e sembra che stia muovendo i primi passi come un qualsiasi altro neonato. Il cugino San Giovanni si inginocchia, mostrando rispetto davanti al Salvatore, ed entrambi

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giocano con la croce, tipico simbolo della Passione di Cristo e del suo infausto futuro.

Molto interessanti sono le espressioni dei protagonisti, e soprattutto quella di Maria, che tradizionalmente conscia del tragico futuro di Gesù, viene rappresentata sempre

pensierosa e triste, mentre in questo caso è serena ed apprezza questo piccolo momento di divertimento di suo figlio.

Le vesti di Maria sono di colore rosso che rappresenta la Passione di Cristo, mentre il blu la Chiesa, e simbolicamente quindi indica l’unione tra questi due elementi; la Vergine, ha il busto ruotato verso destra, mentre con la testa e lo sguardo si rivolge verso i due bambini che giocano, come se precedentemente fosse voltata altrove.

Il richiamo alle opere di Leonardo da Vinci all’interno di questo quadro è ovvio,

soprattutto per la composizione della scena nella posizione dei corpi e nel paesaggio.

Alle spalle dei tre personaggi è possibile scrutare un papavero rosso che spicca rispetto a tutto il resto dell’ambiente, e questo è solo un altro elemento che allude alla Passione di Cristo.

Il paesaggio pare autunnale con una distesa di prato di un verde non troppo chiaro e delle pietre coperte di muschio poste dietro il soggetto adulto. Nella stessa distesa di terreno si intravedono delle piante e degli alberi in crescita, seguiti poi da delle erbacce e da un piccolo germoglio di papaveri rossi.

Nell'orizzonte di un celeste-biancastro, s'intravede un nucleo di piccole case che si pensa formino il borgo da cui provengono i soggetti del quadro; più a destra si scorgono delle montagne e nella parte bassa di esse degli alberi poco nitidi.

Il pittore, riguardo al paesaggio, sceglie dei colori abbastanza freddi per far si che il panorama rimanga in secondo piano rispetto ai soggetti principali.

La luce del dipinto è concentrata sulla composizione piramidale e soprattutto sull'azione che stanno compiendo i bambini: la Madonna hai i capelli biondi e raccolti, la sua carnagione è chiarissima e ha gli occhi rivolti verso il basso, verso i bambini; il suo sguardo è calmo e trasmette spontanea famigliarità.

Indossa una veste di colore rosso acceso e un mantello di colore blu. La gamba destra è distesa lungo la sua diagonale e il suo volto è rivolto nel verso opposto. E' abbastanza robusta, ha collo, mani e un piede nudi e con le sue mani tiene il corpo ignudo di Gesù Bambino. Quest'ultimo è abbastanza robusto: ha capelli biondi e delle orecchie rotonde.

In preda a consegnare una croce a Gesù, Giovannino, con i suoi capelli biondi ma riccioluti e anche lui con le orecchie rotonde, è vestito di un pezzo di stoffa che gli copre solamente il petto. Il restante del suo robusto fisico è privo di abiti.

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Pala Baglioni, Data di produzione: 1507 Dimensioni: 184 x 176 cm

Dove si trova: Galleria Borghese, Roma

Una delle opere più celebri del primo periodo fiorentino di Raffaello è la Pala Baglioni, richiesta nel 1507 dalla nobildonna Atalanta Baglioni per la cappella di famiglia in San Francesco al prato a Perugia. L'opera è conservata presso la Galleria

Borghese di Roma.

Il soggetto rappresenta il Trasporto del Cristo morto, è uno dei più drammatici tra quelli affrontati da Raffaello, abituato a tematiche più serene. La realizzazione è stata preceduta da attenti studi e parecchi disegni preparatori.

Si tratta di un tema voluto da Atalanta, come ricordo e omaggio al figlio Grifonetto, ucciso nel 1500. Si è ipotizzato che il trasportatore al centro sia un ritratto di Grifonetto, e la Madonna addolorata allude al dolore di Atalanta.

Il dipinto si compone in due gruppi, a sinistra tre figure maschili: Giuseppe D'Arimatea, San Giovanni e Nicodemo, che circondano il volto di Cristo.

All'estremità opposta le tre donne si raccolgono attorno alla Vergine.

Al centro la figura della Maddalena, che sostiene la mano di Gesù fissando il volto con lo sguardo. Il paesaggio si lega con le figure , si può notare un ritmico movimento da

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destra a sinistra che conduce verso l'ingresso del sepolcro, mentre più lontano, sulla destra, si vede il calvario con le croci , questo vuole evidenziare la disperazione e il dolore della Vergine; al centro vediamo un albero sottile nel paesaggio collinare, che funge da asse nella composizione, è una linea che definisce simmetria, equilibrio e stabilità nell’assetto compositivo.

Lo schema della composizione è classico, come è indicato dal corpo del Cristo, derivato dagli antichi rilievi. Ma Raffaello trasforma la scena con atteggiamenti più naturali nei personaggi.

La donna seduta che sorregge la Vergine riprende la torsione della Madonna di Michelangelo nel Tondo Doni.

Il dinamismo d'insieme invece si riferisce sia a quello di Leonardo che a quello di Michelangelo. Rispetto all'impatto drammatico di Michelangelo le figure di Raffaello risultano più dolci ed esprimono un dolore abbastanza contenuto.

Giunto a Firenze, Raffaello si confrontò con altri due grandi artisti che avrebbero con lui formato la triade del genio rinascimentale italiano: Michelangelo e Leonardo. Imparando dal primo la drammaticità dei corpi in movimento e del colore puro e cangiante; dal secondo la sottigliezza e il mistero dei moti dell’animo umano nella luce.

L’artista rende dinamico e rivoluziona il tema della Deposizione, anticipando quel perfetto equilibrio tra pittura di natura e di storia , che preluderà allo stile artistico della maturità rappresentato dalle Stanze Vaticane.

Scrive Raffaello: “il pittore ha l’obbligo di fare le cose non come le fa la natura, ma come ella le dovrebbe fare”. Rispetto alla staticità dello schema classico della Deposizione egli “inventa” il dinamico personaggio centrale: un giovinetto che con misurata classica cadenza muove l’azione da destra verso sinistra. Dal “venir

meno” di Maria tra le pie donne sotto la croce (collegato al calvario in collina con le tre croci) al ricevimento del corpo da parte del terzetto Giuseppe d’Arimatea, san Giovanni e Nicodemo che trascinano Cristo verso il sepolcro. Al centro Maddalena prende la mano di Gesù (in un disegno preparatorio gliela bacia) mentre accarezza i suoi bei lineamenti. La figura michelangiolesca il giovane al centro del dipinto diventa il legame fra i due gruppi: appartiene infatti a quello di sinistra (sostiene il lenzuolo su cui Gesù è steso) ma a livello di composizione fa un tutt'uno con la scena di destra (è infatti inarcato verso quella direzione).

L’alberello segna l’asse di simmetria, punto di equilibrio; il movimento è dato dall’inarcarsi del profilo del giovane la cui gamba sinistra, ben piantata in verticale sul terreno, segna il fulcro dell’equilibrio statico, altrimenti compromesso.

Il figlio morto è rappresentato da un giovane dal bellissimo profilo, con le labbra piene e rosse di un adolescente. Il collo, le braccia forti e ben formate, le calzature eleganti e la statura superiore a quella di ogni altro personaggio, ne fanno il

protagonista del gruppo. Il suo sforzo fisico sottolinea la concretezza carnale del corpo di Cristo e la tragedia umana della sua morte. Per dare enfasi allo svenimento della Madonna, Raffaello si serve della torsione della ragazza inginocchiata,

imitando quella già celebre dipinta da Michelangelo nel tondo di Angelo Doni.

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Tondo Doni di Michelangelo Pala Baglioni di Raffaello

Si presupponeva che il Paesaggio sullo sfondo della Deposizione di Raffaello che fosse un'immagine della campagna umbra, dato che Raffaello, quando aveva dipinto il quadro, aveva appena 24 anni e si trovava ancora a Perugia.

Ma nessuno era ancora riuscito a riconoscere il luogo preciso. Ora si scopre che le colline e il castello delineati proprio al centro del dipinto sarebbero quelli di Antognolla, 30

chilometri a nord di Perugia. Il castello e la vallata sono gli stessi che al tempo di Raffaello appartenevano alla famiglia Baglioni, la committente del quadro.

Per capire meglio bisogna risalire ai primi del Cinquecento, quando a Perugia gli Oddi e i Baglioni si disputavano il comando con guerre sanguinose che ebbero un termine ufficiale quando papa Giulio II, in occasione di un suo passaggio per Perugia, costrinse le due famiglie a fare la pace nel 1507. In quell'anno la tavola della Deposizione era appena compiuta. Atalanta Baglioni, l'aveva ordinata a Raffaello per la propria cappella gentilizia nella chiesa di San Francesco a Prato a Perugia. Il dipinto chiesto da Atalanta doveva commemorare una tragica morte: quella del figlio Grifonetto, ucciso nel 1500 sulla piazza di Perugia e raffigurato nella tavola di Raffaello in uno dei discepoli che trasportano il corpo del Cristo morto.

Passano i secoli e le due famiglie rivali si uniscono definitivamente nel 1700, quando una Caterina Oddi sposa un Marcantonio Baglioni.

Alessandra Oddi Baglioni, che discende direttamente da loro e vive nei pressi di Perugia si accorse osservando il dipinto nel 2012 periodo a cui risale il restauro della pala, che il castello dello sfondo assomiglia in maniera impressionante a quello di Antognolla, visto durante la sua infanzia nei possedimenti che una volta appartenevano alla famiglia.

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LE STANZE VATICANE

La decorazione delle Stanze Vaticane, oggi note anche come Stanze di Raffaello, ha impegnato l’artista dal 1508 fino alla sua morte, avvenuta nel 1520. L’occasione di questa commissione nacque dal desiderio di papa Giulio II di abitare altri ambienti dei palazzi vaticani, non volendo usare l’appartamento già utilizzato da papa Alessandro VI, papa Borgia, che egli detestava.

Alla decorazione di queste stanze avevano già parzialmente lavorato Pietro Perugino e il Sodoma. Nel 1508, papa Giulio II, resosi conto del grande talento di Raffaello, decise di affidargli la decorazione di questi nuovi appartamenti. L’incarico fu contestuale a quello affidato a Michelangelo per la volta della Cappella Sistina ma, mentre

quest’ultimo terminò il lavoro nell’arco di quattro anni, Raffaello continuò a lavorare alle Stanze per molto più tempo, senza peraltro completare del tutto il lavoro:

l’ultima stanza, quella detta di Costantino, fu infatti decorata dopo la sua morte da Giulio Romano.

Le Stanze di Raffaello sono quattro e hanno convenzionalmente i seguenti nomi:

Stanza della Segnatura, Stanza di Eliodoro, Stanza dell’Incendio di Borgo, Stanza di Costantino.

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Raffaello Sanzio, Stanza della Segnatura, Stanze Vaticane

Nel 1508 Raffaello Sanzio viene invitato dal papa Giulio II della Rovere a decorare alcuni ambienti dei nuovi appartamenti papali. .

La prima stanza è la stanza della Segnatura contiene gli affreschi più famosi del ciclo.

L’ambiente prende il nome dal più alto tribunale della Santa Sede, che inizierà a riunirsi a partire dalla metà del XVI secolo.

In origine la stanza fu adibita da Giulio II a biblioteca e studio privato, e da ciò deriva il programma iconografico degli affreschi, la cui funzione era di rappresentare le tre massime categorie dello spirito umano: il Vero, il Bene e il Bello

In questa stanza possiamo trovare due affreschi estremamente famosi: la Disputa del Sacramento e La Scuola di Atene.

I temi di questa prima stanza riguardano le discipline dell’Università medioevale, ovvero la Filosofia, la Teologia, la Giurisprudenza e la Poesia (che sostituisce la Medicina). Sui lati minori di questa stanza Raffaello dipinge scene relative alla Giustizia, e alla Poesia.

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Il Vero, in funzione teologica, è rappresentato nella Disputa del SS. Sacramento, mentre la verità come attività di pensiero è illustrata nella Scuola di Atene, sicuramente l’affresco più celebre di tutto il ciclo.

Il Vero si raggiunge attraverso la fede, quindi la teologia, ossia l’interpretazione della Chiesa terrena, e la scienza e quindi la filosofia, che con il ragionamento permette di capire. Il bene si raggiunge attraverso la Giustizia, che si esprime attraverso il diritto, e il bello si raggiunge attraverso l’arte.

Le scene affrescate simboleggiano rispettivamente La disputa del sacramento che rappresenta la teologia ; la scuola di Atene che rappresenta la filosofia, le Virtù,il Bene.

Disputa del Sacramento, 1509, affresco, base mt 7,70, Roma Palazzo Vaticano, Stanza della Segnatura

La Disputa del Sacramento è il trionfo della Chiesa, la rivelazione del vero supremo, Dio incarnatosi nel Figlio per riscattare l’uomo, il quale può giungere a lui attraverso la Chiesa. Nella parte inferiore del dipinto , vediamo un altare sopra di esso è posta l’ostia consacrata, elemento messo in evidenzia perché isolata sullo sfondo del cielo, e è il centro in cui convergono le linee prospettiche, indicate dalle linee della

pavimentazione, inoltre è il vertice di una piramide ideale che ha per base il bordo dell’affresco. Essa rappresenta il sacrificio di Gesù.

In asse con l’ostensorio in cui è posta l’ostia, che definisce un cerchio, si susseguono dei cerchi più ampi dal basso verso l’alto, quello in cui è collocato lo spirito santo, quello in cui fra la Vergine e il Battista siede Gesù con le braccia alzate e il palmo delle mani rivolto in avanti mostrando le stimmate e quello infine in cui è posto il Padre in

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Il cerchio finale non è rappresentato per intero, i raggi del sole con la loro

inclinazione definiscono il centro del cerchio più in alto. Questo simboleggia l’eterno l’infinito, che con un processo inverso dall’alto verso il basso giunge all’ostia, che

rappresenta l’uomo terreno, colui che è stato salvato, rappresenta l’unione con il corpo di Cristo, e quindi l’umanità che partecipa con il divino.

Il fondamento della salvazione è la Chiesa, questo concetto è espresso attraverso i due semicerchi orizzontali uno rappresentato sulla pavimentazione che contiene gli uomini, giovani, vecchi, laici e religiosi, che simboleggia la chiesa militante in terra, alcuni sono pensierosi altri occupati in fervide discussioni, nel cielo invece vi è la Chiesa trionfante, e intorno a Gesù si radunano dei santi.

Mentre la prevalenza della linea curva da ampiezza e maestosità alla scena, la prospettiva ineccepibile, il perfetto bilanciamento, la porta a destra è ripresa dalla balaustra a sinistra, dimostra la concatenazione logica delle parti, la composizione è costruita come un architettura umana, la chiarezza della luce rendono lo spettatore consapevole, rendono evidente il vero, rivelato da Dio, spiegato dalla Chiesa compreso dall’uomo.

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La Scuola di Atene, 1509 -1510, affresco, base m. 7,70, Roma, Palazzo Vaticano, Stanza della Segnatura

La Scuola di Atene è posta sulla parete di fronte, la scena si svolge all’interno di una architettura, che si può pensare sia a croce greca, con una cupola centrale, come la pianta di San Pietro che Bramante aveva già iniziato a costruire. L’asse della

composizione indicato dalle linee prospettiche coincide con quello di uno dei bracci, le cui volte posizionate una di seguito all’altra, determinano la spazialità e la profondità. Questo edificio diventa il luogo solenne per accogliere i grandi filosofi.

Al centro si possono vedere Platone e Aristotele che avanzano, questi sono

evidenziati dalla luminosità del cielo sullo sfondo, sono incorniciati e sovrastati dagli archi a tutto sesto fino all’ultimo arco che chiude la composizione. Sono evidenziati anche dai personaggi disposti reverenzialmente di lato al loro passaggio.

Questi due filosofi rappresentano i due poli fondamentali del pensiero

rinascimentale, l’uno che indica verso l’alto, al mondo delle idee, e l’altro indica verso terra alludendo al mondo dell’esperienza.

Attorno e sotto di loro, in gruppo o in solitudine si dispongono gli altri filosofi, chi discute per spingere gli altri a ragionare, chi scrive, chi compie dimostrazioni geometriche o matematiche, chi ascolta, chi medita.

I vari gruppi possono sembrare indipendenti rispetto agli altri ma in realtà tutti sono coordinati e collegati tra loro.

Ad esempio si può vedere come Eraclito in primo piano seduto e appoggiato ad un

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corrispondenza con Diogene semi sdraiato sui gradini un pò più indietro, e come le loro posizioni siano corrispondenti con le linee prospettiche.

Anche qui come nella Disputa del Sacramento Raffaello conferisce vigore volumetrico ai suoi personaggi, questo dipende dalla vicinanza con Michelangelo, che

contemporaneamente stava affrescando la Cappella Sistina.

La statuarietà e plasticità dei personaggi, stanno a rappresentare, la stabilità delle idee, la forza e l’importanza del pensiero dei filosofi.

Michelangelo esprime però tormento, dubbio, angoscia, Raffaello armonia, la visione di un mondo ordinato, saldamente costruito dominato dall’intelletto. In questo Raffaello è erede di Piero della Francesca, nella precisione geometrica-

matematica che però porta ad un livello di umanità che mancava a Piero Della Francesca.

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La stanza di Eliodoro e la Liberazione di San Pietro

Raffaello Sanzio (e aiuti), Cacciata di Eliodoro dal tempio, Stanze Vaticane, 1511-12, affresco. Stanza di Eliodoro.

La stanza successiva è detta Stanza di Eliodoro ed era una camera destinata alle udienze. L’affresco principale, che dà il nome all’intera stanza, è la Cacciata di Eliodoro dal tempio, un episodio del Testamento che vede Eliodoro, empio e ingiusto, punito dalla volontà di Dio. Ci si riferisce, quindi, alla riaffermazione del potere della Chiesa: infatti lo stesso Giulio II viene ritratto nel dipinto, sopra un baldacchino a sinistra.

In questa seconda stanza il tema è religioso, e contemporaneamente politico.

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Il Miracolo di Bolsena, 1512, affresco, base m. 6,60, Roma Palazzo Vaticano, Stanza di Eliodoro

Il Miracolo di Bolsena è un’ altro affresco presente in questa stanza, ed è posto su una parete occupata in parte da una finestra, spostata un pò sulla sinistra, quindi la superficie su cui lavorare risulta limitata, e asimmetrica.

Ma anche in questo caso Raffaello riesce a dare un senso logico, ad una situazione inizialmente svantaggiosa, rendendola funzionale alla narrazione.

Colloca sopra la finestra, quindi in posizione sopraelevata e al centro della

composizione, l’altare dove si svolge il rito. Dato che lo spazio ai lati della finestra è disuguale lo pareggia appoggiando allo stipite destro della finestra una pedana sulla quale è collocato il Papa Giulio II in preghiera, dietro di lui sui gradini ci sono quattro cardinali, e in terra davanti alla scalinata sulla destra sono rappresentate le guardie svizzere, che attendono inginocchiate. Sulla sinistra il sacerdote è in piedi dietro l’altare nell’atto della celebrazione della messa, e solleva l’ostia stillante sangue, dietro di lui in posizione gerarchica troviamo prima i chierici, poi i laici proseguendo verso il basso.

La scena che si svolge in corrispondenza dell’altare, è caratterizzata, come nella stanza della Segnatura, dalla presenza di linee curve evidenti nel coro ligneo, nell’architettura a volte retrostante, questo vuole rendere la scena più intima e raccolta.

La storia narra di un prete boemo che nel 1263, non riuscendo a credere alla

transustanziazione, cioè al tramutarsi del corpo di Gesù nel pane e del suo sangue nel vino, si recò a Roma nella speranza di trovare risposta ai suoi dubbi. Giunto a Bolsena

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celebrando la messa vide innalzando l’ostia consacrata e questa era gocciolante di sangue.

La presenza di Giulio II nella narrazione di un fatto miracoloso, avvenuto circa tre secoli prima, sta a significare la certezza della Chiesa nella constatazione del miracolo eucaristico, significa la continuità storica da Pietro a ciascuno dei suoi successori, del compito affidato da Cristo alla figura del Pontefice.

Per questo motivo a sinistra abbiamo la meraviglia del Sacerdote per il miracolo, e degli altri personaggi, sconcertati e increduli, evidenziato dalle espressioni e dai movimenti, e dall’altra la calma e la sicurezza del Papa e dei cardinali. Si noti che anche le fiamme dei ceri poste a sinistra sono agitate come investite da una folata di vento, al contrario di quelle delle candele a destra poste sull’altare.

In quest’opera i colori sono ben relazionati tra loro, coordinati reciprocamente dal tono fondamentale del marrone del legno del coro, all’oro dell’altare, dell’abito del

sacerdote, del cuscino su cui si poggia il Papa, a quello delle varie suppellettili presenti come i candelabri, delle zampe dell’inginocchiatoio. I colori si relazionano poi con il bianco della barba e della veste del Papa, e con i colori dei vari personaggi.

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Raffaello Sanzio (e aiuti), Liberazione di San Pietro dal carcere, Stanze Vaticane, 1513-14, affresco.

Un altro affresco della stanza è La liberazione di San Pietro dal carcere in cui un angelo libera l’apostolo dalla prigionia. La narrazione si definisce in tre momenti consecutivi e l’operazione viene coadiuvata da un sapiente ricorso all’architettura che aiuta dividere le tre scene.

L’angelo sveglia San Pietro e lo libera dalle catene (al centro), le guardie sono addormentate e i due possono scappare (a destra) ma alcuni soldati si accorgono della fuga (a sinistra). L’occhio dello spettatore è immediatamente conquistato

dalla splendida luce dell’angelo che riscalda con la propria presenza tutto ciò che gli sta intorno.

In quest’opera è straordinaria l’illuminazione notturna, ci sono cinque fonti di luce, a sinistra in cielo, si vede infatti un quarto di luna fra le nubi, l’aurora rosseggiante

all’orizzonte, la fiaccola in primo piano, al centro e a destra l’angelo circondato da un alone di luce.

Queste luci pur essendo diverse tra loro per natura e origine, riescono a essere coordinate tra loro, e a spiegare il significato della storia narrata. La luce emessa dall’angelo, simbolo della presenza divina, è intensa e chiarissima, dietro le sbarre i due carcerieri si dispongono intorno al cerchio luminoso in modo coerente, questa luce sta a significare la certezza del miracolo, per intervento divino, San Pietro liberato dalle

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catene potrà uscire dalla cella chiusa e sorvegliata, passando sulla destra tra le due guardie addormentate e protetto dall’angelo accanto a lui.

La luce bianca e fredda della luna, e quella rosata dell’aurora fanno da sfondo all’agitato risveglio dei soldati, i cui corpi sono la rappresentazione degli uomini terreni sono realizzati drammaticamente con la contrapposizione di chiari scuri determinati dalla luce mobile e artificiale della fiaccola.

Anche in questo caso Raffaello riesce a superare la presenza della finestra, che usa per dividere l’affresco in tre scene, che corrispondono ai tre momenti differenti della storia.

La Stanza dell’Incendio di Borgo e Leone X

L’ultima stanza viene affrescata sotto il pontificato di Leone X. I due lavori principali sono: L’Incontro di Attila e Leone Magno e L’incendio di Borgo.

Raffaello Sanzio (e aiuti), Incendio di Borgo, Stanze Vaticane, Stanza dell’Incendio di Borgo, 1514, affresco.

Questa stanza, in realtà, è stata realizzata quasi per intero dagli allievi di Raffaello, mentre il suo intervento è forse riconoscibile nell’episodio dell’Incendio di Borgo, dove alcune figure danno la sensazione di come Raffaello stia ora cimentandosi in uno stile che si richiama di più a Michelangelo.

La terza sala, detta dell’Incendio di Borgo, fu realizzata dopo la morte di Giulio II, e il nuovo pontefice, Leone X, diede a Raffaello un diverso piano iconografico. Gli affreschi

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particolare Leone III (Incoronazione di Carlo Magno e Giuramento di Leone III) e Leone IV (Incendio di Borgo e Battaglia di Ostia). In tutti gli affreschi il papa ha sempre il volto di Leone X.

Nel caso del secondo affresco si descrive un evento leggendario secondo il quale Leone IV avrebbe benedetto il quartiere di Roma Borgo durante un terribile incendio, fermando le fiamme. Il riferimento, però, è volto alla contemporaneità, infatti l’affresco si riferisce alla volontà di Leone X di sedare le lotte intestine alla cristianità. La scena ha un impianto e una struttura fortemente teatrale.

Rispetto all’armonia e all’ordine della Stanza della Segnatura, qui siamo di fronte ad un maggiore dinamismo, ad una maggiore drammaticità e a una resa dello

spazio molto più articolata e complessa. L’ultima sala, detta di Costantino perché gli affreschi sono dedicati ad episodi della sua vita, fu realizzata per intero dopo la morte di Raffaello avvenuta nel 1520. In questi affreschi si riconosce in particolare la direzione e il diretto intervento di Giulio Romano.

Se la Cappella Sistina rappresenta il cuore del Vaticano, soprattutto come autorità spirituale, le Stanze di Raffaello sono invece il cuore politico del papato. Così il vasto programma iconografico, che coinvolge ogni altro particolare dalle volte, alle lunette, dai dettagli decorativi alle singole figure, rimanda sempre alla supremazia della Chiesa anche come entità politica.

Da un punto di vista artistico, le Stanze sono una specie di antologia pittorica del Rinascimento italiano. In essa troviamo la pittura al massimo grado, ma con la duttilità di essere sempre al servizio di un’idea, non solo politica, ma anche estetica.

Il rigore formale e compositivo, unito ad una esecuzione senza sbavature o cadute di stile, hanno fatto sì che queste stanze sono in seguito divenute, per secoli, il luogo più visitato dai pittori, non solo italiani, ma di tutta Europa, alla ricerca di un confronto che li portasse a non essere inferiori ad uno dei più grandi pittori mai vissuti.

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