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CAPITOLO 4: INQUADRAMENTO LITOTECNICO Introduzione

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CAPITOLO 4: INQUADRAMENTO LITOTECNICO

Introduzione

Dopo aver analizzato il versante di Costa delle Calde da un punto di vista geologico e geomorfologico, è stata effettuata un’indagine litotecnica che ha come scopo quello di valutare le caratteristiche meccaniche dalla formazione in esame. Durante la campagna di rilevamento, sono stati effettuati alcuni test di resistenza delle rocce (sia in campagna che in laboratorio) e stabilite varie stazioni di rilevamento geomeccanico delle famiglie di discontinuità, descrivendo le loro caratteristiche, come riportato nel capitolo successivo.

Quando devono essere studiate le caratteristiche dei materiali da un punto di vista litologico-tecnico, si fa riferimento alla distinzione fondamentale tra Rocce e Terre, dalla quale deriva un diverso approccio di indagine. Sono considerate Terre quei materiali facilmente disgregabili, aventi una Resistenza a Compressione Uniassiale<1 MPa (ISRM, 1978) e comportamento meccanico controllato essenzialmente da coesione e angolo di attrito. Al contrario, le Rocce sono considerate un mezzo discontinuo con comportamento meccanico controllato da resistenza della roccia e presenza di discontinuità, aventi Resistenza a Compressione Uniassiale>1 MPa (ISRM, 1978). Comprendono sia la roccia intatta che l’ammasso roccioso.

Per ammasso roccioso si intende un volume di roccia che ha una struttura composta da blocchi di materiale di varie dimensioni, separati da “giunti” o “discontinuità”, ovvero zone di debolezza e minore resistenza. Tali zone possono essere assimilabili, nella maggioranza dei casi, a dei piani attraverso i quali i blocchi di roccia vengono a contatto tra di loro, oppure possono essere separati da uno spessore di materiale di altra origine, in genere di qualità più scadente rispetto all’ammasso (riempimento). Le discontinuità, a loro volta, possono essere divise in discontinuità principali e in sistemi. Le discontinuità principali sono rappresentate da faglie e fratture di grande estensione, testimoni di eventi geologici ma soprattutto tettonici di grande importanza; vengono considerate a parte in un’indagine litotecnica. I sistemi sono rappresentati dai giunti, ovvero fratture di origine geologica che interrompono la continuità di un ammasso roccioso senza però evidenze di scorrimento tra le due parti. Formano una rete molto complessa e hanno origini e caratteristiche molto diverse, in relazione alle vicende tettoniche subite dalle formazioni rocciose. La roccia intatta, invece, è un campione rappresentativo appartenente ad un volume elementare dell’ammasso roccioso, con buone caratteristiche di resistenza e deformabilità.

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Nella zona di interesse affiora, lungo la strada provinciale ‘Lodovica,’ la Formazione del Calcare Selcifero della Val di Lima. Consiste in calcareniti gradate e calcilutiti silicee grigio scure, con abbondanti liste e noduli di selce nera e rare intercalazioni marnose; appare suddivisa in blocchi, con fratture aperte riempite con materiale incoerente, mediamente alterata. Le condizioni delle discontinuità possono variare localmente, anche in relazione alla famiglia di appartenenza. E’ molto simile, dal punto di vista litotecnico, sia alla Maiolica che al Calcare Selcifero di Limano.

Sulla base delle prime osservazioni sia giaciturali che delle condizioni generali dell’ammasso affiorante lungo la Strada Provinciale, è stato deciso di dividere il settore in tre zone, stazione A, B e C, sulle quali, successivamente, sono state svolte delle osservazioni cinematiche per l’analisi di stabilità, come descritto nel capitolo successivo.

Figura 4.1: Ubicazione delle stazioni di rilevamento geomeccanico.

Sempre in un quadro di insieme, è stata individuata la presenza di quattro famiglie di discontinuità e le loro sommarie reciproche relazioni, denominate: S0 (stratificazione a

direzione appenninica), S1 (direzione appenninica), S2 ed S3 (direzione antiappenninica);

quest’ultima è visibile solo all’interno della stazione C. Adiacente alla stazione A, è ben visibile lo specchio della faglia ad alto angolo (vedi paragrafo 2.3).

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Il comportamento fisico-meccanico degli ammassi rocciosi dipende da molti fattori e, per semplificare il problema, è opportuno schematizzare con dei sistemi di classificazione che consentono di descrivere il comportamento dell’ammasso nella sua globalità (Cap. 6). Inoltre, per descrivere le rocce e gli ammassi, si utilizzano dei parametri fondamentali (ISRM 1978), i quali permettono di ricavare la resistenza sia della roccia intatta che delle pareti delle discontinuità, sia le caratteristiche delle discontinuità stesse. Per la descrizione approfondita di tali parametri si rimanda al paragrafo 4.4.1.

La resistenza è un parametro che riveste un’importanza notevole nella descrizione degli ammassi rocciosi. In genere si fa riferimento alla Resistenza a Compressione Semplice o Uniassiale (UCS, Uniaxial Compressive Strength), che può essere determinata in laboratorio con prove a compressione (per mezzo di una pressa o una cella triassiale non confinata, su provini cubici o cilindrici) oppure in sito e/o laboratorio con prove indirette (Martello di Schmidt, Point Load Strength Test anche su campioni irregolari), che necessitano di opportune correlazioni empiriche per essere ricondotte a dei valori di UCS. In particolare, la prova sclerometrica è utile per determinare, più che UCS, la resistenza a compressione delle pareti delle singole discontinuità (JCS, Joint Compressive Strength).

In questo capitolo verranno descritte le metodologie di laboratorio utilizzate per la determinazione del parametro Resistenza a Compressione, a partite dalla prova sclerometrica eseguita in situ, seguita dal Point Load Test e dalla Pressa a doppio pistone, utilizzata per la prima volta sui litotipi del versante di Costa delle Calde.

4.1 Caratterizzazione degli ammassi rocciosi: il Martello di Schmidt

o Sclerometro

Si tratta di una prova indiretta, non distruttiva, semplice, sviluppata da Schmidt (1951), che agisce tramite l’impatto di un’asta di metallo, spinta da una molla, sulla superficie del materiale; una parte dell’energia è dissipata (calore, rumore, deformazione), mentre parte è restituita elasticamente, dando così un indice R, indicante la percentuale di rimbalzo.

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Figura 4.2: Martello di Schmidt o sclerometro.

La lettura di R deve essere successivamente corretta in base alla posizione dello strumento rispetto alla verticale/orizzontale.

Lo strumento deve essere premuto contro la superficie rocciosa fino ad ottenere lo sgancio della massa battente; il bottone laterale deve essere premuto solo dopo l’impatto. Poi, tramite grafici e relazioni analitiche, è possibile stimare la UCS. Lo strumento va utilizzato ortogonalmente alla superficie da testare, su superfici piane e lisce (non sulle asperità), lontano dai bordi e dalle discontinuità (> 6 cm). L’ISRM (1978) ha stabilito che devono essere realizzate un minimo di 20 prove, scartando quelle anomale, dovute ad esempio ad un rumore sordo, e quelle che hanno fratturato o scheggiato la roccia.

È opportuno registrare tutti i valori e considerare variabilità e distribuzione di frequenza dei dati (media, moda, mediana, deviazione standard). È stato utilizzato lo strumento di tipo L (energia d’impatto 0,075 J), più delicato e più adatto a rocce di resistenza media rispetto a quello di tipo N, più diffuso e meno costoso (minor dispersione dei valori di R, meno sensibile alle anisotropie, migliore stima di UCS, modulo di Young e comportamento della roccia); comunque esiste una buona correlazione tra RL

e RN. Dalla durezza registrata è possibile ottenere, come precedentemente detto, una

stima della resistenza a compressione semplice; molti autori fanno riferimento all’abaco di Deere & Miller (1966), il quale necessita di una stima del peso unitario della roccia, dell’indice di rimbalzo R e dell’orientazione dello strumento. Altri autori (Bruschi, 2004) lo considerano invece con cautela.

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Figura 4.3: Abaco di Deere & Miller (1966) per la stima di JCS.

L’abaco riportato in fig. 4.3 ha permesso, quindi, di apportare le correzioni agli indici di rimbalzo R in base all’orientazione dello strumento rispetto alla verticale; successivamente, i valori di Rcorretto sono stati inseriti all’interno della relazione empirica

di Deere & Miller (1966).

L’altro parametro da inserire all’interno della suddetta relazione è il peso di volume; durante la campagna, sono stati raccolti dei piccoli campioni negli stessi punti in cui sono state effettuate le misure e si è proceduto poi alla misurazione del loro peso di volume in laboratorio.

La procedura da seguire è la seguente:

1) Il campione deve essere pulito. Se si tratta di un tipo di roccia che presenta una certa porosità, anche se minima, occorre impermeabilizzare la superficie del campione con una vernice spray fissativa;

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3) Pesare il recipiente riempito con acqua distillata alla pressione di 1 atm e alla temperatura di 20° C, scegliendo l’opzione “tare” sulla bilancia;

4) Si azzera la misura sulla bilancia e si pesa nuovamente il contenitore con immerso il campione tenuto sospeso, all’interno del liquido, con un apposito filo senza adagiarlo sul fondo (altrimenti si ottiene il valore iniziale) fino a che il valore non si stabilizza (V);

5) Dal rapporto P/V tra le due misure si ottiene il Peso di Volume (γ, kN/m3).

6) Alla fine è opportuno pesare nuovamente il campione per verificare che non abbia assorbito quantità significative di acqua;

Figura 4.4: Fotografia mostrante l’attrezzatura necessaria: la bilancia di precisione, il recipiente di acqua e il campione sospeso (Laboratorio di Geotecnica, Dipartimento di Scienze della Terra, Pisa).

La procedura sopra descritta è stata ripetuta per 12 volte, ottenendo 12 valori del peso di Volume della roccia (riportati nella tabella sottostante). E’ stata infine calcolata la Media delle misure, pari a 2.65 g/cm3, con una Deviazione Standard pari a ±0,03.

Il valore medio del peso di volume ottenuto è stato utilizzato nella relazione per elaborare le misure sclerometriche e come valore di riferimento per la formazione del Calcare Selcifero della Val di Lima in esame.

N° Tara (gr) P (gr) V (cm3) γ

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6 967,1 110,6 42,1 2,63 7 966 82 31,2 2,64 8 964,7 133,9 52 2,57 9 963 193,1 73 2,64 10 749,5 162 61 2,65 11 747,8 193,1 72,5 2,66 12 746 154,4 58,2 2,65

Tabella 4.1: Risultati della determinazione del peso di volume.

Esistono altre relazioni empiriche per stimare JCS a partire dai valori dell’indice di rimbalzo del martello di Schmidt (Miller 1965; Irfan & Dearman, 1978; Katz et al. 2000; Bruschi, 2004; Aydin & Basu 2005; Fener et al. 2005): si tratta di relazioni sia lineari che esponenziali, ma la maggioranza degli autori è orientata su queste ultime, sull’esempio di quella di Deere & Miller (1966). La prova non è adatta per rocce molto deboli, con discontinuità fitte (argilliti) o non omogenee (brecce, conglomerati), e può dare un’idea dell’allentamento dell’ammasso roccioso e/o l’alterazione della roccia o delle pareti della discontinuità. Infatti, se la prova viene eseguita su una superficie non alterata, il valore della resistenza misurata con lo strumento risulta circa uguale a quello ottenuto con prove monoassiali o con il Point Load Test, se invece tale superficie è alterata, il loro rapporto tende ad aumentare, fino ad essere maggiore di 10 in caso di alterazione profonda.

4.1.1 Interpretazione dei risultati ottenuti

Sono state effettuate 187 misure tramite sclerometro, distinguendo sia la stazione che la famiglia di discontinuità di appartenenza. All’interno della stazione A sono state eseguite 55 misurazioni, 18 in corrispondenza di S0, 32 di S1 e solo 5 di S2; all’interno

della stazione B sono state effettuate 35 misurazioni, 15 in corrispondenza di S0, 18 di

S1 e solo 2 della famiglia S2; all’interno della stazione C sono state eseguite 53 misure,

20 in corrispondenza di S0, 25 di S1 e solo 8 di S2. Sono state effettuate 44 ulteriori

misurazioni, progressivamente allontanandosi dallo specchio di faglia, per osservare se la sua presenza può influire sui valori ottenuti, considerando che, in generale, la qualità della roccia è più scadente vicino ad una faglia. Tali misurazioni non sono state suddivise per stazione di appartenenza, ma solo per famiglia (17 misure in corrispondenza di S0,

21 di S1 e 6 di S2). Come si può dedurre dai risultati riportati nell’allegato III, la faglia ad

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possibile eseguire la prova in corrispondenza della quarta famiglia di discontinuità (S3) a

causa dell’assenza di superfici adatte ed idonee al posizionamento dello strumento. I valori di resistenza a compressione ottenuti tramite la relazione analitica di Deere & Miller (1966), sono stati distinti in base alla stazione e alla famiglia di appartenenza. Il peso di volume calcolato in laboratorio è risultato essere pari a 26 kN/m3. Considerando

il parametro ‘stazione di appartenenza’, le tre zone in cui l’intero affioramento è stato suddiviso non mostrano significative differenze nei risultati ottenuti, mentre quelli conseguiti in base al parametro ‘famiglia di appartenenza’ mostrano una maggiore variabilità. In generale, quindi, né la stazione nè la famiglia di appartenenza influiscono sulla resistenza uniassiale della roccia.

Stazione di appartenenza JCS (MPa) Famiglia di appartenenza JCS (MPa)

A 63 ± 8 S0 67 ± 8

B 63 ± 7 S1 70 ± 8

C 66 ± 7 S2 61 ± 8

Tabella 4.2: Valori di resistenza a compressione monoassiale ottenuti tramite prova sclerometrica.

Sono state inoltre utilizzate altre relazioni analitiche, per avere un confronto. Autore Relazione analitica JCS(MPa) d st

Miller, 1965 10 (0.008*26*R+1.01) 69 10

Irfan&Dearman, 1978 0.775*R*21.3 49 4

Bruschi, 2004 0.1146*R1.687 48 7

Tabella 4.3: Valori di resistenza a compressione monoassiale ottenuti tramite relazioni analitiche.

Relazione R-UCS 0 20 40 60 80 100 120 140 0 10 20 30 40 5 JC S ( M P a ) 0

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Come mostrato in figura 4.5, chiaramente la relazione di Miller (1965) è molto simile a quella utilizzata in tale lavoro di tesi (Deere&Miller, 1966), e ha uno stesso andamento esponenziale; quella di Irfan&Dearman (1978) è invece lineare, circa costante, con un valore medio di 49 MPa, molto più basso rispetto agli altri (anche per questa ragione, è stato deciso di non prenderlo in considerazione). Lo stesso valore (48 MPa) è stato ottenuto anche con la relazione esponenziale di Bruschi (2004), di andamento simile a quella di Miller (1965) e di Deere & Miller (1965), ma di valori di resistenza a compressione inferiori.

In conclusione, quindi, i valori di resistenza a compressione delle pareti delle discontinuità (JCS) risultano variare tra 63 e 66 MPa e tra 61 e 70 MPa per quanto riguarda rispettivamente la stazione e la famiglia di appartenenza. I valori di questi ultimi sono stati utilizzati nell’analisi dei cinematismi interessanti le singole famiglie o le intersezioni tra due o più famiglie di discontinuità presentata all’interno del Capitolo 7.

4.2 Caratterizzazione degli ammassi rocciosi: il Point Load

Strength Test

Il valore numerico ricavato con il Point Load Strength Test è un indice di resistenza ad un carico puntuale (o resistenza al punzonamento) applicato ai campioni di roccia tramite due punte coniche ed ha una buona correlazione con la resistenza a compressione monoassiale.

Questo tipo di strumento fu sviluppato da Franklin nel 1970. Il vantaggio di eseguire questo test consiste nella economicità delle attrezzature e nella celerità della prova; inoltre, la preparazione del provino è molto semplice e la prova richiede pochi minuti. Può essere eseguita direttamente in cantiere, oltre che in laboratorio, poiché funziona anche a batteria. Lo scopo è quello di fornire un indice di resistenza per la classificazione del materiale roccioso.

I provini di roccia possono essere rappresentati da spezzoni cilindrici di carota, blocchi tagliati o pezzi di forma irregolare; vengono rotti tramite l’applicazione di un carico concentrato applicato con punte coniche.

La macchina (TS 706/D, Tecnotest, Laboratorio di Geotecnica, Dipartimento di Scienze della Terra) comprende una parte predisposta per il caricamento e un sistema per la misura del carico P necessario per portare a rottura il provino. Il sistema di carico ha la possibilità di regolare la distanza tra le punte, in modo da permettere di eseguire la

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prova su provini di dimensioni che variano solitamente tra 15 e 100 mm (anche se si consiglia di non superare i 70 mm per non forzare troppo il dispositivo). La capacità di carico deve essere sufficiente a portare a rottura anche i provini più grandi e resistenti (massimo 50 kN). Le punte coniche hanno terminazione sferica, r = 5 mm e un angolo al vertice di 60°, in acciaio per non essere danneggiate durante la prova. Il sistema di misura è costituito da un trasduttore di pressione idraulica che determina il carico di rottura P, cioè il carico massimo che viene registrato al termine di ogni prova. Per la misura dell’altezza del provino, ovvero della distanza tra le punte D e dello spessore W dei provini, si utilizza un calibro o un righello. Un dinamometro visualizza e registra la forza applicata e il valore massimo raggiunto fino alla rottura, con un’accuratezza di +/- 2%. Il sistema di misura della distanza deve indicare la distanza D tra i punti di contatto fra punta e campione, con un’accuratezza di 0.5 mm.

Per le prove su blocchetti irregolari, il provino viene collocato nell’apparecchiatura e si portano i punzoni a contatto con la dimensione minore del blocchetto, lontano da lati o spigoli. Se la roccia è laminata, stratificata o presenta altre anisotropie, le prove vanno condotte parallelamente e perpendicolarmente ai piani di anisotropia.

Esecuzione della prova. Si avvia lo strumento, si azzera la lettura e si imposta la registrazione del valore massimo raggiunto dal dinamometro. Si abbassa la punta inferiore (rubinetto aperto), si inserisce il campione con il martinetto (rubinetto chiuso) e si alza lentamente la punta inferiore fino a bloccare il provino: da questo momento il dinamometro inizia a registrare e a visualizzare un valore sul display. Si legge la distanza tra le punte e a questo punto può essere inserita la lastra di protezione e azionato il martinetto fino a rottura del campione. Durante la prova deve essere fatta attenzione che il provino non poggi sulla staffa inferiore della punta, per non danneggiarla. A prova conclusa si registra la forza massima raggiunta.

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Valore di picco (daN)

Figura 4.6: Strumento Point Load Test (Laboratorio di Geotecnica, Dipartimento di Scienze della Terra).

Dalla prova si ottiene un Indice di Resistenza Point Load Is, generalmente normalizzato a D = 50 mm :

Is = P / D2 (MN/m2) (Brock & Franklin, 1972)

in cui P indica la pressione registrata al momento della rottura e D il diametro del provino, ovvero la distanza tra le due punte coniche.

Come ulteriore conferma, il valore di Is è stato determinato anche con la rappresentazione grafica riportata in fig. 4.7.

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Figura 4.7: Grafico per la determinazione di Is per D = 60 mm e P = 10 KN (Broch & Franklin, 1972).

Is varia in funzione di D, quindi è necessario apportare una correzione allo scopo di ottenere un unico valore di resistenza a punzonamento, cioè deve essere riferito ad un provino standard di dimensioni D=50 mm; infatti, a causa dell’effetto dimensione provino, si osserva una diminuzione di resistenza Is all’aumentare di D. Occorre quindi intervenire con dei grafici di correzione. Il più usato è il diagramma proposto sempre da Broch & Franklin (1972): dall’intersezione di D con Is, ci si sposta parallelamente alla curva più vicina, fino ad incontrare la linea verticale D = 50 mm, ottenendo così il valore di Is(50) corretto. Le curve sono presentate in forma semilogaritmica poiché sono

approssimativamente parallele, e non sono state plottate per valori di diametro inferiori ai 25 mm, perché sotto questo valore la correzione per dimensione diventa troppo ampia e variabile; non si raccomandano test con diametri più piccoli.

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Figura 4.8: Grafico per la determinazione del valore di Is (50) corretto. Le linee in viola sono un esempio di determinazione per D = 60 mm e Is = 3 KN (Broch & Franklin, 1972).

Ponendo in un diagramma bilogaritmico i valori di P e D2, si ottiene solitamente una

correlazione lineare. I punti che si distanziano notevolmente da tale andamento possono essere trascurati. Il valore di P(50) corrisponde ad D2 = 2500 mm2 (D = 50 mm): per

estrapolazione è possibile quindi ottenere il valore di Is (50).

Il valore medio dell’indice di resistenza Is corretto viene calcolato non considerando i due valori più alti e più bassi tra quelli determinati con un certo numero di prove. A tale proposito, l’ISRM (1985) raccomanda un minimo di 10 prove per i provini cilindrici, e di 20 prove per quelli di forma irregolare; su questi ultimi, il test è meno accurato, più soggetto a effetti di dimensione e forma. Si scartano le prove nel caso in cui la frattura non sia fresca o segua discontinuità.

Per riassumere, i principali vantaggi di tale prova sono:

o necessita di forze minori, infatti può essere usato anche un tester portatile di dimensioni ridotte;

o possono essere utilizzati sia spezzoni di carote che blocchi irregolari, i quali non richiedono lavorazione;

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o possono essere effettuati più test per lo stesso costo, permettendo un adeguato campionamento anche quando le condizioni delle rocce sono variabili;

o possono essere testati materiali fragili o rotti, per cui c’è meno possibilità che i risultati siano influenzati in favore di rocce più competenti;

o i risultati mostrano meno dispersione rispetto all’utilizzo dello sclerometro. Per ogni campione testato è necessario quindi riportare su un’unica tabella:

1) Il numero del campione e la sua collocazione, possibilmente con la descrizione della giacitura di ogni piano di debolezza presente al suo interno;

2) I valori del carico di cedimento P e distanza D; 3) I valori di Is e Is(50).

I valori di Is corretti vanno poi correlati con quelli di UCS; comunemente impiegata da quasi tutti gli autori (Brock & Franklin, 1972; ISRM, 1985; Fener et alii, 2005) è la relazione sperimentale:

UCS = K Is

in cui K è un coefficiente moltiplicativo, stabilito pari a 24 dall’ISRM (1985). Evidenze sperimentali indicano però che tale valore non è univoco ma largamente variabile, dipendente soprattutto dalla litologia. Da vari studi è emerso che il valore di K tende a diminuire per bassi valori di resistenza a compressione; Palmstrom (1995) suggerisce a questo proposito di fare variare K in funzione di Is secondo il seguente schema:

Is (MPa) K

1,8 – 3,5 14

3,5 – 6,0 16

6,0 – 10 20

> 10 25

Tabella 4.4: Valori di K in funzione dell’indice di resistenza Point Load (Palmstrom, 1995).

mentre Bruschi (2004) suggerisce valori diversi di K a seconda della litologia:

Petrografia K

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Rocce di basso grado metamorfico 18 - 24 Rocce di medio grado metamorfico 16 - 19

Rocce di alto grado metamorfico 14

Tabella 4.5: Valori di K in funzione della petrografia della roccia (Bruschi, 2004).

4.2.1 Interpretazione dei risultati ottenuti

Durante lo svolgimento della prova, sono state annotate le altezze e lunghezze dei campioni irregolari e il valore della forza necessaria per raggiungere la rottura in daN, opportunamente convertita in MN per la determinazione dei valori di Is tramite la relazione di Brock & Franklin (1972).

I valori sono stati in seguito normalizzati al diametro di 50 mm, utilizzando la carta di correlazione proposta dagli stessi autori. in media è stato ottenuto un

Is (50) = 3,7 ± 0,3 MPa

Per la determinazione di UCS, è stato utilizzato un coefficiente K= 16 secondo la proposta di Palmstrom (1995), e K= 18 in base alle considerazioni petrografiche di Bruschi (il valore di 24 proposto dalle raccomandazioni ISRM è da considerarsi troppo elevato e ottimistico per tale litologia).

Sono state eseguite 61 prove, 7 delle quali sono state scartate a causa dell’alta fratturazione e alterazione di alcuni campioni: 22 prove in corrispondenza della stazione A, 17 della B e 15 della C, quasi tutte perpendicolarmente alla stratificazione.

Al raggiungimento della rottura, è stato possibile osservare la granulometria e le caratteristiche dei giunti: la maggior parte dei campioni ha mostrato una grana intermedia tra una calcarenite ed una calcilutite, con piccoli cristalli osservabili ad occhio nudo di calcite e mica, e una piccola parte più calcilutitica, di colore più scuro. È stato osservato che la presenza di liste di selce all’interno del campione non ha influito sul risultato della prova (in generale si dovrebbero osservare valori più alti, ma in questo caso la differenza tra il calcare presente, molto fratturato, e la selce è minima).

I valori di Resistenza a Compressione Semplice ottenuti non si differenziano a seconda della stazione di appartenenza, come anche nel caso della prova sclerometrica; i risultati sono riportati nella tabella seguente.

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Stazione Palmstrom, 1995 Bruschi, 2004

A 63 MPa ± 9 70 MPa ± 9

B 52 MPa ± 6 58 MPa ± 7

C 63 MPa ± 8 71 MPa ± 8

TOT 59 MPa 67 MPa

Tabella 4.6: Valori di UCS all’interno delle 3 stazioni e valore unico secondo due relazioni empiriche.

Secondo le indicazioni di Palmostrom (1995), è stata ottenuta una resistenza pari a circa 60 MPa, mentre secondo Bruschi (2004) pari a 67 MPa. Si osserva quindi una buona corrispondenza tra i risultati di queste due tipologie di prove indirette.

4.3 Caratterizzazione degli ammassi rocciosi: la Pressa a

Compressione Monoassiale

La resistenza alla compressione monoassiale di una roccia è uno dei parametri di laboratorio più importanti, ed il suo valore è universalmente impiegato nella caratterizzazione del materiale. Di conseguenza, la prova di compressione è la più diffusa tra le tecniche sperimentali usate per la definizione quantitativa delle proprietà meccaniche (ISRM, 1981).

L’apparecchiatura per la prova (Pressa KL 300/CE Tecnotest) è stata progettata per prove di compressione su provini di calcestruzzo, laterizi e manufatti in cemento; è dotata di due martinetti idraulici concentrici azionabili separatamente. Il maggiore sviluppa una forza fino a 3000 kN, il minore fino a 300 kN. Tale soluzione consente di disporre di una doppia scala di misura in un unico vano di prova, con il conseguente vantaggio di incrementare la precisione nel campo di lavoro inferiore.

Per avere una misura della resistenza a compressione monoassiale, sono stati utilizzati dei saggi di roccia costituiti da campioni cubici di 7*7*7 cm posto tra due piastre in acciaio a forma di dischi dello spessore di almeno 15 mm. Il carico sul campione viene applicato in modo continuo, con una velocità di applicazione della tensione costante, tale che la rottura avvenga entro 5-20 min di carico. Il carico massimo applicato viene registrato e visualizzato in Newton (kN o MN).

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La resistenza a compressione monoassiale del campione viene calcolata dividendo il massimo carico sostenuto durante la prova per l’area iniziale. Per ogni campione su cui si effettua la prova devono essere annotati:

¾ orientamento dell’asse di carico rispetto all’anisotropia del campione; ¾ dimensioni del campione;

¾ durata della prova; ¾ modalità di rottura;

¾ resistenza a compressione espressa in Mega Pascal (MPa) con tre cifre significative.

Le pompe inoltre possono essere connesse all’uno o all’altro dispositivo di carico semplicemente cambiando la posizione dell’innesto rapido (vedi Figura 4.9: raccordo in sede anteriore→scala bassa; raccordo in sede posteriore→scala alta). Per sconnettere i raccordi è necessario depressurizzare l’impianto idraulico.

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Rubinetto di scarico per depressurizzare

il martinetto Regolatore di portata per aumentare e/o ridurre il

gradiente di carico

Pulsante di salita rapida per ridurre velocemente la luce residua tra provino e piastra snodata di contrasto

Valvola di massima pressione

Figura 4.9: Fotografia della Pressa a Compressione a Doppio Pistone con dettaglio delle valvole (Laboratorio di Geotecnica, Dipartimento di Scienze della Terra).

Il provino va posto sopra la piastra di prova e centrato. La luce libera tra provino e piastra superiore deve essere di circa 20 mm. In funzione delle dimensioni del provino occorre disporre le piastre distanziali.

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Si può scegliere tra tre possibili prove (compressione, flessione, trazione) e, selezionata la modalità compressione, inserire altre informazioni come la descrizione del provino, il numero dell’operatore, ecc. Dopo aver selezionato l’opzione ‘Cube’ compare una pagina dove devono essere inseriti dei dati:

ƒ Numero test ƒ Numero provino ƒ Tipo provino ƒ Misura A ƒ Misura B ƒ Misura C ƒ Area (A*B) ƒ Peso ƒ Maturazione ƒ Gradiente

Figura 4.11: Dati di input.

Dopo aver immesso tutti i dati di input, sulla schermata sono osservabili due valori che indicano 1) il valore del Set Point calcolato in funzione del tempo trascorso dall’avvio, del gradiente di sforzo e della sezione resistente; 2) il valore del carico corrente. Durante il test i due numeri si aggiornano continuamente e, se essi coincidono, la sottostante barra orizzontale pone il cursore al centro; se il set point supera il carico reale, il cursore si sposta sulla sinistra, mentre si sposta a destra nel caso contrario. Questo dispositivo, detto cadenzometro, serve a controllare visivamente l’errore commesso dall’automatismo, e nelle macchine a regolazione manuale esso indica all’operatore in modo semplice ed intuitivo se accelerare o rallentare la progressione del carico, al fine di eseguire al meglio il gradiente impostato e di mantenere la bolla nella zona centrale ruotando il regolatore in senso orario o in senso antiorario. Come mostrato nella figura 4.12, la sbarretta verticale deve essere mantenuta verso la metà del riquadro; in questo caso, quindi, il campione sta raggiungendo la rottura, infatti tale sbarretta non è più controllabile.

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Figura 4.12: Cadenzometro.

L’innesco della prova è regolato da una soglia preimpostata modificabile solamente nella sezione “Calibration” previo inserimento di una password. In pratica, quando il carico supera tale soglia, l’apparecchiatura considera avviato il test, quindi calcola e visualizza il set point e attiva il cadenzometro. Quando avviene la rottura del provino, l’apparecchiatura automaticamente si ferma e il display visualizza la pagina dei risultati che riassume i principali dati di input, il carico massimo raggiunto (picco) e la resistenza specifica.

Figura 4.13: Schermata finale della Prova a Compressione con Pressa.

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alterazione e/o dissoluzione. All’interno del cubo di fig. 4.14 è possibile osservare, oltre alla scarsa qualità della roccia, anche vene di calcite dislocate da piccole faglie.

Figura 4.14: Foto di un campione a litotipo calcarenitico.

I 4 campioni scartati in un primo momento, sono stati testati utilizzando il canale 1 (3000 KN), e prima di raggiungere la rottura, quasi immediatamente la prova si è conclusa, dando dei risultati di resistenza molto bassi, quindi è stato deciso di procedere con il canale 2 (300 KN): i valori sono risultati essere sempre bassi, con massimi di 25 MPa, ma è stata raggiunta la rottura.

I campioni cubici sono stati suddivisi a seconda della stazione di appartenenza, e testati perpendicolarmente alla stratificazione.

La prova ha avuto una durata di pochi secondi per i campioni scartati, mentre da circa uno a tre minuti per gli altri, quindi la rottura è stata relativamente veloce. Il valore medio della rottura di picco è risultato pari a circa 360 KN, da un valore minimo di 246 ad uno massimo di 556 KN.

All’interno della stazione A sono stati testati 4 campioni, da un minimo di UCS di 58 MPa ad un valore massimo di 99 MPa; 4 campioni all’interno della stazione B, da un valore minimo di 60 MPa ad uno massimo di 114 MPa; 5 campioni in corrispondenza della stazione C, da 43 a 56 MPa. Tutti i risultati sono riportati nell’allegato III.

Anche prima di effettuare la prova, è stato possibile osservare la presenza di due diversi litotipi, diverse sia per granulometria che per aspetto: una calcarenite, a grana più grossa, con minerali di mica ben visibili ad occhio nudo e di solito più ricca di cavità di dissoluzione e/o alterazione, ed una calcilutite, a grana più fine. La calcarenite ha dato

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dei valori di resistenza inferiori rispetto all’altro litotipo. La roccia si rompe perpendicolarmente alla stratificazione, seguendo giunti preesistenti, con la presenza di una ben visibile alterazione di colore rossastro e/o di riempimento.

Figura 4.15: Foto di un campione cubico prima e dopo la rottura.

Chiaramente, l’attendibilità della prova è influenzata dal grado di alterazione e fratturazione dei campioni.

I risultati delle prove hanno dato dei valori diversi a seconda della zona di appartenenza del campione cubico e, quindi, è stato deciso di utilizzare tre diversi valori di resistenza a compressione semplice, come riportato nella tabella 4.7.

STAZIONE VALORE MEDIO DELLA UCS (MPa)

A 86 ± 4

B 90 ± 22

C 51 ± 5

Tabella 4.7: Media dei valori della resistenza a compressione semplice ottenuti in corrispondenza delle tre stazioni.

L’ammasso roccioso presente all’interno della stazione C risulta quindi meno resistente; ciò potrebbe essere causato dalla presenza di una quarta famiglia di discontinuità S3 (non presente nelle altre stazioni di rilevamento), la quale influisce sulle

(23)

discontinuità S3 è stato fatto riferimento, invece, alla resistenza a compressione distinta

in base al parametro ‘stazione di appartenenza’; in questo lavoro di tesi verrà analizzata la stazione C (Cap. 7) e, quindi, è stato utilizzato il relativo valore di 66 MPa.

I risultati della prova diretta sono stati utilizzati per la definizione del parametro ‘Resistenza a Compressione Monoassiale della roccia intatta’ all’interno delle classificazioni geomeccaniche di Bieniawski (1989) e Romana (1985). In riferimento a queste ultime, la presenza di una notevole differenza dei valori di UCS tra le stazioni A-B e C, non influisce comunque sui risultati delle classificazioni stesse, non rappresentando il parametro maggiormente significativo (vedi Capitolo 6).

4.4 Proprietà fondamentali delle discontinuità

L’ISRM (1978) considera discontinuità “una qualunque interruzione di continuità di una massa rocciosa, avente resistenza a trazione bassa o nulla. E’ un termine collettivo che indica la maggior parte delle fessure, dei piani di stratificazione, di scistosità, delle zone di indebolimento e delle faglie”. Per la loro descrizione è necessario definire 10 parametri fondamentali:

I. Orientazione II. Spaziatura

III. Continuità o Persistenza IV. Scabrezza

V. Resistenza delle pareti VI. Apertura

VII. Riempimento VIII. Filtrazione d’acqua

IX. Numero di sistemi X. Dimensione dei blocchi.

Alcune di queste giocano un ruolo maggiore nel controllare le condizioni di stabilità, di resistenza meccanica e di deformabilità (orientazione e spaziatura, scabrezza e resistenza delle pareti, riempimento). Le particolari caratteristiche di una possono ridurre o annullare l’effetto di altre (per esempio un riempimento di spessore significativo può prevalere su un grado di rugosità molto elevato). L’orientamento, la spaziatura ed il numero dei sistemi di discontinuità caratterizzano sostanzialmente l’influenza dei giunti sul comportamento generale dell’ammasso roccioso; essi vengono acquisiti con relativa facilità mediante osservazione delle superfici esposte, mediante rilievo fotografico delle

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zone più rappresentative e/o rilievo statistico. La rappresentazione su proiezione stereografica e le curve di isofrequenza sono uno strumento efficace per una più facile individuazione di orientazioni preferenziali e di gruppi di giunti con giacitura omogenea.

Lo studio dei vari parametri caratterizzanti è stato distinto in base alla famiglia di appartenenza. Per ogni stazione A, B e C sono stati realizzati almeno tre stendimenti del rilevamento delle caratteristiche geomeccaniche delle discontinuità.

Orientazione

L’orientazione o giacitura esprime la posizione della discontinuità nello spazio. Viene descritta dalla direzione d’immersione (azimut) misurata in senso orario rispetto al Nord e dall’inclinazione della linea di massima pendenza del piano di discontinuità rispetto all’orizzontale (Dip Direction/Dip). La strumentazione adeguata è rappresentata dalla bussola, dotata di una livella a bolla d’aria. La massima inclinazione del piano della discontinuità viene espressa in gradi con numeri di due cifre (da 00 a 90), mentre la direzione di immersione è misurata in gradi con un numero di tre cifre (da 000 a 360), e registrati in questo ordine: es. 025/45.

I dati sono stati rappresentati utilizzando la proiezione.equatoriale sul reticolo equiangolare di Wulff: un piano di discontinuità viene rappresentato come un cerchio meridiano o un polo su un emisfero di riferimento (inferiore), quando il centro della sfera giace sul piano della discontinuità. Si ottiene quindi una rappresentazione bidimensionale.

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Figura 4.17 : Misura della giacitura della superficie di discontinuità con bussola.

Tale parametro, rispetto ad un’opera di ingegneria o ad un versante naturale, influenza molto le condizioni di stabilità o lo sviluppo di deformazioni nell’ammasso roccioso. La sua importanza cresce quando vi siano altre condizioni sfavorevoli, come sistemi di discontinuità che consentano lo scivolamento o bassa resistenza a taglio lungo i giunti. L’orientazione relativa determina la forma dei blocchi che compongono la massa rocciosa. Il numero di dati giaciturali deve caratterizzare adeguatamente i vari sistemi e la dispersione dei dati (80 – 300 misure).

Spaziatura

Essa rappresenta la distanza fra discontinuità adiacenti parallele o subparallele, appartenenti alla stessa famiglia, misurata perpendicolarmente alle superfici stesse, lungo uno stendimento di almeno 3 m, e condiziona fortemente le dimensioni dei singoli blocchi di roccia integra e la permeabilità. Normalmente ci si riferisce alla spaziatura media o modale di un sistema di fessure.

Figura 4.18: Misura della spaziatura dei giunti su una superficie esposta di roccia (Martinetti e Ribacchi, 1976).

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Sistemi di discontinuità assai ravvicinate tendono a dare condizioni di bassa coesione nella massa, mentre quelli che hanno una larga spaziatura tendono a produrre condizioni d’interdipendenza tra i blocchi.

Figura 4.19: esempio di misura della spaziatura.

Il risultato sarà una media delle misure di spaziatura rilevate. Una spaziatura molto ridotta può modificare le modalità di rottura dell’ammasso da traslative a movimenti circolari o persino di flusso; in tal caso l’orientazione ha poca importanza, date le piccole dimensioni dei frammenti.

SPAZIATURA VALORE (mm) Estremamente stretta < 20 Molto stretta 20 – 60 Stretta 60 – 200 Moderata 200 – 600 Larga 600 – 2000 Molto larga 2000 – 6000 Estremamente larga > 6000

Tabella 4.8: Descrizione degli intervalli della spaziatura secondo l’ISRM (1978).

La sua importanza cresce in presenza di altre condizioni sfavorevoli, come bassi valori di resistenza a taglio e sistemi di discontinuità che consentono lo scivolamento.

(27)

S= d*sinα

Dove d è il valore modale della distanza misurata e α è l’angolo tra il nastro di misura ed il sistema dei giunti osservato.

Continuità o persistenza

Rappresenta l’estensione areale o la profondità di penetrazione di una discontinuità nell’ammasso. Può essere espressa dal rapporto in percentuale tra l’estensione della discontinuità e l’area in cui si sviluppa, caratterizzata da ponti di roccia e superfici in cui la discontinuità non si sviluppa. E’ un parametro molto importante nel caso di pendii in roccia per cercare di stabilire il grado di persistenza di quelle discontinuità che sono orientate in modo sfavorevole per la stabilità.

PERSISTENZA VALORE (m) Molto bassa < 1 Bassa 1 – 3 Media 3 – 10 Alta 10 – 20 Molto alta > 20

Tabella 4.9: Valori tipici di persistenza (ISRM, 1978).

È piuttosto difficile da quantificare in affioramento e quindi conviene adottare criteri conservativi. Può essere stimata misurando le tracce delle discontinuità sulla superficie esposta. I sistemi meno persistenti tenderanno a terminare entro la roccia o contro i sistemi più estesi. La persistenza controlla la possibilità che la rottura della roccia intatta (ponti di roccia) venga coinvolta in un eventuale cedimento della struttura rocciosa. Un sistema può essere persistente se si estende oltre la roccia esposta, subpersistente se termina contro altre discontinuità, oppure non persistente se termina nella roccia esposta.

(28)

Scabrezza o rugosità

Rappresenta le irregolarità e ondulazioni presenti sulla superficie della discontinuità rispetto al piano medio della discontinuità stessa. Essa dipende in gran parte dal processo di formazione del giunto e dalle vicissitudini che la discontinuità stessa ha subito; solo subordinatamente è influenzata dal grado di alterazione.

La scabrezza è uno dei fattori che più influisce sulla resistenza al taglio, soprattutto nel caso di fratture senza riempimento. La sua importanza diminuisce con l’aumentare dell’apertura e dello spessore del riempimento. Comprende ondulazioni a grande e piccola scala: le prime, se i lembi sono a contatto e ben interconnessi, con lo scorrimento provocano il fenomeno della dilatanza, con aumento di volume ortogonalmente al movimento, mentre le seconde rappresentano le vere e proprie rugosità. Queste tendono a rompersi durante lo scorrimento, a meno che la resistenza della roccia sia elevata.

A grande scala vengono misurate le distanze tra asta e superficie di discontinuità, insieme a posizione e orientazione della linea di misura, con un’asta metrica (2 m) o filo teso (10 m), mentre l’angolo di ondulazione si misura con asta e clinometro.

A piccola scala, invece, si può ottenere un Coefficiente di Rugosità (JRC: Joint Roughness Coefficient) proposto da Barton (1973) utilizzando un profilometro o Pettine di Barton (10 o 20 cm), costituito da una serie di dentini metallici che si adattano alla rugosità dei giunti, riproducendone il profilo. Questo viene poi confrontato con profili standard proposti da Barton & Choubey (1977) (Figura 4.21). Ciascun profilo è caratterizzato da un range di valori di JRC. Per la descrizione, si usano due scale, piccola ed intermedia e quindi il risultato è una combinazione tra le due.

(29)

Figura 4.21: (a) Tipici profili di rugosità e relative nomenclature suggerite (Barton e Choubey, 1977); (b) profili di rugosità e corrispondenti intervalli di valori di JRC (Martinetti & Ribacchi, 1976).

Resistenza delle pareti

Se le pareti sono a contatto (fratture non riempite), la resistenza delle pareti costituisce una componente rilevante della resistenza al taglio lungo la discontinuità e controlla quindi anche la deformabilità dell’ammasso. Sulla resistenza influisce molto il grado di alterazione: la roccia in prossimità del giunto, infatti, è maggiormente soggetta a tale fenomeno, sia esogeno che endogeno. Le caratteristiche meccaniche della parete del giunto risultano quindi inferiori rispetto a quelle della roccia integra. L’alterazione interessa e indebolisce più le pareti di discontinuità che l’interno dei blocchi di roccia. Pertanto, la resistenza in superficie è spesso minore di quella misurata sulla roccia intatta. Come precedentemente detto, essa può essere determinata con Martello di Schmidt o con il Point Load Test in laboratorio. La classificazione geomeccanica di Bieniawski (1989), affrontata nel capitolo successivo, considera la resistenza della roccia intatta e non quella delle pareti, la quale viene considerata indirettamente, valutando l’alterazione. L’alterazione dell’ammasso roccioso può essere descritta in modo qualitativo, in accordo con ISRM (1978), riportando i gradi di alterazione di domini strutturali.

(30)

Tabella 4.10 :Grado di alterazione delle masse rocciose (ISRM, 1978).

L’alterazione delle pareti delle discontinuità ha un ruolo molto importante nel comportamento meccanico dell’ammasso roccioso. Il grado di alterazione va valutato distintamente e differenziato per ogni sistema di discontinuità.

Tabella 4.11: Grado di alterazione del materiale roccioso (ISRM, 1978).

(31)

discontinuità riempita. Essa esprime lo stato di allentamento e rilassamento del versante e condiziona notevolmente la permeabilità e la conducibilità dell’ammasso roccioso.

Viene misurata perpendicolarmente alla superficie della discontinuità, con rotella metrica di almeno 3 metri, o con calibro o spessimetro. Le discontinuità singole con aperture molto più ampie del valore modale devono essere descritte accuratamente, insieme ai dati di localizzazione e orientamento (ad esempio le grandi fratture di trazione). L’ISRM (1978) distingue le discontinuità in tre categorie principali: chiuse, aperte e semi-aperte.

Figura 4.22: Disegni illustrativi dell’apertura di una discontinuità aperta e di spessore di una riempita (ISRM, 1978).

Tabella 4.12: Descrizione di discontinuità chiuse, aperte e semi-aperte (ISRM, 1978).

Le aperture più strette possono essere misurate in modo approssimato con un calibro, mentre le aperture più larghe possono essere misurate con un regolo graduato.

Per tutti i sistemi presenti, le discontinuità si presentano sia chiuse che aperte, ma ai fini degli scopi del lavoro sono da considerare più critiche quelle aperte.

(32)

a) b)

Figura 4.23: Esempi di aperture a) Molto larga; b) Estremamente larga.

Riempimento

Riempimento è il termine indicante il materiale che può riempire od occupare parzialmente lo spazio fra le pareti di una discontinuità. Esso di solito è meno resistente della roccia e può essere costituito per esempio da sabbia, limo, argilla, quarzo, calcite, clorite, detrito di faglia, breccia, milonite, ecc. In caso di riempimento, la distanza tra le pareti è definita “ampiezza”invece che “apertura”, termine utilizzato per le discontinuità aperte e vuote. Le discontinuità con riempimento hanno un’ampia gamma di comportamenti fisici, soprattutto per la resistenza al taglio, deformabilità e permeabilità; ciò dipende da molti fattori, tra i quali la mineralogia del materiale, la sua granulometria, il contenuto di acqua, la permeabilità, rugosità e ampiezza delle pareti e loro grado di fratturazione, ecc. Se il riempimento è abbondante, la sua resistenza diventa critica e può essere stimata con prove manuali o campionata per prove di laboratorio. La messa in posto di tale materiale può essere contemporanea o successiva alla formazione del giunto, e comprende sia materiale di frizione, cioè dello stesso tipo della roccia delle pareti, che di natura diversa, ad esempio calcite deposta da acque incrostanti o terreni fini depositati da acque torbide in circolazione.

(33)

discontinuità, tranne che nelle rocce molto porose. La sua stima va distinta a seconda di discontinuità non riempite o riempite.

a) GRADO DI

FILTRAZIONE DESCRIZIONE

I

I materiali di riempimento sono decisamente consolidati e asciutti; un flusso significativo appare improbabile per via della permeabilità molto bassa.

II I materiali di riempimento sono umidi ma non c’è

presenza di acqua libera.

III I materiali di riempimento sono bagnati; occasionali

gocce d’acqua.

IV

I materiali di riempimento mostrano segni di dilavamento; flusso continuo di acqua (valutare la portata in l/min).

V

I materiali di riempimento sono localmente dilavati; considerevole flusso di acqua lungo i canali di dilavamento (stimare la portata e descrivere la pressione, se bassa, media o alta).

VI

I materiali di riempimento sono completamente dilavati; si osservano alte pressioni dell’acqua, specialmente al momento dell’esposizione (stimare la portata e descrivere la pressione).

b) GRADO DI

FILTRAZIONE DESCRIZIONE

I La discontinuità è molto chiusa e asciutta; il flusso

lungo di essa non appare possibile.

II La discontinuità è asciutta senza alcun evidente

flusso d’acqua.

III La discontinuità è asciutta ma mostra segni evidenti

di flusso d’acqua, come tracce di ossidazione, etc.

IV La discontinuità è umida ma non vi è presenza di

acqua libera.

V La discontinuità mostra filtrazione, occasionali gocce

d’acqua, ma non flusso continuo.

VI

La discontinuità mostra un flusso continuo di acqua (stimare la portata in l/min e descrivere se la pressione è bassa, media o alta).

Tabella 4.13: Grado di filtrazione per discontinuità a) con riempimento e b) senza riempimento (ISRM, 1978).

(34)

Numero di sistemi di discontinuità

Definisce l’insieme dei sistemi presenti nell’ammasso roccioso, e influisce sia sull’aspetto che sul comportamento della massa rocciosa, che può arrivare a deformarsi senza che si verifichi la fratturazione della roccia integra. Il numero dei sistemi di discontinuità può essere un fattore determinante per la stabilità di un pendio roccioso, dal momento che l’orientazione delle discontinuità relativamente al fronte del pendio è considerato di primaria importanza. Se però non esiste un numero sufficiente di sistemi, la probabilità di instabilità praticamente si annulla. All’estremo opposto, un gran numero di sistemi potrebbero cambiare la modalità di rottura dell’ammasso da traslativa o di ribaltamento a rotazionale/di flusso. Tale parametro è spesso funzione dell’estensione dell’area rilevata e, in genere, risulta già compreso nei dati di orientazione e può essere messo in evidenza da un’analisi di densità di poli. Conviene sempre numerare i sistemi di discontinuità individuati, riportando le discontinuità singole importanti. La descrizione dei sistemi varia quindi da una massa continua ad una roccia molto fratturata, che può essere considerata un terreno, almeno per il comportamento.

Secondo la tabella sottostante, nell’area studiata si hanno tre sistemi più discontinuità occasionali.

DESCRIZIONE SISTEMI CENSITI I Massa continua, discontinuità occasionali e

casuali

II Un sistema di discontinuità

III Un sistema più discontinuità occasionali IV Due sistemi di discontinuità

V Due sistemi più discontinuità occasionali VI Tre sistemi di discontinuità

VII Tre sistemi più discontinuità occasionali VIII Quattro sistemi più discontinuità occasionali IX Roccia fratturata simile ad un terreno

Tabella 4.14: Descrizione del numero di famiglie (ISRM, 1978).

(35)

possono prendere la forma di cubi, romboedri, lastre sottili, ecc, anche se tali forme sono un’eccezione visto che raramente le discontinuità di un sistema sono parallele con regolarità; le rocce sedimentarie, in genere, hanno blocchi di forma più regolare. Le discontinuità singole possono ulteriormente influenzare la forma dei blocchi e il volume roccioso unitario. Masse rocciose a grossi blocchi hanno minor tendenza a deformarsi.

È importante calcolare la dimensione media del blocco tipico o indice della dimensione dei blocchi Ib, il quale può essere valutato in modo speditivo, misurando le

dimensioni medie di diversi blocchi selezionati a occhio. Lo scopo dell’indice della dimensione dei blocchi è di rappresentare le dimensioni medie dei blocchi di roccia tipici.

Nel caso delle rocce sedimentarie, due sistemi mutuamente perpendicolari di discontinuità trasversali, insieme alla stratificazione, danno origine a una forma dei blocchi cubica o prismatica estremamente comune. In questi casi Ib è correttamente

descritto da:

Ib=(S1 + S2 + S3)/3

Per calcolare il blocco medio può servire l’indice volumetrico delle discontinuità Jv, il quale esprime la somma del numero di discontinuità al metro cubo per ogni sistema presente (campionato su lunghezze di 5 – 10 m). I seguenti termini descrittivi danno un’idea della corrispondente dimensione dei blocchi.

DESCRIZIONE Jv (giunti/m3)

Blocchi molto grandi < 1

Blocchi grandi 1 – 3

Blocchi di dimensione media 3 – 10

Blocchi piccoli 10 – 30

Blocchi molto piccoli > 30

Tabella 4.15: Descrizione dei blocchi secondo l’indice volumetrico dei giunti (ISRM, 1978).

In base alla forma e dimensione dei blocchi, può essere definita quindi la struttura dell’ammasso, come riportato di seguito:

STRUTTURA AMMASSO DESCRIZIONE

Massiccia Pochi giunti o spaziature molto ampie A blocchi Circa equidimensionali

Tabulare Una dimensione molto più piccola delle altre Colonnare Una dimensione molto più grande delle altre

(36)

Irregolare Notevoli variazioni della forma e dimensione dei blocchi

frantumata Molti giunti, struttura a cubetti

Figura 4.24: Struttura dell’ammasso roccioso in base alla forma dei blocchi, con esempi grafici: a) a blocchi, b) irregolare, c) tabulare; d) colonnare (ISRM, 1978).

4.4.1 Descrizione delle discontinuità

E’ opportuno presentare i risultati in base al sistema di discontinuità di appartenenza, in modo da rendere più facile e immediato un confronto tra i vari parametri e le famiglie.

Qui di seguito viene riportata una descrizione sommaria delle caratteristiche dei quattro sistemi di discontinuità. Per un’analisi più dettagliata si rimanda all’Allegato II, nel quale ogni singolo sistema è stato descritto in base alla stazione geomeccanica di appartenenza; non sono state riscontrate, comunque, significative differenze delle caratteristiche per quanto riguarda le stazioni A, B e C.

In riferimento alla famiglia S0, la spaziatura si presenta a volte più fitta (circa 15 cm) a

volte più ampia (oltre il metro), in media attorno a 20 cm (stretta). Nella parte centrale del tratto stradale, gli strati sembrano mantenere uno spessore costante di circa 50 cm. La stratificazione è chiaramente persistente poiché si estende ben oltre la roccia esposta (persistenza molto alta); l’apertura varia da aperta, a moderatamente larga (fratture

(37)

calcari. La rugosità è molto evidente: si presenta liscia/rugosa (ondulata), seguendo la nomenclatura di Barton (Barton&Choubey, 1977), con microfratture, resti di vegetazione e radici, patine di alterazione, con JRC compreso tra 8 e 10.

La seconda famiglia di discontinuità, S1, ha una spaziatura che varia da 10 a 40 cm,

con una media di 15-20 cm (stretta).

La persistenza può essere definita alta (10-20 m)–media (3-10 m per le grandi fratture), siamo in presenza quindi di un sistema di fratture subpersistente, cioè terminante contro altre discontinuità. Le fratture hanno un’apertura di pochi millimetri, in media 1-5 mm (aperta-moderatamente larga, semiaperte), in molti casi sembrano addirittura chiuse (parzialmente aperta). Fanno eccezione le grandi fratture beanti con aperture dell’ordine anche dei 50 cm. Le superfici sono piuttosto lisce (ondulata), con JRC compreso tra 4 e 6 in tutte le superfici osservate. Non si hanno evidenze di riempimento per quanto riguarda le fratture più chiuse; per quelle aperte si tratta invece di materiale compatto, < 5 mm.

La terza famiglia di discontinuità S2 ha una spaziatura media di 30 cm (moderata).

Tale sistema è subpersistente, come S1 (media-alta); le condizioni di apertura e materiale

di riempimento coincidono con quelli del precedente sistema di discontinuità. Per le fratture più grandi presenti lungo il tracciato stradale, dalle quali si può percepire una fuoriuscita di aria fredda dovuta probabilmente ad una circolazione in seno al versante, l’entità dell’apertura aumenta. Tali fratture sono parzialmente ostruite da blocchi di materiale di varie dimensioni, crollati all’interno. Le condizioni della rugosità non sono sempre di facile individuazione, a causa dei materiali all’interno delle fratture e dell’alterazione consistente: le superfici si presentano in generale rugose (ondulata a media scala) con un indice JRC di 8-10.

Il quarto sistema di discontinuità S3 (visibile solo all’interno della stazione C), presenta

una persistenza bassa, con una spaziatura media intorno ai 30 cm (moderata).Le fratture si presentano da aperte a moderatamente larghe, con un riempimento di materiale a granulometria fine misto a ciottoli di dimensione inferiore ai 5 mm. La rugosità può essere definita liscia-rugosa (ondulata, con JRC= 8-10).

Per quanto riguarda il parametro filtrazione di acqua, è presente un grado di filtrazione I e II nel caso di discontinuità con riempimento, e II e III in quelle senza riempimento: chiaramente è da tenere conto il periodo durante il quale è stato effettuato il rilevamento di campagna (Ottobre-Novembre).

(38)

Nel complesso, la struttura dell’ammasso appare a blocchi, mentre altre volte irregolare. La dimensione media del blocco tipico risulta essere: 70-80 cm di lunghezza, 70 cm di altezza, e 60 cm di spessore.

S0 S1 S2 S3

Persistenza >20 m 3-10 m 3-10 m 1-3 m

Spaziatura 20 cm 15-20 cm 30 cm 30 cm

Apertura 0.5-10 mm 0.5-10 mm 0.5-10 mm 0.5-10 mm

Riempimento Compatto <5 mm Compatto <5 mm Compatto <5 mm Compatto <5 mm

Rugosità (JRC) 8-10 4-6 8-10 8-10

Tabella 4.16:Tabella riassuntiva per le caratteristiche delle discontinuità (per ulteriori approfondimenti, vedi allegato II).

a) b)

d) c)

(39)

e) f)

Figura 4.25: Rilievo fotografico di alcune caratteristiche delle discontinuità: a) Esempio di spaziatura ‘stretta’ (15 cm) del sistema S1, stazione B; b) Esempio di apertura ‘molto larga’ (4 cm) riferita al sistema

S0, stazione A, con riempimento compatto; c) Esempio di persistenza alta della stratificazione, stazione B;

d) Struttura dell’ammasso roccioso a blocchi irregolari, stazione A; e) Dimensioni del blocco tipico (70*95*60 cm), stazione C; f) Esempio di alterazione delle pareti di un giunto molto aperto (35 cm, estremamente largo), stazione B.

Figura

Figura 4.1: Ubicazione delle stazioni di rilevamento geomeccanico.
Figura 4.3: Abaco di Deere &amp; Miller (1966) per la stima di JCS.
Tabella 4.1: Risultati della determinazione del peso di volume.
Figura 4.6: Strumento Point Load Test (Laboratorio di Geotecnica, Dipartimento di Scienze della Terra)
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Riferimenti

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