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Considerazioni conclusive

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Academic year: 2021

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Considerazioni conclusive

La ricerca che abbiamo cercato di affrontare nello spazio delle precedenti pagine, trattando una questione come quella della mediazione, così ampia e carica di accentuazioni e prospettive, di certo non può avanzare né la pretesa di esaustività tematica e neppure la pretesa di una chiusura teoretica. Al contrario, la prospettiva sotto la quale ci si è voluti inoltrare in questo progetto è stata quella di un tentativo tale da offrire spunti, aprire percorsi e avanzare suggestioni con la piena consapevolezza dell’estrema limitatezza di argomenti e possibili dimostrazioni. Motivo per cui si è deciso di non tracciare nemmeno un vero e proprio bilancio definitivo, come se fosse davvero possibile conchiudere il lavoro in una serie di considerazioni riassuntive a partire da un assunto pienamente suffragabile.

Non volendo, però, comunque sottrarci a un qualcosa come una conclusione, allora questa può essere rappresentata dalla riaffermazione di quell’incessante e ripetuto tentativo (messo in campo lungo l’intero arco dell’indagine) di far affiorare, alla luce della questione della mediazione, la plausibilità del doppio volto della modernità come cifra ermeneutica per comprendere anche alcuni percorsi fondamentali del pensiero contemporaneo. Da una parte, la traiettoria teoretica disegnata da quei discorsi ed impostazioni che tendono a portare fino alle sue estreme conseguenze un pensiero radicale della contingenza e parallelamente una pratica della mediazione come costitutivo ed inevitabile correlato per una tale impostazione. Dall’altra, la concomitante

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tendenza a un ripristino di un pensiero titanico ed assoluto che, nonostante la preliminare accettazione del regime della contingenza, cerca comunque di contenerla, anestetizzarla o addirittura dissimularla, attraverso un atteggiamento teoretico che assegna al registro dell’immediatezza e del ritorno alla semplicità il carattere di incontrovertibile originarietà.

Questa seduzione dell’immediatezza l’abbiamo vista palesarsi nei termini della glorificazione heideggeriana dell’origine e nel concomitante tentativo di una sua penetrazione intuitiva. L’abbiamo riscontrata nei vari tentativi di ripristino di un senso

proprio originario contro cui si scontra la fenomenologia dell’estraneo di Waldenfels. È

stata rintracciata poi in tutte quelle filosofie del soggetto fenomenologico che propongono una impostazione speculativo-assolutistica contro cui Ricoeur cerca di opporre il primato di un’esperienza ermeneutica concreta. E, ancora, l’abbiamo evidenziata nel rapporto problematico che si disegna nell’opposizione fra l’impostazione arendtiana, fondamentalmente orientata verso la forma diretta della democrazia, e la proposta di Böckenförde, indubitabilmente proiettata verso l’esibizione di una inevitabilità costitutiva della mediazione rappresentativa.

È in tutti questi contesti che abbiamo cercato di declinare e ribadire il nostro assunto teorico fondamentale: vuoi entro la sfera del soggetto, vuoi nell’ambito della vita comunitaria, vuoi ancora nell’organizzazione dell’ordinamento democratico, nella misura in cui si vuole tenere ferma l’assunzione degli elementi della contingenza e della storicità, provenienti dall’insorgere della modernità e pienamente dispiegantesi nell’alveo della riflessione contemporanea, risulta inevitabile il cammino che passa per la pratica della mediazione. Una tale mediazione non svolge affatto la funzione di

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ingranaggio che, con tutti i suoi addentellati, fa girare la grande macchina di una totalità organica preesistente e compiuta. Al contrario, la figura della mediazione che abbiamo cercato di proporre, partendo da un’assunzione vera e propria del regime della contingenza, risulta proprio quale coerente conseguenza di una necessità di dover creare e far funzionare spazi di mondo a partire dal presupposto di un’assenza di premesse totali e pretestuosamente rassicuranti. Per questo, nei confronti di una mediazione intesa a partire dai caratteri della costitutiva creatività ed irriducibile limitatezza, nemmeno auspicabile risulterebbe il progetto di una sua attenuazione o superamento.

Una tale immediatezza, infatti, qualora fosse pur realizzabile, non rappresenterebbe altro che l’aderenza ad un simulacro; quel preoccupante simulacro dell’assoluto e del totale, che, peraltro, ha già aleggiato sul teatro dell’esperienza contemporanea con i disastrosi risvolti di cui ben sappiamo.

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