2. GLI ATHYRMATA DI SULCIS
Il termine athyrmata
78verrà privilegiato nel menzionare l’oggetto di studio in questo
lavoro. Omero è il primo a farne uso definendo con disprezzo le tipiche mercanzie dei
Fenici del suo tempo, considerate al rango di “cianfrusaglie”
79. Dal punto di vista
tipologico si tratta di oggetti di piccola taglia portati principalmente al collo o indossati
in altra maniera. Negli studi fenicio-punici è prevalsa la classificazione in gioielli,
amuleti e scarabei, che verrà rispettata in gran parte di questo lavoro, ma della quale
se ne terranno a mente i limiti. Essa riveste la mera funzione di agevolare la ricerca,
ma in nessun modo quella di ricalcare una suddivisione che fosse condivisa dal
primitivo possessore. Verranno altresì considerati altri oggetti, che rientrano più
probabilmente nella sfera dell’abbigliamento o dell’arredo e che raramente hanno
trovato posto nelle edizioni di scavo. Più latamente andrebbero compresi anche oggetti
che qui non sono stati valutati, se non per confrontarne la distribuzione con i pendenti
nello stesso materiale
80, ovvero gli unguentari in vetro, e come essi altre classi di
materiali, che tuttavia a Sulcis non sono state ancora rinvenute, quali le uova di struzzo
dipinte ed i rasoi.
Allo scopo di fornire uno sguardo di insieme sullo stato delle ricerche, che
rientrino esclusivamente nell’edito, e di dare un’idea della presenza di athyrmata nelle
tombe puniche di Sulcis, proponiamo qui di seguito un elenco di oggetti ordinati per
tomba di appartenenza e, all’interno di questa, quando nota, per deposizione. L’intento
principale di questo elenco sarà quello di ottenere una stima, meno approssimativa
possibile ma provvisoria, della quantità e della qualità di questi rinvenimenti, dati che
ci saranno di estrema utilità nella sintesi finale di questo lavoro.
2.1. ATHYRMATA DELLA NECROPOLI
La maggior parte degli athyrmata di Sulcis proviene dalla necropoli, un’area che
originariamente era estesa per circa 6 ettari ed entro la quale erano scavate nel tufo
quasi 1500 tombe a camera ipogeica
81. Il settore meglio noto e scavato è situato sulle
78 Sulla problematica della terminologia e sulla sua etimologia v. Moscati 1987, pp. 77-82. 79 Omero, Odissea XV, 416.
80 V. § 5.3.
pendici orientali della collina di Castello, ed ancora meglio le tombe scavate dagli anni
ottanta nell’area dell’anfiteatro romano, nel terreno di proprietà di Agus Raffaele. Un
altro settore visitabile è accessibile dalla Basilica di Sant’Antioco e consta di alcune
tombe, riadattate nei primi secoli della nostra era come catacombe, che difficilmente
hanno preservato elementi del corredo originario. Il periodo di utilizzo è compreso tra
la fine del VI secolo e la fine del III e coincide con il dominio di Cartagine sulle città
fenicie di Sardegna ed il prevalere del rito dell’inumazione sulla precedente
incinerazione
82. In prossimità della costa, e per la precisione in Via Peret, è stato
localizzato un nucleo della necropoli arcaica, ovvero in uso tra VIII e VI secolo
83.
Tuttavia l’impossibilità di condurre scavi in quest’area ci priva della documentazione
degli athyrmata di questa fase di Sulcis. Inoltre quella proveniente dal tophet
84per la
maggior parte non ha conservato le associazioni con gli strati, non consentendo così
una datazione sicura degli ornamenti a questo o a quel periodo. In confronto la
documentazione della necropoli appare perciò molto più omogenea.
L’elenco che segue è nelle linee essenziali basato su quello fornito da G. Hölbl
in “Ägyptisches kulturgut im phönikischen und punischen Sardinien” del 1986 alle
pagine 56-58
85, che abbiamo avuto cura di integrare con le nuove pubblicazioni dei
materiali nel frattempo comparse.
Tombe aperte da A. Taramelli e R. Loddo nell’estate 1906 nel tratto iniziale di via
Castello
86:
Tomba 1
87:
82 Ibidem, p. 3; v. anche Bartoloni 1981. 83 Sulcis 1989, pp. 30-31.
84 V. § 2.2.
85 Hölbl 1986, pp. 56-58, v. comunque le pp. 54-59 per la trattazione del sito di Sulcis nell’economia del testo. I
numeri tra parentesi nel testo, quando presenti, si riferiscono ai numeri inventariali presenti sui pezzi al tempo della visita al Museo Archeologico Comunale di Sant’Antioco effettuata dall’autore nel 1979 (p. 59, nota 28). Negli anni successivi nuovi numeri sono stati attribuiti e riportati nella recente edizione di Savio, Lega, Bontempi 2004, verosimilmente basata sulle analisi e fotografie realizzate da E. Acquaro intorno al 1987: v. infatti Acquaro 1987a.
86 Taramelli 1908. Tra le due tombe scavate, ma visibilmente depredate in antico, solo la prima presentava resti
di ornamenti personali, la seconda, all’interno dell’urna n. 6 di età imperiale romana, ha fornito alcuni frammenti di pisside in avorio e osso, tra i quali uno splendido “pappagallo che afferra col becco una foglia d’acanto” (pp. 156-157, fig. 11), a lungo ritenuto erroneamente prodotto di età punica: v. sintesi in Acquaro 1984, pp. 159-160, fig. 222.
87 Taramelli 1908, pp. 152-154. Scavata nei giorni 26-28 luglio 1906, la tomba conteneva almeno una
inumazione di età punica, manomessa per far spazio a nove cassette litiche con resti di incinerati di età romana, la tomba è a camera del tipo con tramezzo centrale, perciò in uso dalla metà del V sec. La
due vaghi baccellati in pasta vitrea
88;
anellino digitale a staffa con castone ellittico in oro
89.
Tombe aperte da S. Puglisi nel 1942 in via Belvedere
90:
Tomba 2
91:
Camera A
92:
2 orecchini a spirale con rosetta decorata a filigrana in oro su anima bronzea
93;
2 orecchini a spirale semplice in oro
94;
orecchino con estremità avvolte a spirale in oro
95.
Tomba 3
96:
Area A
97:
collana composta di 26 elementi
98tra i quali:
alcuni vaghi in pasta vetro;
scrofa che allatta i cuccioli;
5 divinità a testa animale
99;
numerosi pateci bifronte
100;
testa di ariete policroma in pasta vitrea;
scarabeo.
Area B
101:
numerazione qui usata per le prime tre tombe, e non seguita dalla sigla in lettere, risponde alla numerazione data dall’editore della prima edizione e non al numero dato negli archivi della Soprintendenza
88 Ibidem, pp. 153 e 155, rinvenuti nel corridoio di accesso. 89 Ib., pp. 154-155, fig. 8.
90 Puglisi 1942b, p. 106.
91 Ibidem, pp. 107-110, fig. 1. La presenza di resti di incinerati entro un sarcofago nella camera B “contribuisce
a collocare la cronologia generale del sepolcro […] tra il IV e il III sec. a.C.”: Bernardini 1991, p. 196.
92 Conteneva i resti di due inumati: Puglisi 1942b, p. 109.
93 Ibidem, pp. 108-109, fig. 2 e 6, che li definisce “anelli crinali”; Quillard 1987, pp. 151-152, a confronto con il
n. 250, tav. XII, proveniente da Utica (tipo D7). L’autrice dimostra come potessero essere indossati al lobo (tav. XXXV, 1-2) e ne riferisce la datazione alla fine del IV secolo (p. 152), v. inoltre “tableau recapitulatif” IX; Pisano 1988b, p. 48; Bernardini 1991, p. 196.
94 Puglisi 1942b, p. 108, fig. 6, anche in questo caso l’autore riferisce “anelli crinali”, ma non c’è motivo di
accettare tale definizione.
95 Ibidem, p. 109, fig. 6.
96 Puglisi 1942b, pp. 110-115; Bartoloni 1993a.
97 Puglisi 1942b, pp. 113-114, contenente i resti di un inumato e un incinerato. 98 Hölbl 1986, p. 56; Puglisi 1942b, fig. 6.
99 Chiamati dal Puglisi “Ammon” (ibidem, p. 114), potrebbero essere a testa di ariete: Hölbl 1986, p. 56. 100 Hölbl 1986, p. 56.
2 anellini in oro;
anellino laminare in oro.
Area E
102:
2 orecchini con legature in oro e anima d’argento.
Tomba 11:
19 pateci bifronte (nn. 1501-1504, 1506-1516, 1518-1520, 1525)
103;
pateco molto più piccolo della stessa forma (n. 1522)
104;
pateco bifronte con 3 fori (n. 1524)
105;
udjat (n. 1526);
placchetta rettangolare con udjat su entrambi i lati (n. 1527).
Tomba 13:
Astuccio porta amuleti con protome leonina in lamina d’oro
106.
Tomba 22 (“degli anelli crinali” o “delle bare di argilla”):
pateco(?) (n. 1561);
Shu (n. 1539)
107;
divinità criocefala (n. 1564);
2 divinità a testa di falco (nn. 1533-1534
108);
ariete più piccolo e accovacciato (n. 1551);
Falco (n. 1536)
109;
3(?) Thoeris (nn. 1537
110, 1554, 1565);
2 gatti (nn. 1535 con smalto verde acceso, 1552);
102 Ibidem, inumazione della quale gli orecchini costituiscono gli unici elementi di corredo recuperati.
103 Del tipo 5.2.A.3.2 di Hölbl: Hölbl 1986, p. 56, nota 18, tav. a colori III, 3 (n. 1513), tav. XIX, 7 (n. 1510);
nuovi numeri di inv.: 100218-100220, 100222-100233, 100235-10037, 100242 in Savio, Lega, Bontempi 2004, pp. 131-135, nn. 8, 27-28, 30-39, 41-46, figg. 25, 44-56, 59-63. Dal confronto dei due testi si nota che il vecchio n. di inv. 1504 presente nel primo studio non lo è nel secondo, e viceversa per il n. 1505.
104 Ibidem, p. 131, n. 19, fig. 36 (nuovo n.i. 100239). 105 Ib., p. 127, n. 1, fig. 18.
106 Hölbl 1986, tav. CLXV, 1; Fenici 1988, p. 692, n. 643, con datazione al V secolo (n.i. 103247); Sulcis 1989,
p. 134, fig. 55; Bernardini 1991, tav. IV, 3-4.
107 Hölbl 1986, tav. XXXV, 5, del tipo 11.A.1. 108 Hölbl 1986, tav. XLIV, 2 del tipo 18.2.b.3.A.3.
109 Savio, Lega, Bontempi 2004, p. 140, n. 62, fig. 60 (nuovo n.i. 100253). 110 Hölbl 1986, tav. LXII, 5 del tipo 27.A.1.4.
2 udjat in faïence (n. 1528, 1550);
2 scettri wadj (n. 1566, 1567);
2 amuleti non identificati (n. 1553, 1569).
“tomba degli scarabei”:
Pateco (n. 1541)
111;
2 pateci (n. 1517, 1523)
112;
Scimmia (n. 1540);
Non identificati amuleti in faïence.
“tomba delle teste”:
Thot (n. 1538);
“tombe profanate della piazzetta Azuni” (scavi 1962-63):
4 pateci in faïence (nn. 2601
113-2602
114, 2613
115, 2671
116);
Isis in trono con Horus fanciullo (n. 2615) ;
2 Harpocrati (nn. 2608
117-2609
118);
Imhotep (n. 2659)
119;
3 Horus a testa di falco (nn. 2606
120, 2647, 2704
121);
Divinità criocefala (n. 2653
122);
2 thot (nn. 2603
123, 2652);
Ureo in faïence (n. 2656);
Thoeris (n. 2655)
124;
111 Ibidem, tav. XI, 1 del tipo 5.1.A.1.2.
112 Del tipo 5.2.A.3.2; Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 40, fig. 57 (nuovo n.i. 100234), n. 12, fig. 29 (100240). 113 Hölbl 1986, tav. XV, 1, del tipo 5.1.A.4.1.5.2.
114 Ibidem, tav. XIII, 3, stesso tipo del precedente. 115 Ib., tav. X, 2, del tipo 5.1.A.1.1.2.
116 Del tipo 5.2.A.3.2; Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 15, fig. 32 (n.i. 2071, nuovo n.i. 100820) senza
provenienza.
117 Hölbl 1986, tav. XXXIII, 1, del tipo 10.A.2. 118 Ibidem, tav. XXXIV, 2, stesso tipo del precedente. 119 Ib., tav. XXXIII, 2, del tipo 10bis.
120 Ib., tav. XLIV, 3, del tipo 18.2.b.3.A.2. 121 Ib., tav. XLIV, 1, del tipo 18.2.b.3.A.3. 122 Ib., tav. XXXIX, 3 del tipo 17.A.2. 123 Ib., tav. L, del tipo 19.A.2.
2 falchi in faïence (nn. 2607 e 2641
125)
126;
2 gatti in faïence (nn. 2604
127-2605
128);
lepre in faïence (n. 2679)
129;
scimmia (n. 2673)
130;
2 udjat in faïence (nn. 2693, 2700)
scettro wadj (n. 2701)
131.
Tombe del fondo Don Tore Armeni (anni 1964-65, solo la 4 scavata nel 1967; sigla
DA):
Tomba 2 DA:
Nehebkau (n. 2644)
132;
2 urei in faïence (n. 2657, 2658)
133;
2 Thoeris in faïence (n. 2616, 2618)
134;
Bue (n. 2611)
135;
Cane (n. 2642)
136;
2 udjat in faïence (n. 2612, 2685).
Tomba 4 DA:
9 pateci bifronte in faïence (n. 2610, 2614, 2619, 2624, 2625, 2626-2629)
137;
Shu in faïence (n. 2646);
125 Hölbl 1986, tav. LVI, 1 del tipo 25.A.1.2 “punico”.
126 Entrambi sono editi in Savio, Lega, Bontempi 2004, nn. 61 (con bibliografia errata) e 65, figg. 79 e 83, che
mostrano invertite le immagini fotografiche (nn.i. 2007 e 2041, nuovi nn.i. 103312 e 100829).
127 Hölbl 1986, tav. LXV, 3, del tipo 31.A.1.1.
128 Ibidem, tav. LXV, 1, stesso tipo del precedente (errato il rimando alla tavola a p. 58). 129 Ib., tav. LXXI, 3, del tipo 35.A.3.
130 Ib., tav. LXXII, 4, del tipo 36.A.2.2. 131 Ib., tav. XC, 6 del tipo 55.2. 132 Ib., tav. LII, 1 del tipo 20.1.
133 Savio, Lega, Bontempi 2004, nn. 58 e 60, figg. 76-78, in cui sono diversamente riportati i vecchi numeri di
inv.: 2057-2058 (nuovi n.i. 100806-100807).
134 Ibidem, nn. 50 e 49, figg. 68 e 67 (nuovi n.i. 100765-100767). 135 Hölbl, tav. LXXVII, 3 del tipo 41.1.A.1.
136 Ibidem, tav. LXIV, 8 del tipo 29.A.2.
137 Ib., tav. XX, 4 (2628) del tipo 5.2.A.3.2, al quale appartengono almeno quattro a detta dell’autore;
sommariamente corrispondenti a Savio, Lega, Bontempi 2004, nn. 2-3, 10, 16-17, 23, 25, figg. 19-20, 27, 33-34, 40-42, che riportano nn. inv. con 26- iniziale (ad es. 2614 = 2014?), manca il 2626 ed è attribuito due volte il n. 2619 (o 2019) ai nn. di catalogo 16 e 17, nonché il 2629 (o 2029) al n. 2 e al n. 54 (ureo) (nuovi nn. inv. 100763, 100768, 100773, 100776-100778). Alla tomba 4 (sic) sono attribuiti i nn. 2010 e 2025 (= 2610 e 2625 ?): ibidem, nn. 29 e 20, figg. 46 e 37 (nuovi nn. inv. 100774 e 103315).
Iside stante con corona hathorica (n. 2643)
138;
ureo in faïence (n. 2620)
139;
scimmia (2640)
140;
Thoeris (n. 2645)
141;
3 udjat in faïence (n. 2632-2633, 2635);
udjat in avorio (n. 2637)
142;
2 scettri wadj in faïence (n. 2648-2649);
Corona del Basso Egitto in faïence (n. 2650)
143.
Tomba 5 DA:
5 pateci bifronte (n. 2663, 2665, 2668, 2670, 2672)
144;
2 udjat in faïence (n. 2694, 2696
145).
Tomba 6 DA:
2 pateci a doppia figura in faïence (n. 2661, 2667)
146;
Shu in faïence (n. 2680);
lepre in faïence (n. 2639)
147;
falco in faïence (n. 2623)
148;
udjat in faïence bianca (n. 2631).
Tomba 8 DA:
138 Hölbl 1986, p. 57 la definisce “dea stante con testa animale”; Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 48, fig. 66
(2043, nuovo n.i. 100792).
139 Ibidem, n. 59, fig. 77 (2020, nuovo n.i. 100769). 140 Hölbl 1986, tav. LXXII, 5 del tipo 36.A.2.1.
141 Ibidem, p. 57, lo definisce “amuleto zoomorfo in faïence”; Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 52, fig. 70 (2045,
nuovo n.i. 100794).
142 Hölbl 1986, tav. LXXXIV, 2 del tipo 49.C.1. 143 Ibidem, tav. LXXXIX, 6 del tipo 52.A.2.
144 Ib., p. 57, di cui almeno 4 del tipo 5.2.A.3.2 (il 2668 non fu trovato all’epoca ma è dello stesso tipo degli altri
4: v. p. 57, nota 23); corrispondenti a Savio, Lega, Bontempi 2004, nn. 11, 13, 18, 24 e 26, figg. 28, 30, 35, 41 e 43 (come già notato i nn. inv. cominciano per 20-, nuovi nn. inv. 100812, 100814, 100817, 100819, 100821) dei quali il n. 18 è attribuito alla tomba 4 (sic), v. supra nota 137.
145 Questo n.i. corrisponde a ibidem, n. 57, fig. 75 (con n.i. 2096 e nuovo n.i. 100845), ureo corrispondente a sua
volta a Hölbl 1986, tav. LXIII, 4 a sinistra, uno di due amuleti per i quali l’autore non fornisce n.i. (si dovrà i intendere i due udjat come urei, o i due urei saranno da aggiungere al corredo della tomba 5 DA?).
146 Savio, Lega, Bontempi 2004, nn. 4 e 9, figg. 21 e 26 (nn.i. 2061 e 2067, nuovi nn.i. 100810 e 100816). 147 Hölbl 1986, tav. LXXI, 4, del tipo 35.A.3.
148 Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 64, fig. 82 (n.i. 2023, nuovo n.i. 100772), sebbene il falco menzionato
4 pateci bifronte in faïence (nn. 2662, 2664, 2666 e 2669)
149;
divinità a testa animale (n. 2684);
falco (n. 2622)
150;
2 arieti (nn. 2677-2678)
151;
7 udjat (n. 2630
152, 2688, 2690-2692, 2697-2698);
simbolo wadj (n. 2702).
Tomba 12 DA:
Shu in faïence brillante (n. 2681);
2(?) Thoeris (n. 2654, 2674);
ariete accovacciato (n. 2676);
gatto in faïence (n. 2621);
Scrofa in faïence con appiccagnolo sul dorso (n. 2675);
Bue (n. 2617)
153;
7 udjat in faïence (n. 2634, 2636, 2686
154-2687, 2689, 2695
155, 2699);
placchetta rettangolare in faïence, udjat/vacca con vitello (n. 2660);
Corona dell’Alto Egitto (n. 2682)
156.
Dallo stesso fondo, ma rinvenuta qualche anno prima, una collana
157composta di un
udjat, due vaghi in pasta vitrea con decorazione “ad occhi” e 7 vaghi cilindrici.
Una piastrella quadrangolare in piombo e ferro con incisione b‘ly proviene da una
tomba scavata negli stessi anni ed interpretata dall’editore come talismano, per il suo
rinvenimento presso il collo/torace del defunto
158.
149 I nn. 2664 e 2669 del tipo 5.2.A.3.2; Savio, Lega, Bontempi 2004 ne menziona solo 3: nn. 6, 21-22, figg. 23,
38-39, (nn.i. 2062, 2064 e 2069, nuovi nn.i. 100811, 100813 e 100818).
150 Ibidem, n. 63, fig. 81 (n.i. 2022, nuovo n.i. 100771), contrariamente a quello menzionato da G. Hölbl non è
coronato.
151 Hölbl 1986, tav. LXXVII, 7-8, dei tipi 42.2.A.1 e -2. 152 Ibidem, tav. LXXXII, 1, del tipo 49.A.2.2.1. 153 Ib., tav. LXXVII, 2, del tipo 41.1.A.1.
154 Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 66, fig. 84 (n.i. 2086, nuovo n.i. 100835).
155 Hölbl 1986, tav. LXXXII, 2 del tipo 49.A.2.2.1; a questo n.i. (2095) in Savio, Lega, Bontempi 2004
corrisponde il n. 5, fig. 22, pateco.
156 Hölbl 1986, tav. LXXXIX, 8 del tipo 53.A.1.
157 Ibidem, tav. LXXXII, 7, con indicazione inventariale “TOMBE “D.A.” 2-12-61”, udjat del tipo 49.A.2.2.2. 158 Barreca 1965, pp. 53-54, tav. I; Barreca 1986, p. 231, fig. 208, definito scapolare e datato al V sec.
Tomba 2A
159:
3 urei (nn. 3721-3723)
160;
5 orecchini;
collana di vaghi in oro, ambra e pasta vitrea;
anello con castone figurato;
laminetta aurea
161.
Tomba 3A
162:
pateco (n. 3938)
163;
anello in oro con castone romboidale inciso con rappresentazione di falco Horus,
munito di doppia corona e flabello, su fiore di loto
164;
collana di vaghi in oro, ambra, pasta vitrea e corniola;
2 orecchini
165.
Tomba 4A
166:
2 astucci porta-amuleti a protome animale
167.
Tomba 5A
168:
159 Tomba a camera con tramezzo centrale (Sulcis 1989, p. 40, pianta E), e quindi con inizio d’uso non anteriore
alla metà del V sec., conteneva almeno una decina di deposizioni: Bernardini 1991, p. 195.
160 Savio, Lega, Bontempi 2004, nn. 53, 55-56, figg. 71, 73-74 (nuovi nn.i. 100699-100701); cfr. Hölbl 1986, p.
58, nota 26.
161 Bernardini 1991, p. 195.
162 Come la precedente, cfr. supra nota 159; Sulcis 1989, p. 91, attribuisce alla stessa tomba gli oggetti delle
vetrine 4-5 del vecchio Museo Comunale, afferenti a corredi in parte di V e IV secolo, da essa proviene anche una statuetta fittile di Astarte e due cembali bronzei forse rituali: ibidem, p. 135, fig. 57.
163 Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 7, fig. 24; cfr. Hölbl 1986, p. 58, nota 26, che non ne identificò il tipo. 164 Pisano 1988b, pp. 48-49; Sulcis 1989, pp. 91, 135, fig. 58; Bernardini 1991, p. 205, nota 40, tav. V, 2, viene
indicata una datazione non anteriore al V secolo.
165 Ib., p. 195; Sulcis 1989, p. 91, menziona “alcuni anelli in ambra” da identificare più probabilmente con dei
vaghi anulari.
166 Tomba a camera con tramezzo centrale (ibidem, p. 40, pianta E), contente almeno sei deposizioni: Bernardini
1991, p. 195; Tronchetti 1989, p. 32, la inserisce tra le più antiche della necropoli per la presenza al suo interno di anfore databili alla fine del VI secolo, ma la descrizione della tipologia tombale (forse della tomba 4 DA, o anche 4 AR?) non corrisponde a quella desumibile dalla fig. 18, per la quale una datazione dalla metà del V secolo in poi è più opportuna.
167 Bernardini 1991, p. 195.
168 Cfr. supra nota 159. Tomba in uso dalla metà del V al I secolo, per il riutilizzo in età romana, conteneva
anche un’urna con spalla carenata a decoro metopale in stile geometrico, e una maschera fittile di sileno con barba e baffi, esposti al tempo nelle vetrine 6-7 del vecchio Museo Comunale di Sant’Antioco: Sulcis 1989, p. 93; per la maschera silenica v. anche Moscati 1986a, p. 256, tav. XXXIX, c; Fenici 1988, p. 684, fig. 594.
collana di vaghi in ambra e pasta vitrea
169.
Tomba 6A
170:
4 anelli crinali in oro su anima bronzea
171.
Dallo “sterro” della necropoli:
2 pateci bifronte in faïence (n. 2057
172, 2059
173);
Harpokrates(?) in faïence (n. 2543) ;
divinità ieracocefala (n. 1532);
Thot in steatite biancastra (n. 2058)
174;
scrofa con cuccioli in faïence biancastra (n. 1546);
volatile in faïence bruno chiaro (n. 2053);
falco in steatite (n. 2056);
3 udjat in faïence (n. 1529, 2086
175, 2638);
3 placchette rettangolari, di cui 2 in faïence (nn. 1531
176e 2085
177) e una in steatite
biancastra (n. 1530
178: udjat/vacca e vitello, sopra loto);
mano in faïence (n. 1547)
179;
Altri 4 amuleti in faïence non identificati (n. 1545, 1548, 2061, 2091).
Al di fuori del summenzionato elenco, G. Hölbl riporta nel suo studio altri oggetti di
provenienza sulcitana, ma privi di precisa indicazione e numero inventariale:
2 urei in faïence dalla necropoli
180;
leone di tipologia insolita e materiale non identificato, testa volta a destra di 90
gradi
181;
169 Bernardini 1991, p. 195.
170 Tomba a camera di pianta irregolare (Sulcis 1989, p. 40, pianta E), conteneva oltre dieci deposizioni:
Bernardini 1991, p. 195.
171 Ibidem.
172 A questo n.i. corrisponde Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 58, fig. 76, un ureo. 173 Del tipo 5.2.A.3.2.
174 A questo n.i. corrisponde Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 60, fig. 78, un ureo.
175 A questo n.i. corrisponde ibidem, n. 66, fig. 84, l’udjat proveniente dalla tomba 12 DA, cfr. supra nota 154. 176 Hölbl 1986, tav. LXXXVI, 4, del tipo 51.A.1.9.
177 Ibidem, tav. LXXXVI, 5, stesso tipo della precedente.
178 Savio, Lega, Bontempi 2004, n. 47, figg. 64-65 (nuovo n.i. 100247). 179 Del tipo 64.2, mano chiusa che fa le fiche.
corona del basso Egitto in faïence
182;
2 simboli wadj in faïence dalla necropoli
183;
scarabeo in pasta dalla necropoli con geroglifici a lettura ‘3 mn R‘
184;
2 scarabei in faïence con ureo probabilmente teriomorfo e alato, di cui uno solo di
sicuro dalla necropoli
185;
scarabeo in faïence semivitrea con ureo (alato?) su neb alla base
186;
scarabeo in pasta azzurro chiaro con motivo floreale alla base dalla necropoli
187;
2 scarabei-amuleti in faïence senza base
piatta e con perforazione trasversale
188;
scarabeo in diaspro verde scheggiato in due
punti con personaggio su trono, con scettro
e thymiaterion alla base
189;
A G. Hölbl va inoltre dato il merito di aver
ricordato un altro amuleto in steatite a
forma di leone con iscrizione fenicia ‘bd’
alla base, rinvenuto intorno al 1840 a
Sant’Antioco
190. Se ne riporta alla fig. 2 la
Figura 2. Amuleto a forma di leone con iscrizione alla base (Della Marmora 1868, vol. 1, p. 124).
181 Ibidem, p. 94, tav. LXVII, 6 (n.i. 2506), unica attestazione del tipo 32.2.2, in materiale grigio-argento. Per
l’assenza dell’appiccagnolo non è assicurato che si tratti di un amuleto.
182 Ib., tav. LXXXIX, 5, del tipo 52.A.2. 183 Ib., tav. XC, 5 e 7, del tipo 55.2.
184 Ib., p. 226-227, tav. CXXIX, 2 (n.i. 1557, prossimo a quelli della tomba 22), con preciso parallelo conservato
a Leiden (p. 226).
185 Ib., pp. 216-217, tav. CXLI, 1-2 (quest’ultimo: n.i. 1559, cfr. nota prec.), per i quali l’autore nota paralleli
naukratiti di Taranto, per forme, materiale e motivo alla base (p. 217, nota 426). Si potrebbero infatti accostare al type XXVIII della Feghali Gorton: Feghali Gorton 1996, per il gruppo A p. 101, nn. 220-222 (da Taranto), per il gruppo B p. 104, nn. 120-124 (da Cartagine) e 125-138 (da Taranto).
186 Ib., pp. 216-217, tav. CXLI, 3, cfr. nota prec.
187 Ib., p. 248, tav. CXLV, 4 (n.i. 1558, cfr. nota prec.), asserisce trattarsi di un prodotto vicino orientale di una
tipologia diffusa nel mediterraneo centrale dal VIII secolo, tuttavia la provenienza necropolitana non consente di accettare una datazione così alta.
188 Ib., p. 253, tav. CXLVIII, 1-2 (quest’ultimo dalla necropoli: n.i. 1560, cfr. nota prec.).
189 Ib., p. 300, n. 120, tav. CLIV, 1, senza n.i. ma conservato tra i materiali del tophet. Una caratteristica degli
scarabei trovati nel tophet di Sulcis (sebbene siano 4 in tutto) è infatti quella di essere scheggiati o in frammenti: v. Bartoloni 1973, tav. LXIII, 9-12. Sia dal punto di vista iconografico che stilistico il confronto più vicino per questo pezzo è uno scarabeo rinvenuto nella tomba 11 di Monte Sirai: Bondì 1975, pp. 75-77, 88-90, n. 8, tav. VI, 8.
190 Spano 1864, tav. VII, 2; Della Marmora 1868, p. 124; Guzzo Amadasi 1967, Sardegna 2, p. 87, fig. 13; Hölbl
1986, pp. 59, 94, 133, nota 368, unica attestazione del tipo 32.2.1.3 (ovvero “con iscrizione fenicia alla base”, cfr. tipo 32.2.1.2 cui appartiene Uberti 1971, n. 44 da Sulcis).
riproduzione dell’epoca.
Risultano ancora inediti i gioielli di cui P. Bernardini fornisce la sola rappresentazione
fotografica, indicando in didascalia la provenienza dalle tombe di Via Castello
191, il
settore della necropoli punica tutt’oggi visibile ai turisti. Nelle immagini sono presenti:
5 fermatrecce o orecchini aurei, di cui uno con estremità legate a nodo “erculeo” e
avvolte a spirale, uno con corpo a maglia ingrossato ed estremità avvolte a spirale, uno
con una sola estremità avvolta e due con entrambe le estremità avvolte nonché il corpo
ingrossato
192;
un orecchino ellittico ad arco ingrossato e un anello crinale in oro su anima di bronzo,
con una sola estremità avvolta a spirale
193;
una collana composta di 36 vaghi tra cui numerosi in lamina d’oro con decorazione a
reticolo e almeno 3 in pasta vitrea con decorazione ad occhi
194;
una collana composta di 26 vaghi in lamina aurea e decorazione a reticolo
195;
pendente a phiale in oro
196;
anello digitale con castone circolare decorato da rosetta a otto petali in filigrana e
intarsi di pasta vitrea
197;
da una tomba di Piazza Azuni proviene un ben noto anello digitale con castone a
rosetta realizzato a godronatura in oro e pasta vitrea
198.
Diverse collezioni private di antichità comprendono alcuni ornamenti probabilmente
provenienti dalla necropoli. La collezione Don Armeni
199, appartenuta allo stesso
proprietario del fondo in cui dagli anni ’60 si scavarono le tombe puniche con sigla
DA, comprende i seguenti oggetti:
191 Bernardini 1991. È plausibile una loro provenienza dalle stesse tombe sin qui elencate. 192 Ibidem, p. 201, tav. I.
193 Ib., p. 202, tav. II, 1 e 3. 194 Ib., p. 203, tav. III, 1.
195 Sulcis 1989, pp. 91, 133, fig. 54, con datazione al V sec.; Bernardini 1991, p. 203, tav. III, 2. 196 Ibidem,, p. 204, tav. IV, 1.
197 Ib., p. 205, tav. V, 1.
198 Da ultimo ib., pp. 195-196, e relative note, p. 205, tav. V, 3-4, con datazione a IV – III secolo; v. anche:
Pisano 1988b, p. 48, con datazione al V secolo; Sulcis 1989, pp. 91, 132, fig. 53, con datazione al III sec.; Tronchetti 1989, p. 14, fig. 6, con datazione al IV secolo.
199 Uberti 1971. La località “Is Purixeddus (sic = pirixeddus)” è indicata come origine della totalità dei pezzi qui
menzionati. Il nome, “i piccoli peri” in italiano, indica come a questo tipo di coltura fosse dedicata l’area, ancora non edificata in tempi moderni.
scarabeo in steatite bianco-grigiastra, con geroglifici alla base
200;
scarabeo in steatite biancastra con sfinge alata accovacciata tra piuma shu e neb alla
base
201;
scarabeo in diaspro verde con figura di Bes e due serpenti alla base
202;
scarabeo in faïence turchese con satiro danzante e cane
203;
2 Thoeris, una con copricapo
204e una senza
205;
3 Thot
206;
2 cinocefali stanti
207;
Shu
208;
Bes con corona di piume
209;
figurina umana deforme (forse pateco)
210;
7 pateci, di cui 5 schematici
211e 2 più naturalistici
212;
Iside stante
213e kourotròphia
214;
3 falchi, di cui uno coronato
215e 2 senza corona (l’ultimo provvisto di ulteriore
montatura in oro, del tipo ad anello con estremità avvolte a spirale)
216;
volatile (avvoltoio?)
217;
leone passante in steatite con geroglifici alla base
218;
200 Ibidem, p. 295, n. 17, tav. XLIV, 1-2; Feghali Gorton 1996, p. 38, n. 8, rientra nel type XIII diffuso intorno al
VII sec. a Ischia e Cartagine (p. 40).
201 Uberti 1971, p. 296, n. 18, tav. XLIV, 3-4; Uberti 1975d, p. 86, fig. 2; Feghali Gorton 1996, p. 50, n. 4,
rientra nel type XVI di produzione punica dal VI secolo in poi.
202 Uberti 1971, p. 296, n. 19, tav. XLIV, 5-6; Hölbl 1986, p. 308, n. 150; CPSC, n. 22/67.
203 Uberti 1971, pp. 296-207, n. 20, tav. XLIV, 7-8; Hölbl 1986, pp. 59, 251-252, tavv. CXLVII, 2-3, in cui
l’autore nota la corrispondenza iconografica con due esemplari inediti, forse tharrensi, conservati al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, i quali dalla Feghali Gorton inclusi nel type XXXIX del gruppo “Late punic workshops” diffuso e verosimilmente prodotto in Sardegna tra V e IV secolo: Feghali Gorton 1996, pp. 136-137, nn. 8-9.
204 Uberti 1971, p. 299, n. 21, tav. XLV, 1; Hölbl 1986, pp. 59, 92, del tipo 27.A.2.2. 205 Uberti 1971, pp. 299-300, n. 22, tav. XLV, 2-3; Hölbl 1986, pp. 59, 91, del tipo 27.A.1.1. 206 Uberti 1971, pp. 300-301, nn. 23-25, tav. XLV, 4-6; Hölbl 1986, pp. 59, 89, del tipo 19.A.3. 207 Uberti 1971, pp. 301-302, nn. 26-27, tav. XLV, 7-8; Hölbl 1986, pp. 59, 97, del tipo 36.A.2.1. 208 Uberti 1971, p. 302, n. 28, tav. XLVI, 1; Hölbl 1986, pp. 59, 87, del tipo 11.A.1.
209 Uberti 1971, p. 302, n. 29, tav. XLVI, 2; Hölbl 1986, pp. 59, 85, del tipo 6.1.A.1.1.3. 210 Uberti 1971, p. 303, n. 30, tav. XLVI.
211 Uberti 1971, pp. 303-304, nn. 31-35, tav. XLVI, 4-8; Hölbl 1986, pp. 59, 84, del tipo 5.2.A.3.2. 212 Uberti 1971, pp. 304-305, nn. 36-37, tav. XLVI, 9-10; Hölbl 1986, pp. 59, 83, del tipo 5.2.A.1.1.2. 213 Uberti 1971, p. 305, n. 38, tav. XLVI, 11.
214 Ibidem, p. 305, n. 39, tav. XLVI, 12.
215 Ibidem, p. 306, n. 40, tav. XLVII, 1; Hölbl 1986, p. 59, nota 32, simile ma non “corrispondente” a quello
della tav. LVI, 1.
216 Ibidem, p. 306, nn. 41-42, tav. XLVII, 2-3; Hölbl 1986, pp. 59, 90, del tipo 25.A.2.1.2.
217 Uberti 1971, pp. 306-307, n. 43, tav. XLVII, 4; Hölbl 1986, pp. 59, 91 (con disegno), unica attestazione del
leone accovacciato
219;
ariete accovacciato
220;
lepre
221;
3 udjat
222.
Altra importante collezione di antichità fenicio-puniche di sicura provenienza sulcitana
è quella appartenente alla famiglia Biggio, la cui costituzione fu iniziata nei primi
decenni del secolo scorso con oggetti provenienti in parte dall’area necropolitana
223.
Per quello che riguarda gli athyrmata la collezione si compone dei seguenti oggetti:
grande scarabeo in steatite con geroglifici alla base
224;
grande scarabeo in steatite con perforazione trasversale, motivo rappresentazionale di
nascita di Horus e iscrizione con nome e patronimico del proprietario (gr’šmn bn
mlk) alla base
225;
scarabeo in faïence con sfinge accovacciata alla base
226;
scarabeo in faïence con vacca che allatta vitello e simbolo astrale alla base
227;
scarabeo in faïence con raffigurazione di difficile lettura alla base
228;
scarabeo in diaspro verde con immagine di personaggio regale o divino su trono alla
base
229;
scarabeo in diaspro verde con vacca che allatta vitello alla base
230;
218 Uberti 1971, p. 307, n. 44, tav. XLVII, 5-6; Hölbl 1986, pp. 59, 94, 161, fig. 21, del tipo 32.2.1.2. 219 Uberti 1971, p. 307, n. 45, tav. XLVII, 7; Hölbl 1986, pp. 59, 94, del tipo 32.1.A.2.2.
220 Uberti 1971, pp. 307-308, n. 46, tav. XLVII, 8; Hölbl 1986, pp. 59, 99, del tipo 42.A.3. 221 Uberti 1971, p. 308, n. 47, tav. XLVII, 9; Hölbl 1986, pp. 59, 96, del tipo 35.A.3.
222 Uberti 1971, pp. 308-309, nn. 48-50, tav. XLVII, 10-12; Hölbl 1986, pp. 59, 100, il primo del tipo 49.A.2.2.1,
il secondo del -2.
223 Biggio 1977; Moscati 1977a, p. 15. La località “Su Narboni”, un tempo tra la basilica di S. Antioco e il corso
Vittorio Emanuele, deve il suo nome alla pratica di mettere i campi a fuoco (“narbonare”) allo scopo di nettare e dedicare ad altra coltura, e fornisce la prova di come non fosse edificata sino a tempi moderni.
224 Uberti 1977a, pp. 37-39, n. 1, tav. XVI, 1; Acquaro 1984, pp. 74-75, figg. 85-86; Hölbl 1986, pp. 59, 175, fig.
22, “typentafel” I, n. 9; non repertoriato in Feghali Gorton 1996, ma verosimilmente da includere nel type V, “classical Egyptian types” per dimensioni e forte analogia con i nn. 2 e 5 (p. 16-18).
225 Uberti 1977a, pp. 37, 39-42, n. 2, tav. XVII, 2; Hölbl 1986, pp. 59, 175 (“typentafel” I, n. 11), 180. 226 Uberti 1977a, pp. 37-38, 42, n. 3, tav. XVIII, 3; Hölbl 1986, pp. 59, 242, fig. 44.
227 Uberti 1977a, pp. 38, 42-43, n. 4, tav. XVIII, 4; Hölbl 1986, pp. 59, 248, fig. 49. 228 Uberti 1977a, pp. 38, 43, n. 5, tav. XVIII, 5; Hölbl 1986, pp. 59, 250, fig. 51.
229 Acquaro 1977a, pp. 45, 47-48, n. 1, tav. XIX, 1, datato all’inizio del V secolo; la prima menzione della
gemma si deve ad Albizzati C., (1927). Sardus Pater: Il convegno archeologico in Sardegna, giugno 1926. Reggio Emilia, p. 104, fig. 11, cit. in ibidem, p. 45, che costituisce un terminus ante quem per il suo ingresso nella collezione; Acquaro 1984, pp. 82-85, figg. 102-103; Hölbl 1986, pp. 59, 298, nota 234; CPSC, n. 17/22; l’importanza del motivo e la qualità dell’incisione possono ben giustificare la menzione di questo oggetto in diversi studi tra i quali si riportano: Gubel E., (1987). Phoenician furniture. Leuven, p. 44, n. 19, tav. VIII, cit. in ibidem; Conti 2000b, pp. 51-52, fig. 1, 6.
scarabeo in diaspro verde con guerriero stante in atteggiamento di difesa con scudo,
lancia e clamide alla base
231;
scarabeo in diaspro verde con guerriero inginocchiato in atteggiamento di difesa con
scudo ad umbone configurato a faccia di Bes o satiro, clamide, elmo crestato e lancia
alla base e montatura ad anello con estremità avvolte a spirale
232;
scarabeo in diaspro verde scheggiato con figura ellenizzante di “atleta”, poggiante
forse su asta e sulla gamba destra, flessa la sinistra, mano dietro e borsa o aryballos
davanti
233;
scarabeo in diaspro verde con personaggio incedente che porta una coppa alle labbra, e
forse una lancia, alla base e montatura ad anello con estremità avvolte a spirale
234;
scarabeo in “pietra dura cinerognola” con animale, forse bue, alla base
235;
scarabeo in diaspro verde con personaggio femminile orante discoforo inginocchiato,
con oggetto a due sfere tra le mani, alla base e appiccagnolo a piccolo anello applicato
all’estremità frontale del foro
236;
scarabeo in corniola con centauro che tiene un ramo alla base
237;
anello digitale in oro con castone ellittico e volto femminile di tre/quarti con collana,
ai lati lettere aleph e nun
238;
230 Acquaro 1977a, pp. 45, 48, n. 2, tav. XIX, 2, l’autore propone una datazione intorno alla metà del IV secolo;
Acquaro 1984, pp. 83, 86-87, figg. 104-105.
231 Acquaro 1977a, pp. 45-46, 49, n. 3, tav. XIX, 3, datato ai primi del V secolo; Acquaro 1984, pp. 88-89, figg.
106-107; Barreca 1986, p. 252, fig. 243, con datazione a V-IV sec.; CPSC, n. 28/5, con “pinched back”.
232 Acquaro 1977a, pp. 46, 49, n. 4, tav. XX, 4, datazione come il precedente; Acquaro 1984, pp. 92-93, figg.
108-109; CPSC, n. 28/47, con “pinched back”. È verosimilmente da ritenersi prodotto dalla stessa bottega del precedente, nonché di altri due scarabei tharrensi sui quali lo stesso personaggio è inciso con lievi differenze iconografiche: il primo conservato al museo di Cagliari (n.i. 19849: Moscati 1986b, p. 141, fig. 82; Fenici 1988, p. 696, n. 667) ed il secondo al Museo A. Sanna di Sassari (n.i. 2873: Acquaro 1987b, n. 27, pp. 238, 245, tav. VII).
233 Acquaro 1977a, pp. 46, 49, n. 5, tav. XX, 5, con ampia datazione tra V e IV secolo; Acquaro 1984, pp. 98-99,
figg. 112-113; CPSC, n. 30/28, con “pinched back”.
234 Acquaro 1977a, pp. 46, 49, n. 6, tav. XXI, 6, datato a IV-III secolo; Acquaro 1984, pp. 96-97, figg. 110-111;
CPSC, n. 30/13.
235 Acquaro 1977a, pp. 46-47, 49, n. 7, tav. XXI, 7, definito “ippocampo” per la forma insolita del treno
posteriore, ritorto verso l’alto; CPSC, n. 40/19, repertoriato sotto la categoria B (“bulls, alone”) e per errore tra gli scarabei in diaspro verde. In effetti, per la criniera a trattini che a stento si nota sulla riproduzione fotografica, potrebbe trattarsi di un cavallo.
236 Acquaro 1977a, pp. 47, 49, n. 8, tav. XXII, 8, che vi legge un “personaggio ieracocefalo” in virtù di
un’interpretazione della tecnica esecutoria come “a globulo”, dalla quale evince il III secolo come datazione: v. p. 49, nota 21; Acquaro 1984, p. 100, fig. 114; Hölbl 1986, pp. 59, 295, n. 102, il quale legge invece il personaggio come “Frauengestalt”; CPSC, n. 7/36.
237 Acquaro 1977a, pp. 47, 49, n. 9, tav. XXII, 9, eseguito a globulo e datato come il precedente al III secolo. 238 Uberti 1977b, pp. 51-51, n. 1, tav. XXIII, 1, che vi legge un volto maschile e propone su base iconografica e
2 orecchini ellittici in oro a corpo ingrossato
239;
orecchino in oro con estremità avvolte a spirale
240;
pendente in oro a goccia con decorazione geometrica a granulazione sul cilindro
superiore
241;
pendente vitreo blu a doppia protome femminile
242;
amuleto in oro a forma di “mano che fa le fiche” con ingabbiatura in filo d’oro
243;
gatto seduto in faïence
244;
Un’altra poco nota collezione santantiochense, perché non edita correttamente, è
quella di proprietà Gallus e si compone di 39 amuleti e di una campanella o astuccio
porta-amuleti in metallo, appartenuti alla stessa collana rinvenuta, a detta dell’editore,
in una tomba punica
245.
Tra i materiali provenienti da Sulcis e appartenenti a collezioni private vanno
probabilmente considerati quelli della collezione Torno, tra i cui materiali annovera
una matrice ed alcune forme vascolari ceramiche, nonché una stele di certa origine
sulcitana
246. Nonostante la situazione di incertezza, non risulta tuttavia inverosimile
una provenienza sulcitana anche per i quattro scarabei
247ed i 23 amuleti, che
1204, lo pone tra i confronti per analoghi anelli cartaginesi del tipo B3(a) e conferma la cronologia della Uberti: v. p. 166 e segg., “tableau recapitulatif” XI.
239 Uberti 1977b, pp. 51-53, nn. 2-3, tav. XXIII, 2-3, impossibilitata a dare una datazione l’autrice notava
comunque l’insolita assenza di confronti in Sardegna: p. 52, nota 8; Quillard 1987, pp. 142-144, nota 712, del tipo A (“boucle en forme d’outre”) in cui nota che l’ellisse dei due esemplari sardi è particolarmente lunga, v. inoltre “tableau recapitulatif” IX.
240 Uberti 1977b, pp. 51, 53, n. 4, tav. XXIII, 4, con valida e ampia datazione a V – III secolo. 241 Ibidem, pp. 51, 53-54, n. 5, tav. XXIII, 5; Acquaro 1984, p. 19, fig. 6.
242 Uberti 1977c, pp. 57-58, n. 1, tav. XXIV, 1, propone sulla base di confronti una datazione a IV – III secolo;
Hölbl 1986, pp. 59, 87, del tipo 15 (Astarte?); Bernardini 1991, p. 194, tav. IV, 2, che riferisce il rinvenimento, nell’area del cronicario, di una matrice per oggetti dello stesso tipo in contesto stratigrafico di V sec.
243 Uberti 1977c, pp. 57-58, n. 2, tav. XXIV, 2; Acquaro 1984, p. 120, fig. 135.
244 Uberti 1977c, pp. 57-58, n. 3, tav. XXIV, 3; Hölbl 1986, pp. 59, 93, del tipo 31.A.1.1 che l’autore considera
come importazione egiziana: p. 132.
245 Pesce 1961, p. 304-305, fig. 139. Nient’altro è noto su questi amuleti ed è difficile dall’immagine farsi un
idea di tutte le tipologie e della contemporaneità dei tipi, che, se reale, costituirebbe una fonte di inestimabile valore per la conoscenza della loro cronologia relativa. Si intravedono comunque un leone, due urei, due scrofe che allattano i piccoli, un grande Nefertum al centro, un gatto, una lepre e diverse divinità sedute. v. anche Redissi 1991a, p. 104, nota 102, che individua (in alto a destra) tre udjat stilizzati datati a IV-III secolo.
246 Torno 1987; v. in particolare per i reperti qui in esame: Pisano 1987b, per gli scarabei, e Ciafaloni 1987, per
gli amuleti.
247 Pisano 1987b, n. 1, pp. 15, 17-20, tav. I, 1 (in diaspro verde con nascita di Horus su fiore di loto alla base,
datato a VI – V sec.), n. 2, pp. 15-16, 20-23, tav. I, 2 (in diaspro verde con volto femminile di profilo alla base, datato a fine V – inizio IV sec.), n. 3, pp. 16-17, 23-27, tav. II, 3 (in diaspro verde con bovide dalle
ripropongono, questi ultimi, tipologie già note come l’udjat
248, la dea ippopotamo
Thoeris
249, il cinocefalo stante
250, l’Horus ieracocefalo
251, l’Amon-Ra criocefalo
252, il
bovide coronato
253, il leone accovacciato
254, e l’ariete nella stessa posizione
255. Fa
eccezione la sfinge alata in osso
256che manca di confronti in Sardegna e che per la
forma appiattita e la mancanza dell’appiccagnolo non permette un suo corretto
riconoscimento come amuleto, ma che ritroviamo in analoghe e più piccole
attestazioni tipologiche in pasta
257. Gli athyrmata della collezione, insieme ai reperti
ceramici affini per datazione (V secolo)
258, potrebbero aver costituito il corredo di una
o più tombe della necropoli di Sulcis.
Dagli scavi editi negli anni successivi alla ricognizione museografiche di G.
Hölbl, sino a tempi recenti, provengono:
Scavi effettuati in proprietà di Agus Raffaele (sigla AR), nel corso degli anni ’80:
Tomba 2 AR
259:
anello crinale in lamina d’oro su anima bronzea con estremità avvolte a spirale
260;
coppiglia bronzea
261;
15 lingotti di piombo
262;
sezione longitudinale sinistra di astragalo di bovino
263.
zampe posteriori sollevate, datato al IV sec.), n. 4, pp. 17, 27-28, tav. II, 4 (in corniola con Pegaso in volo e datato a fine V sec.).
248 Ciafaloni 1987, nn. 1-9, pp. 49-52, 57, tav. XIV, 1-9. 249 Ibidem, nn. 10-12, 14, pp. 52-53, 57-58, tav. XIV, 10-12, 14. 250 Ib., n. 13, pp. 53, 58, tav. XIV, 13.
251 Ib., n. 15, pp. 54, 59, tav. XV, 15. 252 Ib., n. 16, pp. 54, 59, tav. XV, 16.
253 Ib., nn. 17-18, pp. 54-55, 60, tav. XV, 17-18. 254 Ib., n. 19, pp. 55, 60, tav. XV, 19.
255 Ib., nn. 20-22, pp. 55-56, 60, tav. XV, 20-22. 256 Ib., n. 23, pp. 56, 60-62, tav. XVI, 23.
257 V. ad es. Acquaro 1977b, nn. 822-833, tavv. XXXVII-XXXVIII. 258 Pisano 1987c, p. 97.
259 Bartoloni 1987a, scavata nell’autunno 1982 presentava al suo interno tre deposizioni susseguitesi entro il
primo quarto del V secolo. L’esiguità del corredo ornamentale del defunto si spiega con una depredazione avvenuta in tempi antichi (p. 61).
260 Ibidem, pp. 61-62, tav. X, c-d (2 AR/10).
261 Ib., pp. 61-62, tav. X, b (2AR/11), visibilmente manomessa e gettata lontano dal sarcofago cui apparteneva. 262 Ib., pp. 61-62, tav. X, e (2 AR/12/1-5), la loro menzione qui ha solo scopo di completezza, non rientrando
come le coppiglie bronze tra gli athyrmata propriamente detti.
Tomba 6 AR
264:
vago in pasta vitrea blu.
Tomba 9 AR
265:
v. § 3.4.
Tomba 10 AR
266:
v. § 3.5.
Tomba 11 AR
267:
v. § 3.6.
Tomba 12 AR
268:
Deposizione presso la parete S:
7 vaghi in pasta vitrea e corniola
269:
2 placchette rettangolari con udjat su un lato e tre frammenti incomprensibili
270;
frammenti di laminetta d’argento
271;
264 Tronchetti 1990, scavata nel 1988. Sebbene l’editore riporti la sigla 6A, questa non è da confondere con
l’omonima tomba di via Castello (v. supra), dalla quale differisce per la pianta (cfr. ibidem, fig. 16 con Sulcis 1989, pianta E), e da intendersi come tomba 6 AR. Conteneva al suo interno almeno tre deposizioni ed è da datarsi al pieno V secolo sulla base del corredo ceramica, mentre la tipologia tombale restringe la datazione alla prima metà del secolo.
265 Tomba a camera unica contenente 10 deposizioni con periodo di utilizzo entro la prima metà del V sec., i
monili appartenevano a solo tre deposizioni (1, 2 e 9), forse le più antiche della sepoltura: Bernardini c.p. Scavata da P. Bernardini nel 1989, e oggetto di una pubblicazione preliminare (Bernardini 1993, pp. 137-141, tavv. II-V), è stata tema di una tesi di laurea presso l’Università di Urbino, che non abbiamo potuto visionare. Abbiamo preso visione tuttavia degli ornamenti conservati ancora nel 2005 presso i magazzini della Soprintendenza di Sant’Antioco.
266 Tomba con tramezzo centrale della prima metà del V sec., i monili appartengono alla sola deposizione del
vano destro, forse la più antica di tutta la sepoltura: Bernardini c.p. Scavata insieme alla precedente nel 1989. Relazione preliminare in Bernardini 1999, pp. 141-144, tavv. VI-VIII; studio esaustivo di tutto il corredo della tomba in Melchiorri 2002, non visionato a differenza dei materiali: v. § 3.4.
267 Tomba intensamente utilizzata tra seconda metà del V e primi decenni del IV sec. per la presenza di circa 20
deposizioni, di cui 5 con monili. Nel catalogo al § 3.6. è stato possibile includere i gioielli delle deposizioni 6, 18 e 19. Scavata nello stesso anno delle due precedenti: Bernardini 1991, p. 133, nota 1. Studio esaustivo del corredo in Melchiorri 2002.
268 Scavata nel 1989 da C. Tronchetti: Tronchetti 1997; Tronchetti 2002. Tomba a camera semplice in uso nella
prima metà del V secolo, conteneva i resti di almeno tre deposizioni, di cui una priva di ornamenti.
269 Ibidem, p. 151, n. 16, tav. VI, 5, l’immagine non trova riscontro con la descrizione in cui si menzionano solo
vaghi in pasta vitrea, mentre sono evidenti due vaghi in corniola, di cui uno a barilotto e l’altro sferico. Nella prima edizione dei materiali (Tronchetti 1997) i due vaghi in corniola sono espressamente ritenuti d’ambra: n. 303, p. 292.
Deposizione presso l’angolo NO:
bracciale in argento a sezione circolare
272;
elementi di collana:
pendente circolare umbonato in oro;
vago a goccia;
4 vaghi cilindrici;
2 vaghi sferici;
4 dischetti;
2 frammenti a fiore di loto e uno a piumaggio di Bes;
vago a falce di luna
273.
Frammenti di laminetta d’argento
274.
Anche più recenti scavi, condotti a cura della Soprintendenza per i Beni Archeologici
delle Province di Cagliari e Oristano e per opera dei dipendenti del Parco
Geo-Minerario (sigla PGM), hanno interessato tombe di età punica, alcune delle quali
hanno restituito oggetti di nostro interesse. Tre tombe in particolare saranno oggetto di
analisi specifica in questo lavoro, rimandiamo quindi al catalogo nei § 3.1-3. per
l’elenco dettagliato dei rinvenimenti; si tratta della tombe 1 PGM BLV di Via
Belvedere e delle tombe 5 e 6 PGM.
2.2. ATHYRMATA DEL TOPHET
Numerosi oggetti di ornamento, non dissimili quanto a tipologia da quelli sin qui
elencati, provengono dal tophet ed erano solitamente contenuti entro le urne insieme ai
resti ossei inceneriti. Lo stato di conservazione, non sempre ottimale, dimostra una
loro continua esposizione agli agenti atmosferici e forse in qualche caso una loro
sottoposizione al fuoco
275. Quest’ultima circostanza potrebbe essere indicativa di un
271 Ibidem, p. 154, n. 37, p. 156, n. 52. 272 Ib., p. 153, n. 27, tav. X, 1.
273 Ib., p. 153, n. 30, tav. XI, 2. Tutti i vaghi sono ritenuti d’ambra, fatto non verificabile dall’immagine in bianco
e nero.
274 Ib., p. 155, n. 41.
275 Cfr. Martini 2004, pp. 41-42, 80, per quanto proposto riguardo al n. 82, amuleto fuso con bracciale infantile;
utilizzo in vita degli oggetti da parte del piccolo defunto, e in mancanza di analisi
antropologiche permetterebbe di distinguere tra incinerati umani ed animali, essendo
tuttavia possibile che in quest’ultimo caso la presenza di ornamenti permettesse di
rendere più verosimile il sacrificio di sostituzione.
Proviene dagli scavi effettuati non oltre il 1973, data della sua edizione
276, un
gruppo di 126 oggetti così composto:
3 “mani che fanno le fiche” con braccio in osso
277;
mano o piede in bronzo
278;
organi genitali maschili in osso
279;
amuleto a forma di tavoletta di difficile interpretazione (genitali maschili?) in osso
280;
amuleto a forma di bocciolo di fiore di loto in osso
281;
4 amuleti cordiformi
282;
Bes in pasta vitrea
283;
2 cinocefali accovacciati e discofori
284;
testa con corona atef (Mahes?)
285;
276 Bartoloni 1973, l’autore non specifica le annate di scavo ma informa che fu compiuto dall’allora
soprintendente Ferruccio Barreca: p. 181, nota 1.
277 Ibidem, p. 186, nn. 1-3, tav. LVI, 1-2, 4; i nn. 1 e 3 in Barreca 1986, p. 240, fig. 219, secondo e quinto da
destra; Ferrari 1994, p. 84, note 38-40, fornisce numerosi confronti.
278 Bartoloni 1973, p. 187, n. 4, tav. LVI, 7. Anche in questo caso è difficile dare un’interpretazione convincente
dell’oggetto costituito da una lamina triangolare, alla cui base quattro incisioni individuano 5 appendici simili a corte dita, al di sopra delle quali sono due incisioni oblique simili a quelle presenti su amuleti a forma di cippo (Acquaro 1977b, nn. 1263-1264, tav. LXI) o di tavoletta (Cintas 1946, p. 98, tav. XX, 134).
279 Bartoloni 1973, p. 187, n. 5, tav. LVI, 3; Hölbl 1986, p. 107, attribuisce al tipo 65.1.C (in osso) riferendosi
erroneamente al n. 3; Barreca 1986, p. 240, fig. 219; Sulcis 1989, fig. 63, primo a sinistra (la didascalia riporta la datazione al IV sec.); Ferrari 1994, p. 84, indica il riscontro con esemplari da contesti databili dal V secolo.
280 Bartoloni 1973, n. 6, tav. LVI, 10; Ferrari 1994, p. 84.
281 Bartoloni 1973, p. 187, n. 7, tav. LVI, 8, da lettura come fallo; Sulcis 1989, fig. 63, al centro; Ferrari 1994,
pp. 88-89, nota 189, troverebbe un confronto in un esemplare ellenistico di Gezer.
282 Ibidem, pp. 187-188, nn. 8 (in bronzo), 9-10 (vetro), 11 (calcare). Mentre i primi tre rispettano il modello
egiziano, il quarto assume la forma convenzionale moderna dell’organo. Il n. 10 anche in Hölbl 1986, p. 106, tav. XCI, 7 (“materia porosa rossastra”), del tipo 63; Ferrari 1994, p. 87, esprime perplessità nella lettura del n. 11.
283 Bartoloni 1973, p. 188, n. 12, tav. LVI, 9; Hölbl 1986, pp. 85, 115, 162, tav. XXIV, a-b, del tipo 6.1.A.1.1.1,
propone provenienza egiziana; da ultima Ferrari 1994, pp. 87-88, riscontra confronti puntuali in ambito cipriota di VIII – VII secolo e cartaginese di metà del VI.
284 Bartoloni 1973, p. 188, nn. 13-14, tav. LVII, 1 e 5. Il primo, in pasta vitrea azzurrastra, da intendersi
importazione egiziana. Per il secondo, edito anche in Hölbl 1986, p. 97, tav. LXXV, 4, del tipo 38.1.A.2.1; Ferrari 1994, p. 86 (per il n. 13 propone l’appartenenza a modelli di XXII – XXIV dinastia - nota 95 - quindi databile tra i primi tre secoli del I millennio), p. 88 (per il n. 14 propone invece maggiore aderenza alla figura di Bes: nota 159).
285 Bartoloni 1973, p. 189, n. 15, tav. LVII, 4. In questo caso l’autore propone l’interpretazione come gatto-Bastet; Ferrari 1994, p. 88, propone invece l’appartenenza all’iconografia di Mahes (Petrie 1914, n. 192), tipo
Horus Arpocrate
286;
3 Horus ieracocefali, di cui rimane la sola parte superiore
287;
Thoeris stante priva della testa
288e figura antropomorfa accovacciata priva della testa
(Thoeris?)
289;
2 parti inferiori di divinità seduta in trono e stante
290;
Sekhmet coronata e stante
291;
Anubis di cui residua la sola parte superiore
292;
2 urei
293;
2 pateci
294;
3 udjat
295;
sfinge
296;
animale in osso non identificato
297;
simbolo wadj in osso
298;
2 tavolette in osso
299;
286 Bartoloni 1973, p. 189, n. 16, tav. LVII, 11; Hölbl 1986, p. 87, tav. XXXIV, 1, del tipo 10.A.2; Ferrari 1994,
p. 85, con riscontri in contesti cartaginesi di V – IV secolo (nota 83).
287 Bartoloni 1973, p. 189, nn. 17-19, tav. LVII, 2, 6 e 8; Ferrari 1994, p. 87, per la quale i tre amuleti
documentano la variante diffusa tra IV e III secolo.
288 Bartoloni 1973, pp. 189-190, n. 20, tav. LVII, 3; Hölbl 1986, tav. LXII, 1, tipo incomprensibile; Ferrari 1994,
p. 88.
289 Bartoloni 1973, p. 190, n. 21, tav. LVII, 12; Ferrari 1994, p. 88. 290 Bartoloni 1973, p. 190, nn. 22-23, tav. LVII, 9-10; Ferrari 1994, p. 88.
291 Bartoloni 1973, p. 190, n. 24, tav. LVIII, 1, interpretato come Anubis; Hölbl 1986, pp. 54, 80, 108, 420 segg.,
tav. VII, 1, che interpreta l’amuleto come divinità leontocefala (Sekhmet) del tipo 2.A.2, tramite il confronto con cinque amuleti di Tarquinia (Hölbl 1979, vol. II, n. 130, k-o, p. 44, tav. XXXVII, 4-8), e conferisce datazione alla seconda metà dell’VIII – prima metà del VII sec.: p. 108; Ferrari 1994, p. 88.
292 Bartoloni 1973, p. 190, n. 25, tav. LVII, 7; Ferrari 1994, p. 88, per la quale troverebbe confronti in tombe
cartaginesi e tharrensi di VI secolo: nota 172.
293 Bartoloni 1973, p. 191, nn. 26-27, tav. LVII, 13-14; il primo corrispondente a Sulcis 1989, p. 134, fig. 56, in
basso a sinistra; Ferrari 1994, p. 84, note 45-46 (per i confronti).
294 Bartoloni 1973, p. 191, nn. 28-29, tav. LX, 2 e 9; il 28 edito anche in Hölbl 1986, p. 84, tav. XIX, 6, del tipo
5.2.A.3.2; e corrispondente a Sulcis 1989, p. 134, fig. 56, in basso a destra; per entrambi v. Ferrari 1994, p. 85, e per i confronti v. nota 75.
295 Bartoloni 1973, pp. 191-192, nn. 30-32, tav. LIX, 11-13, di cui il 32 in osso e gli altri in pasta vitrea; il 31
anche in Sulcis 1989, p. 134, fig. 56, in alto a destra, e in Hölbl 1986, p. 102, del tipo 49.A.2.4.4; il 32 in Ibidem, p. 103, tav. LXXXIV, 3, unico esempio del tipo 49.C.2; Ferrari 1994, p. 84.
296 Bartoloni 1973, p. 192, n. 33, tav. LVIII, 5; Ferrari 1994, p. 87.
297 Bartoloni 1973, p. 192, n. 34, tav. LVIII, 2; Sulcis 1989, p. 134, fig. 56, in alto a sinistra.
298 Bartoloni 1973, p. 192, n. 35, tav. LVIII, 6 (il riferimento all’immagine è scambiato con quello del n. 36),
diversa l’interpretazione dell’autore come pilastrino (djed?); Ferrari 1994, p. 87, concorre all’interpretazione come w3dj, ma nota la mancanza di confronti puntuali.
299 Bartoloni 1973, pp. 193 e 196, nn. 36 e 54, tav. LVIII, 3 (cfr. nota prec. 278) e LIX, 10. Lo scarso sviluppo
del primo in profondità non permette l’identificazione come pilastro djed, per il quale comunque mancano confronti con anello di sospensione così conformato. Il secondo è definito placchetta, ma è da notare come l’appiccagnolo non sia forato; Ferrari 1994, p. 87 (considera il n. 54 come tavoletta derivata da quelle con motivo dell’udjat e vacca con vitello), p. 88 (il n. 36 come cippo betilo, per il quale propone, come per i nn.
2 cippi in osso
300;
11 teste sileniche in pasta e talco
301;
maschera grottesca (negroide?) in osso
302;
maschera tragica in vetro blu
303;
corona composita in piombo
304;
placchetta rettangolare con udjat/vacca e vitello
305;
2 dischi in piombo, uno con simbolo di Tanit su un verso
306e l’altro con segni forse
alfabetici
307;
pendente discoide in oro frammentato
308;
pendente laminare a ghianda con foro a losanga al centro in bronzo
309;
pendente incompleto laminare in piombo di forma approssimativamente circolare
310;
pendente incompleto in argento
311;
pendente rettangolare in bronzo con quattro scanalature verticali
312;
pendente informe in argento
313;
37-38, datazione a V – II secolo). L’identificazione qui proposta è come “tavoletta da scrittura”, un tipo non tanto frequente tra gli amuleti punici ma di certo non assente: Cintas 1946, p. 98, tav. XX, 134; Fresina 1980, n. 32, p. 32, fig. III, 7, tav. VI, 32; per il motivo a croce presente su questi amuleti e già riscontrato nel n. 4 dal tophet cfr. supra nota 179.
300 Bartoloni 1973, p. 193, nn. 37-38, tav. LVIII, 8 e 9; Hölbl 1986, p. 106, del tipo 56.1; Ferrari 1994, p. 88: cfr.
nota precedente.
301 Bartoloni 1973, pp. 193-195, nn. 39-49, tavv. LVIII, 4, 7, 10-14, LIX, 1, 3, 5-6; il n. 39 in Barreca 1986, p.
240, fig. 219, primo da destra; i nn. 39-40 e 46 anche in Sulcis 1989, p. 138, fig. 64, con didascalia riportante il VII secolo come datazione; Ferrari 1994, p. 83, nota 19, suddivide il gruppo in due: maschera di sileno con barba liscia (nn. 42-49) e barba con incisioni (nn. 39-41), indica inoltre il VII – inizi V secolo come periodo di diffusione della tipologia.
302 Bartoloni 1973, p. 195, n. 50, tav. LIX, 2; Ferrari 1994, p. 83, nota 13, indica il riscontro con un esemplare da
una tomba cartaginese della metà del V secolo.
303 Bartoloni 1973, p. 195, n. 51, tav. LIX, 8.
304 Ibidem, p. 195, n. 52, tav. LIX, 7. Come affermato dallo stesso autore, si tratta di un elemento appartenente ad
un oggetto di maggiori dimensioni, forse una statuetta e quindi non di un amuleto. Si compone di disco solare umbonato, sopra il quale è la doppia corona egiziana, il tutto affiancato da quelli che l’autore definisce urei, ma potrebbero essere due corna, per assimilazione con il copricapo hathorico.
305 Ib., pp. 195-196, n. 53, tav. LIX, 9. Si tratta verosimilmente di uno degli esempi più tardi di questa tipologia
per l’utilizzo della sola tecnica ad incisione: Ferrari 1994, p. 87.
306 Bartoloni 1973, p. 196, n. 55, tav. LX, 1, forato sulla superficie in tre punti, forse per il passaggio di chiodi. 307 Ibidem, p. 196, n. 56, tav. LX, 3, ayin su di un verso e sull’altro 11 tratti a raggiera su metà della
circonferenza. È interessante notare che i dischi hanno spessore diverso ma uguale diametro (22 mm).
308 Ib., p. 196, n. 57, tav. LX, 4. L’autore asserisce campito da una decorazione a disco solare alato, v. anche
Quillard 1979, p. 68, nota 335, che lo inserisce tra i confronti per il tipo “pendentif discoïde à décor égyptisante”, e nota la differente tecnica decorativa, che a differenza di quella più diffusa a granulazione e filigrana (“rapporté”), è qui a stampigliatura.
309 Bartoloni 1973, p. 196, n. 58, tav. LX, 12. 310 Ibidem, p. 196, n. 59, tav. LX, 7.
311 Ib., p. 197, n. 60, tav. LX, 6, con quattro linee incise al centro presso il bordo.
312 Ib., p. 197, n. 61, tav. LX, 5, per l’autore le incise sarebbero prodotte dagli spazi tra linee di granuli. 313 Ib., p. 197, n. 62, tav. LXI, 2, ossidato.
testa di piccozza in piombo
314;
testa di animale in pasta vitrea
315;
placchetta a forma di cavallo in osso
316;
testina di uccello (ibis?) in ceramica
317;
pesce in osso incompleto
318;
4 vertebre di pesce, di cui una in ceramica
319e 3 autentiche
320;
2 opercoli di turbinide
321;
10 pendenti a ghianda, di cui 2 in osso
322e 8 in bronzo
323;
elemento vegetale in osso
324;
3 dadi, di cui uno in avorio approssimativamente cubico con numerazione su tutte e sei
le facce
325, due in ceramica prismatici con numerazione da 1 a 4 sui soli lati lunghi
326;
4 campanelle
327e 4 battagli in bronzo
328;
12 gasteropodi del tipo Cypraea Lurida
329;
13 opercoli di turbinide di cui uno incastonato in filo d’argento
330;
2 pendenti discoidali, di cui uno in argento e uno in elettro, con decorazione ocellata a
granulazione
331;
314 Ib., p. 197, n. 63, tav. LX, 8, le ridotte dimensioni (lungh. 35 mm) possono giustificare un uso rituale.
315 Ib., p. 197, n. 64, tav. LXI, 1; richiamato in nota in Acquaro 1977b, p. 17, nota 29, a confronto con simili
amuleti dalla connotazione bovina: nn. 94 e 100; Ferrari 1994, p. 87, per la quale le incisioni testimonierebbero la tecnica dell’incastonatura (nota 141).
316 Bartoloni 1973, p. 197, n. 65, tav. LXI, 3, incompleto, con foro sulla spalla; Ferrari 1994, p. 89, nota la
difficoltà di definizione tra equide o canide.
317 Bartoloni 1973, p. 198, n. 66, tav. LXI, 11.
318 Ibidem, p. 198, n. 67, tav. LXI, 5, l’autore attribuisce la rappresentazione ad un’esponente della famiglia degli sparidi: nota 31; Ferrari 1994, p. 88.
319 Bartoloni 1973, p. 198, n. 68, tav. LX, 10, vi riconosce l’imitazione di una vertebre di un esponente della
famiglia degli scienidi.
320 Ibidem, pp. 201-202, nn. 93-95 tav. LXII, 11-13. 321 Ib., p. 198, nn. 69-70, tav. LXII, 5 e 8, opercoli di murex.
322 Ib., pp. 198, 200, nn. 71 e 80, tavv. LIX, 4 e LXI, 6; Ferrari 1994, p. 88, propone per il n. 80 appartenenza al
tipo del fiore di loto in boccio (nota 186).
323 Bartoloni 1973, pp. 199-200, nn. 72-79, tavv. LX, 11, LXI, 7-9, 13, LXII, 3-4, 6.
324 Ibidem, p. 200, n. 81, tav. LXI, 10; Sulcis 1989, p. 138, fig. 63, primo a destra; Ferrari 1994, p. 89, nota 195,
riferendosi erroneamente al n. 34, propone il confronto con Fresina 1980, p. 40, n. 38, fig. II, 15, tav. VII, provvisto di tre modanature sotto al foro di sospensione.
325 Ib., p. 200, n. 82, tav. LXI, 4; Barreca 1986, p. 240, fig. 219, terzo in alto da destra. 326 Bartoloni 1973, p. 200, nn. 83-84, tav. LXI, 12 e LXII, 9.
327 Ibidem, pp. 200-201, nn. 85-88, tav. LXII, 1-2, 10 e 14, solo la prima provvista di battaglio e anello di
sospensione.
328 Ib., p. 201, nn. 89-92, tav. LXII, 7 e LXIII, 1, 3-4. 329 Ib., p. 202, nn. 96-107, tav. LXIII, 2.
330 Ib., p. 202, nn. 108-120, tav. LXIII, 7-8. 331 Ib., p. 202, nn. 121-122, tav. LXIII, 5-6.
scarabeo in diaspro verde incompleto con sistro hathorico con corona di disco e urei e
affiancato da urei discofori alla base
332;
scarabeo in diaspro verde incompleto con testa di negro di profilo
333;
scarabeo in diaspro verde incompleto con parte posteriore di leone accovacciato a
lettura orizzontale
334;
frammento di scarabeo in diaspro verde
335;
Scavi più recenti effettuati negli anni 1995 e 1998 hanno portato un’ulteriore
importante contributo alla conoscenza degli oggetti di ornamento deposti insieme alle
ceneri nelle urne del tophet
336. La datazione delle urne in questo settore del tophet è
compresa indicativamente tra l’ultimo quarto del VII e fine del VI secolo
337.
Le urne dei quadranti B-D 5-11, scavati nel 1995, hanno restituito i seguenti
corredi:
Urna 3
338:
scoria di piombo
339.
Urna 38:
orecchino in due frammenti di bronzo
340.
Urna 45:
4 vaghi in pasta vitrea
341.
Urna 48:
Vago anulare in corniola
342.
Urna 50:
20 frammenti in bronzo pertinenti ad almeno 4 bracciali;
332 Ib., p. 202, n. 123, tav. LXIII, 9; Hölbl 1986, p. 314, n. 171, tav. CLIV, 2; CPSC, n. 1/8. 333 Bartoloni 1973, pp. 202-203, n. 124, tav. LXIII, 10; CPSC, n. 36/24.
334 Bartoloni 1973, p. 203, n. 125, tav. LXIII, 11, vi legge una sfinge; CPSC, n. 38/29. 335 Bartoloni 1973, p. 203, n. 126, tav. LXIII, 12.
336 Ringrazio la dott.ssa Ilaria Montis per avermi messo a disposizione una copia dell’articolo che, nel momento
in cui si scrive, è ancora inedito: Montis 2005.
337 Montis 2003.
338 Si intendano i numeri progressivi, che individuano l’urna in Montis 2005, sempre preceduti dalla sigla
SATH/U-.
339 Ibidem, n. 1, tav. II. Per l’interpretazione di materiali di questo tipo a Mozia v. Ciasca 1992, p. 143, la quale
proponeva l’appartenenza a pendenti in questo poco nobile metallo, liquefatto per l’esposizione all’olocausto funebre.
340 Montis 2005, n. 2, tav. II. 341 Ibidem, n. 3, tav. II. 342 Ib., n. 4, tav. II.