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CAPITOLO III LE PROSPETTIVE FUTURE DELLO SVILUPPO RURALE.

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CAPITOLO III

LE PROSPETTIVE FUTURE DELLO SVILUPPO RURALE.

1. La nuova politica di sviluppo rurale nella Conferenza di Salisburgo: dal dopo Agenda 2000 alla revisione di Medio Termine della PAC.

Dall’avvio negli anni sessanta della Politica Agricola Comune sono, ormai, trascorsi più di quaranta anni, e, durante questo periodo, il contesto storico attorno al quale tale politica si è sviluppata è radicalmente mutato; se, infatti, originariamente il suo obiettivo era stato quello di incrementare la produttività dell’agricoltura, sviluppando il progresso tecnico, così, da garantire la sicurezza alimentare a tutti i cittadini comunitari, ed un equo tenore di vita della popolazione agricola, soprattutto avvalendosi di un sistema improntato sul sostegno al reddito degli agricoltori; nelle fasi successive, l’emergere di problemi relativi all’ambiente, il fenomeno delle eccedenze produttive, in parte, anche legato alla crescente divaricazione tra domanda ed offerta, hanno fatto affiorare tutta una serie di squilibri prodotti da un’impostazione così fortemente “accoppiata”, che hanno reso irrinunciabile un suo cambiamento. Per tale motivo quindi, la PAC, alla stregua di qualsiasi altro tipo di politica, è stata obbligata a far fronte alle nuove sfide, o per meglio dire, alle nuove priorità, che la società stava allora “avvertendo”, e, pertanto, a dare inizio a quel processo di riforma, che, avviatosi nei primi anni novanta con la decisione di abbandonare il sostegno illimitato dell’agricoltura, e optando, invece, per un sistema di pagamenti diretti ha, poi, “accolto”, al suo interno, anche tutta una nuova serie di competenze legate alle preoccupazioni di carattere ambientale, al conseguente nuovo ruolo “multifunzionale”1 dell’agricoltura, ed anche a quello, appunto, del concetto di 1 “ (…) La crisi ambientale è emersa nel contesto delle problematiche imposte dal regime postfordista,

quando lo spazio rurale ha cessato di essere concepito come spazio di sola produzione agricola, per passare ad una condizione di bene dalle molteplici funzioni sociali. Si sono viste le pesanti esternalità negative prodotte dall’agricoltura sull’ambiente, e si è scoperto che esse riguardavano bei collettivi da tutelare (…) ” (Sivini, 2006)

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sviluppo rurale, offrendo, così, a questo concetto l’opportunità di entrare a far parte delle politiche dell’Unione Europea: “ (…) la multifunzionalità in

agricoltura può essere definita come il fatto che, oltre alla produzione di beni agricoli e agro-alimentari, l’attività agricola svolge altre funzioni. Il 44% del territorio europeo è coperto da seminativi, ai quali si sommano le altre aree curate da operatori rurali (…) questi ultimi, insieme agli altri operatori rurali, gestiscono pertanto oltre la metà del territorio europeo. Il nesso tra agricoltura, ruralità, e territorio è dunque evidente così come sono evidenti le funzioni non commerciali delle attività agricole (…) ” (Givord, 2001). In sostanza, quindi,

l’approccio che era andato delineandosi nei primi anni novanta è poi proseguito con Agenda 2000 che ha dato al “processo di riorientamento” della PAC una spinta decisiva proprio nel senso di un modello di agricoltura europeo che fosse più incentrato sulla multifunzionalità dell’attività agricola e sul non trascurabile ruolo delle aree rurali nella diversificazione delle attività economiche degli agricoltori. Tuttavia, sebbene con Agenda 2000 fossero state potenziate le misure agroambientali, divenute, in quegli anni, parte integrante delle politiche di sviluppo rurale, nonostante fosse stato costituito un vero e proprio programma di sviluppo rurale e fossero anche state introdotte, con il cosiddetto “ regolamento orizzontale”, strumenti come l’eco-condizionalità e la modulazione, ma soprattutto, nonostante la politica di sviluppo rurale avesse fatto ufficialmente il suo ingresso all’interno della PAC, quale suo “secondo pilastro”; ebbene, ciononostante, l’obiettivo di una politica agricola coerente ed integrata con una politica complessiva per lo sviluppo rurale, era, e sembra essere tuttora, molto lontano. A questo proposito, vale la pena di rilevare, sopratutto, la necessità di una piena articolazione tra la PAC e la Politica delle strutture per il raggiungimento dell’obiettivo dello sviluppo rurale nel suo senso più ampio, un bisogno questo che, tuttavia, è stato eluso sin dall’inizio, e, nonostante, già all’epoca, fosse stata prevista una ripartizione più bilanciata delle risorse2 tra

politica strutturale e politica dei mercati, ha continuato negli anni a registrare

2 “ (…) si tratta di una spesa inefficiente, distorsiva, distribuita (e finanziata) in modo iniquo, generatrice

oltre che di sprechi, anche di continui contenziosi tra i paesi membri, impegnati a difendere la propria quota di finanziamenti e/o a non peggiorare la propria posizione netta nei confronti del bilancio comunitario.” (De Filippis, Storti, 2001).

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l’insufficienza dei mezzi finanziari che sono stati, regolarmente, sempre troppo limitati, e ciò, in particolar modo, se considerati in relazione a certi obiettivi ambiziosi in materia di sviluppo rurale sostenibile. Di conseguenza, a dispetto delle riforme agricole realizzate negli anni novanta, la PAC alle soglie del nostro secolo non era, ancora, stata migliorata in modo sostanziale, disattendendo, non solo i proponimenti della Dichiarazione di Cork, ma anche quegli stessi principi che si era prefissata di raggiungere nel capitolo introduttivo di Agenda 2000, e che furono, di fatto, inevitabilmente ridimensionati dagli stessi Paesi Membri, a favore di ben più comode soluzioni temporanee che rimandavano, invece, a tempi futuri provvedimenti più concreti ed efficaci. L’opportunità di poter, finalmente, proporre soluzioni adeguate alle questioni relative alla politica agricola, non si fece, in ogni caso, attendere; infatti, già al momento dell’adozione di Agenda 2000, proprio in occasione del Consiglio europeo di Berlino del 1999, fu dato mandato alla Commissione di predisporre una proposta di “revisione di medio termine” della PAC (MTR)3, così, da poterne valutare gli

effetti ed, eventualmente, correggere la strategia. Naturalmente la Commissione non mancò di assolvere tale compito4 e, nel luglio 2002, presentò un progetto di

complessiva ristrutturazione della PAC che, anche in considerazione dei problemi di carattere finanziario e di altri fattori contingenti, si rivelò, poi, essere, non una semplice revisione di metà percorso ma una vera riforma, alla quale, al di là di ogni altra tipo considerazione, va comunque attribuito il merito di aver “

(…) dato un’accelerazione significativa al processo di riorientamento degli strumenti e della finalità stessa del sostegno (…) ”. Dopo circa un anno di serrato

confronto tra le diverse posizioni assunte da ciascuno dei singoli Stati Membri e dai leader delle rispettive lobby agricole, sia pur con alcune rivisitazioni, in senso conservativo delle proposte originali, i ministri dell’agricoltura dell’UE, il 26 giugno del 2003, approvarono quella che fu, in seguito, da tutti indicata come

3 Mid Term Review.

4 “ (…) La riforma cambierà completamente il modo in cui l'Unione Europea sostiene il proprio settore

agricolo. Dai prossimi anni gli agricoltori dovranno confrontarsi con nuove regole della Pac (la terza riforma della PAC in 11 anni), con cambiamenti che andranno ad impattare in maniera sostanziale sulle scelte aziendali e con una prospettiva di lungo periodo, visto che la riforma è disegnata per il periodo 2004-2013.” (Frascarelli, 2003)

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“riforma Fishler”5, e ciò, suo malgrado, proprio “ (…) per sottolineare la portata innovativa e, per alcuni aspetti di rottura definitiva con il passato (…) ”. A

questo proposito, infatti, punto centrale della riforma sembra essere l’introduzione di un regime di pagamento unico, finalizzato al sostegno del reddito degli agricoltori, che, in conformità a quanto previsto, va a sostituire, almeno in parte, i vecchi pagamenti compensativi facendoli confluire,appunto, su un unico pagamento disaccoppiato6 , in quanto determinato, non più in relazione

alle quantità prodotte, o ai fattori produttivi utilizzati ma sul numero medio di ettari che, in un periodo7 stabilito quale riferimento, avevano giustificato tali

pagamenti. Certamente più attinente a questioni legate allo sviluppo rurale è da considerarsi il passaggio ad un regime di modulazione degli aiuti diretti obbligatorio, unico e comune a tutti gli Stati membri, e ciò, soprattutto in relazione ad alcune regole comuni disciplinate all’interno del cosiddetto

regolamento orizzontale8, per merito delle quali si è reso, così, possibile stornare

una parte, anche se oltremodo ridotta, del sostegno previsto dal primo al secondo pilastro, a favore delle misure indicate nei Piani di Sviluppo Rurali. Sempre per quello che riguarda, poi, alcune delle novità inserite all’interno del regolamento orizzontale, così come per la modulazione, anche per la condizionalità

ambientale degli aiuti diretti, il regime previsto viene ad assumere un carattere

obbligatorio per tutti gli Stati membri, contemplando, in questo caso, persino un ampliamento degli obblighi, che rispetto alla normativa precedente, non sono più, quindi, circoscritti al solo ambito ambientale ma interessano anche altri contesti, come, ad esempio, quelli legati al benessere degli animali, ed alla sicurezza e

5 Dal nome dell’allora Commissario Europeo dell’Agricoltura e degli affari rurali Franz Fishler, a cui

peraltro, nel 2004, è succeduto un nuovo commissario: la signora Mariann Fiscer Boel.

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Tuttavia nel passaggio dalla Comunicazione di luglio 2002 all’approvazione dei regolamenti nel settembre 2003 questo principio è stato inesorabilmente indebolito, lasciando per alcuni comparti il regime di aiuto accoppiato oppure utilizzando la formula “della deroga al premio unico”, e ciò, al fine di minimizzare quello che era il principale rischio di un “disaccoppiamento totale”: l’abbandono produttive di intere aree dalle condizioni economiche, sociali e ambientali particolarmente severe.

7 Per ciascuno Stato membro, in relazione a quanto stabilito da una specifica tabella, è stato stabilito un

tetto massimo all’ammontare di aiuti, “massimale nazionale”, che è stato calcolato sulla base degli aiuti storici ricevuti da ciascuno Stato nel periodo 2000-2002. Allo stesso modo, ad ogni agricoltore è assegnato un numero di diritti all’aiuto pari alla media della superficie ammessa ad aiuto nel triennio 2000-2002. Il valore aziendale del diritto all’aiuto, per ettaro ammissibile, è ottenuto dividendo l’importo dei pagamenti diretti ricevuti nel triennio per la superficie di riferimento.

8 Regolamento (CE) n.1782/03 del Consiglio del 29 settembre 2003, pubblicato su GUCE n.270 del 21

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salubrità degli alimenti9. Tuttavia, in questo modo, se da un lato può sembrare

plausibile che tale strumento “conquisti un posto centrale nella filosofia del

sostegno” divenendo, così, “una buona regola per legare il sostegno a pratiche virtuose”, dall’altro, è altrettanto vero che una tale espansione determini, con

molta probabilità, tutta una serie di incertezze derivanti dalla maggiore complessità legata, proprio, ai maggiori obblighi da rispettare. In aggiunta a tutti questi provvedimenti che se pur in maniera indiretta e ridotta rispetto alle attese, vanno, in ogni caso, ad incidere sul tema dello sviluppo rurale, all’interno della revisione intermedia della PAC, tale questione trova, inoltre, una sua specifica trattazione con il Reg. (CE) 1783/2003 dove, non solo sono riconsiderate alcune norme già in vigore per consolidare questo tipo di politica, ma si definiscono anche nuove misure10 per favorire un suo ulteriore miglioramento e che, più

dettagliatamente riguardano:

- Il rispetto delle norme, ossia, un aiuto temporaneo e decrescente a sostegno delle aziende agricole nel processo di adeguamento alle nuove e più restrittive norme in materia di ambiente, della sanità pubblica, animale e vegetale, e del benessere degli animali e della sicurezza sul lavoro. Relativamente all’erogazione degli aiuti, questi saranno calcolati, su base forfetaria ed in misura decrescente per un periodo massimo di cinque anni e con un tetto di sostegno per azienda pari a 10000 euro;

- La qualità alimentare, in questo caso, il regolamento stabilisce l’erogazione di un sostegno annuale per un importo massimo di 3000 euro e per un periodo non superiore, sempre, a cinque anni, destinato a quegli agricoltori che volontariamente partecipino a programmi di miglioramento della qualità alimentare, dei processi produttivi, della commercializzazione e della promozione. Sempre all’interno della stessa misura è, inoltre, previsto un premio supplementare, limitatamente al 70% dei costi

9 I pagamenti diretti secondo il Reg. (CE) 1782/2003 saranno, inoltre, condizionati al rispetto di requisiti

individuati dai Paesi Membri sulla base di standard di buona pratica agricola ed ambientale, al fine di mantenere in buone condizioni agricole ed ambientali tutte le superfici ed, in particolare, quelle non più destinate a fini agricoli.

10 Mentre sulla natura delle prime due misure si può, senz’altro, affermare che queste vanno a ripristinare

il concetto di “misura di accompagnamento”, la terza invece, costituisce una misura integrativa dell’art. 33 del Reg. (CE) n. 1257/1999.

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complessivi ammissibili del progetto, per gruppi di produttori impegnati in attività di promozione ed informazione sui prodotti agricoli per i consumatori;

- Il sostegno ai partenariati, e quindi, a tutte quelle particolari forme di aggregazione che vedono gli attori locali partecipare attivamente allo sviluppo del loro territori, cui il regolamento, anche sulla scia positiva dell’esperienza LEADER, riserva appunto, un contributo integrativo, proprio per promuoverne ed incentivarne la formazione.

Nel nuovo regolamento la Commissione ha, poi, introdotto anche tutta una serie di modifiche di ordine minore relative a misure per la formazione, la forestazione e l’indennità compensativa che, in ogni modo, non vanno ad incidere realmente sulla politica di sviluppo rurale, ma che, però, congiuntamente alle altre novità introdotte nel regolamento rivelano l’estrema esiguità delle modifiche introdotte dalla riforma, una scarsità quest’ultima che, a detta della Commissione, è, in larga parte, dipesa dalla necessità, o per meglio dire, dalla preoccupazione di non alterare in maniera sostanziale “le regole del gioco” proprio nel momento d’attuazione dei programmi, rischiando, così, di pregiudicarne il regolare svolgimento. Altrettanto giustificabile, non sembra essere, tuttavia, la “distorta

distribuzione” di risorse tra i due pilastri che sebbene avesse, originariamente,

costituito uno dei punti salienti su cui si è fondata la necessità di una revisione, poi, “ (…) nella sostanza il cosiddetto secondo pilastro della politica agricola

comunitaria era e rimarrà un piccolo “sgabello”, a cui oggi vengono destinate circa il 10% dei finanziamenti, mentre solo nel 2013 essi raggiungeranno 15% dei finanziamenti totali della Pac (…) ” (Fanfani et al., 2004). Un ulteriore

appunto, sempre, relativamente ai due pilastri della politica agricola, deve essere sollevato anche in merito alla loro mancata integrazione, o per meglio dire, sulla base della constatazione che, di fatto, lo sviluppo rurale sia, ancora, considerato all’interno della PAC come un problema, quasi esclusivamente agricolo, prescindendo, quindi, da tutte quelle altre forme di politiche settoriali, sociali e territoriali rilevanti per lo sviluppo di questo “secondo pilastro”. A dispetto, poi, di tutte quelle questioni relative alle risorse ed alla loro inefficiente distribuzione

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resta, comunque, il fatto che, sebbene frutto di “compromesso”, con la revisione di medio termine della politica agricola è stato compiuto, ad ogni buon conto, un passo decisivo verso la rinuncia ad una politica “ (…) orientata a sostenere

condizioni di status dei beneficiari (…) ”, per assecondare, invece, una “ (…) più attiva e rivolta a premiare il comportamento dell’agricoltore (…) in quanto imprenditore che produce beni e servizi richiesti da un mercato più liberalizzato o corrispondenti ai bisogni comuni della società”. Un cambiamento, questo, che

trova riscontro, peraltro, in alcuni aspetti, indubbiamente più marcati nella proposta del 2002, ma, comunque, presenti anche nella versione definitiva, del giugno 2003, e che qui possono essere così “richiamati”:

- Il pagamento unico aziendale disaccoppiato con il quale si vuole affidare, nuovamente, al mercato il compito di orientare le decisioni dell’agricoltore, il quale solo in questo modo potrà decidere cosa produrre, quando e per quanto tempo;

- I vincoli di eco-condizionalità che, invece, sostenendo l’attuazione dell’attuale legislazione in materia ambientale, di sicurezza alimentare e salute e benessere degli animali, se pur indirettamente, favorisce l’applicazione dei protocolli per le buone pratiche agricole e, quindi, conseguentemente anche dell’agricoltura multifunzionale;

- La modulazione alla quale se non può essere attribuito il merito di riequilibrare, nella sostanza, il peso tra i due pilastri, va, ciò nonostante, riconosciuto quello di rappresentare il primo taglio effettivo compiuto sui pagamenti diretti. (Sotte, 2006)

In conclusione, possiamo pertanto osservare come la riforma presenti comparativamente punti di forza e di debolezza che, prescindendo da valutazioni di merito circa la sua bontà o meno, portano, in ogni caso a concordare sul fatto che come, peraltro, aveva, già, a suo tempo affermato l’allora commissario Fishler “ (…) questa riforma è una decisione storica che segna l’inizio di una

nuova era (…) ”e quindi, questa rappresenti, in verità, un punto di partenza per

una più importante strategia per il settore primario, ma soprattutto, per lo sviluppo rurale. A questo proposito, infatti, a ben sette anni dalla ormai nota

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Conferenza di Cork, dal 12 al 14 novembre 2003 si è svolta a Salisburgo la seconda Conferenza europea sullo sviluppo rurale che ha avuto al centro del dibattito proprio tutte quelle questioni legate agli elementi di innovazione originatisi a seguito dell’applicazione dei programmi di Agenda 2000 e che, poi, nella revisione a medio termine della PAC hanno trovato una ulteriore conferma, soprattutto, in relazione all’inserimento della politica di sviluppo rurale come secondo pilastro. Da tale Conferenza nel cui titolo, “Piantare i semi per il futuro

rurale: le prospettive della politica rurale nell’Europa allargata”, peraltro, già si

poteva percepire il desiderio di voler finalmente dare una svolta decisiva a questo tipo di politica, preso atto anche dell’ingresso di nuovi dieci paesi nell’Unione. Ciò che, quindi, più di altro è emerso, prescindendo per un attimo dalle questioni legate alla politica in senso stretto, è rappresentato, proprio, da questo desiderio di svolta11 e “dall’estrema” fiducia che molti dei presenti avevano riposto nella

nuova generazione di programmi del periodo 2007-2013. Una volta presa nota di questa debita puntualizzazione, ed entrando, quindi, nel merito delle singole questioni relative alla Conferenza, durante la stessa, ad una sessione plenaria d’apertura in cui, peraltro, è stato possibile delineare il quadro generale della situazione anche alla luce dei più recenti risvolti della Riforma Fischler, ha fatto seguito, in un secondo tempo, un importante confronto sviluppatosi attorno a cinque argomenti appositamente selezionati, poiché ritenuti dei veri e propri punti strategici nella realizzazione e nello sviluppo di tale politica, ovverosia:

- La competitività in agricoltura ed il ruolo che tale settore riveste nello sviluppo delle aree rurali e come questo può essere valorizzato;

- L’ambiente e la gestione del territorio, e pertanto, anche in considerazione delle sue molteplici funzioni, l’importanza di tutte quelle misure soprattutto presenti nella PAC, orientate alla sua conservazione e ad un suo migliore utilizzo;

11 “ (…) Nel sintetizzare il successo della conferenza, il commissario Fischler ha dichiarato che

«Salisburgo non ha segnato il momento conclusivo, bensì il segnale di avvio di un’intensa discussione a livello regionale, nazionale e comunitario che permetterà di ripartire con nuovo slancio».”. Estratto

Newsletter n.60 Dicembre 2003/ Gennaio 2004 della Commissione Europea Direzione generale dell’Agricoltura.

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- La vitalità della campagna con diverse attività che qui si svolgono, e l’eventualità di una loro implementazione;

- La “mobilitazione” degli attori locali ad indicare, così, l’esplicito riferimento ad una politica di tipo “bottom-up” propria dell’Iniziativa LEADER;

- La semplificazione, infine, che non poteva di certo mancare quale tema di discussione, soprattutto, in relazione alla distribuzione di competenze tra Stati Membri e Unione Europea nella programmazione, gestione finanziaria ed al controllo di questa politica12.

Quale naturale punto d'arrivo della Conferenza, al termine, del dibattito sviluppatosi sulle cinque questioni dai rispettivi gruppi di lavoro all’uopo istituiti; si è stato predisposto un documento finale articolato su otto distinti principi, il cui intento, però, non è stato semplicemente quello di riepilogare il lavoro svolto in quelle giornate, ma, ben più ambiziosamente, di andare a costituire un valido punto di riferimento che potesse, in un certo qual modo, orientare, come in parte così è stato per la “Dichiarazione di Cork”, la futura pianificazione politica in materia di sviluppo rurale. Oltre a rinnovare l’impegno verso la promozione di una forma di sviluppo che possa considerarsi “sostenibile” per tutte le aree rurali, sia dal punto di vista economico che da quello ambientale e sociale, dalla Dichiarazione finale, in particolare, è emersa anche la convinzione, peraltro da tutti condivisa, che vi siano zone rurali più in ritardo rispetto ad altre per ciò che riguarda servizi, infrastrutture, occupazione e potenziale di sviluppo, e che per queste, sia necessario fare un particolare sforzo, potenziando, quindi, le misure di assistenza in loro favore. Un particolare invito, inserito sempre all’interno del documento conclusivo, e che qui sembra opportuno evidenziare, è stato, poi, rivolto al consolidamento dell’approccio “bottom up”13, così da poter “rispondere efficacemente alle esigenze locali e 12 “ (…) Il concetto di semplificazione ha assunto importanza dopo la pubblicazione del libro bianco sul

completamento del mercato interno. Nel 1992 il Consiglio europeo di Edimburgo gli ha attribuito grande rilievo.(…) è divenuta prioritaria l'opera di semplificazione legislativa volta a garantire la necessaria

trasparenza ed efficienza delle azioni comunitarie (…)

http://europa.eu/scadplus/glossary/legislation_simplification_it.htm

13 Nella Dichiarazione Finale compare, infatti, l’esplicito richiamo al cosiddetto “Principio di

sussidiarietà” secondo cui le decisioni devono essere adottate ad un livello più vicino possibile al

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regionali” ed ottenere “un dialogo a tutto campo tra i protagonisti del mondo rurale in sede di elaborazione, attuazione, controllo e valutazione dei programmi”; a questo riguardo, inoltre, in sede di dichiarazione si è anche

constatata l’opportunità di un maggiore sforzo in materia di assistenza alla creazione di reti e partenariati, e ciò, soprattutto, “tenendo conto dell’esperienza

acquisita attraverso il programma LEADER ”14.

possibilità offerte dall'azione a livello nazionale, regionale o locale.

14 MEMO/03/236 “Conclusioni della Seconda conferenza europea sullo sviluppo rurale (Salisburgo

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2. Alcuni aspetti del quinto allargamento dell’Unione Europea.

Il dibattito innescatosi sull’allargamento dell’Unione Europea ad est ha sollevato, nel corso degli anni, questioni e discussioni che hanno spesso riguardato aspetti inerenti l’ambito agricolo e rurale, sia in ragione del ruolo di rilievo che questi aspetti hanno assunto e tuttora assumono per le economie di questi paesi sia anche per la rilevanza del livello finanziario che, questo tipo di politiche, da sempre riveste all’interno dell’Unione. La discussione vera e propria in merito a tale questione fu avviata, nel 1993, a seguito della riunione del Consiglio Europeo di Copenaghen, dove i Paesi allora Membri prospettarono, sulla base dei cosiddetti “accordi europei”, la possibilità di un ulteriore allargamento dell’UE ai paesi dell’Europa Centrale e orientale avviando, con loro, un processo di dialogo difficile e complesso15 condizionato, peraltro, da una parte, da tutta una

serie di perplessità circa l’effettiva implementazione e la capacità amministrativa di porre in essere tutta una serie di riforme necessarie all’ingresso nell’UE; e dall’altra, le incertezze degli stessi paesi candidati, circa l’effettivo costo politico e sociale che un recepimento di tali riforme avrebbe comportato soprattutto per le aree più sensibili come quelle rurali16. A questo riguardo, infatti, quando, nel

1995, il Consiglio europeo di Madrid diede mandato alla Commissione di approfondire la valutazione degli effetti sull’allargamento delle politiche comunitarie, il quadro che si profilò in quell’occasione non diede di certo l'impressione di essere dei più confortanti, poiché a fronte di un possibile aumento del 33% della superficie totale dell’UE e del 28% della popolazione, la gran parte dei territori interessati dall’ampliamento rientrava nelle condizioni previste “dall’obiettivo 1” elevando, quindi, la quota della popolazione potenzialmente beneficiaria dei fondi strutturali, dagli allora 94 milioni ai 200 milioni del dopo adesione. Un fatto, questo, che non poteva essere in alcun modo paragonabile alle precedenti vicende comunitarie in tema di allargamento, e ciò,

15“ (…) L’avvio della transizione per le economie dei PECO nel loro complesso ha significato l’apertura

di una fase di profondo aggiustamento strutturale che ha coinvolto i sistemi monetari, fiscali ed il cambio delle valute. Tale processo ha causato un diverso grado di stabilità economica nella regione, che a sua volta ha influenzato l’andamento delle trasformazioni settoriali (…).” (De Filippis et al., 1998)

16 “ (…) A key risk during the early years after accession is that the restructuring process as Community

instruments will be associated with growing rural unemployment and poverty without being able to tackle the root problem of alternative sources of income directly (…)” European Commission (2002), Enlargement and Agriculture : Successfully integrating the new Member States into the CAP, Issue Paper.

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non solo per quanto concerneva la dimensione stessa dell’evento, ma, in particolar modo, anche per le forti disparità strutturali intercorrenti tra PECO e Paesi Membri ed anche tra gli stessi paesi candidati. Sempre sul al tema delle caratteristiche strutturali dell’allargamento è poi importante sottolineare anche la presenza di tutta una serie di questioni a queste strettamente correlate, che sono state di seguito brevemente riassunte:

- la necessità di una strategia d’integrazione che permettesse di affrontare più adeguatamente tutti quegli squilibri legati al più basso livello di reddito pro capite, alla diversa composizione settoriale dell’economia, e ciò, soprattutto attraverso il ripensamento del ruolo e dell’impianto dei fondi strutturali così da evitare che le necessità dei nuovi membri influenzino negativamente quelle dei vecchi Stati Membri;

- la maggiore disponibilità di forza lavoro agricola, concentrata soprattutto in alcuni dei PECO e caratterizzata da forti differenze nella remunerazione del lavoro sia tra i diversi settori che tra le aree geografiche e che richiedeva, quindi, adeguate politiche di controllo dei flussi di forza lavoro; - un generale livello di sostegno e produzione agricola notevolmente

inferiore a quello degli altri paesi sviluppati e della stessa UE, ma comunque fortemente eterogenea e caratterizzata dalla contemporanea presenza di misure che danneggiano il settore a beneficio dei singoli agricoltori;

- l’affermarsi, nei PECO, di nuovi interventi di politica agraria, relativi alla gestione e conservazione delle risorse agro ambientali, alla formazione, ed anche allo sviluppo rurale.

“(…) In particolare la profonda diversità delle condizioni strutturali (…) mostra

che l’allargamento comporterà un aumento del peso del settore agricolo (…) una ritrovata importanza economica, sociale e politica del settore (…) che segnala la necessità di lavorare alla definizione di una strategia (…) in grado di rilanciare la partecipazione del mondo rurale al progetto di costruzione europeo (…)” 17.

17 Estratto dalla presentazione di Fabiani G. al contributo dell’Osservatorio sulle politiche agricole

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Per far fronte a tutti questi nodi, con la prospettiva di un allargamento che si diversificava sostanzialmente rispetto a tutti quelli che lo avevano preceduto, i Paesi candidati hanno dovuto quindi affrontare, di fatto, una procedura d’adesione altrettanto particolare, strutturata in tre tappe successive ed il cui unico presupposto era, appunto, quello del rispetto di alcuni criteri, che la stessa UE già nel Consiglio di Copenaghen del 1993 aveva individuato come fondamentali, vale a dire:

- Criteri politici, quale riferimento alla stabilità istituzionale dei potenziali aderenti e, quindi, alle valutazioni su criteri relativi, ad esempio, al livello di democrazia oppure al rispetto dei diritti umani delle minoranze;

- Criteri economici, sottintendendo in questo modo il rispetto di due requisiti fondamentali: l’esistenza di un’economia di mercato funzionante e la capacità di far fronte alle pressioni concorrenziali all’interno dell’Unione; - Altri obblighi connessi all’adesione, tutti quei doveri il cui rispetto possa,

in un certo qual modo, fornire delle garanzie sull’effettivo raggiungimento dell’Unione economica e monetaria, in altre parole, il cosiddetto “acquis

comunitario”.

In questo modo, anche in conformità a quanto stabilito da questo particolare procedimento per tappe successive, caratteristico del quinto processo di allargamento europeo, si èarrivati, pertanto, alla definizione di ben 80.000 pagine relative all’acquis comunitario riconducibili a trentuno capitoli di trattativa che costituirono la base sulla quale poi furono avviate le negoziazioni poi sfociate nel Vertice di Copenaghen del dicembre 2002, all’interno del quale fu decretato “il definitivo” ingresso di dieci dei PECO nell’Unione Europea, a decorrere dal 1 maggio 2004. Durante il vertice del 2002, tra i vari “capitoli” oggetto di negoziazione e quindi tra gli ultimi ad essere ratificati comparivano anche quelli relativi al capitolo “agricolo” ed allo sviluppo rurale, in considerazione proprio di quella loro posizione di rilievo che, da una parte, li segnalava come principali voci del bilancio comunitario e, dall’altra, come settori chiave nei processi di transizione dei PECO. “ (…) In generale, adottare l’acquis comunitario richiede

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l’agricoltura ha un peso di maggior rilievo, dai vantaggi che derivano dall’applicazione della Politica Agricola Comune (…) Dal canto degli attuali Stati membri dell’UE, i vantaggi risiedono soprattutto nell’aumento delle dimensioni del mercato comune, a fronte però del costo dovuto al peggioramento della situazione finanziaria (…) ” (Scoppola, 2002). A questo riguardo, infatti, il

tema cardine del negoziato agricolo per l’allargamento nonché principale spiegazione del continuo protrarsi di queste trattative derivava, proprio da necessità d’ordine finanziario imputabili, in particolar modo, all’opportunità di estendere gradualmente la PAC ai nuovi stati membri e, specialmente, i pagamenti diretti che proprio per le loro notevoli implicazioni monetarie sono stati al centro di un acceso dibattito18. Sul fronte dei provvedimenti di sostegno

allo sviluppo rurale, invece, ciò che è emerso dal vertice di Copenaghen è stata, piuttosto, una complessa strategia d’intervento finalizzata al superamento di quelle carenze strutturali che contraddistinguevano queste aree, ed il cui fondamento è principalmente riconducibile ai seguenti tre presupposti:

- L’esperienza maturata dai singoli paesi al momento dell’adesione, sulla programmazione e gestione delle politiche di sviluppo rurale, grazie allo strumento di pre-adesione SAPARD;

- L’esiguità del periodo di programmazione che si prospettava ai nuovi paesi rispetto a quello previsto per gli stati Membri, e ciò in considerazione del fatto che, al momento dell’adesione, di tale periodo sarebbero rimasti soltanto tre anni (2004-2006) contro i sette previsti da Agenda 2000;

- La gran parte dei territori di questi paesi rientrava nelle regioni obiettivo 1 e pertanto le misure di sviluppo rurale dovevano fare riferimento alla programmazione dei Fondi Strutturali.

In merito al primo di questi tre punti, sembra qui opportuno porre l’accento su come il Programma SAPARD, nel rispetto delle condizioni stabilite nell’ambito dei paternariati per l’adesione abbia contribuito, in modo sostanziale, al

18 In merito ai pagamenti diretti la Commissione europea ha previsto la loro graduale estensione, “phasing

in”, su un periodo di 10 anni tale da consentire, per la fine della programmazione 2007-2013, di

eguagliare i valori vigenti nell’UE a 15, fermo restando, tuttavia, per i nuovi Paesi la possibilità di integrare gli aiuti attraverso fondi nazionali o “prelievi” dalla dotazione dello sviluppo rurale, il cosiddetto “top up”.

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trasferimento, nei paesi candidati, di un sistema di programmazione e gestione delle politiche di sviluppo rurale che prima non sussisteva affatto. Sulla base proprio di quanto stabilito da questa particolare iniziativa comunitaria, che a differenza di tutti gli altri programmi è interamente decentrata, è stato possibile definire, infatti, non solo un pacchetto di misure adeguate ed un programma per l’agricoltura e lo sviluppo rurale per tutto il periodo 2000-2006, ma persino delle strutture finanziarie e dei sistemi di gestione, analoghi a quelli vigenti negli Stati Membri, con cui agevolare così la formazione di un vero e proprio sistema di gestione decentrato e che fosse sotto la piena responsabilità di ogni singolo paese. Ad ogni buon conto, sulla base, quindi, degli orientamenti che sono stati delineati dall’iniziativa SAPARD e conformandosi anche a quegli elementi che potevano essere dedotti dagli altri due presupposti, ciò che è stato definito in materia di sviluppo rurale a Copenaghen ha riguardato essenzialmente:

-

La programmazione che aveva fissato per i paesi rientranti nell’obiettivo 1

e pertanto inclusi nella programmazione dei Fondi strutturali l’elaborazione di un Programma operativo (PO) con cui stabilire le opportune misure per lo sviluppo rurale da finanziare, interamente, con il FEOGA Orientamento. Al contrario le altre misure (agro-ambiente, prepensionamento, imboschimento delle superfici agricole e indennità compensative) sarebbero state approvate e finanziate separatamente in un Piano di sviluppo rurale adeguato, utilizzando il FEOGA di Garanzia;

-

Una serie di nuove misure ad integrazione della programmazione dello

sviluppo rurale avallate, peraltro, dalla difficile situazione strutturale esistente nei nuovi Paesi membri e che in particolare riguardavano:

o

una misura specifica per le aziende di semi-sussistenza, che

consisteva essenzialmente in un aiuto diretto al reddito, di natura temporanea, subordinato alla presentazione di un piano di sviluppo aziendale, cofinanziata per mezzo del FEOGA Garanzia. L’esistenza diffusa di aziende di semi-sussistenza che producevano per il loro autoconsumo vendendo solo una quota della loro produzione sul mercato e la conseguente necessità di far fronte alla

(16)

forte competizione dovuta all’ingresso dei paesi candidati nel mercato europeo furono, quindi, le principali motivazioni di una misura che fu introdotta proprio per impedire che le condizioni di vita della famiglia contadina si deteriorassero;

o

L’avviamento di associazioni di produttori, misura peraltro già

prevista da SAPARD e pertanto anch’essa cofinanziata dal FEOGA Garanzia, in base alla quale, attraverso una apposita forma di sostegno, era possibile agevolare la creazione e l’avvio delle associazioni dei produttori nei primi cinque anni che seguivano al loro riconoscimento; in questo modo con la creazione di tali associazioni sarebbe stato più agevole non solo effettuare un controllo più adeguato sull’offerta, ma anche definire regole comuni per la raccolta e la disponibilità dei prodotti.

o

L’assistenza tecnica al piano di sviluppo rurale, inizialmente non

finanziabile dal FEOGA Garanzia che sarebbe, invece, “intervenuto” nel periodo 2004-2006; fu istituita con il preciso obiettivo di favorire il buon funzionamento dei piani;

- Crediti dissociati, in considerazione della necessità emersa dal ridotto periodo di programmazione 2004-2006 al fine di consentire un approccio più “morbido ”alla spesa, si stabilì che per tutte quelle misure finanziate dal FEOGA Garanzia fosse possibile estendere anche ai nuovi programmi questo particolare sistema dei crediti dissociati già utilizzato, peraltro, sia all’interno dell’Iniziativa SAPARD sia nella programmazione dei fondi strutturali. Grazie a tale sistema, infatti, ciascun paese aveva la possibilità di effettuare la domanda di pagamento alla Commissione per una richiesta di finanziamento, entro due anni dall’impegno e, quindi, questo non doveva essere necessariamente erogato, tramite pagamenti effettivi, entro l’anno in cui era stato stabilito, pena la perdita delle risorse non spese come invece accadeva, normalmente, con le risorse del FEOGA Garanzia

- Leader +, infine, tra i provvedimenti in materia di sviluppo rurale non poteva di certo mancare questa particolare Iniziativa che proprio per alcune

(17)

delle sue caratteristiche circa l’esiguità dei tempi e delle risorse amministrative richieste per la sua attuazione era particolarmente adatta ad una situazione come questa, dove, il tempo di programmazione era estremamente ridotto. Tuttavia, in questo particolare caso, con l’obiettivo di sfruttare a pieno le sue qualità la programmazione LEADER + ha perso la sua autonomia ed è stata inserita nella programmazione dell’obiettivo 1, come una “misura ad hoc” del Programma operativo così da poter meglio finanziare l’apprendimento e la costruzione dell’approccio LEADER a livello locale e, in quei paesi dove esisteva già una qualche esperienza simile al LEADER, di sostenere un limitato numero di Gruppi di azione locale (GAL).

Dal punto di vista delle risorse finanziarie, anche sulla base dei precedenti accordi di Berlino, le stime degli stanziamenti per il periodo 2004-2006 furono effettuate in funzione di ciò che era stato allora assegnato per il periodo 2002-2004, di modo che la dotazione prevista per questo nuovo triennio risultò essere pari a 4.987 milioni di euro; cifra questa, alla quale però occorreva poi sommare anche i 520 milioni di euro previsti per lo strumento di pre-adesione SAPARD, ottenendo così uno stanziamento complessivo per lo sviluppo rurale, nei tre anni di adesione per i nuovi Paesi membri, pari a 6.550 milioni di euro19. In generale,

è possibile affermare che gli accordi raggiunti a Copenaghen hanno rappresentato una prima “composizione” degli interessi delle due parti negoziali, UE a 15 e PECO, ma che tuttavia la questione riguardo a quale politica agricola l’Europa volesse attuare nel suo complesso era un nodo che in quell’occasione rimase ancora da sciogliere e che peraltro fu demandato alla Revisione di Medio

Termine della PAC20. “ (…) Fino all’accordo finale di Copenaghen, l’allargamento era spesso descritto con grande allarmismo: sia da chi lo considerava una minaccia, e voleva ostacolarlo; sia da chi voleva usarlo come occasione per smantellare la Pac (…) ”, e la Riforma Fishler può essere

ricondotta proprio a questo stato delle cose che ha permesso di dare una notevole

19A questa dotazione si dovrebbe, infine aggiungere quella dei Fondi strutturali FEOGA Orientamento,

inclusa nei programmi operativi delle nuove regioni obiettivo 1, la cui determinazione tuttavia è lasciata alla decisione dei singoli paesi nell’ambito della rispettiva programmazione.

(18)

accelerata a tale processo di riforma, una PAC quella a 25 che tuttavia sarà, indubbiamente, di difficile gestione e ciò, soprattutto, anche in relazione a quelle differenze strutturali dei diversi Paesi che conducono inevitabilmente ad esigenze altrettanto differenti e che quindi contribuiranno a rendere più complicata la situazione anche in prospettiva, poi, dei prossimi ingressi di nuovi Paesi membri (De Filippis, 2005).

(19)

3. Il futuro dello sviluppo rurale nel nuovo periodo di programmazione 2007-2013.

L’allargamento dell’Unione europea ai nuovi 10 Stati membri e l’impatto che ciò produrrà in termini di allocazione finanziaria di risorse destinate alla coesione ed allo sviluppo rurale, la necessità di procedere sulla strada della semplificazione, la necessità di concentrare le risorse e di applicare la logica del decentramento così da aumentare l’efficacia dei provvedimenti sembrano essere le questioni più rilevanti che è plausibile ritenere abbiano influenzato in maniera determinante la nuova fase di programmazione 2007-2013 contribuendo ad una riflessione, che ha interessato non solo gli strumenti delle politiche strutturali ma anche i suoi stessi obiettivi. All’interno di un contesto di questo tipo, appare dunque evidente che già al momento della presentazione da parte della Commissione Europea nel luglio 2004 della proposta di regolamento del Consiglio sul supporto per lo sviluppo rurale le attese fossero quanto mai elevate, se non fosse altro che il disegno complessivo della riforma era stato già ampiamente definito e discusso nel corso della già menzionata Conferenza Europea sullo sviluppo rurale di Salisburgo. Quest’ultima sembra essere, quindi, l’ultima tappa di un percorso che, avviatosi con Agenda 2000, dove la politica di sviluppo rurale fu elevata a secondo pilastro della PAC è poi approdato alla più recente Riforma Fischler del 2003, che ha permesso di introdurre nuovi strumenti per permettere l’adeguamento al rispetto di norme comunitarie in materia di ambiente, sicurezza e qualità dei prodotti agricoli e che come altri strumenti introdotti durante tutto l’arco di questo percorso ha contribuito ad ampliare il ruolo delle politiche di sviluppo rurale “ (…) da mero strumento di accompagnamento strutturale e di

modernizzazione del settore agro alimentare a fattore di stimolo per uno sviluppo sostenibile (…) ”21. Tuttavia, un simile ampliamento se da un lato ha

aumentato la rilevanza di questo tipo di politica dall’altro ha contribuito ad accrescere il numero di programmi, i sistemi di programmazione, gestione e

21 “ (…) Queste trasformazioni sono legate a diverse motivazioni, che hanno agito in modo concomitante

in questi anni: fra tutte, vanno citate la crescente necessità di giustificare anche sotto il profilo ambientale gli aiuti all’agricoltura e la consapevolezza che la sopravvivenza di molte aree rurali non dipende solo dagli aiuti agricoli ma anche da un efficace stimolo alla creazione di altre attività economiche e dal sostegno del tessuto sociale (…)” (Mantino, 2006)

(20)

controllo, che erano stati attivati al fine di consentirne un corretto funzionamento, e che invece hanno così concorso ad aumentare considerevolmente l’onere amministrativo per i singoli Stati membri rendendone, tra l’altro, anche meno quantificabili gli effetti agli occhi dell’opinione pubblica. Pertanto, alla luce di questi antefatti, appaiono quindi più chiare le motivazioni che hanno portato, nella seconda metà del 2005, all’approvazione del nuovo testo regolamentare in materia di sviluppo rurale, il Regolamento (CE) n. 1698/200522, che “ (…)

ponendosi, per molti versi, in discontinuità con l’attuale fase di programmazione (…) ” ne semplifica notevolmente “l’impalcatura programmatica” e sulla base

del principio “one programme, one found” prevede l’introduzione, nel prossimo periodo di programmazione, di un programma unico cui corrisponde appunto la creazione di un unico fondo per lo sviluppo rurale (FEASR). Parallelamente, a margine di tale considerazione, è qui opportuno ricordare anche il maggiore approccio strategico che peraltro sottende a tutta la programmazione 2007-2013 ed il cui scopo principale in questo tipo di politiche è quello di identificare tutte quelle priorità d’intervento che sia pur tenendo in debita considerazione gli obiettivi dei singoli Stati membri contribuiscano a definire un processo di sviluppo comune per tutto il territorio rurale. A tale riguardo, il nuovo regolamento prevede, infatti, un sistema di programmazione che si compone di una serie di documenti così articolati:

-

Gli Orientamenti Strategici comunitari (OSC)per mezzo dei quali

attraverso una decisione a livello comunitario si perviene all’elaborazione di un quadro strategico unitario e vincolante per tutti gli Stati membri circa gli interventi da effettuare a favore dello sviluppo rurale23;

22 REGOLAMENTO (CE) n. 1698/2005 DEL CONSIGLIO, del 20 settembre 2005, sul sostegno allo

sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR).

23

“(…) L’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1698/2005 prevede l‘adozione, a livello

comunitario, di orientamenti strategici in materia di sviluppo rurale (…) Gli orientamenti strategici dovrebbero riflettere il ruolo multifunzionale che l’attività agricola svolge in termini di ricchezza e diversità dei paesaggi, di prodotti alimentari e di retaggio culturale e naturale. Tali orientamenti strategici dovrebbero individuare i settori di interesse per la realizzazione delle priorità comunitarie, in particolare in relazione agli obiettivi di sostenibilità di Göteborg e alla strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l’occupazione, (...). Sulla base degli orientamenti strategici, ciascuno Stato membro dovrebbe elaborare la propria strategia nazionale di sviluppo rurale, che costituirà il quadro di riferimento per la preparazione dei programmi di sviluppo rurale (…) ” DECISIONE DEL CONSIGLIO,

del 20 febbraio 2006, “relativa agli orientamenti strategici comunitari per lo sviluppo rurale (periodo di programmazione 2007-2013) ”

(21)

-

il Piano Strategico Nazionale (PSN) il cui compito principale è proprio

quello di coordinamento tra la strategia comunitaria e le linee strategiche della politica agricola nazionale;

-

i Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) già previsti peraltro dal Reg. (CE)

n. 1257/99 sono, infine, i documenti di attuazione della strategia delineata dai PSN e possono essere elaborati sia a livello nazionale che regionale24.

Per quanto riguarda poi gli “obiettivi strategici” che il nuovo Regolamento si prefigge di raggiungere, questi, sebbene in linea generale facciano in larga parte riferimento a quelli già enunciati per questo tipo di politica in Agenda 2000, tuttavia, essi trovano qui un inquadramento più appropriato e ciò non solo perché chiaramente distinti in quattro assi prioritari, ma, anche in funzione del fatto che ad ogni singolo asse è stato assegnato una determinata gamma di misure con la manifesta intenzione di voler così cercare di eliminare l’elemento della discrezionalità in fase di programmazione a favore di un approccio più strategico. Gli Assi previsti sono i seguenti::

-

ASSE I Miglioramento della competitività del settore agricolo e forestale il raggiungimento di tale obiettivo viene oggi affidato a tre diverse tipologie di interventi:

o Misure finalizzate a promuovere la conoscenza ed a migliorare il capitale umano;

o Misure tese alla ristrutturazione e all’innovazione del capitale fisico;

o Misure per la qualità dei prodotti e delle produzioni.

-

ASSE II Miglioramento dell’ambiente e del paesaggio, dove si segnala la presenza degli “ormai irrinunciabili” interventi agro-ambientali, cui si aggiungono, poi, anche altre tipologie d’interventi legate alle politiche forestali ed alle zone svantaggiate;

24 In merito all’elaborazione dei piani a livello regionale, in realtà, tra il PSN ed il PSR si deve aggiungere

una ulteriore modalità programmatica che è stata prevista per quegli Stati membri che hanno “programmi

regionalizzati”: il Documento nazionale di gestione il cui compito è appunto quello di descrivere gli

(22)

-

ASSE III Miglioramento della qualità della vita e diversificazione

dell’economia rurale, per il cui raggiungimento, invece, sono previsti sia

alcuni degli interventi volti alla diversificazione già contenuti nell’art.33 del Reg (CE) n. 1257/99, servizi alle popolazioni rurali e conservazione dell’ambiente rurale, sia anche altre due linee d’intervento che riguardano, invece, la formazione degli attori coinvolti nella “rivitalizzazione delle

aree rurali” e l’acquisizione di competenze e animazione per

l’implementazione delle strategie di sviluppo rurale.

A questi tre Assi il nuovo Regolamento ne ha poi affiancato un quarto, relativo all’“approccio LEADER” che tuttavia non presenta, come invece accade per gli altri, delle misure specifiche d’intervento e che attua, invece, “il mainstreaming” dell’Iniziativa attivando programmi di sviluppo locale basati su quelle misure previste dagli altri Assi. Dal punto di vista dell’approccio strategico, quindi, un programma unico di gestione dovrebbe assicurare un’azione comune orientata ad una strategia di base. Tuttavia, tale impostazione, oltre ad influenzare radicalmente la definizione della strategia, ha anche notevoli riflessi sulla gestione finanziaria dei programmi e ciò proprio in considerazione del fatto che nell’attuazione viene a mancare il riferimento alla singola misura a favore dell’intero Asse con un notevole incremento, quindi, della flessibilità finanziaria degli interventi. In merito alla gestione, inoltre, al fine di garantire il raggiungimento di ognuno degli obiettivi prefissati, con il regolamento è stato introdotto il “principio del Bilanciamento” delle risorse che, fissando delle percentuali minime di risorse che dovranno essere garantite per ciascun Asse25,

cerca così di porre rimedio all’esperienza negativa dell’attuale programmazione, dove si è più volte rilevata una mancanza di corrispondenza tra obiettivi e ripartizione delle risorse. Altra importante novità, sempre legata al sistema di gestione finanziaria del fondo, e quasi certamente novità più rilevante dell’intero regolamento è quella, in base alla quale, a decorrere dal 1 gennaio 2007, in

25 Le percentuali minime garantite a ciascun asse sono nel dettaglio::

- ASSE I e III almeno il 10%; - ASSE II almeno il 25% del totale:

Per l’Asse relativo all’approccio LEADER è stata garantita una percentuale minima di risorse, pari al 5%, che però deve contribuire, tuttavia, anche alla spesa di almeno uno degli altri assi.

(23)

ottemperanza al già citato principio “un programma, un fondo”, tutti gli interventi di sviluppo rurale saranno realizzati mediante il finanziamento del Fondo Europeo Agricolo per lo sviluppo Rurale (FEASR) eliminando pertanto l’attuale dicotomia tra finanziamenti del FEOGA sezione Orientamento e sezione Garanzia. Nel merito, poi, delle regole che disciplinano il funzionamento del Fondo c’è da rilevare come queste, nonostante la sua “nuova costituzione”, si rifacciano in gran parte ad elementi derivanti da entrambe le precedenti sezioni di fondi così ben conosciuti come quelle del FEOGA, ed in particolare:

-

Impegni di bilancio comunitari annuali ed una serie di versamenti così

ripartita: un prefinanziamento pari al 7% del contributo comunitario che sarà versato a seguito dell’adozione del programma26, una serie di

pagamenti intermedi che saranno concessi in un secondo tempo rispetto alla trasmissione della dichiarazione di spesa e dovranno rispettare, tra l’altro, anche il tasso di cofinanziamento di ciascun asse e, infine, un saldo finale che dovrà essere non inferiore al 5% del contributo totale;

-

Adozione della “regola del disimpegno automatico” altrimenti detta

“regola n+2” propria dei fondi strutturali ed in base alla quale ogni programma dovrà spendere ogni annualità programmata al più tardi entro il 31 dicembre del secondo anno successivo all’anno dell’impegno di bilancio;

-

Estensione della qualifica di Organismo Pagatore27 a tutte le regioni,

ovverosia, di quell’organismo già previsto nel precedente periodo di programmazione che è responsabile delle erogazioni dei premi e degli aiuti comunitari finanziati dal Fondo;

-

Obbligo di finanziamento per ogni singola operazione su un solo Asse, con

la conseguenza che nel caso in cui la spesa relativa ad un’operazione sia

26 La formula di un contributo di prefinanziamento del 7% è attualmente prevista nella programmazione

del FEOGA Orientamento.

27 Tale Organismo previsto per il FEOGA Garanzia, è designato dagli Stati Membri sotto la loro

responsabilità e deve fornire tutte le garanzie necessarie riguardo alla conformità con le norme comunitarie relative al controllo delle spese del Fondo. In merito, poi, alle modalità di organizzazione e funzionamento degli Organismi pagatori, queste sono riportate nel Regolamento (CE) n. 1663/95.

(24)

ascrivibile ad Assi diversi, questa dovrà essere imputata all’Asse a cui si riferisce la quota maggiore di spesa.

Sulla base poi della proposta definitiva relativa al bilancio comunitario28

2007-2013 approvata di recente sotto la presidenza britannica della Commissione Europea è qui possibile affermare che le risorse messe a disposizione del Fondo per il nuovo periodo di programmazione dovrebbero essere pari a 69,7529 miliardi

di Euro, una cifra questa che si compone essenzialmente di importi trasferiti dai fondi di sostegno per la componente regionale dell'obiettivo di convergenza30 e di

importi attualmente erogati nel quadro del FEAOG, sezione garanzia. Più in generale, volendo formulare a questo punto un primo giudizio sul nuovo Regolamento, si vuole innanzi tutto evidenziare come anche in questo caso, così come in tutti i provvedimenti che hanno avuto ad oggetto la politica di sviluppo rurale emergono “luci ed ombre” che in questo caso possono essere adeguatamente comprese solo se osservate nella prospettiva più generale della riforma delle politiche comunitarie. A questo riguardo, è proprio in funzione di tali cambiamenti che prevedono a livello europeo il rilancio di strategie come quelle di Lisbona e Goteborg31 e mettono in campo riforme altrettanto importanti

quale, ad esempio, quella della politica di coesione, che la grande “novità” della creazione di “un unico Fondo e un unico programma” se si considera “ (…) la

contropartita, per così dire, della netta separazione dello sviluppo rurale dagli altri Fondi strutturali (…) ” o per meglio dire, la scelta di rendere lo sviluppo

rurale indipendente sia in termini operativi sia di bilancio dalle altre politiche, induce, indubbiamente, in qualche perplessità e ciò non solo in relazione ai

28 Vedi la Nota della Presidenza al Consiglio europeo sulle “Prospettive finanziarie 2007-2013”

Bruxelles, 19 dicembre 2005(20.12).

29 La cifra non tiene conto degli importi che deriveranno dalla “modulazione”, a ciò si aggiunga, inoltre,

che nell’accordo di bilancio è stata riconosciuta agli Stati membri la possibilità di trasferire somme supplementari ai programmi di sviluppo rurale fino ad un massimo del 20% degli importi che avanzano loro dalla spesa relativa al mercato dei pagamenti diretti.

30“L'obiettivo Convergenza” è destinato agli Stati membri e alle regioni in ritardo di sviluppo, le regioni

oggetto di tale obiettivo sono quelle il cui PIL pro capite “misurato in parità di potere di acquisto” è inferiore al 75% della media comunitaria.

31 Nel marzo 2000, i capi di Stato e di governo dell’Unione, riuniti a Lisbona, hanno definito una strategia

concepita per fare dell’Europa un’economia fondata sulla conoscenza, la più competitiva e la più dinamica del mondo. Nel Consiglio di Göteborg del giugno 2001, la strategia di Lisbona è stata allargata, ponendo un nuovo accento sulla protezione dell’ambiente e sulla realizzazione di un modello di sviluppo più sostenibile.

(25)

recenti sviluppi riguardo gli accordi sulla programmazione finanziaria32 ma anche

per il possibile “rischio di settorializzare” persino questo tipo di politica. Altra questione che ha contribuito a dare un notevole risalto a questo Regolamento è indubbiamente quella relativa alla rimozione di molte delle difficoltà amministrative e gestionali insite nell’applicazione delle politiche di sviluppo rurale, già in passato oggetto di discussione ed obiettivo delle riforme ma che solo con questo regolamento è plausibile ritenere possano essere raggiunte: “ (…)

la presenza di un unico sistema di finanziamento consentirà alle amministrazioni, non solo la gestione univoca e la possibilità di creare un policy mix più completo, ma anche una semplificazione degli oneri a loro carico. La gestione unica dello sviluppo rurale consentirà di avere una sola modalità di pagamento, una unica modalità di rendicontazione e di suo invio (…) ”. Ciò

nonostante, anche in questo caso, analizzando il regolamento da un punto di vista più d'insieme, se è vero che si deve ammettere siano stati apportati cambiamenti rilevanti nei meccanismi di funzionamento nella direzione di una maggiore semplificazione, è altresì vero che “ la strategia di semplificare sia stata del tutto

dominante rispetto alle altre questioni”, come ad esempio la mancanza di veri e

propri elementi di novità riscontrabile nel novero degli interventi previsti per lo sviluppo rurale nel nuovo Regolamento rispetto al “menù di misure”33 già ora a

disposizione. Una volta poste in evidenza tali “criticità”, si rende qui opportuno sottolineare come, malgrado ciò, parallelamente sia improprio immaginare questo Regolamento quale semplice “opera di semplificazione e razionalizzazione delle

diverse modalità d’intervento”. Al riguardo, infatti, si deve segnalare non solo

l’introduzione di tutta una serie di elementi innovativi, soprattutto in relazione alle politiche agricole, ma anche “il rivoluzionario” inserimento dell’Iniziativa Leader all’interno della programmazione 34. Sul merito, quindi, delle novità

introdotte dal Regolamento in materia di politica agricola che tendono,

32 “ (…) Questo elemento appare ancora più critico in una prospettiva di riduzione di risorse: più che

separare lo sviluppo rurale dalle politiche di coesione, nel periodo 2007-2013 avremo semmai una ancora più pressante necessità di integrazione delle politiche per aumentarne l’efficacia (…) ” (Mantino,

2006).

33 Si fa qui riferimento alla serie di interventi previsti nell’attuale periodo di programmazione 2000-2006

sia dal Reg. 1257/99 e dai suoi successivi regolamenti d’attuazione.

(26)

soprattutto, a migliorare la competitività del settore agro-alimentare, oltre alla già menzionata introduzione di un “Asse ad hoc”, ed alla fissazione di una riserva minima del 10% delle risorse per il raggiungimento di tale obiettivo, è importante qui rilevare anche il ruolo strategico che tale Asse viene ad assumere nel raggiungimento degli obiettivi fissati per il rilancio della strategia di Lisbona. A questo proposito, infatti,“ (…) alcune linee strategiche sono già chiare nel

Regolamento, come il rapporto qualità e competitività o la necessità di investire sulla competenza e conoscenza per aumentare il capitale umano (…) ”. Proprio a

questo riguardo, infatti, il Regolamento, proseguendo nella linea già tracciata dalla riforma del 2003 della PAC circa il rilancio della politica a favore dei servizi di sviluppo agricolo, per contrastare il generalizzato processo di ridimensionamento di tali servizi che si era instaurato nell’ultimo periodo di programmazione propone un approccio più completo ampliando, pertanto, il campo di azione dei servizi di consulenza agli obiettivi generali di miglioramento della competitività delle aziende e di sviluppo della conoscenza e del potenziale umano. Altre novità in relazione al rilancio della competitività sono individuabili anche, rispetto alla qualità dei prodotti che già dagli inizi degli anni novanta “

(…) è annoverata tra gli elementi su cui far leva (…)” all’interno delle politiche

di sviluppo rurale per “ (…) migliorare la competitività delle aziende e delle aree rurali e salvaguardare l’ambiente (…) ”, in proposito, infatti, il Regolamento non solo riduce a due le misure di questo “sotto-asse”, ma stabilisce che i sistemi di qualità possano riferirsi solo ai prodotti agricoli destinati al consumo umano35

cercando, in questo modo, di razionalizzare gli interventi “ (…) riconducendo a

precise tipologie le azioni finanziabili, limitando agli operatori agricoli la possibilità di accedere ai finanziamenti e confermando i soli prodotti agricoli come potenziali sistemi di qualità (…) ”. Per quanto riguarda, poi, la salvaguardia

dell’ambiente, in considerazione dell’enfasi posta dal regolamento a tale dimensione, occorre fare anche in questo caso l’ennesimo rimando alla strategia di Lisbona ed al Consiglio europeo di Göteborg per sottolineare come, anche in questo caso, emerga ancora una volta l’impegno dell’UE nella loro realizzazione,

35 Vedi art. 32 “Partecipazione degli agricoltori ai sistemi di qualità alimentare” del Reg (CE) n.

(27)

ovverosia nella volontà di creare una sinergia tra dimensione economica, sociale ed ambientale, appunto36. Su come, quindi, le priorità ambientali trovino

trattazione all’interno del Regolamento, è importante ricordare che a queste, come già peraltro indicato in precedenza, è stato interamente attribuito il secondo Asse, e che le principali novità qui riscontrabili per quanto riguarda, in particolare, le misure legate all’uso sostenibile del territorio agricolo non sono poi così rilevanti ed anzi sembrano confermare che, anche nella nuova fase di programmazione, la misura relativa ai pagamenti agroambientali dovrebbe costituire l’intervento principale a favore dell’ambiente. Più in generale, in conclusione, è possibile affermare che, sia pure con gli opportuni distinguo37, tale

giudizio è estendibile anche alle altre misure rientranti in quest’Asse e che, in ogni caso, un’analisi più accurata a riguardo deve necessariamente essere rinviata a quando saranno presentate ed approvate le norme applicative del Regolamento (Mantino, 2005).

36 “ (…) Dalla sua inclusione nel trattato, nel 1997, lo sviluppo sostenibile è riconosciuto come una

finalità principale dell’UE (…) La strategia intende promuovere l’economia e la coesione sociale senza peggiorare la qualità dell’ambiente e quindi gli obiettivi ambientali dovranno essere soppesati alla luce del relativo impatto economico e sociale (…) Ciò costituisce una differenza considerevole rispetto al modo in cui la politica ambientale è stata finora concepita e definita (…) ” COM (2003) 745, Bruxelles, 3/12/2003.

37 Per ciò che riguarda ad esempio le zone svantaggiate si registra, infatti, il tentativo della Commissione

di ridefinire sia le tipologie di aree ammissibili sia i criteri per la loro individuazione, tuttavia, la serrata opposizione di molti degli Stati membri ha determinato il rinvio della questione sino al 2010: “ (…) Le

direttive e le decisioni del Consiglio che stabiliscono e che modificano gli elenchi delle zone svantaggiate adottate ai sensi dell'articolo 21, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 950/97 sono abrogate a decorrere dal 1° gennaio 2010 (…) ” art. 92 Reg (CE) n.1698/2005.

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