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Capitolo 2. Metodi innovativi presenti in letteratura

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Academic year: 2021

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Capitolo 2. Metodi innovativi

presenti in letteratura

A seguito di un’attenta analisi della letteratura, sono stati identificati quattro processi che si differenziano nettamente rispetto ai normali metodi di lavorazione delle protesi dentali, in base a due differenti aspetti:

1) Metodi che usano materiali innovativi: il Protein Coagulation Casting e la fabbricazione tramite misture continue di pigmenti;

2) Metodi che utilizzano processi innovativi: l’asportazione di materiale tramite forze di rotture nella fresatura con ultrasuoni e il Multi-Material Laser Densification.

2.1 Asportazione tramite forze di rotture nella fresatura con

ultrasuoni [18]

Questo modello si basa sull’assunto che le fratture fragili siano i primi meccanismi responsabili della rimozione di materiale per le ceramiche dentali. Il processo fa uso della tecnica “Rotary Ultrasonic Maching” o “Ultrasonic Vibration Assited Grinding”, altamente performante per materiali duri e fragili, come la zirconia. Tale tecnica è una combinazione di due processi per la rimozione del materiale “classici”: la foratura tramite ultrasuoni di sonda a rotazione (Rotary Ultrasonic Drilling, RUD) e la fresatura tramite ultrasuoni di sonda a rotazione (Rotary Ultrasonic Milling, RUM), come illustrato in Fig 2.1.

Il mandrino emette vibrazioni ad ultrasuoni in direzione assiale. Durante la lavorazione, se la direzione di avanzamento (feed direction) è parallela all’asse del mandrino, il processo lavora come RUD; invece, se la direzione di avanzamento è perpendicolare all’asse del mandrino, la lavorazione si considera RUM. L’utensile, in metallo diamantato, ruota e vibra insieme al mandrino.

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Fig. 2.1 Processo di Rotary Ultrasonic Maching: (a) Rotary Ultrasonic Drilling; (b) Rotary Ultrasonic Milling Nella creazione di corone dentali, è necessario apportare un sottile strato ceramico. Tuttavia, con le lavorazioni tradizionali, molto materiale viene rimosso e scartato. Risulta quindi necessario creare un processo più efficiente. Grazie alle vibrazioni ad ultrasuoni, la bassa velocità di avanzamento e la molatura profonda si ha un incremento del Material Removal Rate. La Rotary Ultrasonic Machining presenta ulteriori vantaggi, quali: basse forze di taglio, minore dimensione del truciolo e maggior qualità superficiale. La maggiore efficienza è data anche dal fatto che, in questo caso, prendono parte al processo di taglio sia le particelle presenti nelle facce laterale che quelle presenti nella faccia inferiore.

Come abbiamo già detto, questo processo parte dell’idea che le fratture fragili siano i primi meccanismi responsabili della rimozione di materiale per le ceramiche dentali. Per analizzare nel dettaglio questo aspetto, occorre introdurre l’approccio dell’intaccatura meccanica delle

fratture (Indentation fracture mechanics approach). Durante la lavorazione della zirconia, si

vengono a creare delle crepe e delle deformazioni, come illustrato in Fig. 2.2.

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La zona di deformazione plastica viene a crearsi al di sotto delle particelle di abrasivo, causando l’espansione delle crepe lungo due direzioni: laterali e media-radiali (medial-radial cracks e lateral cracks). Nella sezione di destra del disegno si possono osservare le crepe generate da ogni singola particella di abrasivo (dalla figura si identificano bene le crepe laterali, CL). E’ grazie alla propagazione di queste crepe che sarà possibile rimuovere le particelle di zirconia. Quando l’utensile avanza sul pezzo in lavorazione, ogni particella di abrasivo penetra insieme alle altre nello spazio di lavoro, attraverso ultrasuoni come quello illustrato in Fig. 2.3.

Fig. 2.3 Illustrazione schematica di vibrazioni ad ultrasuoni

Ogni particella di abrasivo non presenta un moto di taglio continuo, ma questo segue periodiche vibrazioni, concordemente agli ultrasuoni emessi lungo l’asse del mandrino.

2.2 Protein Coagulation Casting (PCC) [20]

In questo caso, l’innovazione non è tanto nella tecnica ma nel materiale trattato. La Protein Coagulation Casting (PCC) è una tecnica che nasce dall’esigenza di poter creare pezzi ceramici di forma complessa in materiali biocompatibili. Si è quindi cercata una soluzione che potesse andare oltre le tecniche classiche per asportazione di truciolo, causa oltretutto di una elevata fragilità complessiva del pezzo. In contemporanea, la PCC si differenzia dalle tecniche classiche di prototipazione rapida, che sono causa di un restringimento anisotropico durante il processo di asciugatura del polimero (ovvero con caratteristiche che dipendono dalla direzione lungo la quale si analizza il restringimento) e del cosiddetto “effetto gradino”, che implica una qualità superficiale ridotta, una minore accuratezza dimensionale, una bassa resistenza agli stress ed ulteriore fragilità.

Nello specifico, la Protein Coagulation Casting consiste nella preparazione di un impasto liquido di allumina con un legante a base di proteina del bianco d’uovo e di saccarosio. La funzione del saccarosio è quella di plastificante e di modulatore reologico, ovvero di regolatore dello scorrimento e dell’equilibrio della materia deformata da sollecitazioni.

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La produzione dell’impasto prevede, oltre alla presenza dell’albume e del saccarosio, aggiunte di sfere di zirconia di 3mm. A questo punto occorre unire il composto con del polipropilene, una resina sintetica del propilene, con un rapporto in ml di circa 2:6 (200ml di composto con sfere in zirconia e 600 ml di polipropilene). Il mix viene lavorato per 24 ore, poi filtrato per eliminarne gli elementi in zirconia. Si aggiunge quindi un antischiuma, l’1-ottanolo, per eliminare le bolle d’aria. L’impasto viene inserito in forme rettangolari e poi poste in forno a 40°C per 12 ore. Le green part vengono quindi rimosse dallo stampo e lasciate essiccare a 80°C per una notte. In questo modo, si assicura la corretta coagulazione e il giusto livello di asciugatura dei provini.

Il provino ottenuto viene lavorato in fresatrici a CNC (ad esempio MDX 650, Roland DG Ltd., Japan) utilizzando frese diamantate. Si tratta dunque di un processo di lavorazione tradizionale mediante fresatura. Questo metodo permette dunque di lavorare attraverso sistemi CAD\CAM, con i relativi vantaggi già precedentemente analizzati. A questi si aggiungono i benefici derivanti dall’uso di proteine naturali: non si necessita di additivi ambientali o chimici per iniziare la condensazione, per cui si ottiene un prodotto costituito da materiale non tossico, biodegradabile, economico e facilmente disponibile.

Fig 2.4 Esempio di manufatto creato utilizzando la Protein Coagulation Casting

2.3 Fabbricazione tramite misture di pigmenti [21]

In questo caso la creazione del manufatto avviene a seguito della colatura e del successivo raffreddamento di una mistura all’interno di uno stampo della forma del pezzo finale che si vuole ottenere. Il cuore del processo sta nella definizione del tipo e del quantitativo di elementi di cui sarà costituita la mistura da versare nello stampo. Si parlerà di “pigmenti”, in quanto lo scopo del processo è ottenere un prodotto eccellente dal punto di vista estetico, sia nel colore che nella traslucidità. Questo punto critico può essere svolto in due modi differenti a seconda dell’obiettivo del processo; gli scopi possono infatti essere la creazione di copie di manufatti preesistenti o la fabbricazione di prototipi originali.

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1. Pre-processo: preparazione e rilevazione di differenti mix di pigmenti che andranno a costituire il database di informazioni con cui si andrà a lavorare;

2. Setup delle misure: vengono misurate le caratteristiche del materiale tramite rilevazione dei raggi riflessi, come verrà in seguito illustrato;

3. Ottimizzazione: stima delle concentrazioni dei pigmenti in base ai dati presenti nel database.

Risulta cruciale la seconda fase, ovvero il setup delle misure. Lo strumento di cui si fa uso è un dispositivo di contatto non-invasivo, la cui sezione è riportata in Fig. 2.5. Sono stati identificati due parametri per definire le caratteristiche del materiale originale: riflessione diffusa ρλ e il profilo di dispersione Rλd.

Fig 2.5 Sezione del dispositivo

Con riferimento alla Fig. 2.5, il campione viene posizionato sul fondo, a contatto con la sezione A. Viene posizionata una telecamera monocromatica nell’apertura circolare (B). La riflessione diffusa ρλ viene misurata utilizzando un array di cinque cavi di fibre ottiche situati in alto nel dispositivo (C) direzionati verso il centro del provino (A). In base al quantitativo di luce riflessa è possibile rilevare la riflessione diffusa del materiale. Il profilo di dispersione Rλd, invece, viene misurato dal secondo set di cinque cavi LEDs e fibre ottiche posizionato sul lato sinistro (E). Il set di cavi LEDs è posto in contatto con il materiale e lo illumina nella zona denominata F, non visibile dalla telecamera. Questa luce si propaga all’interno del materiale e all’interno del campo di rilevazione della telecamera. Vengono catturate cinque immagini, una per ogni tipo di LED. E’ così possibile misurare il profilo di dispersione.

Attraverso algoritmi di ottimizzazione (fase 3) ed in base ai dati contenuti nel database, viene definito il miglior mix di pigmenti affinché il risultato sia il migliore qualitativamente parlando ed il più vicino possibile al prodotto originale.

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Se invece si vuole creare un prototipo originale, occorre definire in principio alcuni dati: colore e traslucidità desiderati e range di concentrazione massima e minima di pigmenti. Il processo comincia con un mix di colori iniziale ed uno spessore del campione imposto dall’utente. Il metodo permette di trovare le concentrazioni ideali in modo iterativo, attraverso una ricerca controllata ed intuitiva, per determinare un punto di equilibrio tra i differenti colori. Per selezionare un colore, l’interfaccia mostra le diverse riflessioni diffuse del colore del mix iniziale e sei differenti variazioni dello stesso. L’utente seleziona quindi la variazione cromatica che preferisce e il mix “iniziale” si aggiorna. Quindi il processo si ripete.

Per definire la traslucidità, il procedimento è il medesimo: l’interfaccia produce automaticamente un mix in base a degli step strutturati sulla riflessione del profilo. Anche in questo caso viene mostrato il livello iniziale di traslucidità più sei varianti, si seleziona il livello ritenuto migliore e si ripete il processo. Si ottiene così il mix che ottimizza i parametri analizzati.

In entrambi i casi, l’output di questa fase è una “ricetta” contenente il mix di pigmenti individuato. Il metodo si ultima con la fase di fabbricazione vera e propria. Il composto, contenente tale mix ed un materiale base (tipicamente silicone trasparente), viene versato in uno stampo coperto di materiale acrilico capace di conferire un’ottima finitura superficiale. Bisogna fare molta attenzione ed assicurarsi che siano aggiunti i corretti quantitativi di pigmenti, evitando aria o impurità. Se si sta fabbricando un provino originale, può essere utile sottoporre i campioni asciutti a rilevazioni come descritto nella fase “setup delle misure” per le copie in silicone al fine di avere un valore numerico preciso anche delle due variabili riflessione diffusa ρλ e il profilo di dispersione Rλd.

Si tratta di una tecnica che può essere utilizzata in molteplici campi. In odontoiatria trova una perfetta applicazione grazie alle elevate performance estetiche, che, come abbiamo visto nel capitolo 1, rappresentano uno dei requisiti fondamentali per una protesi dentale.

2.4 Multi-Material Laser Densification (MMLD) [22]

La novità in questo metodo è data dalla copresenza di due differenti metodi: l’estrusione di materiale plastico (Fused Deposition Modeling) e la sinterizzazione laser.

Questo metodo trae ispirazione da due tecniche precedenti: la Porcelain-Fused-to-Metal (PFM) e la Solid Freeform Fabrication (SFF). La prima veniva utilizzata in passato per i manufatti in metallo, nei quali la lega veniva cotta in forno insieme a layer di porcellana

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dentale. La qualità era elevata, ma il processo risultava estremamente costoso. La seconda rappresenta la classica fabbricazione additiva layer-by-layer. Dall’evoluzione di queste tecniche nasce il Multi-Material Laser Densification (MMLD).

L’impasto può essere costituito da leghe dentali o da polvere di sfere di porcellana dentale tritate di dimensioni di 10-50μm, creando un composto di 50% polvere e 50% acqua de-ionizzata. Tale impasto viene quindi estruso in linee ricreando il profilo del manufatto da ottenere. Le linee estruse, in materiale pastoso, vengono quindi sinterizzate dal laser sotto differenti condizioni, in modo da creare dei layer fully dense senza far avvenire deformazioni o cricche. Si riportano nello specifico i singoli passaggi:

1. La pasta ceramica viene inserita in un micro-estrusore e poi estrusa su un substrato di carburo di silicio SiC nel piano X-Y;

2. La pasta estrusa viene cotta da un fascio laser di diametro di circa 5-8 mm inizialmente a potenza bassa, poi a potenza più elevata;

3. Dopo che il primo layer si è solidificato, viene posto il secondo layer sul primo e viene fatto solidificare con il fascio laser;

4. Viene ripetuta la sequenza estrusione-asciugamento-sinterizzazione fino ad ottenere il pezzo desiderato.

Fig 2.6 Esempio di sovrapposizione di layer con la MMLD

La struttura necessaria per il MMLD è dunque un sistema di elementi composto da laser a CO2, sistema di estrusione, sistema di posizionamento X-Y-Z e sistema di controllo della temperatura ad anello chiuso. Un esempio è riportato in Fig. 2.7.

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Fig 2.7 Multi-Material Laser Densification (sistema)

2.5 Tendenze generali dell’innovazione nel dentale e

considerazioni conclusive

Il rapido progredire delle conoscenze scientifiche nei settori medico e biologico da un lato, e nei settori della scienza dei materiali e tecnologico dall'altro, che si è verificato a partire dalla seconda metà dall'800, ha comportato importanti ripercussioni anche nel settore dentale. In particolare, si è assistito ad una continua evoluzione delle tecniche e dei materiali impiegati in ambito protesico.

La rapida evoluzione che sta avvenendo in questo settore fa ritenere che nei prossimi anni si assisterà al perfezionamento dei materiali e delle tecniche attuali e ad ulteriori sviluppi nel settore della produzione delle protesi dentali.

Per quanto riguarda l’analisi dei settori della scienza dei materiali, secondo una ricerca condotta da Sandro Storelli (Area innovazione e ricerca, CNA Padova) e Francesco Simionato (dell’AIMAD, Accademia Italiana Materiali Dentali) nel 2011, è possibile affermare che la ricerca sui materiali dentali si focalizzerà principalmente su due strategie:

1) L'approccio della tecnologia dei materiali, che prevede il continuo utilizzo e miglioramento di materiali sintetici;

2) L'approccio della biotecnologia, che prevede l'introduzione e l'impiego di materiali biologici naturali e la stimolazione di processi rigenerativi endo-orali naturali.

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Questo secondo orientamento, che attualmente si trova in una fase iniziale, viene ritenuto da alcuni la via che troverà importanti sviluppi ed applicazioni tra qualche decennio. Sono in corso continue indagini di Ricerca & Sviluppo nella speranza di trovare molteplici materiali innovativi, come quello descritto nella Protein Coagulation Casting, basati su prodotti a base naturale, non tossici né inquinanti per l’ambiente. Si ritiene, comunque, che per i prossimi due decenni si assisterà ad un connubio delle due strategie sopraindicate e che, in particolare, proseguirà massicciamente la ricerca relativa al miglioramento dei materiali sintetici attuali ed all'introduzione di altri materiali ulteriormente migliorati. Molto probabilmente quest'ultimo aspetto riguarderà in particolare i materiali compositi a matrice polimerica.

Per quanto riguarda le tecniche di produzione delle protesi dentarie, si ritiene che i principali sviluppi riguarderanno le tecnologie digitali, applicate alle metodiche tomografiche e di scansione per la raccolta dei dati, e alle metodiche CAD/CAM per la costruzione delle protesi o di parti di esse.

La tendenza globale è quella di aprirsi verso processi il più efficienti possibili, soprattutto in termini di tempo. Per questo motivo si pensa che il futuro sia caratterizzato da una elevata diffusione delle tecniche di prototipazione rapida. I processi a tal riguardo possono essere estremamente eterogenei, ma molti sono accomunati dalla sinterizzazione tramite fascio laser layer-by-layer.

Sia con una visione più tradizionali, come le tecniche presentate al par. 1.6, sia con un approccio più innovativo, come l’applicazione nel Multi-Material Laser Densification, il laser ha sempre rivestito il ruolo di sinterizzatore, mettendo in atto un processo additivo.

Si potrebbe viceversa pensare di utilizzare il laser, anziché in processi additivi, anche in processi sottrattivi, come verrà successivamente descritto.

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