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1.1 Definizioni e caratteristiche.

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Capitolo secondo

1. Comorbidità e multimorbidità.

1.1 Definizioni e caratteristiche.

L’età avanzata, nella maggioranza dei soggetti over 65, è caratterizzata dalla coesistenza nello stesso individuo di patologie multiple legate al processo di invecchiamento, le quali spesso cronicizzano e interagiscono tra loro. Data la complessità dell’argomento, soprattutto in termini di approccio e valutazione diagnostica, è sorta la necessità di descrivere la compresenza di patologie croniche nello stesso individuo con due

terminologie differenti.

Il termine comorbidità è stato storicamente definito come “qualsiasi entità clinica aggiuntiva distinta che sia esistita o che possa verificarsi durante il decorso clinico di un paziente che ha la malattia indice in studio” [20]. In altre parole con tale termine vengono indicate tutte quelle condizioni patologiche che affliggono il paziente e che possono determinare un peggioramento del suo stato di salute o della sua prognosi, già

compromessi da una malattia primaria. Essa è una condizione frequente nell’anziano e la sua prevalenza tende ad aumentare esponenzialmente con l’avanzare dell’età. La questione di quale condizione dovrebbe essere indicata come patologia indice e quale una condizione di comorbidità non è sempre evidente e può variare in relazione alla domanda di ricerca, alla malattia che ha provocato un particolare episodio di cura o alla specialità del medico curante.

Il termine multimorbidità descrive invece la semplice intercorrenza di due o più malattie o condizioni patologiche nello stesso individuo, senza attribuire ad alcuna di esse un’importanza clinica prioritaria.

Secondo uno studio svolto dall’Osservatorio ARNO nell’anno 2012, l’82,5% della popolazione italiana di età superiore ai 65 anni ha almeno una patologia cronica in grado di causare o favorire l’insorgenza di disabilità funzionale. La percentuale di anziani con due o più patologie

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croniche contemporaneamente sale dal 40% negli ultrasessantacinquenni al 60% negli ultraottantacinquenni. Le combinazioni più frequenti sono quelle fra patologie relative alla sfera cardiovascolare (ipertensione, dislipidemia, diabete, scompenso cardiaco) o combinazioni di patologie cardiovascolari con malattie croniche respiratorie e/o neurologiche. Possiamo interpretare la comorbidità e multimorbilità come una zona di connessione tra più patologie che, seppur differenti, hanno in realtà

processi fisiopatologici comuni (infiammazione, stress ossidativo, ipossia, apoptosi, alterazioni ormonali) e un effetto sinergico (più esponenziale che di semplice sommatoria) nel causare eventi avversi negativi rilevanti per la salute e la qualità di vita dell’anziano (mortalità, perdita di autonomia funzionale, decadimento cognitivo).

Nel paziente geriatrico, la comorbidità rappresenta quindi la causa

dell’innesco di una sorta di meccanismo a cascata fra le patologie che la costituiscono e che si intersecano l’una con l’altra, complicando il

percorso diagnostico e l’intervento terapeutico e richiedendo sempre più spesso l’intervento di un team multiprofessionale e multispecialistico. La mancanza di specifici protocolli sanitari standardizzati condivisi tra tutti i professionisti che si occupano della salute dell’anziano espone, inoltre, questa categoria di pazienti alla polifarmacoterapia, con

conseguente aumentato rischio di eventi avversi, oppure, in maniera

diametralmente opposta, all’esclusione dai trattamenti terapeutici. Da tutto questo deriva l’instaurarsi di un circolo vizioso per cui le comorbilità

presenti favoriscono l’insorgenza di ulteriori patologie, con ulteriori ripercussioni negative sul quadro funzionale e prognostico del paziente anziano.

Nonostante il crescente numero di pazienti con multimorbidità, le linee guida sulla pratica clinica e la fornitura di assistenza sono ancora

principalmente basate su singole malattie. I sistemi sanitari sono infatti tradizionalmente orientati alla malattia concentrandosi sulla cura o sulla gestione delle singole condizioni acute e croniche. Sebbene la maggior parte dei pazienti con multimorbidità sia affetta da condizioni comuni

come l'ipertensione, la cardiopatia ischemica e il diabete (nessuno dei quali è raro e tutti singolarmente curabili), il problema deriva dall'incapacità di coordinare l'interazione tra di essi. In effetti, l'approccio orientato alla malattia non funziona per il paziente con multimorbidità, con conseguente cura frammentata, inefficiente e inefficace. Per fornire una cura migliore e più economica a questi pazienti deve essere cambiato approccio

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terapeutico, più incentrato sul singolo paziente e passando da un metodo monomorbidico verticale a un metodo multimorbidico pluridirezionale. I nostri servizi devono essere riorganizzati per fornire un'assistenza

individualizzata e più strutturata, un migliore coordinamento e gestione di tale assistenza, un lavoro di squadra multidisciplinare migliorato e un maggiore supporto per l'educazione e l'autogestione del paziente,

ottimizzando l'uso delle soluzioni tecnologiche del XXI secolo ovunque possibile.

Le conseguenze di multimorbidità e comorbidità, quindi, possono essere gravi e di ampia portata e possono ad andare ad influenzare profondamente il benessere di una persona, la qualità della vita e la capacità di svolgere le sue normali funzioni. Numerosi sono i fattori di rischio ma tra tutti

l’invecchiamento è considerato quello più potente e consistente. Nell’anziano si riscontrano ricoveri ospedalieri più frequenti e anche

soggiorni più lunghi in tali strutture. Il rischio di ospedalizzazione aumenta esponenzialmente con l’aggravarsi della multimorbidità: per esempio

pazienti con due o più patologie croniche presentano un rischio di

ospedalizzazione più che doppio rispetto a quello dei pazienti con una sola patologia. Nei pazienti geriatrici ospedalizzati che presentano

multimorbidità o comorbidità aumenta anche la perdita di autonomia funzionale, la durata e l’efficacia dei percorsi riabilitativi e il rischio di mortalità in corso di ricovero. Tutto questo si traduce in costi per i sistemi sanitari nazionali. È stato calcolato che gli anziani con due o più patologie croniche determinano da soli il 95% dell’intera spesa sanitaria. In

conclusione, la comorbilità richiede conoscenza e applicazione dei principi della valutazione multidimensionale geriatrica che, a tutt’oggi, rimane lo strumento più efficace per pianificare qualsiasi strategia assistenziale del paziente anziano [20] [21] [22] [23].

1.2 I principali indici di comorbidità.

Da quanto esposto appare chiara l’importanza di disporre di opportune linee guida che ci diano una misura della frequenza e della gravità della comorbilità. A questo scopo sono stati ideati diversi indici che si basano su diverse proprietà a seconda del setting assistenziale per cui sono stati

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clinici, terapeutici ed epidemiologici che hanno a che fare con la categoria di pazienti analizzata finora.

Eccone qui di seguito esemplificati alcuni:

Indice di Charlson: è l’indice di comorbilità attualmente più

utilizzato ed è stato creato da Charlson e i suoi collaboratori nel 1987 con l’obiettivo di sviluppare uno strumento di prognosi delle

comorbidità che singolarmente o in combinazione potrebbero influire sul rischio di mortalità a breve termine dei pazienti geriatrici.

L’indice consiste in 19 condizioni mediche catalogate in quattro

gruppi, valutate da 1 a 6 in base al peso assegnato a ciascuna malattia (queste condizioni possono essere ottenute da cartelle cliniche,

database medico-amministrativi o interviste cliniche dettagliate). Il punteggio totale è dato dalla somma di tutte le entità cliniche

presentate dal paziente valutato e danno come risultato il rischio relativo di mortalità. A questi indici è stata successivamente aggiunta una correzione che va applicata al punteggio di base in

considerazione dell’età: da 1 (50-59 anni) a 5 (90-99 anni). Tale indice è stato utilizzato soprattutto in pazienti anziani affetti da neoplasie, da malattia di Alzheimer ed in pazienti anziani

cardioperati.

CIRS (Cumulative Illness Rating Scale): la scala CIRS, pubblicata nel 1968 da Linn e Gurel e successivamente modificata da Miller nel 1992 (CIRS-G), effettua una valutazione delle differenti patologie organo per organo, valutando il peso della severità clinica nei principali organi ma anche nelle turbe psichiatriche e del comportamento. Questi considerano 14 sistemi principali che

comprendono le patologie respiratorie, cardiovascolari, oculistiche, otorinolaringoiatriche, del tratto digestivo superiore e inferiore, epatiche, neurologiche, renali, dell’apparato genito-urinario,

muscolo-scheletrico, endocrinologiche e psichiatriche. Per ciascun sistema esiste una misurazione da 0 a 4 a seconda della gravità della malattia (se sono presenti due malattie isolatamente viene

considerata la più grave); il punteggio teorico ottenibile va da 0 a 56 punti ed è ricavabile direttamente dalla cartella clinica e

dall’anamnesi del paziente. Il risultato ottenuto correla la mortalità, l’uso dei farmaci, la frequenza e la durata dell’ospedalizzazione, la

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funzionalità e il potenziale riabilitativo del paziente geriatrico in esame.

Indice di Kaplan-Feinstein: Kaplan e Feinstein furono i primi a definire e classificare le comorbidità secondo la loro gravità. Nel 1974 hanno sviluppato l'indice che porta il loro nome, che è stato usato spesso come un predittore di sopravvivenza, in particolare nei pazienti oncologici con tumori al seno, prostata e polmone. Tale indice raggruppa le varie patologie in dodici categorie e la severità è valutata con un punteggio da 0 a 3 (anche in questo caso se sono presenti due malattie isolatamente viene presa in considerazione la più grave). L’indice di Kaplan-Feinstein permette di organizzare le malattie secondo l’organo coinvolto o l’alterazione funzionale e secondo la severità; si adatta alle patologie ad alta prevalenza in età geriatrica e richiede istruzioni più semplici rispetto alle scale di comorbidità come la CIRS.

GIC (Geriatric Index of Comorbidity): questo indice è stato sviluppato da Rozzini e collaboratori nel 2002 con l’obiettivo di ottenere un indice predittivo di disabilità e mortalità specifica per gli anziani. Esso tiene in considerazione le 15 condizioni cliniche più frequenti nei pazienti anziani Nel conteggio a ognuna di queste 15 condizioni patologiche prevalenti è assegnato un punteggio da 0 a 4 a seconda della gravità della malattia. Il GIC classifica i pazienti in quattro classi in base alla crescente comorbilità somatica, in base al numero di malattie presenti e della gravità misurata con la scala. Le classi III e IV si sono dimostrate predittive di mortalità a sei mesi in 1.402 pazienti anziani ospedalizzati.

ICED (indice di malattie coesistenti): L’ICED è stato sviluppato per predire lo stato funzionale nelle popolazioni con rischio

relativamente basso di mortalità. È costituito da due sottoscale, una fisica e una funzionale. La sottoscala fisica è suddivisa in 14

categorie e misura la gravità delle singole patologie con un punteggio da 0 a 4; la sottoscala funzionale comprende invece dodici domini di incapacità funzionale che vengono valutati con un punteggio da 0 a 2. Il punteggio totale è il punteggio più elevato delle due sottoscale e varia da 0 a 3. L’ICED, prendendo in considerazione le patologie e lo

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stato funzionale, è stato applicato con utilità nei pazienti anziani che presentavano patologie come cancro della prostata, cancro della mammella, infarto del miocardio, colostomia, by-pass coronarico e frattura o protesi dell’anca.

L’utilizzo di questi criteri di valutazione si è dimostrato essenziale in ambito clinico, soprattutto quando i pazienti sono sottoposti a una procedura diagnostica o ad un intervento che comporta alcuni rischi di complicazioni o morte, ma anche durante studi osservazionali o di

intervento. La scelta di uno dei criteri qui menzionati dipenderà da quale tipo di popolazione anziana è oggetto di studio: per gli anziani

ambulatoriali possono essere tutti ugualmente utili, per gli anziani

ospedalizzati, invece, gli indici migliori sono quello di Charlson e quello di Kaplan-Feinstein.

Gli indici di comorbilità hanno però dei limiti importanti, soprattutto per quanto riguarda la valutazione di pazienti anziani con disturbi cognitivi. Nella CIRS, per esempio, se un soggetto è affetto dal Morbo di Alzheimer e sopraggiungono turbe psichiche o del comportamento, queste saranno confuse con la comorbilità. Allo stesso modo, per un paziente diabetico con complicanze renali, della vista e vascolari, non si ha la certezza di poter parlare di una sola malattia o di quattro comorbilità [24] [25].

2. Il paziente anziano complesso: epidemiologia e

utilizzo del farmaco.

Parallelamente all’invecchiamento della popolazione, che prevede un

notevole incremento dei soggetti anziani e dei grandi anziani, si è avuto un progressivo incremento delle malattie ad andamento cronico, spesso

presenti contemporaneamente nello stesso individuo. Ciò si è tradotto in un “nuovo modello di malato” che, specialmente in età avanzata, non è più un individuo affetto da un’unica e ben definita patologia acuta, ma è

sempre più spesso un individuo malato cronico, affetto da più patologie contemporaneamente incidenti [24].

Il “nuovo” paziente, denominato “paziente complesso”, è un individuo colpito da malattie croniche multiple, spesso senza la possibilità di individuare quella prognosticamente e terapeuticamente più rilevante,

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ciascuna delle quali può influenzare l’esito di trattamenti di altre patologie concomitanti. Il paziente complesso non è caratterizzato dalla semplice sommatoria delle singole condizioni morbose che lo colpiscono, ma rappresenta un’entità con caratteristiche distintive per quanto riguarda la eziopatogenesi, le necessità terapeutiche e la prognosi. Gli anziani con multimorbilità presentano gradi diversi di severità delle patologie, dello stato funzionale, della prognosi e del rischio di eventi avversi anche quando viene diagnosticato lo stesso tipo di condizioni patologiche. In base a quanto detto varieranno quindi anche le priorità per le cure

sanitarie. In Fig. 6 si può osservare un esempio di come la prevalenza delle singole patologie croniche e del paziente con fenotipo complesso abbia un andamento crescente in funzione dell’età [26].

2.1. L’anziano “fragile”.

Un discorso complesso è quello della relazione fra comorbilità e fragilità. Con il concetto di fragilità si indica una nuova entità clinica, caratterizzata da un proprio corredo fenomenologico e con una propria base

eziopatogenetica, per la quale la gerontologia e la geriatria hanno proposto specifici criteri di valutazione e protocolli per un intervento assistenziale altamente specializzato.

Fig.6. - Andamento della percentuale di comorbilità in funzione dell’età [26].

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Un anziano con sindrome da fragilità presenta delle caratteristiche

specifiche che esprimono un elevato livello di deterioramento delle riserve funzionali e omeostatiche (ad esempio, un alterato stato di salute

psicofisica, un elevato rischio di ospedalizzazione e complicanze, una guarigione tardiva e spesso incompleta, un elevato rischio di

peggioramento delle condizioni generali e delle capacità funzionali in corso di eventi acuti). In tali pazienti una errata pratica clinica può innescare una serie concatenata di eventi negativi (il cosiddetto

“scompenso a cascata”) che possono portare l’anziano ad un punto di non ritorno, detto scompenso terminale. Lo sviluppo della fragilità spesso si traduce in una escalation in senso negativo che porta a crescente fragilità (difficilmente si ha un miglioramento della situazione generale), rischio di peggioramento della disabilità, cadute, ospedalizzazione e decesso.

L’anziano fragile è, quindi, un paziente che presenta tutte le caratteristiche funzionali di un invecchiamento avanzato, affetto da comorbidità e

multimorbidità e quindi costretto a dei regimi politerapici, spesso appartenente ad uno stato socio-ambientale critico, a rischio di perdita dell’autonomia funzionale e ospedalizzazione, se non già disabile (Fig. 7).

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È in ogni caso da sottolineare che la sindrome da fragilità non è di facile identificazione: la diagnosi si basa ancora sull’esperienza clinica più che su dei criteri definiti in modo oggettivo e la contemporanea presenza nello stesso paziente di tutti gli elementi esposti sopra non è sempre sufficiente a individuarla.

La convinzione è comunque che l’anziano arrivi a sviluppare questa sindrome dopo un lungo percorso derivante da una sinergia negativa di numerosi fattori (infiammatori, funzionali, metabolici e psicologici) che, enfatizzando la perdita delle capacità omeostatiche dei differenti organi ed apparati ed in particolare del sistema immunitario e psiconeuroendocrino, porta il soggetto ad una condizione di estrema debolezza. Il cervello, il sistema endocrino, il sistema immunitario e il muscolo scheletrico sono intrinsecamente correlati tra loro e sono attualmente i sistemi di organi meglio studiati nello sviluppo della fragilità; è importante riconoscere che la fragilità è stata anche associata alla perdita di riserva fisiologica nei sistemi respiratorio, cardiovascolare, renale, emopoietico e coagulativo e che lo stato nutrizionale può anche essere un fattore di mediazione.

Un'importante prospettiva per la fragilità, quindi, è considerare come i complessi meccanismi dell'invecchiamento promuovano il declino

cumulativo in molteplici sistemi fisiologici, la conseguente erosione della riserva omeostatica e la vulnerabilità a cambiamenti sproporzionati dello stato di salute a seguito di eventi stressanti relativamente minori. Questi complessi meccanismi di invecchiamento sono influenzati da fattori genetici e ambientali alla base in combinazione con meccanismi

epigenetici, che regolano l'espressione differenziale dei geni nelle cellule e possono essere particolarmente importanti nell'invecchiamento [27] [28]. 2.2. Dati epidemiologici.

Nel nostro paese oltre la metà della popolazione anziana soffre di

patologie croniche gravi. Questo fatto non è generalmente causato da un peggioramento delle condizioni di salute di ogni singolo individuo ma da un incremento della popolazione anziana esposta al rischio di ammalarsi, con un’incidenza del 13,9% delle donne e del 16% negli uomini.

Come mostrato nella tabella di fig. 8 derivante da uno studio effettuato dall’ISTAT nel 2014 [29], le donne che soffrono di almeno una malattia cronica grave rappresentano il 28% nella classe di età 65-69 e il 51% nella classe di superiore ai 75 anni. Gli uomini invece soffrono di almeno una

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cronicità grave nel 36% dei casi nella classe di età 65-69 anni e nel 57% tra quelli con età superiore ai 75 anni.

Per quanto riguarda le singole patologie croniche, è stato evidenziato che il 57% degli anziani soffre di artrite, il 55% di ipertensione, il 38% di

problemi respiratori, il 17% di diabete, il 17% è malato di cancro e il 16% è afflitto da osteoporosi.

Fig.8 – Persone con almeno una patologia cronica grave (per 100 persone) divise per classe d’età

per gli anni 2005 e 2012 [26].

Le comorbidità e le multimorbidità sono in crescita e la loro prevalenza aumenta con l’età: sono presenti in un terzo della popolazione adulta e arrivano a ricoprire una percentuale pari 60% tra gli individui nelle fasce di età compresa tra 55 e 74 anni. Inoltre, è stata evidenziata la tendenza di alcune patologie a formare “clusters”, dei sottogruppi di sindromi o

diagnosi facenti parte di un’area comune [26]. L'analisi del cluster può essere utilizzata per identificare i gruppi di diagnosi nei pazienti anziani con multimorbidità, stabilendo similarità all'interno di sottogruppi, con ciascun sottogruppo caratterizzato da un profilo diverso. L'identificazione di tali modelli è essenziale per migliorare le nostre conoscenze sui percorsi fisiopatologici condivisi dalle condizioni con multimorbilità, per guidare la

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gestione clinica e farmaceutica di questi pazienti e per supportare i responsabili politici nell'allocazione efficiente delle risorse e nella progettazione di programmi sanitari efficaci mirati a miglioramento dell'assistenza sanitaria olistica, centrata sulla persona [30].

2.3. Dati di consumo dei farmaci nell’anziano.

Negli ultimi due decenni, come documentato dall’osservatorio

Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OSMED) attraverso i Rapporti Annuali sull’uso del farmaco, si è osservato un notevole

incremento del consumo e della spesa farmaceutica nel nostro paese, soprattutto come conseguenza dell’invecchiamento della popolazione. Secondo l’OSMED, in base ai dati raccolti fino a luglio 2016, la spesa farmaceutica nazionale totale (pubblica e privata) è stata pari a 29,4 miliardi di euro, di cui il 77,4% è stato rimborsato dal servizio sanitario nazionale (SNN). La spesa farmaceutica territoriale pubblica è stata pari a 13.874 milioni di euro, con un aumento del 3,5% rispetto allo stesso

periodo dell’anno precedente. Complessivamente, l’andamento della spesa e dei consumi medi è risultato fortemente dipendente dalla fascia di età. Negli over 65 la spesa pro-capite per medicinali a carico del SSN fino a cinque volte superiore rispetto a quanto osservato nelle persone più giovani [31].

Sempre focalizzando l’attenzione sugli anziani, le prime quattro categorie di farmaci più utilizzati in Italia in ordine di dati di consumo e spesa

decrescenti sono:

• Farmaci antineoplastici e immunomodulatori: rappresentano la prima categoria terapeutica a maggior spesa pubblica, pari a quasi 4,5 miliardi di euro. Tale risultato è interamente giustificato dalla spesa derivante dall’acquisto di questi medicinali da parte delle strutture sanitarie pubbliche (70,2 euro pro capite), mentre il

contributo dato dall’assistenza farmaceutica convenzionata è del tutto marginale (3,9 euro pro capite). L’analisi del profilo di

farmacoutilizzazione per fascia d’età e sesso conferma l’incremento dell’uso di questi farmaci con l’aumentare dell’età. Le donne con età superiore ai 35 anni sono quelle che ne fanno maggiormente uso a causa della elevata incidenza di cancro alla mammella; tuttavia, nella

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popolazione con più di 74 anni si registra un forte incremento della prevalenza d’uso di questi medicinali negli uomini.

• Farmaci per il sistema cardiovascolare: comportano una spesa pubblica pari a 3,6 miliardi di euro (59,8 euro pro capite): il contributo dato dall’acquisto da parte delle strutture sanitarie

pubbliche è del tutto marginale (rispettivamente 4,5 euro pro capite) mentre quello dato dall’assistenza farmaceutica convenzionata è rispettivamente di 55,3 euro pro capite. L’analisi del profilo di farmacoutilizzazione per fascia d’età e sesso mostra il costante

incremento dell’uso dei farmaci cardiovascolari sia negli uomini che nelle donne col progredire dell’età.

• Farmaci per l’apparato gastrointestinale e metabolismo: questi farmaci comportano una spesa pubblica, pari a circa 2,7 miliardi di euro. La spesa e i consumi nell’ambito dell’assistenza farmaceutica convenzionata è di 32,2 euro pro capite mentre il contributo dato dall’acquisto da parte delle strutture sanitarie pubbliche è di 12,0 euro pro capite. L’analisi del profilo di farmacoutilizzazione per fascia d’età e sesso conferma il costante incremento dell’uso di questi farmaci al crescere dell’età per entrambi i sessi.

• Farmaci per il sistema nervoso centrale: comportano una spesa pubblica pari a circa 1,8 miliardi di euro (30,2 euro pro capite), con 21, 9 euro pro capite derivanti dall’assistenza farmaceutica

convenzionata mentre solo 8,3 euro pro capite è dato dall’acquisto di questi medicinali da parte delle strutture sanitarie pubbliche.

L’analisi del profilo di farmacoutilizzazione per fascia d’età e sesso conferma l’incremento dell’uso di questi farmaci al crescere dell’età per entrambi i sessi, con una maggiore prevalenza d’uso nelle donne a partire dai 35 anni [26] [31].

Per quanto riguarda il paziente anziano complesso, caratterizzato da una ridotta qualità della vita a causa delle molte patologie concomitanti che lo affliggono, le evidenze farmacoepidemiologiche di una polifarmacoterapia non sono ricavabili direttamente dai rapporti annuali delle Agenzie

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grado di utilizzo dei farmaci e l’appropriatezza prescrittiva in questa categoria di persone [26].

Gli studi effettuati dall’Osservatorio ARNO, ad esempio, rappresentano uno strumento molto efficace per l’analisi dei problemi e delle necessità della popolazione geriatrica perché si basano su un campione molto ampio di anziani (circa 2.200.000 di ultra65enni). In particolare, un recente studio ARNO ha dimostrato che il 95% degli anziani usufruisce di almeno una prescrizione farmaceutica nell’arco di un anno, il 15.8% subisce un ricovero ospedaliero mentre l’85.9% richiede una visita

ambulatoriale specialistica.Inoltre, è stato osservato che il SSN, in termini

di prestazioni specialistiche e ambulatoriali, paga 539 euro per un adulto mentre arriva a versare 2.117 euro per i pazienti anziani.

Il concetto della cronicità è stato analizzato valutando quanti pazienti ultra65enni assumono almeno 3 confezioni per un determinato gruppo terapeutico: i risultati hanno indicato che il 93% dei pazienti è affetto da almeno una patologia cronica. Inoltre è stato messo in evidenza che circa il 65% dei pazienti assume fino a 8 farmaci nell’arco della giornata (non necessariamente appartenenti a diversi gruppi terapeutici).

Per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri (senza distinzione tra Day

Hospital e ricoveri ordinari), si passa da un’ospedalizzazione nell’8% della popolazione con età superiore ai 50 anni fino ad un risultato raddoppiato (17%) nella fascia degli ultra65enni e quadruplicato (25%) nella fascia degli ultra80enni. Tali variazioni di utilizzo giustificano l’incremento di sei volte della spesa per ricoveri della popolazione anziana nei confronti della popolazione adulta [32].

Con l’invecchiamento della popolazione, quindi, si è assistito e si assisterà ad un progressivo aumento di multimorbidità e politerapie e

conseguentemente del bisogno assistenziale e dei costi della sanità, sia in Italia che nel resto dei paesi dell’Unione Europea.

In una prospettiva più ampia, la strategia del sistema sanitario deve

prevedere la realizzazione di modelli diagnostici, terapeutici e riabilitativi con un buon rapporto costo/efficacia, il più individualizzati possibile e che prevedano una responsabilizzazone diretta del paziente e del suo caregiver [26].

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