• Non ci sono risultati.

CAPITOLO I MERCATI GLOBALI E

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAPITOLO I MERCATI GLOBALI E"

Copied!
35
0
0

Testo completo

(1)

1

CAPITOLO I

MERCATI GLOBALI E GLOBAL GOVERNANCE

1. La Globalizzazione: descrizione di un fenomeno

Con il termine “globalizzazione” si fa riferimento a un fenomeno di difficile definizione, una nozione avvolta in una sorta di “nebbia ideologica” della quale si continua a parlare in ambiti e circostanze diverse, aumentando, in questo modo, la confusione sulla sua determinazione1. Sul fenomeno globale si

sono nel corso degli anni moltiplicati gli studi che hanno cercato di analizzare il problema da ogni punto di vista: da quello prettamente economico, a quello mass-mediatico e sociologico. Il successo di tale processo ha fatto sì che si potesse parlare di un vero e proprio paradigma cui tutto può essere ricondotto, una sorta d’idea-passpartout2.

Sotto il profilo storico si comincia a parlare di globalizzazione tra la fine del XIX e l’inizio del secolo scorso, periodo nel quale si individuano i cambiamenti che pongono in essere le fondamenta di un mondo diverso da quello che aveva caratterizzato la storia internazionale, che vedeva inalterata la centralità statale. La globalizzazione non è un fenomeno del tutto nuovo né irreversibile3.

Secondo una periodizzazione sufficientemente condivisa4, l’economia

mondiale ha vissuto tre fasi di globalizzazione: la prima coincide con il periodo 1870-1914; la seconda con gli anni 1945-1980; la terza, quella attualmente in corso, con la fine del secolo.

L’inizio della prima fase, cosiddetta Belle Epoque5, si caratterizza per lo

sviluppo di una serie di innovazioni tecnologiche, la costruzione di navi più

1 S. Rossi, voce Globalizzazione, in Enc. Treccani, XXIII, Roma, Ist. Enc. It., 2012, p. 1 ss.

2 B. Biancheri, voce Globalizzazione e Regionalizzazione, in Enc. Treccani, XXIII, Roma, Ist. Enc. It., 2012,

p.1 ss.

3 G. F. Ferrari, Diritto pubblico dell’economia, Milano, Egea, 2010, p. 150 ss.

4 P. Collier, D. Dollar, Globalizzazione, crescita economica e povertà. Rapporto della Banca Mondiale, Bologna, Il

Mulino, 2003, p. 50 ss.

5 F. Targetti, A. Fracasso, Le sfide della Globalizzazione: storia, politiche e istituzioni, Milano, Francesco

(2)

2

robuste e celeri che hanno permesso una riduzione dei tempi di navigazione6,

del servizio telegrafico che circoscrive a pochi minuti il passaggio delle telecomunicazioni in ambito extracontinentale e l’apertura del Canale di Suez. Si assiste inoltre a una forte crescita dei flussi di capitali, delle correnti migratorie, al raddoppio del commercio internazionale e il rapporto tra mercato estero e Pil cresce in misura importante. Tutto ciò è stimolato da politiche di liberalizzazione commerciale e dallo sviluppo della tecnologia che riduce i costi di trasporto. Molte colonie dei paesi in via di sviluppo si perfezionano nella produzione di materie prime che esportano nei paesi industrializzati in cambio di manufatti. Tal periodo si distingue per un sistema finanziario e commerciale nel quale l’assetto monetario internazionale a cambi fissi si perfeziona sul cosiddetto Gold Standard, un ordine monetario fortemente sbilanciato a favore dei paesi maggiormente sviluppati e soprattutto filo-britannici. Si tratta di un regime gestito da rapporti di forza, considerata l’assenza di organismi internazionali che provvedano all’attuazione di accordi tra gli stessi7.

La seconda fase si differenzia per il crollo del fenomeno globale nel periodo tra le due guerre mondiali e un ritorno a politiche prettamente nazionalistiche e protezionistiche, nonostante la crescita del progresso tecnologico e la riduzione dei costi di trasporto. In tale fase, se da una parte si torna ai livelli del 1870 in quanto a flussi di capitali, commercio e migrazioni, dall’altra, si ravvisa un aumento sia della disuguaglianza sia della povertà, tornando agli standard della fase precedente per il commercio globale8.

Il periodo successivo alle due guerre mondiali vede la politica estera reinserirsi in un’ottica di propensione verso l’apertura del processo d’internazionalizzazione. Il libero scambio è considerato fondamentale per la crescita economica e si intraprende la via della deregolamentazione al fine di eliminare le barriere alla libera circolazione di capitali e merci. Durante tale fase

6 M. E. Tonizzi, Lavoro e lavoratori del mare nell’età̀ della globalizzazione, in Riv. Contemporanea, IV, 2014, p.

692.

7 L. De Benedictis, R. Helg, Globalizzazione, in Riv. di politica economica, II, 2002, p. 139 ss. 8 F. Targetti, A. Fracasso, Le sfide della Globalizzazione: storia, politiche e istituzioni, cit., pp. 32-37ss.

(3)

3

i paesi sviluppati applicano barriere artificiali nei confronti di quelli meno sviluppati conducendo a una loro progressiva astensione negli scambi di servizi e beni industriali. Si prospetta dunque un quadro nel quale i paesi maggiormente sviluppati si vedono destinatari di un forte sviluppo delle attività commerciali dovuto all’abolizione reciproca dei dazi9.

Dagli anni ′70 si verifica una nuova ondata di liberalizzazione del commercio globale attraverso la stipulazione di accordi internazionali, che avevano la funzione di pianificare le politiche a livello globale e la creazione delle istituzioni internazionali quali il GATT10 successivamente WTO11 e

la costituzione, durante la Conferenza di Bretton Woods, delle prime istituzioni economiche internazionali, ossia FMI12 e BM13.

La terza fase si caratterizza per un aumento rapido dell’incidenza delle importazioni ed esportazioni rispetto al Pil ed una radicale trasformazione della struttura del commercio internazionale che diventa il motore del fenomeno della globalizzazione dei mercati. Gli stessi scambi mondiali di merci vedono un incremento considerevole rispetto a quelli registrati nel 1950 e alle forme d’internazionalizzazione già esistenti se ne aggiungono altre. Si assiste allo sviluppo economico di taluni paesi emergenti, quali l’India e la Cina e la liberalizzazione di molti mercati nazionali e non. Le leggi del mercato cominciano a imporsi alla ragion di Stato e alla politica. Il rapporto esistente tra Stato e mercato s’inverte e, il secondo, assume un ruolo preordinato rispetto al primo14.

Oggi l’economia mondiale, europea e italiana vedono quale fattore di rallentamento la crescita della disoccupazione, mentre nei Paesi emergenti e in quelli sottosviluppati molte persone non arrivano alla sussistenza. Secondo

9 R. Pedersini, Globalizzazione e politiche commerciali. Non solo deregolamentazione, in Riv. Stato e mercato, I,

2017, pp. 105-120.

10 General Agreement on Tariffs and Trade o Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio. 11 World Trade Organization o Organizzazione Mondiale del Commercio.

12 International Monetary Fund o Fondo monetario Internazionale. 13 World Bank o Banca Mondiale.

(4)

4

alcuni, quindi, l’economia mondiale è entrata in una fase di stagnazione secolare contrassegnata da aspetti come rallentamento e rinazionalizzazione15;

altri sostengono l’esistenza di una fase di de-globalizzazione e ri-nazionalizzazione16; per taluni ancora è iniziata una nuova fase

d’inter-globalizzazione17; mentre secondo altra parte della dottrina ci troviamo nella

scia della crisi che ha interessato il 2008-201418. La soluzione che molti hanno

proposto è quella di porre un freno all’integrazione dei mercati19. Ma la

reazione che si era già ravvisata negli anni ′30 contro tale possibilità produsse bassa crescita, disoccupazione e autarchia e quindi un ritorno a una politica neo-nazionalista che, secondo alcuni20, è da ritenere di dubbia efficacia proprio

perché le problematiche come l’immigrazione, la sicurezza, il clima, gli effetti sociali della tecnologia, si snodano attraverso soluzioni cooperative, per cui rifiutare un’economia tendenzialmente aperta, non porterebbe a risultati più favorevoli. Siamo pertanto “condannati” alla necessità di gestire la globalizzazione dei mercati in modo più attivo e responsabile di quanto abbiamo fatto sinora, riducendo le sperequazioni di ricchezza attraverso la creazione di un Welfare adatto al XXI secolo21 .

15 V. Puledda, Deaglio: economia mondiale a rischio stagnazione secolare, in La Repubblica, 2017, p. 1.

16 F. Rampini, Globalizzazione addio: il mondo che rivuole le frontiere. La crisi del mercato unico, in La Repubblica,

2016, p. 8.

17 A. Quadrio Curzio, M. Fortis, Nuova polarità della geo- economia. Globalizzazione, crisi ed Italia, Bologna,

Il Mulino, 2010, p. 43 ss.

18 A. Quadrio Curzio, Una cura anti-stress per l’economia europea, in Il Sole 24 ore, 2016, p. 14. 19 T. Mastrobuoni, Attali: Trump potrebbe essere il nuovo Mussolini, in La Repubblica, 2017, p. 15. 20 A. M. Banti, Le questioni dell’età contemporanea, Bari, Laterza, 2010, p. 244 ss.

(5)

5

2. Tentativi di definizione

“Globalizzazione” è una parola tra le più utilizzate e abusate del nostro tempo22.

Il fenomeno globale si caratterizza per la sua portata multimensionale23,

rappresentando un cluster24 di aspetti di origine giuridica, conseguenze di natura

economica, culturale e sociale sui sistemi normativi e sull’ordine giuridico stesso.

Secondo alcuni25 individuare una fenomenologia del processo appare

un’impresa tutt’altro che semplice dato che non possiamo appellarci alle coordinate geometrico-politiche che la stessa modernità ci ha dato, costituendo un vero e proprio “sfondamento dei confini”. Altri affermano invece che considerare il mondo come un’assenza di confini possa essere ritenuto un concetto riduttivo e addirittura fuorviante26. Giddens rileva come il

mondo stia diventando sempre più un unico sistema sociale, caratterizzato da vincoli d’interdipendenza quali risultati di rapporti di dominio politico ed economico che hanno condotto talune realtà sociali alla perdita della propria identità poiché inglobate all’interno di un processo di omologazione che ha portato alla formazione di nuove culture orientate alla concertazione27.

McLuhan nel 1962 sintetizza tale fenomeno attraverso il paradigma del “Villaggio Globale” concependo la realtà globale vicina e riconducibile a una realtà più ristretta e “intima”, quella del villaggio, nella quale la popolazione mondiale viene a essere sempre più parte di un’unica società28. Il concetto di

globalizzazione si presta, inoltre, a essere rappresentato come un moderno Leviatano e quindi un “mostro marino che tutto inghiotte”29.

22 F. Galgano, Globalizzazione dei mercati e universalità del diritto, in Politica del diritto, II, 2009, p. 177 ss. 23 J. Stiglitz, Dimensioni di Impresa e Globalizzazione, in Argomenti: Riv. di Economia, cultura e ricerca sociale,

VIII, 2003, pp. 1-13.

24 G. F. Ferrari, Diritto Pubblico dell’Economia, Milano, Egea, 2010, p. 155 ss. 25

R. G. Romano, Identità e alterità nella società post- moderna: quale dialogo?, in Riv. Quaderni di Intercultura, II, 2010, p. 1.

26 C. Galli, Spazi politici, Bologna, Il Mulino, 2001 p. 131 ss.

27 A. Giddens, P. W. Sutton, Sociology, Cambridge, Polity press,2013, p. 146. 28 M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 2008, pp. 42-43.

29M. R. Ferrarese, Il diritto al presente: globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, Il Mulino, 2002, p.

(6)

6

Gli effetti del fenomeno della globalizzazione si estendono prevalentemente alla sfera economica, oltre a quella finanziaria, delle comunicazioni e dell’informazione. La dimensione economica si manifesta attraverso la tendenza ad assumere un’estensione sovranazionale per cui la crescente interdipendenza dei mercati è ritenuta all’unanimità, quale punto di partenza di altre tipologie di “connessione globale”, come la realizzazione di una coscienza globale e di omologazione dei consumi che mettono in relazione Stati, mercati, comunità, grandi imprese, individui e organizzazioni internazionali  governative e non governative in composite ragnatele di

relazioni sociali30.

I processi d’interrelazione globale trovano la propria matrice nel radicale mutamento dello scenario politico mondiale: dalla caduta del muro di Berlino e la contestuale crisi delle economie pianificate e delle politiche protezionistiche; nella crescita di un mercato economico-finanziario globale e lo sviluppo di politiche di liberalizzazione, privatizzazione e deregulation; nella diffusione e riduzione dei costi delle nuove tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni; processi d’immigrazione di massa verso le economie in eccesso di offerta. L’ampliamento dei mercati, la deregolamentazione e le privatizzazioni creano quindi uno spazio economico e finanziario in continua espansione incentivando l’abbattimento dei costi, l’aumento delle transazioni finanziarie, estendendo la scala di produzione verso una più efficiente realizzazione di scambi di merci, servizi, movimenti di capitale e persone attraverso l’eliminazione di barriere di natura economica e giuridica oltre che culturale; l’estensione su scala internazionale delle opportunità d’investimento, di produzione, di risparmio, di consumo, cui si lega l’intensificarsi del fenomeno concorrenziale e l’incentivo al fenomeno di divisione del lavoro31.

Il fenomeno globale non può considerarsi un processo uniforme e dal punto di vista economico conduce, tra Paesi sviluppati e quelli emergenti,

30A. Martinelli, La democrazia globale. Mercati, movimenti, governi, Università Bocconi Editore, Milano,

2004, pp. 1-2.

(7)

7

all’aumento dei differenziali di retribuzione tra lavoro qualificato e non qualificato, considerando che non tutta la popolazione mondiale si vede destinataria degli effetti di tal fenomeno producendo, quindi, conseguenze anche sul reddito mondiale in termini distributivi. Le popolazioni appartenenti a Paesi meno avanzati sono attratte dalle opportunità di lavoro offerte da quelli maggiormente sviluppati, il che porta ad un’intensificarsi dei flussi migratori da un Paese all'altro alla ricerca di migliori opportunità e benessere. Si crea una nuova divisione internazionale del lavoro tra ambiti territoriali anche molto distanti, oltre che una diversa organizzazione del lavoro industriale, più integrata, flessibile con riduzione della mobilità verticale del lavoratore e aumento della precarietà occupazionale32.

L’accelerazione del processo di globalizzazione dei mercati è inoltre riconducibile all’incremento del numero degli Stati che intervengono nel commercio su scala globale e l’esercizio da parte di grandi gruppi finanziari e industriali di veri e propri global player che pongono in essere attività di riorganizzazione e movimentazione delle strutture produttive, delle risorse umane e, non per ultimi, degli stessi capitali.

Altro settore economico fortemente influenzato da questo processo, che ha giocato un ruolo fondamentale nella creazione di ricchezza seppur in misura non omogenea, è stato lo sviluppo del commercio. Dal secondo dopoguerra si assiste, infatti, ad una crescita importante del commercio internazionale come garanzia di una più celere reperibilità dei fattori produttivi, che ha però, esposto gli stessi paesi a eventuali ripercussioni economiche e quindi shocks esterni33.

La globalizzazione si prospetta inoltre come un processo attraversato da fasi di accelerazione e di decelerazione le cui modalità e intensità non sono facilmente prevedibili34, conducendo a una serie di trasformazioni anche nella

32 A. Amerola, M. Biagioli, G. Celi, Economia della globalizzazione. Economia degli scambi e macroeconomia

internazionale, Milano, Egea, 2014, pp. 181-204.

33 G. Aversa, Globalizzazione: aspetti economici, finanziari e di regolamentazione, in Bankpedia, III, 2013, pp.

47-55.

(8)

8

sfera finanziaria. Se prima la circolazione dei capitali era realizzata dagli investimenti di pochi e grandi capitalisti, oggi vi partecipano anche i piccoli risparmiatori. Si assiste, nel corso del tempo, a una progressiva interconnessione tra la sfera economica e le società nazionali, la sfera politica e ordinamentale, con conseguente affievolimento delle frontiere e contrazione del mondo35. Nel caso della disciplina di bilancio e dei movimenti dei mercati

finanziari sui titoli di debito pubblico, la forza impersonale dei mercati può essere in grado di imporre sanzioni molto elevate a chi non si adegui alle nuove regole del gioco. Perciò le occasioni di crescita appaiono sempre più subordinate all’adesione ai mercati internazionali, soprattutto quando la domanda e i mercati interni sono poco dinamici36.

Lo sviluppo della mobilità internazionale spinge i Governi verso una politica d’incentivazione della stabilità finanziaria in un’ottica globale, la quale conduce al passaggio progressivo di governance in favore di organismi come il Financial Stability Board. A livello regionale, assistiamo dal 1992 all’integrazione finanziaria dell’Unione Europea, con una progressiva perdita di autonomia decisionale dei governi nazionali nei campi della politica monetaria37. La libertà d’investimento del capitale supera la localizzazione territoriale per cui il potere si svuota e si trasferisce dagli Stati al mercato, anche se non compare un nuovo sovrano38.

La terza fase del processo di globalizzazione si contraddistingue per l’importante mobilitazione dei risparmi tra i diversi sistemi economici attraverso lo sviluppo del mercato internazionale dei capitali39. Si assiste, già

negli anni ′60, all’evoluzione del processo d’integrazione finanziaria, la cui finalità era di stimolare lo sviluppo dei sistemi finanziari interni, perfezionare l’allocazione internazionale delle risorse finanziarie, ridurre e condividere i

35 G. F. Ferrari, Diritto pubblico dell’economia, Milano, Egea, 2010, p. 156 ss.

36 R. Pedersini, Globalizzazione e politiche commerciali. Non sola deregolamentazione, in Riv. Stato e mercato, I,

2017, p. 107.

37 G. Aversa, Globalizzazione: aspetti economici, finanziari e di regolamentazione, in Bankpedia, III, 2013, pp.

47-55.

38 G. F. Ferrari, Diritto pubblico dell’economia, cit., p. 158 ss.

(9)

9

rischi locali, rendere più semplice il trasferimento di tecnologie e di know-how40.

Si persegue la realizzazione di una disciplina che riduca l’intervento dei governi nelle politiche di credito delle banche e che contribuisca allo sviluppo del sistema finanziario, contabile e istituzionale nazionale. Dagli anni ′80 si assiste ad un’accelerazione del processo di deregolamentazione-rimozione dei massimali ai tassi d’interesse di mercato e delle restrizioni quantitative sul credito, liberalizzazione finanziaria sia nei Paesi emergenti, che in quelli sviluppati41.

Molti Paesi, infatti, riducono i vincoli amministrativi agli investimenti di portafoglio e ciò dà origine a investimenti di capitale in impieghi finanziari, dotati di una maggiore mobilità proprio perché più facilmente liquidabili. Oltre a questi capitali d’investimento, sono i movimenti di capitale speculativo a brevissimo termine a essere aumentati in misura esponenziale42.

Il mondo, quindi, può ritenersi radicalmente cambiato, divenendo un’immensa “prateria globale” dove i capitali circolano liberamente, si disperdono e si spostano con un semplice click, dove la digitalizzazione semplifica i controlli o, all’estremo, può rendere più intricato e complesso il loro accertamento43. Tale processo rende il sistema internazionale più esposto

a possibili crisi valutarie, finanziarie e bancarie: insorgono quindi nuovi operatori finanziari, gli investitori istituzionali che detengono una quota importante dei capitali internazionali, le private equity funds, i sovereign wealth funds, gli hedge funds44.

Lo stesso Bauman utilizza il concetto di “fluidità” come metafora per descrivere la nuova fase della storia della modernità, concependola come una realtà nella quale tutto è permeato dalla “liquidità”. Essa è la caratteristica di base dei liquidi fluidi che non possono mantenere una forma perché non

40 G. Aversa, Globalizzazione: aspetti economici, finanziari e di regolamentazione, in Bankpedia, III, 2013,

p.47-55.

41 F. Targetti, A. Fracasso, Le sfide della globalizzazione: storia, politiche e istituzioni, cit., 2008, p.70 ss. 42 B. Biancheri, voce Globalizzazione e Regionalizzazione, in Enc. Treccani, XXIII, Roma, Ist. Enc. It.,

2012, p.1-12.

43 R. Beda, Più obblighi fiscali per le Multinazionali, in Il Sole 24 ore, 2016, p. 8.

(10)

10

hanno una coesione interna. Il mondo di oggi, quindi, non ha né la struttura, né la solidità di un tempo45.

La disamina del fenomeno muove dalla delineazione di altri aspetti chiave quali l’internazionalizzazione, ossia il processo attraverso il quale le imprese si aprono a nuovi mercati, instaurano legami con altre aziende e si procede alla realizzazione di rapporti tra nazioni e imprese dislocate in luoghi distinti per condurre a un processo di forte integrazione tra attività domestiche e intrasettoriali46.

Internazionalizzazione che assume anche la struttura di accordi commerciali e collaborazioni dalle quali sorgono le joint ventures, subforniture e il licencing47.

Filo conduttore di tutti questi aspetti è rappresentato dalla centralità assunta dalle innovazioni tecnologiche48, in particolar modo nel settore delle

comunicazioni, che hanno spinto verso la progressiva compressione delle barriere spazio-temporali e quindi verso l’adozione di modelli di produzione e di consumo più uniformi e omogenei, dando origine alla riduzione dei costi di trasporto, allo svilupparsi di comunicazioni più rapide, annullando le distanze esistenti tra i diversi paesi del mondo e facilitando l’istaurarsi di nuovi modi di produzione con benefici per consumatori e produttori. La conoscenza costituisce, perciò, la forza motrice del sistema economico il cui accoglimento e la capacità di adattarsi alla mutevolezza del mercato fa sì che le imprese stesse riescano a governare e, quindi, a non subire i processi di mercato49.

45 Z. Bauman, Modernità liquida, Roma-Bari, Editori Laterza, 2002, pp. 1-22. 46 G. Marrè, Che cos’è la Globalizzazione?, In ItConsult, 2002, pp. 1-27.

47 E. Forte, D. Miotti, Politiche di offshoring e reshoring nelle strategie di sviluppo e crescita del Mezzogiorno, in Riv.

economica del Mezzogiorno, III-IV, 2015, p. 698.

48 F. G. Ferrari, Diritto Pubblico dell’economia, Milano, Egea, 2010, p. 156.

49A. Pizzorno, Natura della disuguaglianza, potere politico e potere privato nella società in via di globalizzazione, in

(11)

11

3. Integrazione europea, liberalizzazione e formazione di un Mercato Unico globale

Il fenomeno globale e la questione dell’internazionalizzazione si fondano su una complessa rete d’interconnessioni tra Stati e società le quali fanno sì che le decisioni e le attività che hanno luogo in un punto del globo producano effetti in aree lontanissime, creando un sistema di interdipendenze sociali, culturali, politiche, tecnologiche ma soprattutto economiche che hanno condotto a una sempre maggiore accelerazione verso la formazione di mercati unificati. Il processo d’integrazione economica, cronologicamente parlando, è fatto risalire al XIX secolo, vide la sua interruzione in concomitanza delle Guerre Mondiali e della Grande Repressione, riprese forza dopo il 196050.

L’Unione Europea è un’unione politica ed economica che conta ad oggi 28 Paesi, la cui finalità principale è stata quella di promuovere la cooperazione economica partendo dal principio per cui il commercio produce l’interdipendenza tra i Paesi riducendo il rischio di conflitti. Il processo d’integrazione economica europea si caratterizza, nel periodo compreso tra il 1957 e il 1968, per l’eliminazione delle barriere tariffarie cominciando ad intravedersi la formazione dell’Unione Doganale51.

L’integrazione era concepita come un rimedio alle tendenze nazionalistiche che avevano turbato l’Europa per secoli, fino a determinare, nella prima metà del secolo scorso, le loro più drammatiche degenerazioni52.

La realizzazione di un mercato comune richiede l’attuazione delle quattro fondamentali libertà di circolazione: delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, la cui concretizzazione permette ai cittadini e alle imprese di circolare ed esercitare le attività commerciali al di fuori dei propri confini in modo meno oneroso e più agile, garantendo un elevato grado di competitività su

50 V. Daniele, Integrazione economica e monetaria e divari regionali nell’Unione europea, in Riv. Economica del

Mezzogiorno, III, 2002, pp. 513-550.

51 G. Vitali, L’integrazione europea un’analisi di lungo periodo, Torino, Consiglio Nazionale delle ricerche,

2011, pp. 12-27.

52 E. Cannizzaro, Il diritto dell’Unione Europea. L’ordinamento dell’Unione, Torino, Giappichelli, 2014, p. 1

(12)

12

scala mondiale e consentendo ai consumatori la possibilità di scegliere una vasta gamma di prodotti a prezzi concorrenziali53.

L’Ue è il più importante progetto storico dell’Europa54. Sorge a seguito dell’esito positivo raggiunto con la firma del Trattato CECA55 entrato in vigore

il 23 luglio del 1952, con la finalità di mettere in comune le produzioni del carbone e dell’acciaio in un’Europa composta di sei Paesi: Germania, Belgio, Francia, Paesi Bassi, Lussemburgo e Italia56.

Lo stesso Trattato prevede la realizzazione di un mercato comune dei prodotti carbo-siderurgici, l’osservanza di condizioni normali di concorrenza, l’abolizione e il divieto di dazi e delle restrizioni quantitative alla circolazione di suddetti prodotti, l’eliminazione delle pratiche o provvedimenti che introducono una discriminazione tra acquirenti, produttori e consumatori, delle sovvenzioni e aiuti statali e delle pratiche restrittive volte alla ripartizione e allo sfruttamento dei mercati. Esso, ha perso efficacia dal 23 luglio del 2002 e la CECA si è estinta. A ciò segue un rallentamento del processo d’integrazione, il cui rilancio ebbe luogo nella Conferenza di Messina dei ministri degli esteri dei sei paesi membri della Ceca, che porta alla firma del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (CEE) e di quello istitutivo della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o EURATOM), i quali entrano in vigore nel 195857.

La Comunità Economica Europea (CEE) ha quale obiettivo il raggiungimento dell’unione economica dei suoi membri e il conseguimento di una possibile unione politica tra gli stessi. L’obiettivo principale fissato dal Trattato CEE è quello di creare un mercato comune all’interno dell’area comunitaria non più circoscritto a uno specifico settore economico ma comprensivo di tutte le attività di mercato. La cui finalità non si esaurisce nella realizzazione di un’area di libero scambio tra i diversi Paesi membri, ma

53 Direzione generale della comunicazione informazione per i cittadini, Mercato interno, in Le Politiche

dell’Unione Europea, 2014, p. 1 ss.

54 J. Fisher, Il progetto di integrazione Ue non è solo il mercato unico, in Il Sole 24 ore, 2016, p. 8.

55 Trattato della Ceca che fu firmato a Parigi il 18 aprile 1951 ed entrò in vigore il 25 luglio 1952. 56 M. Calamia, V. Vigiak, Manuale breve diritto dell’Unione Europea, Milano, Giuffrè, 2012, p. 7 ss. 57 U. Villani, Istituzioni di Diritto dell’Unione Europea, Bari, Cacucci Editore, 2016, p. 5 ss.

(13)

13

comprende anche l’adozione di una tariffa doganale comune tra gli Stati della Comunità e i Paesi terzi attraverso l’eliminazione di quote e preferenze tariffali, dazi e la stipulazione di un accordo di libero scambio58.

Il Trattato individua inoltre talune politiche congiunte tra i Paesi membri come quella agricola59, commerciale60 e di trasporto comune61. Lo scenario nel

quale operano le imprese viene quindi a essere sconvolto dalla concorrenza proveniente dai competitori stanziati nei paesi partner e la prospettiva di tali imprese, precedentemente circoscritta ad un mercato locale, si apre al Mercato Comune Europeo. Quindi il vantaggio competitivo in precedenza acquisito da un’impresa può essere perso in breve tempo.

Nel 1956 il Regno Unito propone che il Mercato Europeo Comune (MEC) fosse ampliato in una più ampia area di libero scambio europea. Nel 1958 la Francia si oppone alla creazione della nuova area, così Regno Unito e Svezia promuovono la realizzazione dell’Associazione europea di libero scambio (AELS o EFTA, dall’inglese European Free Trade Association), istituita nel 1960 quale organizzazione interstatale la cui finalità è l’abolizione delle imposte doganali sull’import-export, la valorizzazione degli scambi commerciali fra gli Stati membri62 e la liberalizzazione del commercio tra i Paesi non

aderenti alla Comunità63. Contributo all’espansione del mercato europeo è

l’istituzione dell’Unione Europea dei Pagamenti (UEP) che introduce un sistema di pagamenti multilaterali. Tal regime si trasforma nel 1959 in un sistema di piena convertibilità delle monete  con il mutamento dell’UEP nell’accordo monetario europeo , che conduce alla sottoscrizione della

58 Trattato che istituisce la Comunità economica europea Trattato, Roma, 25 marzo 1957. 59 Artt. 38-47.

60 Artt.110-116. 61 Artt.74-84.

62 La Convenzione di Stoccolma poi sostituita dalla Convenzione di Vaduz fu firmata il 4

gennaio 1960 da sette stati: Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno Unito. L’anno successivo, si associò all'AELS anche la Finlandia, che ne diventò membro a tutti gli effetti nel 1986. Nel 1970 ne entrò a far parte l’Islanda e nel 1991 il Liechtenstein. Nel 1972 Danimarca e Regno Unito decisero di lasciare l’Associazione, scegliendo l’ingresso nella CEE; lo stesso fecero il Portogallo nel 1985, e l’Austria, la Finlandia e la Svezia nel 1995 A seguito di tali mutamenti, la composizione dell’AELS è di quattro stati: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.

(14)

14

convenzione che fonda l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OSCE), entrato in funzione nel settembre del 196164.

L’ingresso, nell’ordinamento comunitario, di Paesi come l’Irlanda, Danimarca e il Regno Unito si realizza in un periodo di forte instabilità politica, economica e monetaria, considerando che gli anni ′70 si caratterizzano per un acceso intervento protezionistico volto a ridurre la pressione concorrenziale dei competitori extra-comunitari, al quale si affianca il protezionismo creato da ciascun Stato all’interno dell'Unione Europea, fondato sull’uso di estese barriere non tariffarie la cui finalità è quella di difendere gli interessi nazionali conducendo alla riduzione degli scambi nei paesi dell’Unione Europea65.

Nel 1981 è la volta della Grecia e nel 1986 di Portogallo e Spagna. Nel periodo compreso tra la fine degli anni ′80 e l’inizio anni ′90, presentano domanda di adesione alla Comunità altri Paesi, ovvero Austria, Svezia, Finlandia che portano a 15 il numero degli Stati membri. Nel 1985 la Commissione pubblica un Libro Bianco, all’interno del quale sono individuate le linee di sviluppo  e gli ostacoli66 che la Comunità deve superare al fine

di completare il mercato interno. Nel 1986 viene firmato l’Atto Unico Europeo67 (AUE) entrato, poi, in vigore il 1 luglio 1987 per tradurre in

concrete azioni le linee di sviluppo contenute nel Libro Bianco. L’AUE si propone di realizzare  e in parte ne dà realizzazione  il mercato interno e quindi uno spazio senza frontiere nel quale venga assicurata la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali introducendo norme per la disciplina e il funzionamento delle istituzioni europee attraverso l’espansione dei loro poteri a determinati settori. I leader dell’UE definiscono, inoltre, un

64 E. Calandri, R. Ranieri, M. E. Guasconi, Storia politica e integrazione dell’Unione Europea. Dal 1945 ad

oggi, Napoli, Edises, 2015, p. 47 ss.

65 G. Vitali, L’integrazione europea: un’analisi di lungo periodo, Torino, Ceris, 2011, p. 8.

66 Si ravvisava la necessità di superare le barriere fisiche ostative alla libera circolazione delle persone;

barriere fiscali determinate dalle differenti aliquote IVA e dalle accise presenti negli Stati Membri; le barriere tecniche come diversità di prescrizioni normative presenti nei Paesi Membri.

67 Trattato di diritto internazionale e non atto comunitario il quale promana dalla volontà concorde e

(15)

15

calendario volto all’introduzione di una serie di nuove norme la cui finalità è quella di dare completamento al mercato unico68. Il programma ha esito

positivo e il 1 gennaio 1993 il mercato unico diventa effettivo per gli Stati membri.

Nel 1985 Belgio, Francia, Lussemburgo, Germania e Paesi Bassi firmano l’Accordo di Schengen, quale accordo che si pone al di fuori del quadro comunitario, attraverso il quale si dà per completata la libera circolazione anche alle persone69.

A livello comunitario il periodo che intercorre tra 1992 e il 1999 si caratterizza per l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, il passaggio dalla Comunità Economica Europea all’Unione Europea, ponendosi le basi per la costruzione dell’Unione economica e monetaria e quindi della moneta unica, essendosi delineata l’idea che un mercato funzioni meglio se tutti utilizzano la stessa moneta. Questo non si occupa solo dei profili monetari economici dell’integrazione europea ma mostra un’estesa sensibilità per i diritti della persona. Tale Trattato accetta definitivamente il modello di un’integrazione europea non uniforme, “a geometria variabile” per tutti gli Stati membri. Si ampliano dunque le possibilità per gli Stati di non partecipare a specifici sviluppi dell’integrazione europea, attraverso la negoziazione di clausole di

opting in o di opting out e attraverso il meccanismo di cooperazione rafforzata70.

Il Consiglio delle Comunità europee, in collaborazione con il Parlamento europeo, emana il Regolamento n. 2913 del 12 ottobre 1992, con il quale si istituisce il Codice doganale comunitario, applicabile a decorrere dal 1 gennaio 1994; a questo farà seguito il Regolamento n. 2454 del 2 luglio 1993 della Commissione europea71, il quale si presenta come una sintesi delle procedure

68 “Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera

circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del presente Trattato.” Art. 7 A della Comunità economica europea, corrispondente all’ attuale art. 26, par. 2, del Trattato sul funzionamento dell’ Unione Europea.

69 M. Calamia, V. Vigiak, Manuale breve diritto dell’Unione Europea, Milano, Giuffrè, 2012, pp. 14-18. 70 U. Villani, Istituzioni di Diritto dell’ Unione Europea, Bari, Cacucci Editore, 2016, pp. 18-19.

71 Regolamento n. 2454/93/CEE della Commissione del 2 luglio 1993 che fissa talune disposizioni d’

applicazione del regolamento n. 2913/92/CEE del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario.

(16)

16

doganali applicate negli Stati membri. Nel 1994, con la conclusione degli accordi dell’Uruguay Round, la struttura del commercio internazionale è soggetta a un’importante cambiamento. Le parti raggiungono ‘per la costituzione dell’Organizzazione Mondiale del commercio (OMC)72. Nasce, nello stesso

anno, l’Istituto Monetario Europeo con il compito di guidare la politica economica e monetaria dell’Europa in attesa della creazione della Banca Centrale Europea (BCE).

Nel 1997 si assiste alla firma del Trattato di Amsterdam e la sua entrata in vigore nel maggio del 1999, il quale conferma le norme che stabiliscono i divieti di porre limiti alla circolazione delle merci73. Nel febbraio 2003 si ha

l’entrata in vigore del Trattato di Nizza con il quale si apportano modifiche prettamente tecniche agli altri Trattati in vista dell’allargamento a Est74.

Allargamento che conduce a una ripresa della realizzazione di un’area di libero scambio, già evoluta verso un’unione doganale non ancora qualificabile, però, come mercato unico e che, ancora oggi, presenta la necessità di superare diversi ostacoli al fine di addivenire al suo più completo sfruttamento soprattutto in settori ben determinati quali quelli dell’energia, dei servizi e dell’economia digitale75.

L’art. 28 del TFUE76 dispone che l’Unione comprende un’unione

doganale e conduce alla realizzazione di una tariffa doganale comune. All’art. 30 TFUE si vietano i dazi doganali all’esportazione e all’importazione o le tasse ad effetto equivalente tra gli Stati membri. Agli artt. 34-37 TFUE è previsto il divieto dalle restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione oltre che qualsiasi altra misura ad effetto equivalente. Disposizione complementare è quella inserita all’art. 110 TFUE, secondo

72 F. Tognetti, A. Fracasso, Le sfide della globalizzazione. Storia, politiche, istituzioni, cit., p. 39. 73 G. Stozzi, Diritto dell'Unione Europea. Parte speciale, Torino, Giappichelli, 2010, p. 4.

74 Nel 2004 Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Slovenia e

Ungheria fecero ingresso nell’area comunitaria. Nel 2007 fu la volta di Romania e Bulgaria. Nel 2013 della Croazia.

75 M. Franke, Direzione generale della comunicazione informazione per i cittadini. Mercato interno, in Le Politiche

dell'Unione Europea, 2014, p. 1 ss.

76 Il trattato di Lisbona con il quale si modifica il Trattato sull’Unione Europea e quello che istituisce la

(17)

17

la quale nessuno Stato membro deve applicare imposizioni interne ai prodotti degli Stati membri, superiori a quelle applicate ai prodotti nazionali similari e volte a proteggere indirettamente altre produzioni.

Negli ultimi vent’anni tuttavia si registra il mantenimento elevato delle barriere commerciali per i paesi più poveri, ridotte quasi totalmente in quelli più sviluppati ed emergenti. Le Nazioni più ricche conservano barriere massicce nei confronti di quelle in via di sviluppo a sostegno di settori nei quali la concorrenza provocherebbe perdite di reddito e occupazione di gruppi sociali politicamente molto forti. Le scelte di protezione doganale di Unione Europea, USA e paesi avanzati in settori manifatturieri e dell’agricoltura rimangono tra i maggiori impedimenti allo sviluppo di molte località più povere77. Parallelamente si prospetta la necessità di una profonda e sistematica

revisione del Codice delle dogane78, sostituito nel 2008. Decorre da tale data

l’abrogazione del precedente e l’adozione, per rifusione, del Regolamento del 2013 n. 95279.

4. Globalizzazione e regionalizzazione: due facce della stessa medaglia La dimensione regionale costituisce una chiave di lettura imprescindibile per comprendere l’articolazione del fenomeno globale. Il processo di liberalizzazione degli scambi non avviene solo attraverso le negoziazioni di carattere multilaterale intraprese sotto la scure dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (oggi WTO), ma attraverso una serie di accordi di libero scambio sia regionali sia bilaterali80. La lentezza e le difficoltà dei negoziati

multilaterali spingono, quindi, verso il rafforzamento di accordi bilaterali e aree

77 E. Forte, D. Miotti, Politiche di offshoring e reshoring nelle strategie di sviluppo e crescita del Mezzogiorno, in Riv.

economica del Mezzogiorno, III-IV, 2015, p. 702.

78 Regolamento n. 450/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il codice

doganale comunitario.

79 Regolamento n. 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce il codice doganale

dell’Unione.

(18)

18

di libero scambio, potenzialmente alternativi rispetto alla liberalizzazione multilaterale81.

Il regionalismo può considerarsi compatibile con gli impegni a livello multilaterale e la WTO non impedisce82 agli Stati membri di sottoscrivere

unioni doganali e aree di libero scambio, purché queste mirino alla completa liberalizzazione degli scambi commerciali intra-regionali in tutti i settori e non influiscano negativamente sulle importazioni da paesi terzi. Nel 1996 è stato istituito un organo ad hoc, il Committee on Regional Trade Agreements83.

Nel 1988 si raggiunge la conclusione del Free Trade Agreement (FTA)84

ossia un accordo commerciale firmato da Stati Uniti e Canada. Con tale accordo si prevedeva l’eliminazione di molte restrizioni commerciali di beni e servizi tra i due Paesi potenziando il commercio transfrontaliero, facilitando la competizione tra le aree di libero commercio, liberalizzando le condizioni per gli investimenti. In seguito è stato sostituito dal Trattato di libero scambio del Nord America (North American Free Trade Agreement-NAFTA), siglato da Usa, Messico e Canada ed entrato in vigore nel 1994. Gli scopi principali di tale accordo sono volti ad abbattere le barriere alle importazioni, promuovere le condizioni di concorrenza leale nell’area di libero scambio nonché le opportunità d’investimento, fornire tutela adeguata ed effettiva e rinforzare i diritti di proprietà intellettuale85.

Nel 1994 è siglato l’Accordo centroeuropeo di libero scambio o CEFTA, (dall’acronimo inglese Central European Free Trade Agreement) ossia un accordo di libero scambio tra la Repubblica di Macedonia, la Serbia, il Kosovo, la Bosnia Erzegovina, il Montenegro, l’Albania e la Moldavia. In precedenza ne erano membri anche Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia,

81 M. R. Ferrarese, Il diritto internazionale come scenario di ridefinizione della sovranità degli stati, In Stato e

mercato, I, 2017, pp. 80-81.

82 Art. XXIV dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC).

83 A. Villafranca, voce Regionalizzazione e globalizzazione: antitetiche o complementari?, in Enc. Treccani, XXIII,

Ist. Enc. It., 2012, p. 1 ss.

84 M. Moschella, Accordi commerciali e perdita di sovranità economica: mito o realtà, in Riv. Stato e mercato, I,

2017, pp. 121-132.

85 P. Acconci. La cooperazione nel campo normativo negli accordi in materia di commercio internazionale dell’Unione

(19)

19

Romania, Bulgaria e Croazia86. La finalità di tale accordo è di velocizzare i propri sforzi d’integrazione nelle istituzioni dell’Europa dell’ovest attraverso la stipulazione di un Accordo di Stabilizzazione e Associazione87 con l’Unione

europea. Nello stesso periodo in cui venne creato il CEFTA, gli Stati Baltici

ottennero l’indipendenza dall’Unione Sovietica e creano un’analoga area di libero scambio, chiamata BAFTA, che cessa di esistere quando Estonia, Lituania e Lettonia entrano nell’UE nel 2004.

Frutto di pluriennali contatti tra USA e UE è l’apertura dei negoziati per la conclusione di un trattato di libero scambio, il TTIP88. Si tratta di un

accordo commerciale volto alla creazione di una zona di libero scambio in corso di negoziazione dal 2013 tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America. L’obiettivo dichiarato dell’accordo è di favorire gli scambi e gli investimenti tra l’UE e gli Stati Uniti realizzando il potenziale inutilizzato di un mercato transatlantico, creando nuove opportunità economiche e formazione di posti di lavoro, incoraggiando l’accesso al mercato, uniformando e semplificando le normative abbattendo le differenze non legate ai dazi e procedendo all’introduzione di una normativa globale. Ciò renderebbe possibile la libera circolazione delle merci, semplificherebbe il flusso degli investimenti e l’accesso ai rispettivi mercati dei servizi e degli appalti pubblici. Il governo statunitense considera il TTIP come un accordo che accompagna un altro trattato proposto, conosciuto come Trans-Pacific

86 Il CEFTA sancito da Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia (il cosiddetto “Gruppo di Visegrád”) il 21

dicembre 1992 a Cracovia ed entrò in vigore nel luglio del 1994. L’accordo fu emendato una prima volta l’11 settembre 1995 a Brno e una seconda volta il 4 luglio 2003 a Bled. La Slovenia è entrata a far parte del CEFTA nel 1996, la Romania nel 1997, la Bulgaria nel 1999, la Croazia nel 2002, la Repubblica di Macedonia nel 2006, mentre Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Albania e Moldavia nel 2007.

87Secondo la precedente dichiarazione di Poznań tali Paesi dovevano aver firmato l’Accordo di

Stabilizzazione e Associazione con l’Unione europea con raccomandazioni per la futura adesione; risultare membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio; concludere accordo di libero scambio con i membri CEFTA. Attualmente e durante l’incontro di Zagabria del 2005 i Paesi devono risultare membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio o impegnarsi nel rispettare tutte le regole dell’OMC; predisporre qualsiasi accordo di associazione con l’Unione europea e accordo di libero scambio con i membri CEFTA.

(20)

20

Partnership89, il quale non solo prevede l’integrazione economica di paesi diversi

tra di loro, ma contempla anche, oltre all’eliminazione delle barriere doganali e dei dazi tra i paesi firmatari, una serie di disposizioni per la tutela della proprietà intellettuale, sugli investimenti diretti esteri e per la protezione dell’ambiente e dei lavoratori90. L’accordo prevede che gli Stati Uniti e altri

undici Paesi che si affacciano sull’oceano Pacifico realizzino un’area di libero scambio che dovrebbe comprendere oltre che economie avanzate come quelle di Giappone e Stati Uniti, anche quelle di paesi emergenti come Malesia e Vietnam91.

Il Presidente americano Donald Trump ha firmato il 23 gennaio 2017, un ordine esecutivo per ritirare formalmente l’adesione degli Stati Uniti92 al

trattato, dichiarando di voler avviare una serie di accordi bilaterali con i vari paesi della regione93. Trump afferma di non voler rinunciare all’apertura

commerciale, ma di scegliere la strada dei trattati bilaterali, al fine di «promuovere

l’industria americana, proteggere i lavoratori americani e aumentare i salari»94.

Ancora in fase di approvazione è l’Accordo economico e commerciale globale tra Unione Europea e Canada (CETA) la cui finalità è l’eliminazione delle tariffe doganali tra i Paesi firmatari, il riconoscimento delle professioni come quella di architetto, ingegnere, commercialista, la contribuzione alla crescita e all’aumento di posti di lavoro a livello nazionale, l’adeguamento del Canada alla normativa europea in materia di diritti d’autore e brevetti industriali, la possibilità per le imprese europee e canadesi di prendere parte alle gare di appalto pubbliche e la necessità di predisporre la tutela del marchio di taluni prodotti alimentari e agricoli95. Il CETA riconosce, inoltre, lo status

89 Il Partenariato Trans-Pacifico (TPP) è un progetto di trattato di regolamentazione e di investimenti

regionali alle cui negoziazioni, fino al 2014, hanno preso parte dodici paesi dell’area pacifica e asiatica: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti, Vietnam.

90 Trans-Pacific-Partnership - Final Text, in Wikileaks.org, 2015, p. 1 ss.

91 P. Magri, Il mondo secondo Trump, Milano, Piccola biblioteca Oscar Mondadori, 2017, pp. 1-3. 92 S. Holland, Trump signs order withdrawing U.S. from Trans-Pacific trade deal, in Reuters, 2017, p. 1. 93S. Pelaggi, Trump, TPP e frammentazione dell’economia, in Riv. Affari initernazionali, 2017, p. 1.

94 R. Pedersini, Globalizzazione e politiche commerciali. Non solo deregolamentazione, in Riv. Stato e mercato, I,

2017, p. 105.

(21)

21

speciale e offre protezione sul mercato canadese a molti prodotti agricoli europei con un’origine geografica determinata; l’uso delle informazioni geografiche sarà assegnato in Canada ai prodotti importati dalle ragioni europee dalle quali giungono abitualmente96. Si tratta di un mixed agreement che

deve essere ratificato dai parlamenti nazionali dei 28 Stati membri e da quelli regionali, quindi da 38 assemblee97. Non è stata ancora fatta chiarezza sulle

possibili conseguenze derivanti da una mancata adesione98.

5. Impresa globale e impresa trasnazionale

Un mercato sempre più globale impone alle imprese processi di adeguamento molto rilevanti in tempi sempre più ridotti: processo agevolato laddove il Paese che ospiti tali realtà si mostri maggiormente recettivo degli effetti della globalizzazione99. Per questo, anche gli Stati nazionali, oggi, stanno

smarrendo la loro autonomia facendosi condizionare sempre più dai grandi mercati finanziari internazionali, o meglio globali. Le imprese si ritrovano così inserite in mercati mondiali sempre più ampi e aperti, nei quali le innovazioni si susseguono a ritmi serrati100.

L’impresa globale ha quale mercato di riferimento l’intero mercato mondiale: si tratta di imprese senza patria e che producono ovunque e in nessun luogo. Si contraddistinguono perché vengono a operare in mercati in cui il processo di omogeneizzazione si è affermato e dove i gusti e le preferenze stanno divenendo sempre più simili su scala mondiale. Sono capaci di coordinare attivamente le differenze, il rischio, lo sviluppo delle risorse, adattandosi rapidamente ai continui mutamenti ambientali sviluppando economie di scala delle attività aziendali e consentendo una riduzione dei costi

96 G. Rusconi, Diritto Alimentare, Milano, Mondini Rusconi, 2017, p. 18 ss.

97European Commission Proposes signature and conclusion of UE- Canada trade deal, 2016, p. 1. 98 M. Bresolini, Il Parlamento europeo approva l’accordo con il Canada, La Stampa, 2017, p. 8.

99 G. Conti, S. Menghinello, Modelli d’impresa e d’industria nei contesti di competizione globale:

l’internazionalizzazione produttiva dei sistemi locali del made in Italy, in L’industria, II, 1998, pp. 316-317.

100 E. Forte, D. Miotti, Politiche di offshoring e reshoring nelle strategie di sviluppo e crescita del Mezzogiorno, in

(22)

22

sostenuti e dei prezzi offerti senza compromettere la qualità dei prodotti101.

Tuttavia, tale modello d’impresa globale non è applicabile a tutti i settori, soprattutto dove si ravvisa un’importante influenza dell’azione dei governi ovvero vi è una continuità di differenti gusti nazionali. In questo caso il modello più adatto per affrontare la competizione con le altre imprese è quello transnazionale, il quale si basa sul modello a rete integrata102.

L’impresa transnazionale si presenta come una struttura produttiva che si organizza per unità decentrate, dotata di un’effettiva indipendenza manageriale, dove ciascuna unità costituisce un’organizzazione vera e propria, capace di riconoscere le differenti esigenze provenienti dai mercati e di massimizzare i differenziali sui costi produttivi diversificando l’azienda nei confronti dei rischi economici e politici.

La finalità principale di questo modello è di porre in essere attività economiche dirette in almeno due Paesi e di operare tra diversi Stati in modo totale. Tali attività decentrate sono svolte in forma autonoma negli Stati esteri e sono fortemente coordinate, il che produce la necessità di adottare un assetto istituzionale globale specializzato e una struttura decentrata fortemente coordinata. L’impresa transnazionale integra in una strategia globale le attività appartenenti al core business, mentre lascia alle unità all’estero la discrezionalità di assumere decisioni sulle attività aziendali critiche, che variano da paese a paese, sulle più idonee strategie prodotto/mercato e sulle modalità di collaborazione con le istituzioni locali103.

101 P. De Woot, Le sfide della globalizzazione economica: imprese, concorrenza e società, in Riv. Symphonya.

Emerging Issues in Management, 2002, pp. 19-20.

102 G. Marrè, Che cos’è la Globalizzazione?, in ItConsult, 2002, pp. 18-19.

(23)

23

6. Verso la delocalizzazione: il crescente ruolo delle multinazionali Con un impeto che è andato gradualmente aumentando, tutte le imprese, anche quelle di minore dimensione, si sono trovate inserite all’interno di un contesto competitivo in rapida espansione, caratterizzato dalla tendenza dell’economia ad acquisire una dimensione sempre più sovranazionale e verso una maggiore integrazione dei mercati di servizi, merci e fattori produttivi. Tale processo ha condotto al progressivo incremento della tensione concorrenziale anche per settori di nicchia104, che se in precedenza potevano

trascurare le condotte operate da imprese operanti in altri sistemi nazionali, oggi, dato che la distanza geografica non è più un fattore limitante, devono mantenere un certo livello di competitività. Secondo il rapporto di Amnesty International il fenomeno della globalizzazione dei mercati ha permesso che il potere transitasse dalla disponibilità degli Stati alle imprese multinazionali le quali “assurgono al rango d’interlocutori moderni nelle campagne per la difesa dei diritti

umani di tutto il Mondo”105. Su altra linea di pensiero si poggiano coloro che

vedono negativamente la direzione assunta dal fenomeno globale, per cui tutto ciò favorirebbe l’impoverimento crescente dei Paesi più poveri con conseguente accentramento dei poteri nelle mani di queste imprese, le quali trasferirebbero le proprie produzioni in zone economicamente vantaggiose, garantendo salari più bassi e scarso rispetto dei diritti umani106.

Tra i principali indicatori dell’espansione delle imprese multinazionali si ravvisa il cosiddetto passaggio da una produzione tendenzialmente illimitata, che trova la propria realizzazione all’interno delle grandi fabbriche nazionali o

 comunque interne a un determinato territorio  al cosiddetto toyotismo, nel quale si assiste al cambiamento dei presupposti e delle condizioni di mercato. Si cerca di dare impulso a un tipo di produzione più snella sia dal punto di vista della formazione, del mansionario degli operai, delle modalità di

104A. Mattiacci, F. Ceccotti, Nicchia e competitività: prospettive per il consumer marketing nella nuova

globalizzazione, in Micro & Macro marketing, II, 2008, pp. 229-230.

105 Il monito su Globalizzazione, torture ed esecuzioni capitali, in La Repubblica, 2001, p. 1 ss.

106 R. Montera, L’internazionalizzazione sostenibile delle imprese Multinazionali: mito o realtà?, in L’Industria, I,

(24)

24

produzione, evitando sprechi e scorte e producendo in linea  anche temporalmente parlando  con la domanda di mercato107. La globalizzazione

dei mercati si associa a una trasformazione dei modi di produzione frammentata in paesi e continenti diversi che si mostrano pronti a entrare nella nuova realtà, attraverso un percorso di crescita inquadrabile in uno schema di widening e deepening della produzione e degli investimenti. Tali paesi attirano capitali stranieri offrendo quale fonte di vantaggio il basso costo di mano d’opera non specializzata, attirano produzioni di consumo semplici, per poi gradualmente rafforzare i tessuti produttivi locali108.

Le imprese multinazionali si caratterizzano per l’esistenza di una sede centrale volta all’individuazione delle attività da svolgersi a livello internazionale. Tale società madre è localizzata in un determinato Stato, gestisce in maniera accentrata il portafoglio dei prodotti, abilitando le unità all’estero dell’attività di assemblaggio e di adattamento del prodotto alle esigenze locali. Tutto ciò ha reso quindi più labile il legame tra il luogo di produzione e quello di realizzazione del prodotto finale109. Con il termine

offshoring si indica la delocalizzazione del processo produttivo da parte di un’azienda con il trasferimento di tutti o parte degli stabilimenti in un Paese diverso da quello della sede principale. È praticato per usufruire dei vantaggi di una produzione a basso costo, o comunque a prezzo minore rispetto a quello adottato nel Paese di origine, o di quello in cui saranno vendute le merci. Con il termine outsourcing si intende, invece, quel processo attraverso il quale le attività che non costituiscono competenze strategiche dell’impresa sono affidate ad aziende terze specializzate  players logistici  con risparmi di costi e risultati efficienti. Di recente però si è assistito all’incentivazione del processo di reshoring, ossia di rientro parziale o totale nei paesi di origine delle filiere110.

107 P. Di Siena, Toyotismo e post-democrazia, in Critica marxista, 2016, II, pp. 75-76.

108 U. Monarca, Editoriale: il doppio volto della globalizzazione, in L’industria, III, 2014, p. 365. 109 F. Tognetti, A. Fracasso, Le sfide della globalizzazione. Storia, politiche, istituzioni, cit., p. 41 ss.

110 E. Forte, D. Miotti, Politiche di offshoring e reshoring nelle strategie di sviluppo e crescita del Mezzogiorno, in

(25)

25

La delocalizzazione è realizzata attraverso il flusso degli investimenti internazionali di capitale, flussi d’import/export e trasferimento di know-how111.

Ciò porta le stesse imprese multinazionali a delocalizzare nei cosiddetti “paradisi fiscali”112 e quindi in zone nelle quali sia più semplice porre in essere

attività di evasione ed elusione e dove ciò che si agevola è il passaggio di capitali e di produzioni in luoghi in cui esistono condizioni salariali e fiscali più favorevoli. Gli investitori potenziali interni ed esteri riescono a esercitare pressioni sui governi ottenendo una serie di concessioni, tra cui la riduzione delle tasse o un abbassamento degli standard, che possono ulteriormente diminuire laddove tali imprese spostino i profitti in paradisi fiscali. Oggi si sta cercando di risolvere il problema imponendo alle grandi multinazionali con fatturato annuo superiore ai 750 milioni, l’obbligo della trasparenza e quindi di rendere pubblica la rendicontazione di utili e tasse pagate, oltre a una serie di dati sul tipo di attività, numero di addetti, fatturato, profitti lordi, profitti prima delle imposte, tasse pagate e quelle ancora da liquidare. Coinvolte, saranno anche le imprese non europee ma con un’attività nell’Unione113.

Tali atteggiamenti elusivi, ai quali si aggiungono i cambiamenti legislativi legati al mercato del lavoro, i mutamenti delle politiche di bilancio dei governi, l’aumento dell’importanza del settore dei servizi, hanno accentuato il fenomeno della disuguaglianza economica114.

Ciò che si prospetta è un incremento vertiginoso della quota della ricchezza prodotta, che va a vantaggio del ceto più alto della scala distributiva con progressivo impoverimento dei ceti medio-bassi115. Per limitare gli effetti

negativi della disuguaglianza economica occorrono interventi di adeguamento delle istituzioni e delle politiche. In particolare, occorre intervenire sui mercati

111 F. Targetti, A. Fracasso, Le sfide della Globalizzazione: storia, politiche e istituzioni, op. cit., p. 39 ss. 112 A. Cerretelli, Se le misure di Bruxelles non battono i paradisi, in Il Sole 24 ore, 2016, p. 24.

113 R. Beda, Più obblighi fiscali per le Multinazionazionali, Il Sole 24 ore, 2016, p. 8.

114 F. Targetti, A. Fracasso, Le sfide della globalizzazione: storia, politiche e istituzioni, Milano, op. cit., 2010,

pp. 315-316.

115 G. Amato, R. Pardolesi, A. Nicita, C. Osti, P.Sabbatini, Tavola rotonda su J.B. Baker e S.C. Salop,

(26)

26

per ostacolare il rischio, oggi fortemente reale, che essi si convertano in potenti amplificatori di disuguaglianze ingiuste116.

7. Esiste un ordinamento giuridico di là dello Stato? La crisi della sovranità statale e l’insorgere del cosiddetto policentrismo

La domanda sorge spontanea: “Gli Stati sono ancora i protagonisti della scena mondiale?”. Già Hans Kelsen sosteneva l’esistenza di un ordinamento giuridico internazionale ancorché primitivo, privo di un organo per la produzione ed esecuzione delle norme giuridiche che si fondavano su comportamenti consuetudinari e quindi non attuate da parte di un organo legislativo117.

Oggi, come teorizzato, il mondo non trova più la sua regolamentazione univoca e assoluta da parte degli Stati, ma si delinea un vero e proprio “reggimento” politico, dove si combinano molteplici poteri che operano attraverso una struttura multilivello la quale si articola in amministrazioni nazionali, istituzioni intergovernative, governi per poi passare a organizzazioni non governative, corti ultrastatali, singoli individui118. Il fenomeno della

globalizzazione dei mercati ha assunto carattere inclusivo piuttosto che selettivo ed esclusivo, presentando quindi uno scenario affollato e convulso volto a inglobare entità già preesistenti, invece che sostituire le stesse con una realtà nuova119.

I mercati divengono globali ma le istituzioni sulle quali poggiano rimangono nazionali. Esistono molti regimi settoriali, nessuno dei quali assume un ruolo sovraordinato rispetto agli altri120.

Nell’architettura economica internazionale un ruolo importante è quello delle istituzioni internazionali della Banca Mondiale, del Fondo monetario

116 M. Franzini, In cerca della disuguaglianza (economica) giusta e delle sue condizioni, in Parolechiave, I, 2015, p.

2.

117 H. Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, Einaudi, 2000, pp. 85-97. 118 S. Cassese, Chi governa il mondo?, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 9 ss.

119 U. Beck, Il lavoro nell’epoca della fine del lavoro, Torino, Einaudi, 2000, p. 37 in M. R. Ferrarese (a cura

di), Il diritto al presente: globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 65 ss.

(27)

27

internazionale e dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Generalmente operano quali sedi deputate alla negoziazione degli accordi di cooperazione internazionale e promuovono la crescita di scambi e reddito, oltre che attività di controllo e coordinamento delle politiche nazionali, con funzione collaborativa nello sviluppo dei paesi poveri e di risoluzione pacifica delle controversie che possono sorgere a livello internazionale.

Il Fondo Mondiale Internazionale (FMI) è un istituto specializzato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ed è divenuto operativo nel 1946. Fino al 1970 il suo intervento è volto a finanziare temporanee instabilità nella bilancia dei pagamenti. Dal 1973, quando il sistema passa dalla vigenza di cambi fissi a cambi flessibili, l’azione del Fondo si indirizza verso il sostegno dei Paesi in via di sviluppo colpiti da crisi finanziarie che hanno comunque aderito a politiche di aggiustamento. Interventi del Fondo si prestano all’eliminazione delle restrizioni sul commercio estero e la promozione della cooperazione monetaria internazionale al fine di agevolare una crescita equilibrata del commercio mondiale con investimenti su scala globale. Nei paesi in via di sviluppo il FMI interviene sempre di più nelle politiche economiche e di sviluppo imponendo piani di austerità, taglio della spesa pubblica, licenziamenti e privatizzazioni come condizione per accedere ai propri fondi121.

La Banca Mondiale, creata il 27 dicembre 1945 con il nome di Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, inizialmente si occupava della ricostruzione e dello sviluppo post-bellico, facilitando gli investimenti e assistendone la ricostruzione. La ripresa delle economie dei paesi occidentali negli anni ′50 e l’attuazione del piano Marshall in Europa hanno permesso a tale organizzazione di spostare il centro della propria attenzione verso il finanziamento dei Paesi in via di sviluppo. In particolare verso tematiche quali lo sviluppo del capitale umano e del capitale sociale, la crescita del settore privato, il miglioramento della capacità di Governo e l’alleggerimento del

Riferimenti

Documenti correlati

ricorda che in Francia vige la possibilità di ri- chiedere l'interdizione volontaria dalle sale da gioco, dai casinò, ma anche dal gioco in linea, sottoponendo

Nel frattempo, il Partito Laburista ha scelto una linea più orientata a sinistra che comincia ad avere una certa presa su molti elettori sempre più preoccupati dell’allargamento

“La Brexit nella dimensione storica dei rapporti il Regno Unito e..

Nel 1215 avvenne la fondamentale concessione della Magna Charta Libertatum, la prima costituzione della storia, che limitava il potere regio, firmata dal re Giovanni Senza Terra

Gli arcipelaghi più importanti sono a nord-ovest le Isole Ebridi e a nord-est le Isole Orcadi e le Isole Shetland.. Altri territori esterni sono Gibilterra, Sant'Elena, le

Il canale che separa le Isole britanniche dall'Europa.. Territorio inglese a confine con la

Il canale che separa le Isole britanniche dall'Europa [MANICA]6. Territorio inglese a confine con la Spagna

IL REGNO UNITO SI DIVIDE IN : GRAN BRETAGNA , IRLANDA DEL NORD E VARIE ISOLE SPARSE NEL MONDO..